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METODI QUALITATIVI IN PSICOLOGIA – CAP. 1 – MANTOVANI - STRUMENTI PER UNA RICERCA SITUATA

METODI QUALITATIVI IN PSICOLOGIA – CAP. 1 – MANTOVANI - STRUMENTI PER UNA RICERCA SITUATA. nascita:1920 circa.

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METODI QUALITATIVI IN PSICOLOGIA – CAP. 1 – MANTOVANI - STRUMENTI PER UNA RICERCA SITUATA

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  1. METODI QUALITATIVI IN PSICOLOGIA – CAP. 1 – MANTOVANI - STRUMENTI PER UNA RICERCA SITUATA nascita:1920 circa ETNOGRAFIA: né una metodologia, né solo un metodo specifico per la raccolta di dati, bensì uno “stile di ricerca che si distingue sia per il suo obiettivo, che è quello di comprendere i significati sociali e le attività delle persone in un dato ambiente, sia per il suo approccio, che consiste nell’associarsi a quell’ambiente e qualche volta partecipare ad esso. L’etnografia parte dalla conezione secondo cui lo scopo centrale delle scienze sociali è quello di comprendere le azioni delle persone e le loro esperienze del mondo, e i modi in cui le loro azioni motivate nascono dalle loro esperienze e si riflettono poi su di esse (Brewer 2000) UK – Malinowsky, Boas, Radcliffe-Brown, Evans Pritchard (antropologi) Società preindustriali Asia, Africa, America e Australia USA – Robert Park, Università di Chicago (sociologi) Comunità ai margini della società urbana USA • Sfida al modello codificato di scienza: sì validità, ma no attendibilità / replicabilità visto che l’osservatore è partecipante, cioè parte del processo osservato. Alle critiche positiviste l’etnografia dà tre tipi di risposte: • - risposta “scientista”: ricerca di una maggiore scientificità in senso classico attraverso l’accentuazione del rigore dei metodi osservativi • - risposta “interpretativa” o “umanista”: rivendicazione della propria specificità, la realtà sociale non può essere trattata come un “dato” perché si costruisce attraverso le pratiche interpretative che le persone mettono in atto nella vita quotidiana • risposta post-moderna: contrattacco alla presunta “oggettività” dei metodi delle scienze naturali, tutta la ricerca “costruisce il proprio oggetto”, attraverso le domande che pone e le metodologie che usa → rischio relativismo, nichilismo: se tutto va bene, niente va meglio. • Esplode il dibattito epistemologico, riguardante cioè i modi della conoscenza scientifica e il valore di verità di questa conoscenza • Chiave di superamento della contrapposizione: realismo raffinato (subtle realism, Hammersley 1990) o critico (Potter 1995) o analitico (Altheide e Johnson 1998) o mediato (Mantovani) → partendo dalla presa d’atto del “divario epistemologico” (non possiamo conoscere la realtà “così come essa è”, senza mediazioni), afferma che, se in qualitativa non è possibile lavorare sul fronte dell’attendibilità/replicabilità, sussistono tuttavia criteri per identificare la “buona” ricerca: • situatività: legame esplicitato tra metodi, risultati, interpretazioni e specifici ambiti in cui la ricerca si svolge • contingenza: assegnazione di un valore situato ai risultati di ricerca (vs generalizzabilità, vedi) • riflessività: consapevolezza da parte del ricercatore della non neutralità delle sue posizioni teoriche per quanto riguarda sia i suoi interessi di ricerca, sia le sue scelte metodologiche (vedi Cardano) • member validation: verifica della verosimiglianza e soprattutto dell’interesse dei risultati per i membri della comunità scientifica • triangolazione (vedi Cardano) per descrizioni “più ricche” dei fenomeni osservati: data triangulation (dati provenienti da ambienti e momenti diversi dello stesso fenomeno), investigator triangulation (presenza sul campo di più osservatori → controllo biases personali), theory triangulation (messa alla prova di teorie e ipotesi differenti), methodological triangulation • Altro approccio: la “GROUNDED THEORY” (Glaser e Strauss, 1967) - metodo per “andare dai dati alle teorie”, affinché la teoria emerga dai dati in modo puramente induttivo: le teorie devono essere lette nei dati in cui sono radicate (“grounded”) → orientamento realista, per alcuni posizione di fatto positivista: la conoscenza potenziale è effettivamente “nei dati”, cioè “al di fuori” del ricercatore, al quale spetta solo di “catturarla” • raccolta dei dati il più ampia e accurata possibile attraverso metodologie diversificate • classificazione in categorie né predefinite, né per forza mutualmente esclusive (logica fuzzy vs logica classica) • processo di codifica inizialmente solo descrittivo, usando il linguaggio naturale dei partecipanti alla ricerca, poi, a mano a mano che “la teoria emerge dai dati”, maggiore astrazione nella definizione delle categorie • analisi comparativa: tornare continuamente dalla teoria ai dati e viceversa; persino la stesura del rapporto di ricerca non è altro che una “interruzione momentanea” del processo • i programmi di analisi computerizzata dei testi sono di fatto costruiti sulla base dei criteri e della metodologia della grounded theory, per cui chi li utilizza finisce per lavorare almeno in parte secondo questa prospettiva anche quando il suo approccio teorico è diverso

  2. CARDANO – TECNICHE DI RICERCA QUALITATIVA - INTRODUZIONE

  3. SI’ NO In corpore vili In corpore vili Manipolazione selettiva delle variabili CARDANO - CAP. 1 – OSSERVAZIONE, ESPERIMENTO, SIMULAZIONE Ricerca empirica = successione di operazioni per produrre risposte a domande sulla realtà (Ricolfi): non tout court per “conoscere” la realtà, ma neanche solamente per verificare ipotesi SI’ SI’ NO NO Le 4 fasi (Disegno-Costruzione della documentazione empirica – Analisi -Comunicazione) tipicamente si succedono in modo lineare nella ricerca quantitativa, e in modo ricorsivo in quella qualitativa. ESPERIMENTO SIMULAZIONE OSSERVAZIONE ESPERIMENTO= esperienza provocata vs esperienza osservativa – Bacone SIMULAZIONE: il ricercatore fa esperienza non già dell’oggetto del suo studio ma di un suo sostituto, regolato dalle medesimi leggi formali dell’originale: “agenti” che vengono corredati di un patrimonio di informazioni sull’ambiente in cui dovranno muoversi e di script procedurali (“se … allora ... ”) che danno corso alla loro azione. Consente l’articolazione dinamica dei modelli teorici concepiti per rappresentare i fenomeni sociali e rende possibile controllarne la coerenza In particolare permette lo studio dell’evolversi dei sistemi e del crearsi al loro interno dei cosiddetti “effetti perversi” (Boudon) ovvero non desiderati: effetti individuali o collettivi che risultano dalla giustapposizione di comportamenti individuali, senza essere perseguiti dagli attori (nel merito, gli effetti perversi possono essere sia non desiderabili che desiderabili La simulazione è utilizzata per la sperimentazione (consente di compiere in vitro esperimenti sociali), l’osservazione e la proiezione. Implica la costruzione di un modello del fenomeno sociale allo studio che è inevitabilmente semplificato (limite alla portata delle conclusioni) ma che obbliga il ricercatore ad esplicitare gli assunti ontologici che guidano la sua ricerca, e in questo senso può costituire un importante contributo alla ricerca qualitativa

  4. CARDANO - CAP. 2 – OSSERVAZIONE: TASSONOMIA DELLE TECNICHE DI COSTRUZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE EMPIRICA COMPORTAMENTI – verbali o linguistici, paraverabli, non verbali, prossemici DOCUMENTI NATURALI

  5. CARDANO - CAP. 3 – L’INTERVISTA DISCORSIVA INTERVISTA: “forma di conversazione un po’ speciale”, in ragione dell’asimmetria degli interlocutori. Nell’intervista discorsiva ( intervista strutturata) l’intervistato risponde lì per lì, con parole sue, costruendo nel modo che gli è più congeniale la propria argomentazione. Intervista d. guidata: l’intervistatore guida il percorso cognitivo dell’intervistato, poiché conduce la conversazione seguendo una traccia di temi/domande - Intervista d.libera: l’intervistatore si limita a porgere l’argomento di conversazione per poi disporsi in atteggiamento di ascolto, lasciando che sia l’intervistato a costruire da sé il suo discorso. L’intervista discorsiva non consegna solo una serie di informazioni, ma un discorso, attraverso il cui contenuto ma anche forma l’intervistato esprime, consapevolmente o meno, il proprio modo di sentire, pensare, porsi rispetto al tema trattato. Dibattito su quale dei due aspetti sia da ritenere vero oggetto di analisi, rimane che se si è più interessati ai contenuti è tendenzialmente da privilegiare l’intervista guidata (possibilità di comparazione intersoggettiva), se invece ciò che interessa è proprio il discorso e le forme che esso assume meglio l’intervista libera. In ricerca sociale l’intervista discorsiva è una metodologia che può essere utilizzata o a sè (es racconto biografico), o in cooperazione con altre (ad es insieme a osservazione partecipante – vedi triangolazione dei metodi), o con ruolo ancillare rispetto a intervista strutturata (ad es studio pilota e pre-test di questionario). Può essere applicata allo studio di tutto ciò che le persone hanno “dentro la testa”, mentre ovviamente non si presta allo studio dell’interazione sociale . • TRIANGOLAZIONE: modo in cui si fa il punto in nautica (localizzazione di un punto sconosciuto combinando le informazioni acquisite partendo da punti conosciuti e desunte da due distinte procedure di misurazione). Nelle scienze sociali utilizzo metaforico del concetto come triangolazione metodologica, usato però con quattro diverse accezioni: • Realismo ingenuo - lettura quasi letterale: la combinazione di almeno due procedure di rilevazione consente di rilevare la vera posizione dell’oggetto di studio • Realismo critico – censente di rilevare l’autonomia ontologica dell’oggetto di studio dalle procedure di rilevazione utilizzate, ovvero escludere che l’oggetto sia creato dalle procedure stesse (es non-attitudes nei questionari) • Concezione riflessiva – consente di rilevare i limiti specifici di ciascuna tecnica di rilevazione, e quindi di determinare quali conclusioni è lecito trarre, a quali domande è possibile rispondere (es combinazione di osservazione partecipante e interviste discorsive) (in and) • Concezione post-moderna – si applica al momento della comunicazione dei risultati, ovvero quando i materiali empirici vengono “messi in forma” attraverso la scrittura - consente di moltiplicare le rappresentazioni dell’oggetto (poiché nessuna è più vera o legittima delle altre) attraverso il ricorso ad una pluralità di generi testuali, di forme espressive (es A Thrice-Told Tale) (in or) TIPOLOGIE E TASSONOMIE: entrambe consentono di creare raggruppamenti, ovvero categorie basate sull’utilizzo di due o più criteri di classificazione. Tipologie: tutti i criteri vengono utilizzati contemporaneamente incrociandoli, si creano così delle tabelle a doppia (o tripla, o più) entrata che definiscono i campi entro i quali ricadono i casi appartenenti a ciascuna categoria – molto quantitativa, assomiglia alla regressione statistica standard Tassonomie: i criteri vengono applicati per stadi successivi, creando così degli alberi che via via si ramificano, ovvero successivi sottoinsiemi analizzabili a ciascun livello - implica una scelta a monte su quale sia le sequenza con cui applicare i criteri, e genera risultati diversi in termini di tipi e numero di categorie a seconda della sequenza impiegata – molto qualitativa, assomiglia alla regressione ……..

  6. CARDANO - CAP. 3 – L’INTERVISTA DISCORSIVA – FASI

  7. CARDANO - CAP. 4 – OSSERVAZIONE PARTECIPANTE E RICERCA ETNOGRAFICA OSSERVAZIONE PARTECIPANTE: tecnica principe per lo studio delle interazioni sociali, ovvero dei processi in cui due o più individui sono fisicamente “l’uno alla presenza della risposta dell’altro” e dalla composizione della cui sequenza infinita prende forma la società (Goffman) La metodologia nasce a cavallo fra il XIX° e il XX° nell’ambito dell’antropologia: Malinowsky (Argonauti nel Pacifico) inizia a codificarne i principi, ma il nome osservazione partecipante appare più tardi, ad opera di Lindeman (sociologo). Cuore della ricerca etnografica, l’osservazione partecipante consente di ricostruire dall’interno il profilo culturale della società ospite, muovendosi in due direzioni opposte: da un lato -attraverso l’osservazione minuziosa e la partecipazione- riuscire a cogliere le definizioni della situazione dei nativi, a vedere la realtà coi loro occhi, dall’altro -attraverso l’estraniamento e la tensione ad inscrivere questi dettagli in una cornice teorica che conferisca loro un senso- riuscire a dare conto anche di ciò di cui i nativi non hanno consapevolezza, della conoscenza tacita che costituisce lo sfondo dell’interazione sociale. Chiave dell’esperienza è la partecipazione: osservazione diretta, dialogo e, sopratutto, assunzione di un ruolo che impone all’osservatore un peculiare processo di “risocializzazione”, l’apprendimento (che non vuole dire necessariamente condivisione) dei valori, delle norme, dei precetti comportamentali propri della cultura ospite. E’ un lavoro che si prolunga nel tempo (mesi, a volte anni), e che quindi consente di cogliere azione e interazioni sociali nel loro farsi, di identificare processi sociali, ovvero di dare una rappresentazione dinamica dei fenomeni sociali. Il campo d’azione è tanto esteso nel tempo quanto compresso nello spazio: i confini spaziali coincidono con le forme di interazione sociale cui l’osservatore può fisicamente riuscire a partecipare (“natura microscopica dell’etnografica” – Geertz). I metodi sono poco codificabili, variano di volta in volta per effetto delle caratteristiche vuoi dell’oggetto, vuoi dell’osservatore, vuoi degli accadimenti specifici: “la ricerca sul campo ....è un lavoro altamente personale e soggettivo, ed è probabile che esistano tanti <metodi> quanti sono i ricercatori” (Kunda). Se i metodi di osservazione etnografica sono “necessariamente plurali” (Dal Lago, De Biasi), altrettanto plurali sono i risultati consegnati da ciascun itinerario di ricerca. Siamo agli antipodi della k di Koen e delle regole della ricerca quantitativa: qui è accettato e valorizzato (invece che combattuto o ammesso obtorto collo) il fatto che ciò di cui l’ossservatore può fare esperienza e di cui può dare conto nei risultati (“testo consegnato alla comunità scientifica”) dipende strettamente dal modo in cui ha condotto il proprio studio, il cosa dipende dal come → crucialità del metodo adottato e dello specifico itinerario di ricerca seguito, rilevante sia per la qualificazione del punto di vista, che è uno dei molti possibili, sia per la valutazione della plausibilità dei risultati cui la ricerca perviene → riflessività e ispezionabilità.

  8. CARDANO - CAP. 4 – OSSERVAZIONE PARTECIPANTE E RICERCA ETNOGRAFICA - FASI

  9. CARDANO - CAP. 4 – OSSERVAZIONE PARTECIPANTE E RICERCA ETNOGRAFICA - FASI (segue)

  10. CARDANO - CAP. 5 – IL FOCUS GROUP • FOCUS GROUP: tecnica di osservazione che si applica su piccoli gruppi, costituiti ad hoc (“gruppi artificiali”), animati da un moderatore (coadiuvato da un assistente) che sollecita la discussione su un argomento specifico, dove l’attenzione cade sull’interazione discorsiva che coinvolge i componenti del gruppo. • Il focus group si propone di rilevare non solo gli atteggiamenti delle persone su una certa questione, ma anche e forse ancor più importante il perché di tali atteggiamenti: attraverso il focus group è possibile osservare i “metodi” (etnometodologicamente intesi, vedi) utilizzati dalle persone per identificare somiglianze e differenze tra le diverse posizioni espresse dal gruppo, per esprimere la propria posizione, per difendere la propria diversità, ecc. Quando l’oggetto di studio compare per la prima volta nell’orizzonte congitivo dei soggetti, ad es ricerche di mercato su un nuovo prodotto, il focus group permette di osservare il processo che porta alla formazione degli atteggiamenti nei suoi confronti. • Il focus group è una discussione di gruppo nella quale i partecipanti parlano fra loro dei temi che di volta in volta il moderatore propone; non è quindi né un’intervista di gruppo (dove ogni individuo dice la sua alla presenza degli altri), né una discussione libera di un gruppo naturale. Inoltre, a differenza di altre specifiche tecniche di gruppo (Delphi, Nominal Group Tecnique), la finalità del focus group è produrre documentazione empirica relativa al tema in studio, e non invece quella di risolvere uno specifico problema cognitivo. • Rispetto all’osservazione partecipante, il focus group ha il vantaggio di permettere di osservare forme di interazione sociale cui è difficile accedere quando hanno luogo nel loro contesto naturale. E rispetto all’intervista discorsiva ha quello di permettere di accedere, osservando persone che parlano fra loro invece che con il ricercatore, ad una rappresentazione più chiara delle somiglianze e differenze di opinioni all’interno di una cultura. • Gli ambiti di applicazione del focus groups, oltre che la ricerca sociale, sono la ricerca di mercato e la ricerca valutativa (sia fasi preliminare del processo di valutazione che valutazione vera e propria). • I soli limiti ai temi che possono essere discussi in un focus group sono etici, tenuto conto del fatto che i partecipanti non rimangono anonimi l’uno nei confronti dell’altro. • I focus group si possono classificare secondo due dimensioni: • composizione: riguarda il grado di omogeneità dei partecipanti e il loro livello di conoscenza antecedente; la forma canonica, che viene perferita -salvo eccezioni o esigenze particolari- perché più favorisce la fluidità e la ricchezza della discussione di gruppo, è quella che prevede gruppi omogenei di estranei, ovvero formati da persone che si incontrano per la prima volta in occasione della loro partecipazione al gruppo ma che hanno, e percepiscono di avere, un’esperienza affine rispetto al tema trattato • forma di conduzione: ha a che fare col grado di direttività da parte del moderatore: si va dal gruppo autogestito dove il moderatore porge il tema e poi si limita ad osservare(analogia con intervista libera) al gruppo condotto seguendo un percorso ben definito nei tempi e nei modi, scandito da sollecitazioni e domande (analogia con intervista guidata, costituisce la forma canonica) • Rispetto ad altre tecniche di ricerca il focus group può: • o essere impiegato da solo, come tecnica autosufficiente • o svolgere una funzione ancillare, tipicamente come fase preliminare utile per perfezionare la preparazione della fase “centrale” del progetto di ricerca: per mettere a punto la traccia di successive interviste guidate, per delineare e specificare le dimensioni intorno a cui costruire gli item che comporranno un successivo questionario, o ancora per disporre in tempi stretti di un quadro d’insieme della cultura che si intende studiare nell’osservazione partecipante; inoltre nella ricerca etnografica il focus group viene utilizzato anche nelle fasi conclusive, per ottenere backtalk • o infine il focus group può essere combinato, alla pari, con le altre tecniche → triangolazione

  11. CARDANO - CAP. 5 – IL FOCUS GROUP – FASI

  12. METODI QUALITATIVI IN PSICOLOGIA – CAP. 1 – MANTOVANI - STRUMENTI PER UNA RICERCA SITUATA (riprende - California dreamin’) ETNOMETODOLOGIA: studia le condotte quotidiane che sono fatti tanto “naturali” quanto “sociali”, come il fatto che a una domanda segua una risposta; sono il modo in cui l’ordine sociale viene continuamente riprodotto. I “metodi” che le persone usano nella loro vita sociale sono essenzialmente dei “fatti morali” incorporati nell’azione. Nascita: anni ’60, California, GARFINKEL – “breaching experiments” “I membri della società incontrano e conoscono l’ordine morale come corsi di azioni percepite come normali. (...) Per i membri di una società le cose stanno così quando si tratta di scene familiari, ma stanno così perché è moralmente giusto o sbagliato che esse stiano così” “Tutte le proprietà <logiche> e < metodologiche > dell’azione, ogni caratteristica del senso di un’attività, della sua oggettività, spiegabilità (accountability) e comunicabilità dovrebbero essere considerate come una realizzazione continua di pratiche comuni socialmente organizzate” (Garfinkel 1967) Nascita: anni ’70, California, SACKS, JEFFERSON, SCHLEGOFF “Per gli esseri umani il parlato-in-interazione sembra essere una forma distintiva dell’aspetto fondamentale della vita sociale. (...) Possiamo pensare all’interazione conversazionale come a una forma di organizzazione sociale che fa funzionare la maggior parte, se non tutte le istituzioni sociali – l’economia, la politica, la famiglia, la socializzazione” (Schlegoff, 1996) ANALISI DELLA CONVERSAZIONE: concepisce e studia la conversazione come attività non governata da astratte regole intellettuali, ma invece organizzata praticamente nella vita quotidiana; mette in evidenza il caratere interattivo della conversazione, che appare un’attività intrinsecamente cooperativa. Mette in luce gli elementi di organizzazione interna dell’attività: turno, sequenza complementari, organizzazione delle preferenze, correzioni (repairs), recuperi delle cadute di comunicazione, pre-sequenze (annunciano le prossime mosse conversazionali) e post-sequenze (commentano le mosse già compite), ecc La trascrizione Jeffersoniana crea uno standard, ma nella sua accuratezza e minuziosità si nasconde anche il pericolo ideologico di finire per credere che il divario epistemologico si possa risolvere metodologicamente: ovvero credere che i propri “dati”, così faticosamente trascritti, siano tanto “accurati” da essere diventati “oggettivi” AC identifica meccanismi autonomi dell’interazione che operano più o meno nello stesso modo in contesti diversi. La critica che le viene formulata è che si tratta di un’analisi decontestualizzata, che sacrifica eccessivamente le esigenze di una ricerca culturalmente situata ≠ TEORIA DELL’AZIONE SITUATA (anni ’80, ancora California), STUDIO DEL CONTESTO, PSICOLOGIA CULTURALE: le capacità umane di pianificazione e ragionamento sono irriducibili alle formalizzazioni della scienza cognitiva, ma invece frutto della capacità di adattarsi plasticamente alle circostanze. L’attività cognitiva umana dipende in modo essenziale dal fatto che la mente è situata nell’ambiente attraverso il corpo.

  13. ANALISI DEL DISCORSO: discorso definibile come “l’azione sociale compiuta da coloro che utilizzano il linguaggio per comunicare in situazioni sociali e, in senso lato, nell’ambito della società e della cultura” (Van Dijl, 1997). Il discorso, sovra-ordinato rispetto alla conversazione, la comprende così come comprende dichiarazioni, testi, ecc Fonti e ascendenze dell’AD Esterne alla psicologia Interne alla psicologia BACHTIN, anni ’20: ubiquità del dialogo nella conoscenza e nell’azione umana WITTGENSTEIN, anni ’50: linguaggio e “giochi linguistici” al centro delle condotte sociali umane GOFFMAN, fine anni ’50: presentazione di sé in pubblico come evento drammaturgico FOUCAULT, anni ‘60: pratiche discorsive strumentali all’esercizio del potere DURANTI, anni ’90: discorso come pratica culturale inserita in un contesto specifico che va ricostruito con metodi etnografici BILLIG, anni ’80: approccio retorico alla psicologia sociale (Discourse and Rethoric Group, università di Loughborough – UK). Pensare vuol dire discutere, co sé come con gli altri (Vigotskij) : avere un atteggiamento significa prendere una posizione su un argomento controverso, (il cui significato) dipende sia da ciò che viene sostenuto, sia da ciò che viene rifiutato → Psicologia sociale discorsiva: non esistono processi cognitivi che non siano costruiti attraverso lo scambio sociale in cui il parlante è situato, interessato, responsabile del modo in cui categorizza e descrive le cose → Analisi critica del discorso: impegno politico GERGEN, anni ’90: costruzionismo, carattere relazionale dell’esperienza umana • interesse per il modo in cui viene costruito il significato delle esperienze personali e sociali attraverso i discorsi (possibile uso “critico”); considera il linguaggio come strumento retorico • riconosce i propri debiti teorici (in particolare verso Billig, Gergen) e nega possa esistere ricerca sociale libera da presupposti teorici e metodologici, che invece devono essere portati a consapevolezza e esplicitati • approccio deduttivo • intuizione • modellizzazione • usa la trascrizione jeffersoniana ma anche tecniche più semplici (spesso corpus di notevole ampiezza) • interesse per i meccanismi di mantenimento dell’ordine sociale attraverso la conversazione • libertà dai presupposti teorici: il talk-in-interaction, se accuratamente trascritto, contiene in sé tutta l’informazione necessaria per comprendere ciò che sta avvenendo • approccio induttivo • osservazione • descrizione • - conferisce alla tecnica di trascrizione una funzione determinante per la validità scientifica della ricerca METODI QUALITATIVI IN PSICOLOGIA – CAP. 1 – MANTOVANI - STRUMENTI PER UNA RICERCA SITUATA (segue ripresa) AD e AC – punti in comune... • - interesse per il parlare come attività sociale situata in contesti di vita quotidiana • diffidenza per la spiegazione dei processi interattivi in termini di operazioni mentali (l’AD si definisce come una “forma radicalmente non-cognitiva di psicologia sociale”) AC ... e differenze AD ANALISI DELLE NARRAZIONI: si occupa degli scambi sociali quotidiani attraverso cui le persone cercanod idare un senso alle loro esperienze. “La narrazione personale è un modo (...) per imbevere gli eventi della vita di un ordine temporale e logico, per demistificarli e per stabilire una coerenza tra le esperienze passate, presenti e quelle non ancora realizzate” (Ochs e Capps, 2001) Narrazioni come modo per riflettere collaborativamente su situazioni specifiche e sul loro posto nellos chema generale della vita

  14. METODOLOGIA “ETNOGRAFICO-CONVERSAZIONALE” Strumenti dell’analisi della conversazione per analizzare i modi in cui forme di costruzione del mondo sociale e di azione ocondivisa si realizzano interattivamente Metodi etnografici per considerare i sistemi di attività più ampi, anche storicamente e culturalmente connotati, in cui si realizzano le attività analizzate + La metodologia etnografico.conversazionale si rivela particolarmente utile per i “workplace studies”: sistemi di attività lavorativa studiati descrivendo il modo in cui le pratiche sociali e congiunte del lavoro sono costruite, mediate e realizzate attarverso interazioni sociali e discorsive tra gli attori sociali, senza perdere di vista il contesto materiale, tecnologico e fisico, in cui hanno luogo Studio etnografico-discorsivo dei sistemi di attività situate – Fasi e metodologie (Operazioni chirurgiche) 1. Accesso ai sistemi di attività situata - presa di contatto - primi incontri con responsabili e operatori - negoziazione del proprio ruolo, di obiettivi, strumenti e tempi di ricerca - indentificazione informatori interni ed esterni al sistema 2. Etnografia di sfondo dell’organizzazione → familiarizzazione con il contesto di ricerca e definizione delle unità di analisi dello studio - osservazione partecipante “libera” - interviste all’informatore 3. Scoperta delle domande, comprensione caratteristiche e vincoli del sistema di attività, definizione dei “dati” da raccogliere - osservazioni libere + spot - interviste - osservazioni campionate - analisi della documentazione - osservazione di “contesti modificati” - redazione note di campo 4. Raccolta dei dati discorsivi e interattivi - registrazioni audio (video) - note di campo 6. Analisi e primi risultati - strumenti dell’AC - analisi condotta rispetto alle richieste e alle condizioni specifiche del sistema di attività in cui le conversazioni sono state prodotte → identificazione delle “caratteristiche critiche” delle pratiche discorsive in quello specifico contesto 5. Trascrizione dei dati discorsivi e interattivi - trascrizione jeffersoniana Assunzione di fondo: l’intelligibilità condivisa dell’azione non è data definitivametne come corpus stabile di significati definiti a priori, ma è raggiunta volta per volta durante l’azione discorsiva METODI QUALITATIVI IN PSICOLOGIA – CAP. 2 – ZUCCHERMAGLIO - CONTESTI DI VITA QUOTIDIANA, INTERAZIONE E DISCORSO • L’approccio proposto da C. Zucchermaglio parte dall’attenzione per i contesti di vita quotidiana e per le interazioni sociali e discorsive che li caratterizzano, seguendo la lezione di Goffman. L’obiettivo è la descrizione dei contesti di vita quotidiana in termini di coordinamento reciproco, relazioni tra azione, compiti e strumenti, partecipazione congiunta, cognizione distribuita • Le ascendenze teoriche sono l’interazionismo simbolico (Mead), la teoria dell’attività (Leont’ev, vedi più avanti Cap. 4 - Spagnolli), gli studi caratterizzati etnometodologicamente (metodi etnografici e conversazionali) • In base a tale prospettiva, le funzioni cognitive umane sono sempre: • specifiche rispetto al contesto, alla comunità e alla cultura • mediate da strumenti e artefatti (Vigotskij, encore!) • distribuite all’interno dei contesti sociali Inscindibilità di azioni cognitive, compiti e strumenti (Vigotskij 1934) Carattere situato, localmente costruito e culturalmente fondato delle pratiche sociali L’unità di analisi psicologica non è quindi il singolo individuo, ma piuttosto i sistemi di attività (“attività che cosrtruiscono mondi” – Goffman 1961), ed in particolare gli attori sociali in essi coinvolti che orchestrano in modo complementare linee di attività congiunte e distribuite, anche in relazione ai vincoli e alle opportunità degli ambiti in cui operano. Quindi psicologia dell’interazione, in netta contrapposizione al cognitivismo L’etnografia detta l’approccio, che è ciclico e non lineare: articolazione metodologica e scelta degli strumenti sono definiti nel corso della ricerca stessa, in un processo di focalizzazione progressiva; i risultati di ogni fase costituiscono i dati per la definizione degli strumenti e delle analisi delle fasi successive. Scopo dell’etnografia (studio dell’altro) è“rendere comprensibili gli estranei”, ovvero rendere esplicito e “visibile” al ricercatore ciò che normalmente è implicito e tacito. La validità non coincide con l’oggettività della descrizione, ma invece con la sua autenticità, plausibilità e credibilità, anche per i partecipanti La questione legittimante “è scientifico?” tende ad essere sostituita dalla questione pragmatica “è utile per gli attori sociali coinvolti?” (ricercatore e partecipanti) L’approccio di ricerca non è etico (modellizzazione formale) ma emico: descrizione della specificità, delle differenze, della situatezza → la conoscenza prodotta non sarà mai definitiva e generale, ma sempre circostanziale

  15. METODI QUALITATIVI IN PSICOLOGIA – CAP. 3 – FASULO - L’ORGANIZZAZIONE DEL DISCORSO • GENERE – Forma del discorso dotata di una struttura riconoscibile, distinguibile dal resto del parlato • Per identificare un genere occorre risalire all’atto linguistico (atto sociale principale che viene attuato) che lo costituisce: “pregare è un atto linguistico; la preghiera è un genere” (Todorov 1978). I generi sono cioè elaborazioni, trasformazioni, attualizzazioni di atti linguistici • L’atto linguistico è tale in quanto creato, agiro, “recitato” congiuntamente dai partecipanti (es la conferenza) • All’interno dello stesso “evento lingusitico” (ad es. “incontro di psicoterapia di gruppo”) possono essere presenti più generi: saluti, iniziali e finali / “lezione”: spiegazione dell’approccio teorico da parte dello psicoterapeuta / “giro”: domanda sottoposta a turno a tutti i partecipanti / esercizio (tecniche di rilassamento, ecc) / narrazioni autobiografiche • I generi sono continuamente innnovati, manipolando e modificando l’esistente per gli scopi particolari del momento → evoluzione continua dove – a differenza dell’evoluzione biologica – ogni nuovo esempio “cambia la specie” • “Ciò che un genere si porta dietro del suo passato è un particolare punto di vista sul mondo, che agisce come un filtro per stabilire cosa sarà reso saliente e cosa sarà messo sullo sfondo” (Bachtin 1975): es Luca in seduta di psicoterapia – narrazione autobiografica “triste storia” come genere, giustificazione come atto linguistico • Per Bachtin il genere equivale all’evento linguistico; sostiene che anche il significato delle parole, che è sempre stratificato, deve al genere quella sfumatura di significato che è inerente al dominio d’uso, e che il genere può essere definito secondo 3 dimensioni: compositiva (rapporto tra le diverse parti del discorso) / stilistica (scelta di particolari forme espressive) / tematica (contenuti) • STILE – Fisionomia formale di un discorso • Lo stile è dipendente dal genere (Bachtin 1952), ma il rapporto va nei due sensi: uno stile può evocare un genere, con effetti di ibridazione magari con intenzioni di parodia (es atto linguistico dello “scherzo”) • Nella prospettiva etnografica, lo stile risponde a criteri di accettabilità sociale o appropriatezza dell’enunciato stesso; tuttavia non esiste corripondenza biunivoca tra stile e contesti: il parlante può produrre certi effetti sociali proprio grazie al fatto che le proprie scelte (non necessariamente intenzionali) si configurano come varianti all’interno di un dominio più ampio di possibilità • Gli stili possono essere classificati lungo le dimensioni di formalità-informalità, intimità-rispetto, parità-autorità, privato-pubblico, vicinanza-lontananza emotiva (identificazione del parlante col proprio dire: responsabilità+impegno epistemico+sincerità) es conversazione medico-paziente , spontaneità-pianificazione es conversazione conduttori radiofonici_ascoltatore , ecc; un criterio fondamentale di spiegazione è la distanza sociale • Gli aspetti di configurazione stilistica del discorso da considerare per situare un enunciato rispetto alle dimensioni sopradette sono: lessico (scelta dei termini all’interno dei repertori di genere) / costruzioni retoriche (persuasive) dell’enunciato /enunciazione (modi in cui il parlante e l’interlocutore sono rappresentati nel discorso) / allestimenti degli ambienti / aspetti paraliguistici (intonazione e ritmo) / aspetti paraverbali (gesti, espressioni del viso, postura, movimenti, acconciature e abbigliamento) / registro e chiave (vedi). Ciascuno di questi aspetti non compare isolatametne, ma tende a costituire con altri una ”configurazione di tratti” • REGISTRO – Concetto il cui significato è in parte sovrapposto a quello di stile, ma ha un’accezione più ristretta perché si riferisce prevalentemente ai soli aspetti linguistici ed è legato a classi di attività o tipologie sociali più ristrette (vicino al concetto di gergo) • Fortemente legato agli aspetti dell’appropriatezza (“mettere a registro”):è unacalibratura della voce che riflette la consapevolezza dei requisiti formali di un cetto atto comunicativo • Il registro è in corrispondenza con i processi di socializzazione (implica un avvenuto apprendimento o in mancanza di questo uno sforzo consapevole per adeguarsi) : l’uso competente dei registri propri di un contestorivela chi è “esperto” o “educated”(es Tomasi di Lampedusa) • Se un registro può essere in una qualche misura capito anche da chi non lo padroneggia, diventa un modo efficace per definire chi è dentro e chi è fuori dal gruppo • In un altra accezione, l’uso e la variazione dei registri lungo una stessa interazione possono rappresentare mezzi per invocare aspetti particolari dell’ attività in corso, ovvero concettualizzarla diversamente nel corso dell’interazione stessa (es conversazione direttore e cliente (?) su demo) • CHIAVE – Come in musica, dichiara il tipo di esecuzione che il parlante svolge degli enunciati (ad es seria, ironica, finzionale), e quindi suggerisce agli aspettatori i parametri interpretativi che devono adottare (vedi metacomunicazione su canale parallelo di Orletti) • E’ un’alterazione del livello base del significato degli enunciati, ma prevale sul livello del contenuto, determinando il significato ultimo degli enunciati; può a tal punto caratterizzare certi scambi sociali da diventare non marcata, cioè far parte abitualmente dei criteri di produzione e interpretazione dei partecipanti (es humour in UK) • I mezzi espressivi della chiave sono soprattutto paralinguistici: mimica, tono, trasformazioni della qualità della voce (es imitazione); più raramente la chiave viene esplicitata a livello verbale (es “facciamo finta che”, “tanto per dire”, ecc) e in questi casi spesso si tratta di esplicitazioni poste alla fine dell’enunciato con funzione riparativa (es: “stavo scherzando”) • STRUTTURA DI PARTECIPAZIONE – Eventi linguistici, generi, stili, registri e chiavi definiscono diverse identità discorsive, che sono in relazione con particolari strutture di partecipazione, cioè specificano in che veste il parlante si sta presentando e quali status sono disponibili per i riceventi della comunicazione (secondo la lezione dell’AC però tali ruoli vengono continuamente costruiti e rinegoziati nel corso dell’interazione concreta) • Influenzano il sistema della presa di turno (es l’evento linguisto messa o visita medica – vedi Orletti, il genere saluti o narrazioni o interrogazioni – vedi di nuovo Orletti) • Sono in relazione con i formati di produzione (Goffman: distinzione tra mandante o emittente: chi ha la responsabilità del contenuto dell’enunciato, autore: chi ha la responsabilità della forma dell’enunciato, e animatore: chi fisicamente parla, dove mandante e autore possono coincidere o meno con l’animatore, cioè il parlante); le narrazioni autobiografiche ad esempio possono essere analizzate rispetto ai formati di produzione, tipico quello in cui il parlante si distanzia dalle proprie parole (cioè non è anche autore e/o mandante, es Luca in psicoterapia); al formato di produzione si risale osservano i dispositivi di enunciazione (cioè il modo in cui il parlante iscrive se stesso nel testo attraverso l’uso di pronomi o forme impersonali) e altri aspetti stilistici sopra citati • Sono in relazione con i formati di ricezione (sempre Goffman: suddivisione tra riceventi ratificati e non ratificati, e per i ratificati ulteriore suddivisione tra destinatari e pubblico)

  16. METODI QUALITATIVI IN PSICOLOGIA – CAP. 4 – SPAGNOLLI – ANALISI DELLE AZIONI VERBALI E NON VERBALI DALL’ANALISI DEL DISCORSO ALL’ANALISI DELLE AZIONI L’approccio discorsivo ha capovolto l’ordine di importanza dei tre livelli rispetto ai quali si può analizzare senso e significato del linguaggio: porta in primo piano il livello pragmatico (Austin, “How to do things with words”), le parole acquistano senso proprio nel loro essere usate qui ed ora, nella specifica interazione; e subordina gli altri due livelli (semantico: relazioni della parola con il suo referente, ovvero l’oggetto “reale” cui essa si riferisce; sintattico: relazioni della parola con le altre che costituiscono la frase, vedi grammatica trasformativo-generazionale di Chomsky) che in precedenza erano invece visti come pre-esistenti, utilizzabili per analizzare il linguaggio “a tavolino”, indipendentemente dal suo utilizzo in situazioni concrete. Ma l’approccio discorsivo va ancora più in là: facendo proprie le istanze costruzionistiche e post-moderne, sostiene che le produzioni verbali contingenti non sono un fenomeno temporaneo che funge da tramite per comprendere strutture sociali o psicologiche più profonde ma, al contrario, che l’agire quotidiano, la dimensione situata e locale sono l’ambito primario in cui la realtà sociale e psicologica diventano reali ed il luogo in cui le strutture che sopravvivono nel tempo vengono mantenute. La prospettiva adottata è emica (lezione etnografica): riconoscimento per le distinzioni e le categorie riconosciute dai partecipanti, senza imporre categorie definite a priori. Forte riferimento al concetto di cultura, intesa però non in senso deterministico come in qualche modo “già data”, pre-esistente agli individui le cui pratiche discorsive si limitano ad attualizzarla, ma al contrario come continuamente co-costruita dagli individui attraverso le loro pratiche discorsive quotidiane: ogni azione verbale rappresenta cioè un rinnovamento delle pratiche che la realtà sociale e culturale mette a disposizione. In questo quadro si verifica un’attenzione crescente verso le modalità anche non linguistiche di interazione, soprattutto nello studio di setting in cui lo scopo dei partecipanti non è tanto “comunicare” ma più in generale collaborare, usando tanto parole quanto gesti, sguardi, aggiustamenti posturali, immagini e strumenti tecnologici. L’approccio discorsivo può quindi venire esteso allo studio delle azioni in generale, verbali e non verbali, mantenendo l’approccio emico e situato che gli è proprio e nel contempo recuperando il contributo di tradizioni teoriche quali l’Activity Theory di Leont’ev (i fenomeni sociali sono essenzialmente pragmatici, fisici, materiali), l’approccio vigotskijano e la psicologia culturale (ruolo degli artefatti nello sviluppo delle capacità cognitive umane) e la fenomenologia (Merlau-Ponty 1945, Lakoff e Johnson 1999: azione come elemento basilare per l’organizzazione dell’esperienza, coinvolgimento fisico con il mondo come risorsa essenziale per la costituzione del nostro sistema concettuale). L’obiettivo diventa studiare le sequenze di azioni verbali e non verbali prodotte dalle persone grazie all’uso strategico di risorse culturali in un preciso contesto. I campi di applicazione ad oggi sono studi delle situazioni di collaborazione, antropologici, di valutazione e progettazine di strumenti di lavoro. PROCEDURA E CRITERI DI ANALISI, OVVERO METODOLOGIA (Interazioni tra partecipante che sperimenta una situazione di realtà virtuale e ricercatore che gli dà istruzioni) TRASCRIZIONE E CODIFICA – Si parte da una video-registrazione dell’interazione, e a questo primo materiale empirico si torna spesso e volentieri, dato che trascrizione e codifica implicano comunque una selezione orientata dalla domanda cognitiva (direbbe Cardano!, ricordandoci anche che essa può –e in un certo senso deve – evolvere) Per la parte verbale lo standard di trascrizione è la codifica jeffersoniana. La trascrizione della parte non verbale avviene su righe diverse, tra (( )) e con [ in apertura per indicare il punto di aggancio al parlato soprastante. La parte non verbale viene selezionata e codificata in accordo a principi emici: 1) rilevanza rispetto al contesto in cui appare (ad es si indicano variazioni nella velocità dei gesti, non si formulano valutazioni assolute); 2) suo essere presa in considerazione dalle azioni dei partecipanti. Potendo, meglio adottare un sistema di trascrizione multimodale (in colonna il tempo, e poi una riga per ogni modalità, includendo anche i frame video): si produce un trascritto in logica di pentagramma, che aiuta a percepire a colpo d’occhio la sequenzialità delle azioni nelle diverse modalità. SCANSIONE DELLE UNITA’ D’AZIONE – E’ un passaggio essenziale dell’analisi che in qualche modo inizia già con la trascrizione e codifica. La scansione avviene da un lato individuando i confini verticali dell’azione, ovvero le sue diverse modalità, dove sono varie le categorie utilizzabili: azioni verbali e non, azioni prodotte dai diversi “agenti” (agente = qualsiasi fonte di eventi, incluso l’ambiente), azioni mediate da diversi strumenti (es telefono o faccia a faccia). Nella trascrizione si useranno per ogni modalità righe diverse e/o diversi font. Dall’altro lato si individuano i confini orizzontali dell’azione, cioè il suo decorso nel tempo. Nell’AC tali confini coincidono con i turni, ciascuno dei quali sin dall’inizio proietta il proprio decorso mediante molti indizi (grammaticali, intonazionali e di senso) che gli interlocutori riconoscono (questo si evidenzia nelle interruzioni, che avvengono in specifici punti -punti di rilevanza transizionale- in cui anche se l’azione non è ancora completa l’interlocutore riesce comunque a riconoscere come proseguirà, cioè a proiettare il corso d’azione ancora a venire). Nell’AC si stabilisce pragmaticametne che un turno è finito (anche se può poi essere ripreso) quando ne inizia un altro. Lo stesso principio viene utilizzato per identificare le unità d’azione non verbali e ambientali: sono segmenti che si presentano con un inizio, un corso proiettato ed un completamento ratificati nel corso dell’interazione stessa (approccio emico). E’ possibile che nelle due modalità verbale e non verbale si configurino unità d’azione diverse (es dual tasks). Infine occorre tenere presente che il modo di alternare i contributi da parte dei diversi partecipanti non è fisso ma è anche regolato dalle norme proprie del tipo di interazione che sta avendo luogo (vedi Orletti). SEGUIRE IL FARSI DELL’AZIONE – dopo aver individuato le singole mosse ed eventi, è necessario ricostruire il significato di ciò che sta accadendo. Si seguono due logiche: - implicatività sequenziale: in generale, si parte dal presupposto che ogni azione porta le tracce degli eventi precedenti e getta delle condizioni sugli eventi successivi; ma l’implicatura non è deterministica, si tratta di possibilità che per essere colte devono essere riconosciute e poi accettate dagli attori - rilevanza / preferibilità: esaminando le pratiche culturali utilizzate dai partecipanti si cerca di capire come venga ristretto il cerchio delle possibilità e quali sono le opportunità che vengono sfruttate. La rilevanza riguarda quale tipo di turno successivo è reso rilevante da un certo tipo di turno iniziale (es coppie adiacenti domanda-risposta). La preferibilità riguarda il fatto che, tra diverse alternative ugualmente rilevanti, alcune sono culturalmente preferibili (ad es manifestazioni d’accordo) e quelle non preferibili vengono in qualche modo marcate (es ritardi, mitigazioni, elaborazioni) UTILIZZO DELLA METODOLOGIA ILLUSTRATA IN UN PROGETTO DI RICERCA – Occorre curare due passaggi cruciali: 1) l’operazionalizzazione del fenomeno da studiare, ovvero una sua definizione precisa che lo renda studiabile con la metodologia presentata (vedi Cardano: la domanda cognitiva può non essere completamente data a priori ma definirsi cammin facendo); 2) la costruzione della collezione di casi analizzati, dove occorre partire da un gruppo di casi prototipi per poi aumentare la varietà attraverso l’inclusione progressiva, alla luce dell’analisi, di nuovi casi differenti e devianti (o “negativi”) – siamo anche qui nel campo del campionamento a scelta ragionata

  17. METODI QUALITATIVI IN PSICOLOGIA – CAP. 4 – SPAGNOLLI – ANALISI DELLE AZIONI VERBALI E NON VERBALI (segue) GLI ERRORI DA EVITARE... • DURANTE L’ANALISI • Saltare il momento della trascrizione sperando di risparmiare tempo • Lasciare dei tratti non trascritti o non analizzati dell’episodio che si sta studiando • Dimenticare il materiale originale e lavorare solo sulle trascrizioni • Non prendere nota delle prime impressioni e idee che nascono durante la trascrizione • Usare un linguaggio oggettivo che appartiene ad un’altra tradizione di ricerca • Non esplicitare sufficientemente la metodologia • Cadere nel relativismo (?), sottovalutando i vincoli posti da una cultura alle possibilità di variazione dei fenomeni • Partire studiando le eccezioni del fenomeno esaminato anziché i casi prototipici • Fare un’interpretazione generica anziché un’analisi puntuale, con terminologia appropriata, che espliciti le risorse utilizzate dai parlanti e il modo in cui sono usate • Ammassare i vari aspetti del fenomeno tutti insieme anziché scomporli • Inserire le informazioni etnografiche in massa, senza collegamenti precisi, o usarle come scorciatoia per spiegare azioni senza un’accurata analisi • Appiattirsi sul testo e sul verbale, considerandoli come sola dimensione primaria dell’agire sociale • Confondere livelli di astrazione diversi, ad esempio il contenuto con la funzione pragmatica nell’identificare le espressioni delle azioni • Credere che esistano delle relazioni fisse fra certe forme linguistiche e la loro realizzazione pragmatica, amziché verificare il modo in cui esse sono utilizzate nel caso specifico • Considerare gli argomenti o le mosse come fatti o oggetti anziché come costruzioni • Pensare di consultare i partecipanti come giudici della validità dell’analisi • Presentare un’analisi come definitiva, come l’unica interpretazione possibile dei fenomeni studiati • Criticare senza fare proposte alternative • Considerare l’analisi come un processo individuale, da non presentare fino a quando non è concluso • NELLA COMUNICAZIONE DEI RISULTATI • Sperare che chi legge individui da solo nel testo ciò a cui ci stiamo riferendo nell’analisi • Non sostenere quanto si dice con definizioni, citazioni, prove • Annunciare di fare qualcosa e poi non farlo, o dare delle informazioni senza poi usarle • Fare paragrafi troppo corti o troppo lunghi • Non specificare la metodologia • Non riportare le fonti • Trascurare l’ordine della sequenza (anticipare informazioni che i parlanti sanno solo più tardi) • Usare esempi di fantasia • Usare la terminologia appropriata per riferisi alle unità di analisi e alle loro caratteristiche senza produrre glosse o parafrasi (?)

  18. METODI QUALITATIVI IN PSICOLOGIA – CAP. 5 – OCHS, STERPONI – ANALISI DELLE NARRAZIONI PROSPETTIVE SULLA NARRAZIONE – La narrazione, intesa come attività umana di costruzione di significato, come risorsa fondamentale per la formazione dell’identità individuale e collettiva, è un fenomeno contemporaneamente linguistico-testuale, cognitivo individuale, storico e sociale, e richiede quindi un approccio integrato che ne consideri congiuntamente le diverse dimensioni. Si può guardare alle narrazioni come testi, e analizzarle in funzione dei molteplici generi narrativi e della loro evoluzione storica. E’ quanto fa la narratologia, a partire da Propp Si può guardarle come procedure di costruzione di significato spesso culturalmente specifiche, ovvero dispositivi che organizzano l’esperire umano in configurazioni condivise dai membri di una cultura, e analizzare il modo in cui le forme narrative producono contenuti condivisi culturalmente ( “comporre l’intrigo vuol dire già far nascere l’intellegibile dall’accidentale, l’universale dal singolare, il necessario o il verosimile dall’episodico”, Paul Ricoeur 1983) Si può ancora guardarle come attività sociali, dove ad essere oggetto primario di analisi non è il narrato ma il narrare, così come esso si presenta spontaneamente nelle interazioni quotidiane. Quest’ultimo è stato l’approccio dell’AC, che ha messo in rilievo l’organizzazione sequenziale e la dimensione interattiva delle narrazioni nella conversazione quotidiana. In particolare l’AC ha evidenziato come nell’interazione quotidiana le narrazioni siano doppiamente legate al contesto in cui occorrono: esse scaturisoco, tematicamente o pragmaticamente, da ciò che immediatamente le precede nello scambio conversazionale, ed inoltre proiettano conseguenze su ciò che poi seguirà. L’AC ha individuato e descritto diverse strategie possibili di apertura e chiusura di una storia, le modificazioni che essa comporta delle norme di alternanza dei turni (contributi estesi da parte del narratore/i sostenuti da attività di backchannelling e interventi di commento degli ascoltatori), le molte e diverse configurazioni possibili di partecipazione all’attività narrativa e modalità di co-costruzione del narrato (una o più voci narranti, racconto proposto e guidato dal narratore o da altri, ascoltatori già a conoscenza dei fatti narrati oppure no, ecc) Il concepire la narrazione come attività sociale porta a prestare attenzione anche alle sue funzioni interattive: si considera, oltre al come la narrazione prende forma nella conversazione, anche il cosa la narrazione sta realizzando in termini di azione sociale (ad es intrattenere/divertire, oppure persuadere/ottenere consenso, o ancora istigare, giustificarsi, ecc -“azione sociale” corrisponde ad ”atto/evento linguistico” visto precedentemente per Fasulo), per poi analizzare come gli scopi interattivi ed i contesti delle narrazioni ne informino specifiche configurazioni, toni e caratteristiche costitutive. MODELLO A 5 DIMENSIONI DI ANALISI DELLE NARRAZIONI (Narrazioni nelle conversazioni di famiglie a tavola)

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