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Insegnare l’italiano

Insegnare l’italiano. Approccio metodologico, didattica e ruolo del docente nell’insegnamento di lingua italiana come L2 Sala Falcone-Borsellino Istituto Statale Bonomi Mazzolari Mantova - Giovedì 4 marzo 2010 giuseppeballero@yahoo.it. Articolazione del corso. Apprendimento e acquisizione

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Presentation Transcript


  1. Insegnare l’italiano • Approccio metodologico, didattica e ruolo del docente nell’insegnamento di lingua italiana come L2 • Sala Falcone-Borsellino • Istituto Statale Bonomi Mazzolari • Mantova - Giovedì 4 marzo 2010 • giuseppeballero@yahoo.it

  2. Articolazione del corso • Apprendimento e acquisizione • L’approccio metodologico (approccio comunicativo e approccio umanistico-affettivo) • Come affrontare l’insegnamento della grammatica • La scelta del manuale • Il ruolo dell’insegnante e l’effetto Pigmalione • La correzione degli errori

  3. La “sindrome del pendolo”Rielaborazione da P.A. Balboni, 2002 e L. Vignozzi, 2001 • Secondo la “sindrome del pendolo” (M. Celce-Murcia, 1978) la vecchissima querelle tra i docenti (se insegnare la “lingua come sistema” - la “langue” del Saussure - e procedere quindi all’analisi della lingua od invece insegnare la “lingua in atto” - la “parole” del Saussure - e quindi privilegiarne l’uso) si alternerebbe nel tempo oscillando come un pendolo tra i periodi in cui si privilegia la norma e quelli in cui si privilegia l’uso ed in pratica sarebbe dovuta all’altalena delle mode legate al capriccio del momento. • Una lettura del genere risulta però troppo rigida e riduttiva: l’oscillazione pendolare nel tempo tra norma ed uso e tra “grammaticalità” e “testualizzazione”, magari utile come chiave di lettura per comprendere lo sviluppo nel tempo e la successione degli approcci e delle metodologie, dimostra piuttosto il procedere, difficoltoso ma deciso, dell’approccio analitico verso quello pragmatico. • L’andare ed il tornare del pendolo dimostrano infatti un avanzamento glottodidattico, per cui si torna sì a posizioni precedenti ma sempre su di un piano più elevato ed ogni fase lascia tracce che incideranno su quelle successive.

  4. Comenio e Locke • “Fin dall’inizio del corso, i giovani sono trascinati nelle spinose complessità della lingua; voglio dire gli intrichi della grammatica. Ora il metodo scolastico accettato consiste nel cominciare dalla forma invece che dalla sostanza, dalla grammatica piuttosto che dagli autori …” • Comenius (1648) • “Quanto sia importante non dare noia al fanciullo con la grammatica e che sia ben più opportuno parlargli direttamente e fargli leggere ripetutamente un libro facile e piacevole” • Locke (1639)

  5. Krashen (S. Krashen, 1977,1981,1982) • Apprendimento • Acquisizione

  6. Apprendimento (S. Krashen, 1977) • Processo razionale e volontario basato sulla memoria a medio termine: la competenza appresa è una competenza a termine e non definitiva • Competenza che si attiva molto più lentamente del processo reale della comunicazione e quindi non si ha il tempo di farvi ricorso se non come controllo formale • E’ possibile quindi utilizzarla nella produzione scritta, ma non in quella orale • E’ un processo governato dall’emisfero sinistro del cervello (a cui si affidano i compiti di natura analitica, sequenziale, logica)

  7. Acquisizione (S. Krashen, 1977) • Processo inconscio che entra a far parte stabile della competenza comunicativa • Sulla competenza acquisita si basa la produzione linguistica orale • Sfrutta sia le strategie globali dell’emisfero destro del cervello (a cui si affidano i compiti di natura globalistica, simultanea, analogica) sia quelle analitiche dell’emisfero sinistro FILTRO AFFETTIVO

  8. L’approccio comunicativo ed il metodo nozionale-funzionale • Dagli anni ’60/’70; Hymes (competenza comunicativa in contrapposizione alla competenza linguistica del Chomsky); Corder (analisi degli errori); Selinker (interlingua); psicologia della Gestalt; Progetto Lingue Moderne del Consiglio d’Europa (1967) • Il fine non è l’apprendimento della lingua per se stessa, ma la lingua intesa come strumento di comunicazione

  9. L’approccio comunicativo ed il metodo nozionale-funzionale • Il bisogno linguistico dell’alunno è più importante della descrizione esauriente della lingua • Non basta la competenza formale di una lingua, occorre possederne la competenza pragmatica: prevale quindi il valore pragmatico rispetto alla correttezza formale (competenza comunicativa e competenza linguistica) • Il percorso è sempre più marcatamente induttivo • Non più la progressione lineare degli elementi linguistici basata sulla semplicità/complessità grammaticale, bensì sulla base delle funzioni • Il modello operativo è infatti quello dell’unità didattica basata sul problem solving (non più la tradizionale “lezione”) • Le nozioni (“neutro”, “caso”, ecc.)

  10. Approccio comunicativo • CENTRALITÀ DELSIGNIFICATO • TESTOECONTESTOE NON FRASE – Unità didattiche e non lezioni • MATERIALE LINGUISTICOAUTENTICO– Uso dei supporti tecnologici (indispensabile l’audioregistratore, sempre più presenti il video ed il computer) • INPUTRICCO, VARIO, ADEGUATO

  11. Approccio comunicativo • RIFLESSIONESULLA LINGUA - apprendimento tramite scoperta e presentazione ciclica della grammatica (schema vuoto e schema aperto) • INCENTIVAZIONE DELL’USODELL’INTERLINGUA - errore; grammatica dell’attesa (expectancy grammar) • CENTRALITÀ DELLO STUDENTE - ruolo dell’insegnante • STUDIOMOTIVANTEE PIACEVOLE

  12. Approccio umanistico - affettivo • A partire dagli anni ’70 (in Europa dagli ’80); Maslow e Rogers (psicologia umanistica e relazionale); Krashen (acquisizione e apprendimento – filtro affettivo); • E’ un’integrazione ed un perfezionamento dell’approccio comunicativo • Non solo gli aspetti cognitivi ma i fattori che influenzano la capacità di apprendimento dell’individuo

  13. Approccio umanistico - affettivo • Al centro è l’io dello studente, la sua personalità e la sua affettività;“fulcro emorivo” e non solo razionale del suo apprendere. Deve diventare indipendente ed autonomo: solo lui è il responsabile della sua crescita • L’insegnante assume un ruolo defilato di “facilitatore” dell’apprendimento ed uno più marcato di consigliere e punto di riferimento nel rapporto umano • L’attenzione si sposta sul piano psico-linguistico e motivazionale, sulla componente affettiva: l’intervento del docente sarà pertanto calibrato in funzione o compensativa o di rinforzo sia degli atteggiamenti socio-familiari, sia dei fattori emotivo-affettivi dell’alunno • La lingua diventa uno strumento pragmatico di comunicazione in cui la correttezza formale è secondaria

  14. Approccio umanistico -affettivo • Fondamentali quindi: • la relazionalità, il coinvolgimento dello studente • la collaborazione col gruppo classe e l’autorealizzazione in esso (cooperative learning) • il rapporto con l’insegnante: che sarà anche psicologo e animatore, guida e facilitatore rispettando lo stile cognitivo di apprendimento, i tempi ed i ritmi personali e le esperienze di vita del singolo alunno • la rimozione delle fonti d’ansia: particolare attenzione all’atmosfera di classe • la riduzione della competitività: ambiente rilassato • percorsi il più possibile individualizzati

  15. Teacher’s Talking Time(P.E. Balboni, 2002) • La percentuale di tempo usata dal docente sul tempo totale della lezione è una variabile utile per osservare lo stile didattico: • più il docente parla, meno parlano gli studenti; • più il docente parla, meno gli studenti acquisiscono; • più il docente parla, più sottrae tempo alle attività dello studente “Più il docente parla, più risulta evidente che il vero protagonista della lezione non è lo studente bensì il prof.”

  16. Approccio comunicativo • Grammatica sì • Grammatica no

  17. Riflessione sulla linguaA. Villarini, 2000 • Non basta esporsi ad una quantità • adeguata di input in una L2 per far si che • la nostra competenza migliori. • Tra l’input e la competenza dell’apprendente • si frappone, con funzione di filtro e di • riorganizzazione delle informazioni in • entrata, l’attività di riflessione • metalinguistica…

  18. Riflessione sulla lingua • Non è condotta dall’insegnante ma dallo studente (è lui che riflette) con la guida dell’insegnante nella maniera della maieutica socratica (ovviamente nella fase analitica): apprendimento tramite scoperta • Osserva la lingua e le sue forme, ma tratta le regole come meccanismi di funzionamento e non come norme da applicare • Costituisce sempre un punto d’arrivo e mai un’anticipazione: si riflette sempre su quanto è stato visto, letto, esercitato. Quindi sempre dopo aver posto l’allievo in contatto con la struttura e possibilmente dopo averla esercitata

  19. Riflessione sulla lingua • Si applica in uno schema vuoto predisposto per contenere man mano i risultati a cui giunge lo studente e non con degli schemi pieni come si faceva con l’insegnamento della grammatica dove gli schemi erano già compilati e più esaurienti possibile • Si attua su uno schema aperto che mai comprenda tutte le regole e le sottoregole: lo studente formula delle ipotesi, azzarda delle generalizzazioni, verifica le ipotesi attraverso altri testi e riceve conferma dall’insegnante • Regole che soltanto in un secondo tempo potranno essere “sistematizzate” e sarà lo studente stesso ad arrivare a completare uno schema inizialmente vuoto • Si tenta infine di automatizzare la struttura leggendo e ascoltando altri testi e facendo esercizi scritti e orali • Centralità dello studente, attivo e ricercatore, ruolo dell’insegnante Acquisizione più probabile

  20. Riflessione sulla lingua Adattamento da S. Semplici, 2001 • Attenzione alla terminologia (nei manuali): • di solito capitoli intitolati: “Le preposizioni” o “Il verbo avere” o “Strutture della lingua” rimandano a metodi grammatical-traduttivi; • titoli come “E ora la grammatica” o Occhio alla regola” rimandano a metodi situazionali o funzionali; • mentre titoli come “Riflessione grammaticale” o “Osserva e leggi” o “Hai notato?” fanno pensare ad un’impostazione umanistico-affettiva. • “quasi sempre”,“comunemente”, “di solito”: spiegazioni possibilistiche e non perentorie: concetto di forma linguistica come meccanismo di funzionamento • “è obbligatorio”, “sempre” : spiegazioni in forma assolutistica e normativa:ottica purista della lingua

  21. Quale manuale?(M.S. Bigliazzi, 2001) • Parametri di riferimento per la scelta del manuale: • Tipo di approccio e metodologia • Tipo di testi utilizzati • Immagini, se ci sono e che funzione hanno • Attività didattiche • Contenuti e aspetti culturali • Grammatica • Indicazioni per l’insegnante • Autovalutazione

  22. “Effetto Pigmalione”(S. Losi, 2001) • L’idea che una persona ha di un’altra si trasmette a questa anche quando non viene formulata verbalmente: è il cosiddetto “effetto Pigmalione”, prodotto per il 95% da segnali corporei • La forza e la qualità delle aspettative che nutriamo verso un’altra persona sono in grado di influenzare il suo comportamento (“l’avverarsi della profezia”) • Gli insegnanti che hanno aspettative positive nei confronti dei loro alunni riescono a creare un clima socio-emotivo più caldo intorno a loro, danno maggiore feedback circa la qualità delle loro prestazioni, accordano più informazioni, più opportunità di domande e di risposte raggiungendo maggiori risultati

  23. “Effetto Pigmalione”(S. Losi, 2001) • Gli insegnanti che sono convinti di avere di fronte un buon allievo gli sorridono con maggiore frequenza, fanno movimenti di approvazione con la testa, si chinano su di lui e lo guardano più a lungo negli occhi, si esprimono insomma con un linguaggio del corpo positivo, oltre ad essere più portati a lodare lo studente, a correggerne gli errori senza assumere un atteggiamento critico, a stimolarlo quindi maggiormente. • Chi crede di avere alunni dotati insegna di più e meglio • I segnali del corpo trasmessi dal docente devono dare una sensazione di disponibilità e di apertura: movimenti ampi e sciolti e rapidi, busto eretto e leggermente proteso verso gli interlocutori, sguardo attento e diretto, uso generoso di segnali anche non verbali di incoraggiamento

  24. “Effetto Pigmalione”(S. Losi, 2001 - Spagnesi, 2001) • Caratteristiche fondamentali del docente sono dinamismo, spontaneità e delicatezza: un atteggiamento dinamico, vivace e sorridente permette di “dare la sveglia” anche a chi è stanco e svogliato; funziona come tonico per tutta la classe e permette di attivare subito la comunicazione • rendersi più possibile partecipe dell’emotività degli studenti cercando di non frustrarne le attitudini • predisporre attività che coinvolgano coppie o gruppi di studenti • aprirsi con essi facendoli diventare partecipi di qualche propria vicenda personale accattivandosi così la loro simpatia • importanti il timbro della voce, la chiarezza dell’articolazione: tutto questo permette di dare un’immagine di sé gradevole ed armoniosa (cercherà di controllare e correggere la propria pronuncia se troppo marcata in senso diatopico, ma deve essere consapevole che per lo studente è un falso problema)

  25. “Effetto Pigmalione”(S. Losi, 2001) • Necessario dare un’immagine positiva di precisione, efficienza e professionalità: un look trascurato, una borsa sdrucita, una fotocopia sconnessa non possono che trasmettere un’impressione, sia pure ingiustificata, di sciatteria ed approssimazione, trasformandosi in una inconscia condanna che si porta dietro insoddisfazione, sfiducia e scarsa considerazione • Quanto alla lingua con cui si rivolge allo studente (teacher’s talk) essa sarà soggetta ad un processo di semplificazione che non significa (attenzione!) impoverimento linguistico.

  26. Il buon insegnante(N. Prabhu, 1990) • Ciò che distingue un buon insegnante da uno mediocre non è il fatto che uno applichi un buon metodo e l’altro no, ma il fatto che il primo dimostra di essere vivace e operativo e personalmente coinvolto nell’applicazione del suo metodo, mentre il secondo si limita a seguirlo meccanicamente, senza alcun coinvolgimento personale.

  27. La correzione degli errori(Adattamento da M. Mezzadri, 2002 e A. Banucci, 2001) • Concezione diversa degli errori: non più visti come indicazione di fallimento di apprendimento, bensì come strategie di apprendimento • Errore – Sbaglio • Errori formali, errori pragmatici (di uso) • Errori presistematici, quelli occasionali che si presentano prima di conoscere l’esistenza delle strutture • Errori sistematici, prodotti quando l’apprendente tenta di scoprire il funzionamento facendo delle ipotesi • Errori postsistematici, quelli superflui dovuti a distrazione, urgenza, ecc. Verso l’autovalutazione: la consapevolezza dell’errore è fondamentale purché sia una scoperta dell’alunno

  28. “Aiutare” l’apprendente e quindi non provocare inibizione: • Operare in maniera differente se l’attività è focalizzata sul messaggio (e non sul codice) • Aumentare il tempo di attesa • Non interrompere il flusso tematico • Far finta di non aver sentito • Ripetere la frase senza l’errore • Avvisare che c’è un errore nella frase • Invitarlo ad auto-correggersi • Chiedere alla classe di individuare l’errore • È buona abitudine segnare gli errori rilevati alla lavagna e commentarli • Per giungere all’auto-correzione è utile chiedere il perché dell’errore (anche con schede); aiutare lo studente ad ascoltare, comparare, valutare la sua produzione • Correggere di meno • Come correggere lo scritto

  29. Quale italiano?(M. Santipolo, 2001) • Italiano standard • Italiano semistandard (neostandard – substandard - dell’uso medio) • Italiano regionale • Italiano popolare • Gergo giovanile Scritto e orale.

  30. giuseppeballero@yahoo.it • Grazie per l’attenzione

  31. Bibliografia 1 • SANTIPOLO, M. 2003, "Per una ridefinizione del repertorio linguistico degli italiani: dalla descrizione sociolinguistica alla selezione glottodidattica", in ITALS. Didattica e linguistica dell’italiano come lingua straniera, Perugia, Guerra. • LUISE, M.C. 2000, “Storia della glottodidattica del 20° secolo”, modulo on-line per il Master ITALS in didattica e promozione della lingua e della cultura italiana all’estero, consult. nel sito: http://helios.unive.it/~itals/index.htm • S. KRASHEN, 1977,1981,1982, cit. in PALLOTTI, G. 1998, La seconda lingua, Milano, Bompiani, p.191 • DIADORI, P. (cur.) 2001, Insegnare italiano a stranieri, Le Monnier, Firenze • L. SELINKER, 1969, 1972, cit. in PALLOTTI, G. 1998, La seconda lingua, Milano, Bompiani, p. 21. • VILLARINI, A. 2001, La didattica dell’italiano agli immigrati stranieri in Italia e a Roma,in M.Barni, A.Villarini, (cur.) La questione della lingua per gli immigrati stranieri, Milano, Franco Angeli.

  32. Bibliografia 2 • VILLARINI, A. 2001, La didattica dell’italiano agli immigrati stranieri in Italia e a Roma,in M.Barni, A.Villarini, (cur.) La questione della lingua per gli immigrati stranieri, Milano, Franco Angeli. • MEZZADRI, M. 2002, "La correzione degli errori", in In.it, anno 3 N. 1 2/2002, pp. 4-9. • BALBONI, P.E.1994, Didattica dell'italiano a stranieri, Roma, Bonacci. • SANTIPOLO, M. 2003b, "Glottodidattica socio-variazionale dell'italiano come LS. L'approccio socio-glottodidattico", in Dolci, R. e Celentin, P. (cur.) La formazione di base del docente di italiano per stranieri (2a ed.), Roma, Bonacci, pp. 33-41. • CELENTIN, P., 2000, con Serragiotto, G., modulo on-line “Didattica dell’italiano in prospettiva interculturale” per il Master ITALS in didattica e promozione della lingua e della cultura italiana all’estero, consultabile nel sito: http://helios.unive.it/~itals/index.htm

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