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PASCAL (limiti della filosofia e ragionevolezza del cristianesimo)

PASCAL (limiti della filosofia e ragionevolezza del cristianesimo). prof. Michele de Pasquale. il cristianesimo è l’unica religione in grado di spiegare il mistero della miseria e grandezza dell’uomo

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PASCAL (limiti della filosofia e ragionevolezza del cristianesimo)

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Presentation Transcript


  1. PASCAL(limiti della filosofia e ragionevolezza del cristianesimo) prof. Michele de Pasquale

  2. il cristianesimo è l’unica religione in grado di spiegare il mistero della miseria e grandezza dell’uomo “Dopo aver compreso la natura dell’uomo. Perché una religione sia vera, bisogna che abbia conosciuto la nostra natura. Deve averne conosciuto la grandezza e la miseria, e la ragione dell’una e dell’altra. Chi l’ha conosciuta se non la cristiana?” (Pascal, Pensieri, 433)

  3. l’uomo è inquieto perché non riesce a soddisfare nel finito il suo desiderio di felicità “ Come l'uomo senza la fede non possa conoscere il vero bene né la giustizia. Tutti gli uomini cercano di essere felici. Per quanto i mezzi possano differire, ciò si verifica senza eccezione. Tutti tendono a questo fine. Chi va in guerra e chi non ci va sono spinti dallo stesso desiderio, anche se con idee diverse. La volontà non si muove di un passo se non in questa direzione. È la causa di tutte le azioni di tutti gli uomini, anche di quelli che vanno a impiccarsi. E tuttavia, dopo tanto tempo, non c'è mai stato qualcuno che, senza la fede, abbia raggiunto quello che tutti vogliono continuamente. Tutti si lamentano, principi, sudditi, nobili, plebei, vecchi, giovani, forti, deboli, dotti, ignoranti, sani, malati, di ogni paese, in tutti i tempi, a ogni età e di tutte le condizioni. Una testimonianza così prolungata, continua e uniforme dovrebbe assolutamente convincerci della nostra incapacità ad arrivare al bene con le sole nostre forze. Ma l'esempio ci è servito poco. Non ci sembra mai così perfettamente adeguato da escludere una sottile differenza, e proprio da questi ci ripromettiamo, in un caso e nell'altro, il soddisfacimento delle nostre attese; e così, con un presente che sempre ci delude, l'esperienza ci inganna, e di sventura in sventura ci conduce fino alla morte, che ne costituisce l'eterno suggello.%

  4. Cosa ci gridano dunque l'avidità e l'impotenza se non che un tempo nell'uomo c'è stata un'autentica felicità, di cui ora gli rimangono il segno e l'impronta vuota, che egli tenta invano di riempire con tutto quanto lo circonda, ripromettendosi dalle cose assenti l'aiuto che non ottiene da quelle presenti, ma invano, perché questo abisso infinito non può essere colmato che da un'infinita e immutabile realtà, cioè Dio stesso. Solo lui è il suo vero bene. E da quando l'ha abbandonato è singolare che non vi sia nella natura niente capace di prenderne il posto, astri, cielo, terra, elementi, piante, cavoli, porri, animali, insetti, vitelli, serpenti, febbre, peste, guerra, carestia, vizi, adulterio, incesto. Da quando ha perso il vero bene, tutto gli può sembrare bene, anche la propria distruzione, benché contraria a Dio, alla ragione e alla natura insieme. Alcuni lo cercano nell'autorità, altri nelle rarità e nelle scienze, altri nei piaceri. Altri ancora, e vi si sono effettivamente più avvicinati, hanno riflettuto sulla circostanza che necessariamente questo bene universale, desiderato da tutti gli uomini, non deve risiedere in nessuna cosa particolare, che potrebbe essere posseduta da uno solo, o che, divisa tra molti, affliggerebbe i vari possessori per la parte di cui sarebbero privi, più che rallegrarli per quella in loro possesso. Essi hanno compreso che il bene autentico deve essere tale che tutti possano averlo senza diminuzione e senza invidia, e che nessuno possa perderlo contro la sua volontà; e la ragione è che, essendo questo desiderio connaturato all'uomo, poiché si trova necessariamente in tutti, e nessuno può non averlo, ne concludono...” (Pascal, Pensieri, 425)

  5. il cristianesimo è ragionevole perché riesce a spiegare il mistero dell’uomo “ Sant’Agostino. La ragione non si sottometterebbe mai, se non giudicasse che vi sono delle occasioni in cui deve sottomettersi. E’ dunque giusto che si sottometta, quando essa giudica che deve sottomettersi.” (Pascal, Pensieri, 270)

  6. la ragionevolezza della fede: la scommessa su Dio “ Infinito nulla. La nostra anima è gettata nel corpo, dove trova numero, tempo, dimensioni; quando essa ci ragiona chiama tutto ciò natura, necessità, e non può credere ad altro. L'unità aggiunta all'infinito non lo aumenta di niente, non più di un piede a una misura infinita; davanti all'infinito il finito si annienta e diventa un puro nulla. Noi sappiamo che vi è un infinito, ma ignoriamo la sua natura, così come sappiamo che è falso che i numeri siano finiti. Dunque è vero che vi è un infinito numerico, ma non sappiamo cosa sia. È falso che sia pari, è falso che sia dispari; perché aggiungendo l'unità esso non cambia di natura. Tuttavia è un numero, e tutti i numeri sono pari o dispari. È vero che ciò si intende riferito ai numeri finiti. %

  7. Noi dunque conosciamo l'esistenza e la natura del finito perché siamo finiti ed estesi come lui. Noi conosciamo l'esistenza dell'infinito ma ignoriamo la sua natura, perché pur essendo esteso come noi, non è come noi limitato. Ma noi non conosciamo né l'esistenza né la natura di Dio, perché egli non ha né estensione né limiti. Ma per fede noi conosciamo la sua esistenza, nella gloria conosceremo la sua natura. Ho già mostrato che è certamente possibile conoscere l'esistenza di una cosa senza conoscerne la natura. Parliamo adesso secondo i lumi naturali. Se c'è un Dio, egli è infinitamente incomprensibile, poiché, non avendo parti né limiti, non ha alcun rapporto con noi. Noi siamo dunque incapaci di conoscere ciò che è, e se è. Stando così le cose, chi oserà risolvere questo problema? Non certo noi, che non abbiamo alcun rapporto con lui. Chi rimprovererà dunque i cristiani di non saper render ragione della loro fede, proprio loro che professano una religione di cui non possono rendere ragione? Rivelandola al mondo, essi affermano che è stoltezza, stultitiam, e voi vi lamentate del fatto che non la provano. %

  8. Se la provassero, non manterrebbero la parola. La mancanza della prova permette loro di non mancare di senso. - Sì, ma anche se questo giustifica coloro che la espongono a quel modo e li sottrae al biasimo di presentarla senza ragione, ciò non giustifica coloro che la accolgono. - Esaminiamo dunque questo punto, e diciamo: o Dio esiste o non esiste; ma da che parte staremo? La ragione non può decidere niente. C'è un abisso infinito che ci separa. In capo a questa infinita distanza si gioca un gioco in cui uscirà testa o croce. Su cosa scommetterete? Con la ragione non potete scegliere né l'uno né l'altro, con la ragione non potete negare nessuno dei due. • Non accusate d'errore dunque quelli che hanno fatto una scelta, perché non ne sapete niente. - No, ma io li biasimo non per aver fatto una scelta piuttosto che un'altra, ma per avere scelto, sebbene sia quello che sceglie croce e sia l'altro commettano errori opposti, sbagliando entrambi. Giusto è non scommettere. • Sì, ma bisogna scommettere. Non dipende dalla volontà, ormai siete imbarcato. Cosa scegliete dunque? Vediamo, dal momento che bisogna scegliere, vediamo ciò che vi interessa meno. • Avete due cose da perdere, il vero e il bene, e due cose da impegnare, la vostra ragione e la vostra volontà, la vostro conoscenza e la vostra beatitudine, mentre la vostra natura ha due cose da fuggire, l'errore e la miseria. La ragione, poiché è necessario scegliere, non viene maggiormente offesa scegliendo uno piuttosto che l'altro. Ecco un punto accertato. %

  9. Ma la vostra beatitudine? Pesiamo il guadagno e la perdita puntando su croce, cioè che Dio esiste. Valutiamo i due casi: se vincete, vincete tutto, ma se perdete, non perdete niente. Scommettete dunque che Dio esiste senza esitare. È ammirevole. - Sì, bisogna scommettere, ma forse scommetto troppo. - Vediamo, poiché vi è un rischio reciproco di guadagno e di perdita, se non aveste che due vite da guadagnare contro una, potreste ancora scommettere, ma se ce ne fossero tre da guadagnare, bisognerebbe giocare (dal momento che è necessario giocare) e, se foste costretto a giocare, sarebbe imprudente non scommettere la vostra vita per guadagnarne tre a un gioco dove c'è uguale possibilità di perdita e di guadagno. Ma c'è un'eternità di vita e di felicità. Stando così le cose, anche se ci fosse un'infinità di casi di cui uno solo a vostro favore, avreste ancora ragione a scommettere uno per avere due, e sarebbe illogico, essendo obbligati a giocare, rifiutare di giocare una vita contro tre a un gioco dove, su un'infinità di casi, ce n'è uno per voi, qualora ci fosse da vincere una vita infinita e infinitamente felice. Ma qui abbiamo una vita infinita e infinitamente felice da vincere, una probabilità di vincita contro un numero finito di probabilità di perdere, e ciò che scommettete è finito. Dove c'è l'infinito e non ci sono infinite probabilità di perdere contro una sola di vincere, non c'è discussione. Non si deve esitare, bisogna impegnare tutto. E così, se si è costretti a giocare, si deve rinunciare alla ragione per salvare la vita, piuttosto che rischiarla per un guadagno infinito, facile a venire quanto la perdita del nulla. %

  10. Perché non serve a niente dire che è incerto se si vincerà, mentre è certo che si rischia, e che l'infinita distanza che c'è tra la certezza di ciò che si rischia e l'incertezza di ciò che si vincerà mette sullo stesso piano il bene finito che si rischia con certezza e quello infinito che rimane incerto. Le cose non stanno così. Ogni giocatore ha la certezza del rischio e l'incertezza del guadagno, e tuttavia egli rischia un finito certo per vincere un finito incerto, senza per questo peccare contro la ragione. Non esiste distanza infinita tra la certezza del rischio e l'incertezza del guadagno, ciò è falso. C'è infinità, a dire il vero, tra la certezza della vincita e la certezza della perdita, ma l'incertezza di vincere è proporzionata alla certezza di ciò che si rischia secondo la proporzione dei casi di vincita e di perdita. Da questo deriva che se ci sono uguali possibilità da una parte come dall'altra, la scommessa è alla pari. E allora la certezza di ciò che si rischia è uguale all'incertezza del guadagno, altro che esserne infinitamente distante. E così la nostra proposta ha una forza infinita, quando c'è da rischiare il finito in un gioco dove ci sono uguali possibilità di vincere o di perdere e l'infinito come posta. Questo è dimostrato, e se gli uomini sono capaci di qualche verità, eccone una. - Lo confesso, l'ammetto, ma non si può vedere anche il rovescio della medaglia? - Sì, la Scrittura e il resto, ecc. - D'accordo, ma ho le mani legate e la bocca chiusa, vengo costretto a scommettere ma non sono libero, non mi si lascia un istante, e sono fatto in un modo tale che non posso credere. Cosa volete dunque che faccia? - È vero, ma sappiate almeno che la vostra incapacità a credere deriva dalle vostre passioni, dal momento che la ragione vi ci porta ma non lo potete fare. %

  11. Sforzatevi dunque, non a convincervi con maggiori prove di Dio, ma col diminuire le vostre passioni. Volete andare verso la fede ma non ne conoscete il cammino. Volete guarire della incredulità e ne chiedete i rimedi, imparate da quelli, ecc., che sono stati legati come voi, ma che ora scommettono ogni loro bene. È gente che conosce il cammino che voi vorreste seguire, e che è guarita da un male da cui anche voi volete guarire; imparate da loro come hanno incominciato. E facendo tutto come se credessero, prendendo l'acqua benedetta, facendo dire messe, ecc. Naturalmente ciò vi farà credere e vi abbrutirà. - Ma è appunto ciò che temo. - E perché? Cosa avete da perdere? Ma per mostrarvi che è questa la via, sappiate che ciò diminuisce le passioni, che sono i vostri grandi ostacoli, ecc. Fine di questo discorso. Che male può mai capitarvi facendo questa scelta? Sarete fedele, onesto, umile, riconoscente, benefico, amico, sincero, veritiero... Certo non vivrete nei piaceri infetti, nella gloria, nel lusso, ma non ne avrete forse altri? Vi assicuro che ci guadagnerete anche in questa vita, e che a ogni passo che farete su questa via sarà tale la certezza della vincita e del nulla che rischiate, da farvi capire alla fine che avete scommesso per una cosa certa e infinita, rispetto alla quale non avete dato nulla. - Oh, questo discorso mi esalta, mi rapisce, ecc. - Se questo discorso vi piace e vi convince, sappiate che chi lo fa è un uomo che si è messo in ginocchio prima e dopo, per pregare questo essere infinito e senza parti al quale sottomette tutto il proprio essere, sottomettete dunque anche il vostro per il vostro bene e per la sua gloria, così che la forza si accordi con questo abbassarsi.” (Pascal, Pensieri, 233)

  12. tra fede e ragione esiste un salto “L’ultimo progresso della ragione è di riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano; essa non è che debole cosa, se non giunge fino a conoscer questo. Ma se le cose naturali la sorpassano, che dire di quelle soprannaturali?” (Pascal, Pensieri, 267)

  13. l’organo per avvicinarci alla fede è il cuore “E’ il cuore che sente Dio, e non la ragione. Ed ecco che cos’è la fede: Dio sensibile al cuore, non alla ragione.” (Pascal, Pensieri, 278) “ La fede è differente dalla prova: questa è umana, quella è un dono di Dio. Justus ex fide vivit: orbene la prova è spesso lo strumento di questa fede che Dio stesso infonde nel cuore, fides ex auditu; ma questa fede è nel cuore, e fa dire non scio, ma credo “ (Pasca, Pensieri, 248)

  14. la fede è un dono di Dio “ La fede è un dono di Dio: non crediate che noi vi diciamo che sia un dono di ragionamento. Le altre religioni non dicono così, a proposito della loro fede: esse non davano altro ausilio per arrivarci che il ragionamento, che tuttavia non ci conduce là.” (Pascal, Pensieri, 279)

  15. ambiguità del modo di manifestarsi di Dio al mondo “… Senza Gesù Cristo il mondo non sopravviverebbe, perché sarebbe necessario che venisse distrutto, oppure che fosse come un inferno. Se il mondo esistesse per educare l'uomo di Dio, la sua divinità vi rilucerebbe in ogni parte e in modo incontestabile; ma poiché non esiste che per mezzo di Gesù Cristo e per Gesù Cristo, e per istruire gli uomini sulla loro corruzione e sulla loro redenzione, tutto in esso risplende delle prove di queste due verità. Ciò che in esso appare non rimanda né ad una esclusione totale, né ad una presenza manifesta della divinità, ma alla presenza di un Dio che si cela. Tutto reca questo segno…. “ (Pascal, Pensiero, 556) “ … perché non è vero che tutto riveli Dio, e non è vero che tutto celi Dio. Ma è vero, tutt’insieme, che egli si cela a quelli che lo tentano, e si svela a quelli che lo cercano, perché gli uomini sono, tutt’insieme, indegni di Dio e capaci di Dio; indegni per la loro corruzione, capaci per la loro natura primitiva” (Pascal, Pensiero 557)

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