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Le politiche pubbliche

Le politiche pubbliche. Definizioni di politiche pubbliche Politiche pubbliche e sistema politico I modelli di produzione delle politiche Le fasi di produzione delle politiche I modelli di attuazione I criteri di valutazione Gli schemi decisionali Tipologia di politiche pubbliche

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Le politiche pubbliche

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Presentation Transcript


  1. Le politiche pubbliche Definizioni di politiche pubbliche Politiche pubbliche e sistema politico I modelli di produzione delle politiche Le fasi di produzione delle politiche I modelli di attuazione I criteri di valutazione Gli schemi decisionali Tipologia di politiche pubbliche Do Policies Determine Politics?

  2. Definizioni di politiche pubbliche Secondo Anderson (1990), le politiche sono pubbliche quando sono prodotte dalle autorità di governo intese in senso lato. Secondo Mény e Thoenig (1989), «una politica pubblica è il prodotto dell’attività di un’autorità provvista di potere pubblico e di legittimità istituzionale». Secondo Lowi (1999), una politica pubblica è il prodotto dell’intervento di autorità pubbliche. Tuttavia va evidenziato che non sono mai né i politici né i governanti a produrre da soli le politiche pubbliche, che sono, piuttosto, il prodotto di composite aggregazioni di attori (individui, istituzioni, gruppi, associazioni ecc.).

  3. Politiche pubbliche e sistema politico Gli studi sulle politiche pubbliche possono essere affrontati facendo ricorso all’analisi sistemica della politica, così come esposta da David Easton. Gli INPUTS, cioè le domande, le preferenze, i bisogni, i sostegni dei cittadini vengono immessi dai cittadini, dai gruppi, dalle associazioni, dalle organizzazioni nella “scatola nera” che, a sua volta, può creare nuovi input al suo interno (definiti in questo caso: WITHINPUTS). La scatola nera provvede alla conversione delle domande in OUTPUTS, le cui conseguenze inviano dei FEEDBACKS alla comunità politica e alle sua autorità.

  4. La letteratura politologica ha individuato 6 principali modelli, per nulla esclusivi e singolarmente esaustivi, del processo di produzione delle politiche pubbliche: • il governo di partito (party government); • il neo-corporativismo; • i triangoli di ferro; • le reti tematiche; • le comunità politiche; • la comitatologia.

  5. Il party government Il ruolo dei decisori delle politiche pubbliche viene attribuito, in tutto o in larghissima parte, ad attori di appartenenza, di estrazione o di nomina partitica, che sono responsabili nei confronti dei dirigenti dei partiti, da loro controllabili e, di conseguenza, da loro sostituibili. La partiticità di un modello decisionale non dipende dal numero dei partiti rilevanti nel sistema politico, bensì dal rapporto fra il sistema dei partiti, la sfera sociale e la sfera economica.

  6. Il neo-corporativismo I gruppi che contano davvero nel processo di produzione delle politiche pubbliche sono soltanto 3: • i governi e i loro apparati esecutivi; • le organizzazioni sindacali; • le associazioni imprenditoriali. Sono gruppi bene organizzati, dotati di notevole stabilità nel corso del tempo e di risorse ragguardevoli, relativamente equilibrate, che possono permettersi di raggiungere ACCORDI o concertare decisioni comuni di grande respiro e, soprattutto, di rispettarli.

  7. I triangoli di ferro Il riferimento al triangolo si giustifica con l’individuazione di 3 aggregazioni principali di attori nel processo di produzione delle politiche pubbliche più rilevanti: • i gruppi di interesse; • le agenzie burocratico-amministrative; • le commissioni parlamentari. Questo modello di produzione delle politiche pubbliche mira a evidenziare la solidità del rapporto che si stabilisce e si mantiene tra le tre aggregazioni di attori. Questi triangoli di ferro possono essere alquanto numerosi, diffusi e sparsi nello stesso sistema politico. Ogni attore contribuisce alla funzionalità del triangolo in termini di decisioni, di risorse, di voti e di affidabilità nell’attuazione, favorendo, di conseguenza, la sua efficacia e la sua durata.

  8. Le reti tematiche Differisce dai triangoli di ferro perché è: • molto meno strutturato; • più aperto a una molteplicità di partecipanti; • si basa su interazioni episodiche e occasionali. In generale, le reti tematiche danno vita alla produzione di politiche pubbliche instabili e mutevoli, sostanzialmente non predeterminabili e non controllabili. Secondo molti autori, questo modello interpreterebbe al meglio il processo decisionale statunitense, almeno a livello federale.

  9. Le comunità di politiche (policy communities) Gli attori che partecipano alla produzione di una politica pubblica sono alquanto numerosi, ma per lo più gli stessi. Le comunità di politiche si costituiscono attraverso i contatti continuativi tra: • politici; • burocrati; • rappresentanti dei gruppi di interesse; • esperti. La continuità di rapporti tra questi attori garantisce alcuni dei vantaggi derivanti dalla conoscenza personale e dalla possibilità di strutturare un processo decisionale di soddisfazione reciproca, dove eventuali perdite sul piano di una politica pubblica possono essere compensate sul piano di un’altra politica pubblica. Secondo alcuni studiosi, l’immagine delle policy communities rappresenta meglio di qualsiasi altra (compreso il modello del governo di partito) il processo di formazione delle politiche pubbliche in Italia.

  10. Le comitologia/comitatologia Questo modello di formazione delle politiche pubbliche viene spesso utilizzato per spiegare la produzione delle politiche dell’Unione Europea. Prevede la partecipazione molto elevata di una pluralità di attori in contesti mutevoli (“comitati” internazionali, sovranazionali o cross-nazionali), con problemi che variano da una importanza minima a una importanza massima. La sovrapposizione, spesso difficile da decifrare, di compiti e di attori si traduce spesso in politiche pubbliche che vengono criticate non solo e non tanto per i loro contenuti, quanto, piuttosto, per l’opacità del procedimento che le ha condotte all’approvazione. Il “deficit democratico”, che secondo alcuni autori caratterizza il funzionamento dell’Unione Europea, è quindi attribuibile anche al sistema di comitati che opera al suo interno.

  11. Le fasi della produzione delle politiche pubbliche Una politica pubblica non è sempre una risposta delle autorità pubbliche a una domanda sociale: ANTICIPAZIONE Talvolta una politica pubblica costituisce un tentativo anticipato di disinnescare eventuali domande sociali, destinate a presentarsi più pericolosamente nel prossimo futuro. AUTOPRODUZIONE A volte una politica pubblica è la conseguenza delle interazioni fra una pluralità di attori che prendono parte agli scambi. La politica pubblica risponde così a una logica autoreferenziale. Non sempre quando c’è una politica pubblica c’è un problema da affrontare; specularmente, non sempre quando c’è un problema c’è una politica pubblica per risolverlo.

  12. Per Harold Lasswell (1975) le risposte in termini di produzione di una politica pubblica si dispiegano attraverso 7 fasi distinte: • INFORMAZIONE, caratterizzata dalla raccolta di notizie, dalla previsione, dalla pianificazione; • INIZIATIVA, caratterizzata dalla promozione di politiche alternative; • PRESCRIZIONE, caratterizzata dall’emanazione di regole generali; • INVOCAZIONE, caratterizzata da qualificazioni provvisorie della condotta sulla base delle prescrizioni, includendo anche le richieste di applicazione; • APPLICAZIONE, caratterizzata dalla qualificazione finale della condotta sulla base delle prescrizioni; • VALUTAZIONE, caratterizzata dalla stima della riuscita o del fallimento delle decisioni; • CESSAZIONE, caratterizzata dall’estinzione delle prescrizioni e degli istituti entrati a far parte dell’ordinamento delle regole.

  13. I MODELLI DI ATTUAZIONE DELLE POLITICHE PUBBLCIHE Per quel che riguarda l’attuazione, ovvero la messa in opera di una politica pubblica, nella letteratura scientifica si riconoscono 2 diversi modelli: TOP DOWN Il processo di attuazione di una politica pubblica procede quasi linearmente dal vertice politico e burocratico che l’ha formulata e approvata alla base, cioè a coloro che sono incaricati di attuarla concretamente, di tradurla in comportamenti effettivi e sanzioni efficaci. BOTTOM UP Secondo questa prospettiva, gli importanti e spesso decisivi dettagli operativi dell’attuazione di una politica pubblica vengono definiti, selezionati e tradotti in pratiche specifiche soprattutto dagli “operatori” che agiscono a diretto contatto con i fruitori delle politiche publiche (street level bureaucrats)

  14. I CRITERI PER LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE PUBBLICHE La linea divisoria fra gli outputs (i prodotti) e gli outcomes (gli esiti) di una politica pubblica è talvolta molto sfumata. In pratica, la valutazione di una politica può essere effettuata sia in termini di outputs, vale a dire ciò che davvero è emerso alla fine di un procedimento iniziato con la formulazione della politica pubblica e culminato nella sua messa in opera, sia in termini di outcomes, vale a dire ciò che ha davvero fatto seguito alla messa in opera di quella specifica politica pubblica. Esistono 2 principali criteri per valutare una politica pubblica: EFFICACIA Si riferisce alla capacità di una politica di conseguire gli obiettivi prefissati. EFFICIENZA Consiste nel conseguimento degli obiettivi prefissati al minor costo possibile.

  15. Gli schemi decisionali Qualsiasi politica pubblica deriva dall’attività di una autorità pubblica dotata della legittimità e del potere di scegliere e di decidere. A tal proposito, gli studiosi si sono interrogati sulle modalità con le quali le autorità pervengono alle scelte e alle decisioni. Tra queste, i 4 schemi decisionali più rilevanti sono: • LA RAZIONALITÀ SINOTTICA; • LA RAZIONALITÀ LIMITATA; • L’INCREMENTALISMO SCONNESSO; • IL CASSONETTO DELLA SPAZZATURA.

  16. LA RAZIONALITÀ SINOTTICA Prevede che il decisore (persona singola, comitato o gruppo più ampio) raccolga tutte le informazioni e i dati necessari, si impadronisca di tutte le variabili che influenzano la messa in opera di una politica pubblica, le immagazzini, prenda in esame tutte le conseguenze possibili e, infine, scelga con precisione e determinazione una politica pubblica rispetto a un’altra. La razionalità sinottica era il modello che giustificava la pianificazione centralizzata e dall’alto, alla quale presiedettero tecnocrati e politici intellettuali. Fu maggiormente sviluppata in Urss ma, come modello decisionale di grandi imprese e di ministeri, si è diffusa anche negli Stati Uniti.

  17. LA RAZIONALITÀ LIMITATA (Simon, 1947) Il decisore non si preoccupa più di prendere in esame tutte le alternative, di controllare tutte le variabili, di soppesare tutte le conseguenze possibili, non mira alla massimizzazione dei dati e delle informazioni disponibili. Il decisore si limita consapevolmente alla soddisfazione di alcune esigenze, definite in maniera più realistica, come la raccolta e la valutazione di un numero da lui ritenuto adeguato di dati, informazioni, variabili, alternative, problematiche e, anche, di conseguenze. Giunto a un certo punto nella raccolta di informazioni, il decisore, singolo o collettivo, si arresta perché ritiene, per svariate ragioni (tempi, costi, difficoltà), di essere in grado di scegliere e decidere.

  18. L’INCREMENTALISMO SCONNESSO (Lindblom, 1965) Questo modello, interpretato come un’alternativa critica allo schema della razionalità, sostiene che i processi decisionali e di produzione delle politiche pubbliche procedono, non in maniera razionalmente controllata e controllabile, ma per tentativi (trial and error), attraverso accordi e scambi, “crescendo” su decisioni già prese, revisionandole e modificandole. L’esito dei processi decisionali effettuati attraverso l’incrementalismo, ovvero attraverso aggiustamenti particolaristici reciproci, non dipende da nessuna razionalità formale, ma da rapporti di forza, da relazioni di scambio, da processi di apprendimento, dalla costante concorrenza fra i vari attori che caratterizza in special modo i regimi democratici.

  19. IL CASSONETTO DELLA SPAZZATURA (March e Olsen, 1976) Nella prospettiva di March e Olsen, la maggior parte dei processi decisionali e, quindi, delle politiche pubbliche, è caratterizzata da insopprimibile complessità. Eppure, di tanto in tanto, una decisione appare indispensabile e inevitabile. Per sbloccare situazioni di intollerabile pressione e di incontrollabile complessità, il decisore, senza ovviamente né confessarlo né teorizzarlo, si abbandona alla casualità e dal “cassonetto” delle alternative variamente disponibili ne estrae una qualsiasi che risulterà, per lo più, né la peggiore né la migliore e che è sostanzialmente influenzata dal particolare momento in cui la decisione deve essere presa.

  20. Tipi di politiche pubbliche(Lowi, 1964) Secondo Lowi, esisterebbero essenzialmente 4 grandi tipi di politiche pubbliche, individuate con riferimento anzitutto al loro oggetto e al grado di coercizione necessario per la loro attuazione e implementazione. 1) 2) 3) 4)

  21. Le politiche DISTRIBUTIVE: sono abitualmente prodotte dalle assemblee elettive e dalle loro commissioni e attuate da agenzie e da burocrazie governative; riguardano in generale servizi di vario tipo, per lo più collegati alla previdenza e all’assistenza; • Le politiche REGOLATIVEriguardano la produzione di norme che regolano i comportamenti, spesso avvantaggiando alcuni individui e gruppi e svantaggiando altri individui e gruppi. Sono anch’esse prodotte dalle assemblee elettive e attuate da agenzie relativamente decentrate; • Le politiche REDISTRIBUTIVEtolgono in maniera visibile e esplicita risorse ad alcuni gruppi per darle ad altri. Sono, pertanto, politiche alquanto conflittuali, che richiedono un notevole intervento del potere esecutivo e un’attuazione piuttosto accentrata; • Le politiche COSTITUTIVE, ovvero costituenti, riguardano la formulazione di norme che sovrintendono alla creazione e al funzionamento delle strutture di autorità e delle autorità stesse. Sono, dunque, politiche relativamente rare, in special modo in contesti politico-istituzionali stabilizzati. Alla tipologia di Lowi alcuni autori hanno correttamente aggiunto il tipo delle politiche pubbliche SIMBOLICHE, cioè quelle politiche che servono a rafforzare e/o a trasformare identità collettive, sentimenti di appartenenza ecc.

  22. Do Policies Determine Politics? A Lowi si deve anche la famosa e dirompente affermazione secondo la quale le modalità con le quali vengono prodotte le politiche pubbliche finiscono per plasmare anche le strutture politiche: «policies determine politics». • Questa è senza dubbio una affermazione che rimane ancora oggi controversa e che richiede sempre una verifica empirica comparata. • In estrema approssimazione, è però possibile specificare che tipi diversi di politiche incidono e determinano la politica in modo diverso: • politiche affidate alla deregolamentazione e al mercato non hanno nessuna possibilità di “determinare” la politica; • le politiche che salgono dal “basso”, teorizzate dai “partecipazionisti” (ad es. il bilancio partecipato), avrebbero maggiori possibilità di successo nella determinazione della politica, ma dovrebbero essere sempre accompagnate da una visione politica stabile e di lungo periodo, il più delle volte assente o decisamente carente.

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