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L’USABILITA’ SOCIALE DELLE TECNOLOGIE

L’USABILITA’ SOCIALE DELLE TECNOLOGIE. Cristina Zucchermaglio Facoltà di Psicologia1 Università “La Sapienza”, Roma. Tecnologie e pratiche sociali.

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L’USABILITA’ SOCIALE DELLE TECNOLOGIE

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Presentation Transcript


  1. L’USABILITA’ SOCIALE DELLE TECNOLOGIE Cristina Zucchermaglio Facoltà di Psicologia1 Università “La Sapienza”, Roma

  2. Tecnologie e pratiche sociali • Questi individui, apparentemente isolati, sono in realtà membri di comunità sociali rese attive e mediate da una pluralità di strumenti tecnologici (posta elettronica, internet, telefono, telefonini, fax, e così via). • La compresenza tra tali strumenti tecnologici e altri artefatti tradizionali evidenzia inoltre come le tecnologie non "cadano" mai in un vuoto sociale • al contrario interagiscono sempre con un sistema di pratiche sociali già consolidato e presente, prima e indipendentemente dalle tecnologie.

  3. Tecnologie e pratiche sociali • Tali pratiche “preesistenti” contribuiscono a definire gli usi (e i non usi) che ogni nuova tecnologia andrà a ricoprire all'interno di uno specifico sistema di attività • Le tecnologie infatti (così come, in misura minore, anche gli altri strumenti di mediazione) non creano “dal nulla” nuove pratiche sociali (lavorative o di vita quotidiana)

  4. Il contributo dei Workplace studies……. • Strumenti tecnologici, attività e contesto sociale d’uso come strettamente collegati ((Luff, Hindmarsh& Heath, 2000) • Studiare le tecnologie all’interno dei più ampi sistemi di pratiche sociali in cui vengono usate ( e non lontano da questi) • Analisi dei sistemi di attività lavorativa e quotidiana mediati dalle tecnologie (e non delle singole persone)

  5. Disastri organizzativi 1) Le ambulanze di Londra. (Heath e Luff, 2000). Introduzione di un nuovo sistema computerizzato che assegnava automaticamente le ambulanze in base alla loro vicinanza al luogo della chiamata. Telefonate di protesta da parte dei cittadini che aspettavano a lungo le ambulanze.

  6. Disastri organizzativi Il sistema computerizzato richiedeva informazioni assai precise sul luogo in cui le ambulanze avrebbero dovuto andare mentre i cittadini che chiamavano davano indicazioni approssimative e ‘informali’ (ad esempio ‘di fronte al supermercato’ o ‘dopo il viale alberato’),che, nel vecchio sistema, potevano facilmente essere integrate dall’operatore

  7. Disastri organizzativi Il “vecchio” sistema, con tutti i suoi limiti, era quindi strutturato in modo da tener conto della ambiguità e povertà di informazioni “in entrata”, mentre il “nuovo” sistema non lo era affatto. Per questo alla fine, per ristabilire l’ordine nel caos che si era creato, il personale tornò ad utilizzare il “vecchio” sistema cartaceo.

  8. Disastri organizzativi • 2) Il sistema esperto di assistenza clienti (Whalen e Vinkhuyzen , 2000) • Introduzione di un sistema esperto in un call center di assistenza clienti di un’ azienda produttrice di fotocopiatrici, fax, stampanti. • Il sistema collegava in modo automatico le decisioni degli operatori con le soluzioni già proposte nel passato agli “stessi” problemi (facendo riconoscere agli operatori solo certe parole “chiave”).

  9. Disastri organizzativi • La pratica degli operatori peggiorava notevolmente e il sistema esperto di fatto non veniva quasi mai utilizzato. • Riprogettazione del sistema come sistema perl’esperto, cioè come risorsa per l’operatore.

  10. Disastri organizzativi • Analisi pratiche sociali “prima” dell’introduzione del sistema esperto: • i clienti che chiamavano per l’assistenza raccontavano vere e proprie storie su quello che era loro successo • l’operatore “traduceva” queste narrazioni complesse nelle azioni e nelle risposte necessarie a risolvere il problema dell’utente

  11. Disastri organizzativi • Tali competenze di traduzione dell’operatore erano centrali per realizzare la diagnosi del problema dell’utente • Nella riprogettazione è stato previsto che tale traduzione potesse essere sostenuta (non sostituita) dallo stesso sistema esperto • Le domande e le decisioni precedenti diventarono un database di consultazione che l’operatore utilizzava come risorsa aggiuntiva , non esclusiva, nella sua diagnosi.

  12. Disastri organizzativi • 3) La cartella clinica computerizzata (Heath e Luff, 2000b) • La cartella computerizzata non sosteneva pratiche abituali dei medici, quali: • poter vedere “insieme” sulla cartella sia i dettagli della diagnosi che la corrispondente terapia • Poter annotare espressioni informali per connotare il paziente

  13. Disastri organizzativi • Tali funzionalità erano sostenute e permesse assai efficacemente dalle “vecchie” cartelle cartacee • La computerizzazione della cartella ne aveva quindi impoverito il contenuto e anche l’uso sociale e funzionale. • Anche in questo caso i medici hanno preferito continuare ad usare la “vecchia” cartella cartacea.

  14. Disastri organizzativi • Questi disastri organizzativi sono quindi sempre conseguenze di: • un’introduzione ‘cieca’ delle tecnologie nei contesti sociali del loro uso (Seely Brown & Duguid, 2000) • non considerare come rilevante la conoscenza delle pratiche quotidiane già attive “prima” della tecnologia.

  15. Alcune assunzioni “sbagliate” • 1) Il compito che la tecnologia deve sostenere è un’attività individuale e cognitiva svolta da un utente ‘ideale’ e isolato • (mentre si è rivelato come l’insieme delle pratiche socialmente distribuite e complesse di specifiche comunità di utenti).

  16. Alcune assunzioni “sbagliate” • 2) La progettazione e uso delle tecnologie sono due momenti separati temporalmente e spazialmente: • l’ esperto costruisce il sistema tecnologico a tavolino e poi lo inserisce in una realtà dove gli utenti dovranno utilizzarlo • (Practice based design approach)

  17. Alcune assunzioni “sbagliate” • 3) Le pratiche socialisi devono adattare naturalmente e senza problemi alla nuova tecnologia (Heath, Knoblauch e Luff, 2000). • Ipotesi che le tecnologie cambino sempre e comunque in meglio le pratiche sociali e lavorative • (mentre le possono anche peggiorare)

  18. L’usabilità come………. • ….la costruzione di nuove configurazioni tra tecnico e sociale • 1) Dall’interazione uomo-computer all’interazione sociale mediata • 2) Dal compito individuale al sistema di attività • 3) Dalla “macchina” alle generazioni di artefatti tecnologici

  19. 1) Dall’interazione uomo-computer all’interazione sociale mediata • Osservazioni di come si costruiscano aree problematiche, episodi di incomprensioni e malfunzionamenti nell’uso delle tecnologie (Suchman, 1987) • Gli utenti parlano, oltre che fra loro, anche per la tecnologia, o meglio danno voce e corpo a quello che secondo loro sta succedendo “dentro” la tecnologia, rendendolo visibile agli altri (Zucchermaglio & Alby, 2005).

  20. 1) Dall’interazione uomo-computer all’interazione sociale mediata • Gli utenti cercano di dare un significato a tutto quanto accade proprio nel corso di tali specifici momenti interattivi……è un processo di interpretazione • Tale processo di interpretazione non è un’attività mentale individuale ma un’attività sociale, discorsiva, costruttiva (Orr, 1990;1996).

  21. 1) Dall’interazione uomo-computer all’interazione sociale mediata • L’uso di un artefatto tecnologico è un’attività inevitabilmente problematica • La sua “facilità” d’uso dipende dalla ricchezza delle pratiche di negoziazione permesse agli utenti • Costruzione di un’interfaccia che sia interpretabile con il contributo attivo da parte degli utenti

  22. 2) Dal compito individuale al sistema di attività • Studio dei contesti di lavoro ad alta densità tecnologica, • le persone devono saper gestire contemporaneamente e in modo coordinato numerose e diverse tecnologie per sostenere le loro attività lavorative. • Centri di controllo del traffico aereo e terrestre, unità di emergenza, centri finanziari ,équipes mediche e chirurgiche, aziende informatiche centri e laboratori di ricerca scientifica , e così via

  23. 2) Dal compito individuale al sistema di attività • Coordinare un insieme complesso di attività lavorative locali e distribuite: • caratterizzate da un flusso simultaneo di corsi di azione paralleli • che hanno luogo sia all’interno della comunità che fra la comunità e l’esterno.

  24. 2) Dal compito individuale al sistema di attività  Impossibile distinguere fra azione collettiva e azione individuale (Heath e Luff, 1996)  Le attività sono tutte socialmente condivise e coordinate per produrre corsi di azioni congiunte.  Anche le attività “apparentemente” individuali sono rese pubblicamente visibili proprio per permettere di costruire e mantenere quelle forme di coordinamento reciproco necessarie alla gestione delle attività lavorative.

  25. 2) Dal compito individuale al sistema di attività Un’analisi del compito individuale risulta un’unità di analisi assolutamente inadeguata ad indagare e comprendere tale complessità. Unità di analisi: il sistema di attività, che comprende le interazioni tra le persone, gli strumenti e le pratiche sociali coordinate all’interno e “attraverso” le comunità lavorative.

  26. 3) Dalla “macchina” alle generazioni di artefatti tecnologici • Per realizzarsi in modo efficace, tali corsi di azione richiedono il coordinamento di : • una varietà di risorse e artefatti tecnologici più o meno complessi (quali documenti cartacei, sistemi informativi, display meccanici o digitali e così via) • diversi strumenti di comunicazione (quali, telefoni, radio, e-mail, e così via).

  27. 3) Dalla “macchina” alle generazioni di artefatti tecnologici • Compresenza e integrazione di tecnologie e strumenti assai eterogenei • Insieme di tecnologie diverse, assemblate nel tempo in modo più o meno coerente con lo svolgimento di specifiche attività lavorative • Il loro uso è comprensibile solo se si considerano in stretta relazione l’una con l’altra e con le pratiche sociali e lavorative che sostengono

  28. Progettazione dell’usabilità sociale….. • Le tecnologie non sono infatti mai strumenti socialmente neutri • Esse compiono azioni sociali e prescrivono comportamenti specifici coinvolgendo l’intero sistema sociale di attività (persone, pratiche, strumenti) • Tecnologie come “oggetti” sociali

  29. Progettazione dell’usabilità sociale….. • L’uso di ogni strumento, anche tecnologico, è determinato non solo e tanto dalle sue caratteristiche fisiche e tecniche ( e quindi la sua progettazione non può essere un’attività solo tecnica) • ma piuttosto dai corsi di azione che è in grado di sostenere, compatibilmente con le pratiche sociali preesistenti (progettazione di nuove configurazioni di pratiche sociali mediate).

  30. Usabilità sociale del Digitale terrestre? • Quali sono gli usi “precedenti” della tecnologia televisiva da parte degli utenti? • Per cosa e come viene usato il telecomando? • Dove e come vengono trovate le informazioni su Comune, Provincia o Regione? • Che rapporto con gli usi di altre tecnologie della comunicazione? • Quali corsi di azione vengono sostenuti e promossi? • …………………………...

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