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Didattica e pedagogia speciale unità 2.2

Clementina Gily Educazione all’immagine Università Federico II. Didattica e pedagogia speciale unità 2.2 . E.Frauenfelder , A.Canevaro , F.Fabbroni , F.Pinto Minerva, Elementi di pedagogia e di didattica, Laterza M.Castoldi , Didattica generale , Mondadori

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Didattica e pedagogia speciale unità 2.2

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Presentation Transcript


  1. Clementina Gily Educazione all’immagine Università Federico II Didattica e pedagogia specialeunità 2.2 E.Frauenfelder, A.Canevaro, F.Fabbroni, F.Pinto Minerva, Elementi di pedagogia e di didattica, Laterza M.Castoldi, Didattica generale, Mondadori Dispense on line www.clementinagily.it

  2. L’ambiente di vita e la complessità L’importanza dell’ambiente di vita, sempre segnalata nella pedagogia, oggi ha massima rilevanza: è il mondo dell’intercultura e delle relazioni sociali più aperte che mai perché non solo molte (multiculturalità) ma interconnesse (intercultura). Nell’ambiente di vita il fattore più determinante del cambiamento è da due secoli il mondo dei media, troppo a lungo considerato solo come medium, come strumento più che come attivo fattore di cambiamento – ma di quanto invece lo siano furono già coscienti già i futuristi ad inizio ‘900. Da almeno vent’anni la televisione è, nei manuali di sociologia, tra le agenzie di socializzazione primaria con la famiglia, la scuola, le associazioni religiose, e affianca poi le altre agenzie delle età più mature, come i luoghi di lavoro e le varie comunità. I media l’educazione considera per l’attivo influsso sull’ambiente di vita, dominato dalla COMPLESSITA’. Urie Bronfenbrenner (Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino 1986 (1979) parte dalla teoria del maestro Kurt Lewin che fonda nel concetto di campo;Popper parla di riflettore dell’attenzione per caratterizzare il metodo dell’analisi, Bachelard di punti di vista precisi come suo prodotto – sono altre definizioni che aiutano a capire. Il campo cinta intorno ad un sol tema di osservazione, di vita, di ricerca, uno spazio proprio di approfondimento in cui sono compresi tutti i legami deboli e forti per comprenderne la relazione. Non è nei punti singoli il senso delle cose ma nella loro relazione; ad esempio, la teoria dei reticoli sosterrà che spesso sono più forti dei forti molti legami deboli ben reticolati. Il campo è come un quadro, che non ne esclude altri e consente di creare un nesso convincente da approfondire nel limite fissato. Quello in cui fonda l’equilibrio di ognuno sta per Lewin nel rapporto base, che definisce «N+2»: quanto grande sia il numero di esperienze, l’equilibrio è nella solida condivisione del due, nel dialogo continuo in cui ci si si riconosce affettivamente, ci si rinsalda, apprende, progetta. Quante sono le relazioni nel mondo dell’intercultura? Bronfenbrenner disegna il quadro dei 4 ambienti di appartenenza di ognuno: micro, eso, meso, macro ambiente; contrassegnati da 1.conoscenza per presenza continua 2.per presenza saltuaria 3.per nota fama (come gli attori) 4.per fama. Ognuno vive circondato più che mai da immagini, parole, concetti, tanto che pare miracoloso l’orientamento; lo si raggiunge selezionando, ancorando il modello ad una base solida come la cultura professionale. L’orientamento personale però è anche affettivo: il modello intuitivo proposto dall’autore è quello del bambino con la mamma – senza la condivisione, approfondimento, rassicurazione e scelta, il rischio della frattura nell’equilibrio soggettivo non è fugato solo dallo stabilimento di un campo soggettivo-oggettivo, occorre lo spazio di due soggettività in relazione.

  3. Le conseguenze del rischio Oltre che fattori iniziali del cambiamento, i media dominano il sapere che contribuiscono a creare. La comunicazione e la targhettizzazione, un tempo patrimonio della retorica, oggi è dominato dai media. Tra i tanti esempi possibili, si pensi al linguaggio dei media basato sul gioco e sul frammento sull’affettività: è evidente il suo potente effetto di conquista della simpatia dell’utente/attore, che, come nel gioco, può spegnere quella realtà a suo piacimento guadagnando il noto effetto galvanizzante del gioco di essere autori del reale; inoltre, il frammento non obbliga nessuno alla coerenza ed alla scelta, la navigazione libera può procedere senza scontrarsi con la necessità. I media conquistano nell’affettività di ognuno uno spazio importante, che ha portato una psicologa a definirli la macchina degli affetti; si tratta di Serena Dinelli, che in un libro di qualche anno fa notava come la TV entri anche nella relazione più intima, mamma/bambino/buona notte; violando cioè persino la più forte relazione «N+2». Tv e media sono già tutti presenti nelle prime relazioni infantili come appartenenti alla casa di famiglia. Facile per loro sostituirsi al 2/persona in caso di conflitto – soprattutto perché questo tipo di rapporto cognitivo/affettivo è difficilmente problematizzato, e se lo è suscita divieti più che analisi. È il caso delle nevrosi da videogioco, da tv, da rete, che tutti conoscono e sperimentano in forme blande – si pensi ai «telefoni» d’oggi, come nelle immagini di WeNeverLookUpin cui è facile riconoscersi. Le conseguenze del rischio possono essere casi di disagio di vario genere, che sarebbe sbagliato sottoporre a prognosi medica, essendo realtà generalizzate e derivanti dall’ambiente di vita; la pedagogia in proposito ha progettato il coaching pedagogico – cui faremo cenno nella sezione dedicata alla pedagogia speciale. Con la loro piena duttilità ai voleri di ognuno, i media familiarizzano troppo quanto tendono a sostituirsi al fattore stabilizzante della presenza dialogante – tra l’altro sempre più rara nel mondo della velocità. I personaggi dei media e della rete diventano allora più vicini del vicino, suscitano nuove economie, nuove società, nuove politiche: un fenomeno descritto con entusiasmo da Henry Jenkins nel suo nascere nella letteratura televisiva e in Matrix (La cultura convergente, Feltrinelli 2006, vedi la lettura per approfondire). Caratterizza Jenkins, come Pierre Levy, un entusiasmo travolgente per le nuove risorse che si offrono all’uomo: chi sente la responsabilità dell’educazione avverte anche i pericoli, che si possono ricordare andandosi a rileggere Brave New World di AldousHuxley, in cui si racconta l’incubo dell’uomo che non aspira più alla libertà e non sa gestire il mondo che ha creato – il vero millenniumworm. Occorre analisi e riflessione didattica

  4. Complessità dell’ambiente dei media: noo-ecologia La definizione di NOOECOLOGIA è di Edgard Morin, viene dalla coppia di opposti della conoscenza Nous/Dianoia, intelletto/ragione Edgard Morin con la parola complessità - ‘una parola problema’ – indica la società attuale dell’interconnessione e dell’intelligenza collettiva (Pierre Levy) cui la scuola deve prestare attenzione. Abbiamo detto il rischio della differenza affettiva imposta dei media, vediamo in breve quella cognitiva. Lovejoy e Walter Ong due filologi classici, hanno analizzato nell’oggi il passaggio inverso al passato che avviene tra oralità e scrittura, la differenza rivoluzionaria della capacità cognitiva dei tempi di Platone. Detta in due parole: la nuova struttura vocalica greca rese ferma la parola, leggibile anche dai non parlanti, dando il senso della stabilità oggettiva della cultura; ciò indusse la progressiva definizione dei contenuti, il cambiamento del ruolo della memoria, la nascita della tradizione scritta progressiva; Gutenberg poi rinforzò il processo sostenendo la nascita del pensiero scientifico moderno. Inoltre, l’ influenza della scrittura sulla struttura del conoscere è diretta e individuale: la parola ferma e permanente si legge solo con un continuo lavoro di analisi, sintesi, enumerazione, i caratteri fissati nel ‘600 dal metodo cartesiano, modello matematico della scienza occidentale. Il manoscritto/libro e l’esercizio quotidiano crearono la mentalità scientifica, conclude Ong; oggi, al contrario, la competenza alfabetica cede il passo a quella delle immagini, una neo-oralità. Difficile prevedere l’esito del processo, ma la pedagogia non indaga gli oracoli: studia metodologie appropriate per meditare la differenza, cosa resa difficile dalla velocità dello sviluppo tecnologico. I vocabolari di immagini cominciano a formarsi, si vedano i programmi tipo ImageBrain di MAC, che non segue procedura alfabetica ma ricerca da immagini le altre similari: è l’ultima barriera che cade nell’annoso problema del riconoscimento del mondo delle immagini come una vera e propria lingua, già sostenuta da Gombrich – non avere un vocabolario era l’argomento primo dei negatori della lingua delle immagini. La parola ‘immagine’ risulta tanto difficile da definire appunto perché è una lingua, che si parla e si vive secondo categorie e grammatiche del tutto diverse dalle alfabetiche, che siamo ben lontani dal saper insegnare analiticamente nella didattica ordinaria; ma la cultura artistica ad esempio le insegna con efficacia da sempre, anche se spesso senza responsabilità pedagogica come nel caso della comunicazione di massa. È il nuovo campo della pedagogia, tanto urgente quanto stimolante ed accessibile, perché la didattica ordinaria fa da tempo ricorso alle immagini, in ogni materia a proprio modo. È un problema urgente perché la parola, meglio se ben ferma, tende a definizioni (de-finizioni, senza fine, stabili) sempre più precise del campo d’attenzione. L’immagine invece produce parole sempre più determinate nei dettagli (de-terminate, senza termine, d’inizio), per porre relazioni fra i campi di attenzione in una lettura originale. Quindi la lingua delle parole è analitica, quella delle immagini analogica: utilizza simboli, metafore per costruire visioni capaci di allacciare sensi ma anche di farne allacciare. La lettura delle immagini è sempre affidata a chi guarda, ha la libertà dell’arte: è densa di fraintesi, un pericolo proprio per l‘eccessiva vastità. Si richiede una cultura solida e dotata di equilibrio per una lettura corretta. • E. Morin, Introduzione al pensiero complesso, Sperling e Kupfer, Milano 1993 (1990) • A. LovejoyA., La grande catena dell’essere, Milano 1966 • W.G. Ong, W.G., Oralità e scrittura, Il Mulino, 1986 (1982)

  5. Complessità e forme della mente Alla complessità dell’ambiente corrisponde la capacità della mente che diversifica il modo di conoscere a seconda delle funzioni della conoscenza. Si parla di mente proprio per staccare anche il vocabolario dai termini della tradizione e prestare attenzione alle diverse potenzialità di sapere. Howard Gardner da tempo ha portato nel la discussione pedagogica l’attenzione a sette saperi che la scuola deve educare, ciascuno nella sua diversità metodica e di contenuto: • 1. pensare in lingua • 2. concettualizzazione e spazializzazione • 3. analisi musicali • 4. calcoli matematici • 5. problemi del corpo • 6. comprendere gli altri • 7. comprendere se stessi Gardner ci informa che c’è chi dopo di lui ha continuato l’elenco giungendo a superare il centinaio, Morin indica altre sette forme … come nel caso delle tassonomie, gli elenchi esercitano l’analisi e il giudizio, ma la molteplicità è solo indicativae consente di ottimizzare l’analisi. (Vedi l’acclusa lettura su Morin per approfondire) • Gardner H., Formae mentis, Feltrinelli 2010 (1983) • Morin E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina, 2001 (1999)

  6. La complessità è già nella struttura del cervello Alla nascita il cervello pesa già gr. 4-500, a due anni supera il chilo; il suo sviluppo richiede anche la stimolazione cervello – cervello: la rete è nello sguardo, attivo sin dal 2° e 3° trimestre di vita. Ciò perché nelle aree orbitali prefrontali c’è il collegamento al giro cingolato che connette il sistema cerebrale con la mediazione del Limbo, confine tra le parti inferiori del cervello, le più antiche, e quelle nuove (filologeneticamente ed ontogeneticamente) della corteccia cerebrale. Corteccia angolare orbitale frontale e corteccia angolare anteriore collaborano nella definizione degli stimoli – una ulteriore rete, collegata dalle sinapsi. Il sistema limbico non solo nella sua capacità di mediazione sovrintende ai meccanismi di soddisfazione e di inibizione, ma governa le espressioni facciali, modula gli affetti e la comunicazione non verbale, compresi i processi inconsci, donde il suo influsso sullo sguardo; è l’attività dell’emisfero destro che domina i primi due anni di vita e tutta la fase prelinguistica perché è molto precoce ed ha inizialmente volume maggiore del sinistro - che si sviluppa in ritardo col procedere del linguaggio e della coscienza. Lo scambio di sguardi crea così un piano visivo auditivo somatico gestuale – come fosse una sorta di proto conversazione, di consapevolezza intrapersonale sostenuta anche chimicamente dal corpo, si riscontra infatti la produzione di oppioidi endogeni, un incentivo all’attività mentale. Perciò lo sguardo determina i legami di appartenenza e consente il Rispecchiamento, l’interazione affettiva sul piano psicologico e fisiologico. www.uninettunouniversity.net Lezioni del prof. Ammanniti dell’Università La Sapienza di Roma

  7. Cervello rettile – l’antico nel nuovo La rete collegata dalle sinapsi così consente il funzionamento del cervello nel suo lavoro ordinario. L’amigdala è il centro dell’integrazione dei processi neurologici superiori come le emozioni e i sistemi della memoria emozionale: compara gli stimoli, elabora il rapporto di relazione tra sensazione, emozione, azione di lotta o fuga tra le varie attività cerebrali. La reazione di lotta e fuga ad esempio continua ad obbedire a meccanismi ereditati, cui l‘amigdala reagisce con flussi ormonali e processi di risposta automatica, come fosse una sorta di pilota automatico della vita quotidiana che entra in campo al pericolo; perciò il cervelletto viene detto anche cervello rettile in quanto conserva la sua struttura, la memoria che risponde al pericolo e impone la fuga, la lotta, la difesa. Il nome di cervello rettile indica la sua consistenza non sviluppata e trasformata ma collegata in rete per riuscire alla mediazione. Altrettanto accade con la memoria, che accompagna a quella emozionale quella cosciente attraverso l’attività dei centri superiori corticali, che non sono automatici perché si collegano sia alle aree orbitali che al sistema limbico ed all’ippocampo (l’archivio mnemonico, la memoria esplicita che rievoca e trasmette). Perciò nel caso di trauma attivo inabilitante il cervello, la cura segue anche la via di attivare processi consapevoli con stimoli mentali e fisici, anche se apparentemente non generano risposta; se integrandoli con le altre esperienze si riesce a collegare il trauma a livello conscio, si ha la possibilità di operare su tutti i livelli del trauma. La complessità è anche nel cervello dove si dimostra consistente nel legare gli interi più che trasformarli in nuove unità: la semplicità manderebbe perdute molte ricchezze della memoria.

  8. La formazione della MENTE La rete non cambia la struttura dei punti ma li collega con una crasi Sono molte le forme della mente quindi per sviluppare funzioni che consentano abilità diverse. Conoscerle e farne esperienza è una risorsa dell’educazione. Costruire e ricostruire l’attività della mente è il compito che si prefiggono oggi molte e diverse neuroscienze Elemento comune, che si mostra nell’interazione e costruzione dei saperi, nel sapere capace di diversità, nell’apprendimento come sapere personale e condiviso, nel sistema di significati che fonda previsioni e progetti, è la dimensione di ipotesi, possibile pensiero FUTURO, che caratterizza il conoscere, sempre collegato piuttosto alla tradizione del passato. Elementi di differenza sono i contenuti di tutte le specializzazioni delle neuroscienze, che comprendono l’educazione come le medicine (ivi comprese le analisi computerizzate del cervello e la frenologia), come l’intelligenza artificiale, la psicologia, l’antropologia… Un sapere dinamico che non a caso ha spesso come protagonisti i biologi, come Piaget, Maturana, Varela: formati al pensare organico, al conoscere che è fare, al fare che è conoscere in sviluppo, mai statico nelle scienze e nella storia. (ESEMPIO: la trofallassi delle formiche - Maturanae Varela– vedi la lettura). Ma il fondamento filosofico è in Vico. Giambattista Vico con il suo principio del verumipsumfactum fonda il sapere teorico dell’esperire e delinea una teoria del conoscere che si rispecchia nel pensare delle neuroscienze - Vico è infatti molto noto nel mondo nonostante la difficoltà dei suoi testi (come Giordano Bruno). l’uomo conosce quel che sa costruire con l’azione mentale e pratica(attiva e conoscitiva) – è la verità base del comportamentismo, del costruttivismo e del contestualismo pedagogico • L’affermazione è rivoluzionaria perché mette fine a quel che s’intende classicamente per conoscenza oggettiva: : l’epistemologo Popper titola così un suo libro per argomentare la differenza. La conoscenza oggettiva oggi si considera fatta anche di linguaggi, saperi, interpretazioni: il puro fatto dei positivisti è un’astrazione anche per gli epistemologi e gli scienziati. • L’analisi di questa nuova conoscenza oggettiva parte dalla situazione e dal comportamento, dal quotidiano, le grandi scoperte del ‘900 delle scienze umane. Si indaga il • Rapporto corpo mente da interpretare in senso organico, oltre il monismo e il dualismo • Rapporto mente mondo da leggere nella nuova conoscenza oggettiva • Rapporto mente menteinterazionismo linguistico e simbolico

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