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LA SOCIALIZZAZIONE OCCUPAZIONALE

LA SOCIALIZZAZIONE OCCUPAZIONALE. COSA S’INTENDE PER SOCIALIZZAZIONE OCCUPAZIONALE?

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LA SOCIALIZZAZIONE OCCUPAZIONALE

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  1. LA SOCIALIZZAZIONE OCCUPAZIONALE COSA S’INTENDE PER SOCIALIZZAZIONE OCCUPAZIONALE? L’insieme dei processi formali ed informali che portano una persona ad acquisire capacità, valori, credenze, atteggiamenti utili per partecipare come membro attivo (acquisire una membership) di un gruppo sociale e di un’organizzazione (Moreland – Levine 2000). Identifichiamo quei processi di socializzazione lavorativa che interessano sia la fase prelavorativa (socializzazione al lavoro) che quella del vissuto occupazionale (socializzazione nel lavoro o lavorativa). ESITI DEL PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE Obiettivo del processo di socializzazione: lavoratore ben socializzato ovvero “persona adattata”, “persona conforme alle aspettative organizzative”. 2 aspetti: • condizioni di ultrasocializzazione che corrisponde alla conformità ed alla rigida adesione dei modi di pensare e delle condotte alla aspettative ed alle richieste dell’organizzazione, assunte senza effettivi sforzi di reinterpretazione personale; • condizioni di socializzazione non riuscita intesa come situazione d’incapacità di interloquire, di rifiuto di fare confronti tra aspettative differenti, di disinteresse a capire la situazione, trasgressione delle regole sociali.

  2. LA SOCIALIZZAZIONE OCCUPAZIONALE INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO L’ingresso nel mondo del lavoro rappresenta una nuova situazione sociale ricca di stimoli psicosociali da decifrare, interpretare e sui quali impostare la propria condotta, anche apportando una ridefinizione del sè (della propria persona) e del contesto socio-lavorativo; per tale ragione questa tappa è stata definita di transizione psicosociale nella quale si realizza il superamento di un confine con abbandono di una situazione nota (exit) ed ingresso di una nuova realtà sociale (entry) che genera conflitto tra aspettative e situazione sperimentate. Altri passaggi, altre transizioni psicosociali si verificano nel corso della vita lavorativa (passaggi di livello, di funzione e ruolo, cambio di attività lavorativa, di organizzazione e finanche il licenziamento e nuove assunzioni) ma l’interazione tra cultura professionale ed organizzativa nel periodo dell’iniziazione di ruolo nel mondo del lavoro è più vivace, incisiva, sconvolgente, sia a livello conscio che in termini più profondi ed inconsci, nel periodo dell’iniziazione (Hughes 1958).

  3. LE TRANSIZIONI PSICOSOCIALI L’ingresso lavorativo costituisce il prototipo delle transizioni psicosociali; l’esperienza lavorativa è ciclica. Il ciclo transizionale di (Nicholson 1978): Tale modello è applicabile anche a tutti i cambiamenti che possono concretizzarsi durante la vita lavorativa. La fase 1 è caratterizzata dai desideri ed aspettative del soggetto e dalle elaborazioni cognitive che, nella successiva fase dell’incontro (fase 2), potranno risultare congrue alla realtà o riservare un effetto sorpresa (in positivo o in negativo); lo scontro con la realtà lavorativa produce delle spinte al cambiamento, più o meno marcato, della propria struttura cognitiva al fine di adattarsi al mondo del lavoro (fase 3). Detti cambiamenti tendono a stabilizzarsi (passaggio dalla fase 3 alla 4) finché non s’intravede all’orizzonte una nuova prospettiva di transizione per la quale occorra prepararsi a riavviare il ciclo transizionale descritto.

  4. LE INNOVAZIONI DI RUOLO E PERSONALI Secondo Nicholson l’ingresso nel mondo del lavoro comporta innovazioni, indipendenti e non mutualmente esclusive, su 2 dimensioni: • innovazioneo sviluppo di ruolo (cambiamento di piccola o grande portata della propria sfera lavorativa); • cambiamentoo sviluppo personale (cambiamenti del sé “propria persona e del proprio stile di vita”). Si generano 4 modalità di cambiamento, a seconda del grado di mutazione delle 2 dimensioni: • Replica: riguarda quelle transizioni che implicano modesti adattamenti rispetto alla persona ed al ruolo lavorativo; • Assimilazione: transizioni caratterizzate da piccoli o nulli cambiamenti nel ruolo lavorativo ma che implicano forti cambiamenti nella persona; • Determinazione: situazioni che sono affrontate modificando il ruolo lavorativo senza intaccare la persona; • Esplorazione: in tale tipo di situazione sia la persona che il ruolo lavorativo si modificano di pari passo. Modello di adattamento lavorativo di Nicholson:

  5. LE DIMENSIONI DELL’APPRENDIMENTO Proattività: impegno personale o grado di attivismo. La proattività influisce sulle capacità di apprendimento del soggetto (agisce sul processo di ricerca d’informazioni (information seeking). L’apprendimento, secondo (Chao e colleghi 1994), si sviluppa su 6 dimensioni ovvero sui 6 contenuti della socializzazione lavorativa: • storia e culturaorganizzativaspecifica; • finalità e valoriorganizzativi; • orientamento e conoscenza dei rapportipolitici (nella scala gerarchica aziendale); • interazione sociale; • prestazione e la sua efficienza ed efficacia; • comunicazione e linguaggio tecnico-professionale. Chi lavora sempre nella stessa organizzazione e nello stesso ruolo, sviluppa continuamente tutte le 6 dimensioni (la socializzazione al lavoro rappresenta un processo di lunga durata). A seconda del cambiamento nel mondo lavorativo, di ruolo od organizzativo, il soggetto modificherà e svilupperà una dimensione rispetto ad un’altra. Chi cambia ruolo modificherà la propria prestazione ed il suo linguaggio tecnico professionale decrementando quello acquisito in precedenza. Chi cambia organizzazione dovrà modificare i primi 4 punti ed addirittura chi cambia organizzazione e ruolo dovrà ricominciare da zero e perderà le conoscenze specifiche fino ad allora acquisite trovando meno difficoltà per lo sviluppo della dimensione (3) “orientamento e conoscenza dei rapporti politici” e (4) “interazione sociale” che hanno un notevole grado di trasferibilità da situazione a situazione; è ancora (Nicholson 1978) che sottolinea come la disponibilità di competenze ad alta trasferibilità differenzi le persone nel facilitare l’ingresso e la gestione dei novi ruoli, soprattutto a livello manageriale.

  6. LE INFLUENZE INDIVIDUALI DELLA SOCIALIZZAZIONE Le differenze individuali che caratterizzano le modalità di socializzazione: • esperienze prelavorative o formative che contribuiscono a creare l’assetto delle risorse personali con cui ci si presenta al mondo de lavoro; le persone cercano ruoli lavorativi più coerenti con la propria identità o almeno si sforzano di adottarli in tale direzione e di esprimere se stessi anche attraverso tali ruoli; • caratteristiche personali quali: • stili di identità individuati da (Berzonsky 1992) (esplorativo, conformista, evitamento); • stima del sé ha un rilievo nel differenziare le modalità di affrontare l’ingresso nel mondo del lavoro; • self-monitoring ovvero controllo del sé; chi possiede un elevato self-monitoring tende a considerare meglio il significato e le caratteristiche delle situazioni e dunque mostrano una notevole variabilità nella loro identità da situazione a situazione; • orientamenti affettivi generali della persona nell’affrontare le diverse situazioni di vita. (George 1991) afferma che le persone che hanno una visione positiva della realtà tendono a mantenere questa prospettiva ottimistica anche nelle situazioni d’ingresso lavorativo ed a provare sentimenti positivi rispetto alle proprie azioni d’inserimento lavorativo ed a viverlo come una sfida attraente e come un’opportunità di sviluppo personale; ciò comporta un impegno attivo nell’attuare strategie di cambiamento per trovare un equilibrio soddisfacente.

  7. IL RUOLO DELL’ORGANIZZAZIONE L’organizzazione non è soggetto passivo nel processo di socializzazione lavorativa. E’ attivo nel processo d’interazione tra persona ed ambiente lavorativo. Attua tattiche di socializzazione organizzativa ovvero utilizza precise modalità d’intervento per influenzare il neofita ed orientarne la direzioni di condotta, gli atteggiamenti ed i valori. Quest’interventi nel tempo possono essere: • programmati; • casuali (rientra in questi il principio della “prova ed errori”). Van Maanen e Schein hanno distinto 2 tipi di socializzazione attuati dall’organizzazione lavorativa: • socializzazione istituzionale per indicare quegl’interventi che incoraggiano il neofita ad aderire ai ruoli previsti; • socializzazione individuale per riferirsi alle tattiche incentrate sulle persone, stimolandole a sviluppare un approccio personale allo svolgimento del ruolo.

  8. SOCIALIZZAZIONE ISTITUZIONALE E COLLETTIVA La socializzazione istituzionale si distingue da quella collettiva per le differenti 6 tattiche applicate che vengono riportate ed esplicitate nella tabella di seguito riportata:

  9. LA SELEZIONE DEL PERSONALE SELEZIONE DEL PERSONALE Il processo di selezione riguarda: • l’ammissione o il rifiuto di persone in cerca di lavoro; • la loro distribuzione ottimale all’interno di un organizzazione di lavoro. Selezione: è un’occasione di conoscenza ovvero di scambio d’informazioni tra la persona che vuole lavorare e l’organizzazione; le pratiche di selezione completano il quadro informativo, di entrambe le parti in causa, contribuendo: • ad arricchire le risorse della persona nella fase di transizione al lavoro; • a verificare sommariamente le aspettative e le immagini del lavoro possedute dal neofita. Il processo di selezione può essere così schematizzato:

  10. METODI DI IDENTIFICAZIONE DEL PERSONALE Il processo di selezione è alla base del “sistema di gestione del personale”. Bisogna identificare i bisogni del personale e le caratteristiche della posizione di lavoro da ricoprire prima d’ipotizzare un percorso di selezione. Il primo orientamento operativo è quello psicometrico basato sull’uso dei test attendibili (risposta quanto più vicina alla realtà) e validi (risposta che misuri effettivamente ciò che mi propongo di misurare): • test di efficienza sensoriale, motoria e mentale; • test reattivi che indagano la struttura di personalità; • test di situazione ovvero simulazione di problematiche tipiche dell’attività lavorativa (problem solving); • test dei campioni di lavoro(work sample test) basati su esempi significativi dell’attività di lavoro. Le prime 2 tipologie di test devono essere affidate a personale esperto (psicologi) e costituiscono, assieme al colloquio gli strumenti principali dell’approccio clinico alla selezione. I test sono sconsigliati quando: • tasso base è alto ovvero la percentuale dei candidati scelti a caso che potrebbero ben riuscire sul lavoro è alta (lavori poco specializzanti); • rapporto di selezione (candidati/partecipanti) è molto basso o contrariamente molto alto con rischio di avere un rendimento basso dal test.

  11. IL COLLOQUIO DI LAVORO Il colloquio: opportunità biunivoca per il candidato e per l’organizzazione di conoscersi. Sia lo studio che il potere di scelta è insito in entrambe le parti in causa che apportano nel colloquio il “sé” (le varie sfaccettature delle proprie personalità) e che spesso espongono il colloquio ad errori e distorsioni percettive. Migliorare le potenzialità del colloquio = elevare grado di strutturazione, standardizzandolo, rendendolo più simile ad una conversazione guidata come definita da Breakwell attraverso: • sequenza di domande precise; • chiarezza nelle relazioni e nei turni comunicativi; • utilizzazione dello stesso schema di colloquio con i vari candidati. Il colloquio si presenta subito di natura asimmetrica per il differente potere connesso con il diverso status degl’interlocutori.

  12. FORMAZIONE E SOCIALIZZAZIONE OBIETTIVI FORMAZIONE: • preparazione delle risorse umane; • sviluppo dei requisiti di occupabilità; • di mantenimento delle capacità e potenzialità lavorative (cosiddetta formazione continua). Ha come funzione quella di orientare, e trasformare le conoscenze, le abilità (skills) e, seppur con maggior difficoltà, le caratteristiche personali (valori, rappresentazioni, atteggiamenti ecc.) in risorse da investire nel contesto lavorativo, in risposta alle esigenze dei vari compiti e ruoli ed alle aspettative personali di crescita professionale. Sono esplicitabili 3 grandi funzioni della formazione: • Funzione di mantenimento: serve a raggiungere e mantenere nel tempo uno standard accettabile di qualità e quantità delle prestazioni professionali, al fine di rendere possibile il raggiungimento degli obiettivi organizzativi. • Funzione di socializzazione: rientra nell’insieme delle tattiche di socializzazione organizzativa; la formazione non ha solo una funzione di apprendimento tecnico-professionale ma accelera e sostiene i processi d’inserimento sociale dei lavoratori e le loro modalità di socializzazione (migliora le collaborazioni). • Funzione motivante: rappresenta uno spazio sociale di verifica e confronto tra le aspettative della persona e quelle dell’organizzazione; la formazione accentua la fiducia che le persone hanno verso l’organizzazione «sono effettivamente preso in considerazione e apprezzato per le mie capacità attuali e potenzialità» e dunque facilita lo sviluppo di sentimenti di appartenenza che hanno un forte valore motivante.

  13. TIPOLOGIE DI FORMAZIONE In molte organizzazioni vengono creati servizi di formazione, in stretto contatto con la Direzione del Personale, che organizzano programmi di attività formative da realizzarsi direttamente (enti di formazione interni) o con l’ausilio di organismi specializzati, associazioni di categoria, società di consulenza, tutti esterni all’azienda o all’istituzione lavorativa. La formazione aziendale negli ultimi anni ha visto differenziare i suoi tipi d’intervento in: • formazione di base per neoassunti; • formazioni per cambiamenti aziendali di processo; • formazione per mobilità orizzontale; • formazione manageriale. La formazione può avvenire: • in aula, alla presenza di personale esperto (formatori); • sul posto di lavoro (workplace learning).

  14. CONTRIBUTO PSICOLOGICO Il contributo psicologico è importante per: • la fase di apprendimento; • la fase di preparazione dell’attività formativa; • la fase di realizzazione dell’attività formativa.

  15. CONTRIBUTO PSICOLOGICO: APPRENDIMENTO 1) Fase di apprendimento. Gli psicologi hanno individuato 3 fattori che facilitano l’apprendimento: • l’apprendimento dall’esperienza. La pratica appare efficace per l’acquisizione di capacità psicomotorie e di conoscenze che devono essere sedimentate nella memoria. L’apprendimento dall’esperienza, inoltre, rappresenta uno stimolo alla riflessione sul significato di quanto svolto e dunque della riorganizzazione efficace della struttura cognitiva. • il feedback. Si tratta delle informazioni di ritorno connesse ad un processo, un evento, un comportamento esplicitato. Non assume le caratteristiche di una valutazione ma costituisce un insieme d’informazioni con cui confrontarsi per diagnosticare gli esiti e riconoscere eventuali scostamenti rispetto ad uno schema di azione e promuovere un intervento di correzione o di conferma dei comportamenti. Tali informazioni possono essere rilevate si durante l’attività (feedback di processo) sia al termine dell’attività (feedback di risultato). • le forme di rinforzo. L’esito positivo di una certa azione rafforza le modalità con cui è stata svolta. Un programma di apprendimento con “riconoscimento finale”, ovvero che permette di riconoscere gli sforzi fatti, l’impegno e la qualità delle prestazioni, rafforza e stabilizza gli apprendimenti degl’interessati

  16. CONTRIBUTO PSICOLOGICO: APPRENDIMENTO Fra le indicazioni della psicologia cognitiva, che hanno rilevanza per l’apprendimento, si possono ricordare: • l’Apprendimento di compiti semplici e complessi. Prima andrebbero affrontati i compiti semplici e solo quando essi risultano appresi in modo automatico si dovrebbero affrontare quelli complessi onde evitare una competizione tra i due tipi di apprendimento. • Metacognizione. Si tratta di aiutare chi apprende a monitorare i propri progressi e a valutare cosa si sa o non si conosce, man mano che si procede con l’attività. Le attività meta cognitive: • 1) hanno un ruolo di aumento della consapevolezza dei propri modi di agire e di apprendere; • 2) contribuiscono a rafforzare la posizione attiva della persona non solo rispetto ai compiti assegnati ma anche nel regolare i processi di socializzazione e di presenza organizzativa. • Modelli Mentali. Un’accurata rappresentazione ed un quadro mentale degli oggetti e delle relazioni tra loro, facilita i compiti di apprendimento; tali schemi sono utili soprattutto oggi che la tecnica avanzata richiede non più l’utilizzo del braccio ma quello della mente (attività di controllo).

  17. CONTRIBUTO PSICOLOGICO: PREPARAZIONE 2) Fase di preparazione. L’indagine sull’organizzazione, sui ruoli e sui compiti lavorativi è propedeutica alla realizzazione dell’attività formativa “su misura” e non legata a “pacchetti formativi standard”. I 3 momenti dell’analisi psicologica: • Analisi organizzativa: tesa a focalizzare il ruolo della formazione nel contesto più vasto dell’organizzazione di lavoro, gli elementi che possono facilitare od ostacolare il progetto formativo e la sua efficaci, le risorse disponibili ed i vincoli, le ragioni della scelta di una strategia formativa particolare. • Analisi del lavoro: dev’essere posta attenzione sulla identificazione delle competenze (skills) e delle conoscenze applicate che risultino critiche per lo svolgimento di una valida prestazione. • Analisi delle persone: è questo il momento della valutazione dei soggetti-utenti e del loro livello di conoscenze e capacità, il tutto messo in relazione con i requisiti necessari allo svolgimento del lavoro.

  18. CONTRIBUTO PSICOLOGICO: REALIZZAZIONE 3) Fase di realizzazione. Riguarda le metodologie e le tecniche di realizzazione e conduzione dell’intervento formativo. Si possono individuare modalità partecipative: • individuali come ad esempio l’istruzione programmata, le simulazioni di attività e situazioni per mezzo del computer. • di gruppo ad esempio i training group, i gruppi di discussione con o senza leader, il brainstorming, i gruppi di soluzione dei problemi, i focus group, il lavoro di gruppo ect.

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