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L’intervento dello Stato come supplente dell’iniziativa privata

L’intervento dello Stato come supplente dell’iniziativa privata. la Cassa del Mezzogiorno, le cattedrali nel deserto, la Terza Italia (1951-1990). Una politica che partiva da lontano. Nitti, Beneduce e Giordani

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L’intervento dello Stato come supplente dell’iniziativa privata

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Presentation Transcript


  1. L’intervento dello Stato come supplente dell’iniziativa privata la Cassa del Mezzogiorno, le cattedrali nel deserto, la Terza Italia (1951-1990)

  2. Una politica che partiva da lontano • Nitti, Beneduce e Giordani • Il problema dell’industrializzazione pesante come incentivo allo sviluppo vs. l’industria leggera o l’agricoltura specializzata • Dopo la seconda guerra mondiale l’intervento straordinario nel Mezzogiorno e la volontà di Amintore Fanfani di ritagliarsi una base autonoma di potere affrancandosi da Confindustria determinano un uso politico dell’impresa pubblica (1953 ENI e ministero delle partecipazioni statali) • La necessità di perseguire obiettivi diversi dal profitto la carica di oneri impropri a cui dovrà fare fronte con appositi “fondi di dotazione” • Programmazione e nazionalizzazione dell’energia elettrica

  3. Il dualismo nello sviluppo economico • La nuova dimensione europea dell’industria italiana raggiunta in un arco di tempo breve lascia squilibri e sfasature (MEC) • -grande industria nei settori innovativi ed esportatori vs. piccola industria tradizionale • -accentua il dualismo Nord-Sud • -incrementa l’esodo di massa vs. le città industriali del Nord Ovest

  4. Il dualismo nello sviluppo economico • La tendenza della grande impresa a privilegiare gli investimenti negli impianti per accrescere la produttività • Parte consistente dei disoccupati e dei giovani al primo impiego si indirizzano vs. il terziario tradizionale o la pubblica amministrazione: • 1951-1963 +100% addetti nel commercio • +84% addetti nell’edilizia • +40% addetti industria manifatturiera

  5. Il dualismo nello sviluppo economico: il ritardo delle riforme “di struttura” • Netta prevalenza dei consumi privati rispetto a quelli pubblici: • 1962 5:1 • Scarso adeguamento dei servizi d’interesse collettivo alla crescita della domanda • Domanda interna volta prevalentemente vs. beni di consumo durevoli come status: automobili, televisori e altri elettrodomestici, abbigliamento, mobili e arredamento

  6. Il dualismo nello sviluppo economico : il ritardo delle riforme “di struttura” • Forte sperequazione del reddito nonostante fosse aumentato +130 punti tra 1951 ce 1961 e quello procapite +80 punti • Sperequazione fiscale nonostante le riforme tributarie di Vanoni • Il sistema fiscale favoriva i redditi variabili d’impresa e di attività professionali rispetto ai redditi fissi e a quelli da lavoro dipendenti • Persiste una forte evasione fiscale e contributiva: 1949-1963 l’incidenza delle imposte dirette sul reddito e sul patrimonio, nel complesso delle entrate fiscali, era pari al 24%, una quota più bassa di quella dell’età giolittiana

  7. Il dualismo nello sviluppo economico : il ritardo delle riforme “di struttura” • Rendita e speculazione edilizia • 1953-1962 prezzi generi alimentari + 33% • prezzi all’ingrosso +13% • I canoni d’affitto raddoppiano • Il valore delle aree fabbricabili nelle città del Nord 1955-1962 +300% • La programmazione e la spinta vs. un nuovo equilibrio politico

  8. Le cattedrali nel deserto: alcuni casi di studio • 1957 nuovi incentivi finanziari per investire nel Sud (imprenditoria locale e del Nord) • Obbligo per le aziende pubbliche di dislocare al Sud il 40% degli investimenti per creare <<poli di sviluppo>> • I benefici sono assorbiti da alcune grandi industrie di base petrolchimiche e siderurgiche ad alta intensità di capitale e a basso tasso di occupazione: • -acciaieria IRI di Taranto • -raffinerie ANIC a Gela e Valle del Basento • -impianto chimico Montecatini a Brindisi

  9. Il dualismo nello sviluppo economico e le <<cattedrali nel deserto>> • Con la stessa cifra impiegata per creare un posto di lavoro nella raffinazione del greggio (al Sud ormai oltre 50% produzione nazionale) se ne sarebbero potuti creare 20 in aziende agricole specializzate • Dopo 10 anni di intervento (Cassa) ritardavano le premesse per l’ammodernamento dell’agricoltura e per lo sviluppo della piccola e media impresa

  10. Il dualismo nello sviluppo economico e le <<cattedrali nel deserto>> • Il Sud stava passando da una struttura agricola sempre più debole (ma ancora gravata da un’ alta % di addetti) vs. una terziarizzazione altrettanto debole e disgregata sia per la disordinata espansione del tessuto urbano, sia per l’addensamento dell’occupazione nell’edilizia e nel pubblico impiego

  11. Il dualismo nello sviluppo economico e le <<cattedrali nel deserto>> • Problema generale connesso con i meccanismi di sviluppo dell’economia italiana: l’ingresso nel MEC, imponendo un accrescimento dei livelli di efficienza e competitività, aveva finito per dare luogo a due sistemi caratterizzati da logiche di sviluppo profondamente diverse: • - Centro Nord rivolto vs. aumento della produttività e integrazione alle aree europee più avanzate • - Sud in cui l’esigenza fondamentale è la creazione di nuovi posti di lavoro “dovunque e comunque” fosse possibile per sfuggire a una condizione di sottosviluppo

  12. I condizionamenti nel sud • La crisi del canale di Suez indebolisce le attività commerciali e marittime • Spesa pubblica, partiti e clientelismo • Il peso della criminalità organizzata su appalti, nell’edilizia e nelle infrastrutture, sui mercati e prodotti agricoli, sulle forniture pubbliche e le operazioni finanziarie

  13. La piccola impresa e le tre Italie • La crisi della grande impresa nella stagflazione • 1978 l’export delle pmi consente il pareggio dei conti con l’estero • Ma già nei ‘60 le pmi (11-500 dip.) occupavano il 40% della manodopera complessiva • 1961-1971 grandi imprese da 1,5 a 1,266 milioni di addetti • Pmi da 2 a oltre 3 milioni di addetti • La crescita dei costi della grande impresa • Fuà costo del lavoro per addetto: 4817 £ (+500 add.); 4691 £ (+250 add.); 3715 £ (10-150/200 add.)

  14. la conflittualità sociale • Nei settori ad alta intensità di capitale le rivendicazioni dei sindacati e i vincoli imposti alle imprese avevano generato una riorganizzazione aziendale basata sul decentramento produttivo o su soluzioni alternative per alleggerire i costi della manodopera e i costi fissi • -costo del lavoro • +flessibilità

  15. Lo spirito imprenditoriale • Non è però esaustivo ridurre il processo a una mera conseguenza dell’<<autunno caldo>> e del <<familismo amorale>> (“il sommerso”) • Emergono elementi di novità: • -forte spirito d’iniziativa e di autonomia • -tendenza alla specializzazione • -alto grado di mobilità

  16. L’Italia del “sommerso” • Quasi ovunque il comun denominatore della pmi è costituito da un sistema di strutture e di relazioni relativamente fluido, contrassegnato da rapporti di lavoro non istituzionalizzati, da una costellazione di imprese in grado di mutare rapidamente configurazione con costi inferiori alla media e con profitti verosimilmente superiori alla media • Alimenterebbe questo vasto arcipelago di micro imprese un esercito più o meno clandestino valutato a circa 7 milioni • Nel 1978-79 una stima valutava il reddito “sommerso” del settore industriale a circa 12000 mld

  17. Rigidità dei sistemi tayloristici • La scomposizione delle macrostrutture in unità aziendali più ridotte, specializzate in singole lavorazioni, in modo da generare una produzione <<a fase>> invece che <<a linea>> • Non solo fenomeni legati al “sommerso” o al “lavoro nero”, ma adattamento in sintonia con trasformazioni indotte anche in altri paesi per il declino dei flussi migratori che avevano ammortizzato i costi di lavoro • Il decentramento, di fatto, di molte attività industriali consentì il raggiungimento di dimensioni soddisfacenti dal lato delle economie di scala, a livello di sistema e non soltanto di singoli impianti o unità produttive

  18. Le tre Italie • Diffuse un po’dappertutto, ma con due anime: • - una, la più marcata, costituita da attività integrative della grande impresa o da funzioni satelliti • - l’altra, basata su attività indipendenti, operanti per lo più in settori tradizionali (come oreficeria, vetro, abbigliamento, cuoio e calzature, arredamento)

  19. Una nuova immagine dell’Italia industriale • La configurazione a <<pelle di leopardo>> riflette, da un lato, la sopravvivenza di antichi squilibri, dall’altro la maturazione di nuove potenzialità, che scaturiscono dalla singolare combinazione fra elementi tradizionali di origine artigianale e forme avanzate di sviluppo produttivo (es. scarpe e arredo) • Sono le regioni centrali e nord-orientali a costituire il perno di questa realtà molecolare, al crocevia fra produzioni più moderne e lavorazioni più elementari: Marche, Emilia Romagna, Toscana e Veneto alla testa della <<terza Italia>> • Nel 1991 coprono il 45% del’occupazione complessiva e indirizzano le loro produzioni essenzialmente verso la produzione di beni per la persona e per la casa

  20. I distretti • Ciò che caratterizzava queste zone era l’alto grado di flessibilità e la tendenza a organizzarsi in distretti, in sistemi locali con un alto grado di specializzazione e d’integrazione e con tutti gli altri vantaggi competitivi assicurati dal radicamento delle imprese nelle tradizioni e nelle istituzioni locali • -il ruolo delle “istituzioni locali” • Alla base di questo forte sviluppo in molti casi la mobilitazione di un complesso di energie e di risorse che scaturivano dal mondo contadino e da quello dell’artigianato, da famiglie di ex mezzadri e operai che avevano creato in proprio o con altri dei piccoli esercizi

  21. Il Mezzogiorno • Anche l’apporto de Mezzogiorno alla produzione industriale cresce, ma in misura ancora marginale e per circuiti di mercato quasi esclusivamente interni. • Nel 1977 gli addetti all’industria erano il 26,6% (-1% rispetto addetti agricoltura) • Solo in alcune aree si era sviluppata la pmi: quasi esclusivamente zone costiere di Abruzzo, Molise e Puglia • Gli incentivi pubblici sono utilizzati più da investitori stranieri: a fine ‘70 vi erano 270 stabilimenti (17 paesi esteri), ma solo 85.000 addetti (per lo più concentrati nel Lazio)

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