1 / 101

La Santa Regola di San Benedetto

La Santa Regola di San Benedetto. Una Sapienza antica per l’Azienda e per l’Uomo contemporaneo. La Santa Regola di San Benedetto - I.

whitney
Download Presentation

La Santa Regola di San Benedetto

An Image/Link below is provided (as is) to download presentation Download Policy: Content on the Website is provided to you AS IS for your information and personal use and may not be sold / licensed / shared on other websites without getting consent from its author. Content is provided to you AS IS for your information and personal use only. Download presentation by click this link. While downloading, if for some reason you are not able to download a presentation, the publisher may have deleted the file from their server. During download, if you can't get a presentation, the file might be deleted by the publisher.

E N D

Presentation Transcript


  1. La Santa Regoladi San Benedetto Una Sapienza antica per l’Azienda e per l’Uomo contemporaneo

  2. La Santa Regola di San Benedetto - I • Stiamo dando inizio a una piccola serie di incontri seminariali, dove si realizzerà un confronto fra un’antica dottrina e le sue possibilità applicative nella contemporaneità dell’ambiente d’impresa. • La metodologia sarà improntata alla proposizione di una serie di concetti e riflessioni su cui sarà essenziale il contributo di tutti i partecipanti.

  3. La Santa Regola di San Benedetto - II • Un Testo antico (VI secolo) di Sapienza sull’Uomo: • Per comprendere meglio l’Uomo. • Per comprendere meglio il Gruppo. • Per costruire un processo virtuoso nel Gruppo.

  4. La Sapienza… • È un qualcosa di sapido, di saporoso, di interessante. • Permette di penetrare nei significati delle cose e delle azioni umane. • Permette, in definitiva, di conoscere l’uomo in tutte le sue manifestazioni evidenti come le parole e le azioni, e nascoste, ma non del tutto (cf. “i segnali deboli”).

  5. Le Virtù “Benedettine” • Le virtù più evidenziate e apprezzate nella lezione del Santo di Norcia, Subiaco e Montecassino, cioè l’umiltà, l’obbedienza (cf. La Santa Regola) e il silenzio, possono essere considerate anche al giorno d’oggi un riferimento eccellente per chi fa impresa, per chi gestisce Risorse Umane, perché l’uomo come struttura e fondamento non cambia, pur nel mutamento dei tempi e dei sistemi collettivi socio-politici ed economici.

  6. L’Uomo - I • L’homo è sempre essenzialmente “quello della pietra e della clava”, è in qualche modo (anche se non sempre) homini lupus (Hobbes) e richiede un continuo ammaestramento. • Il conflitto fra ciò che la natura e gli istinti determinano e il giudizio sull’agire soggettivo libero delle facoltà razionali è sempre presente.

  7. L’Uomo - II • La “scimmia nuda” autocosciente, in altre parole l’uomo stesso, ha bisogno di una diuturna manutenzione morale, per non far prevalere gli effetti (sulle sue azioni) che si possono riferire al patrimonio genetico in comune con il pur nobile silver back e altri cugini meno affini. • In altre parole per rendere sempre più “umani” il pensiero e l’azione della persona.

  8. La Persona • La persona è quasi un ossimoro antropologico, nel frattempo assai prossimo, e pur tuttavia lontanissimo dagli altri animali superiori. • Sappiamo che l’uomo ha bisogno di esercitarsi, sia fisicamente sia psicologicamente per migliorarsi. Se la ginnastica è l’esercizio fisico per eccellenza, la conoscenza e la pratica delle virtù morali è “l’esercizio” per il miglioramento interiore.

  9. Le Virtù Morali - I Le virtù morali che reggono l’intero impianto della struttura psichico-spirituale della persona sono la prudenza, la giustizia, la fortezza (o coraggio) e la temperanza (o equilibrio).

  10. Le Virtù Morali - II • Le Virtù Morali sono la struttura portante dell’Etica umana, fonte di ispirazione delle azioni libere dell’Uomo e criterio di giudizio sulla qualità delle azioni libere stesse. • Contrastano frontalmente i vizi, specialmente quelli principali, come la superbia, l’invidia e la cupidigia.

  11. La Giustizia - I • La Giustizia va coniugata nelle sue tre dimensioni: a) generale, o politico-sociale; b) di scambio, o contrattuale; c) distributiva, o di solidarietà (welfare). Aspetti particolari possono essere considerati anche la magnificenza, la munificenza e la longanimità.

  12. La Giustizia - II • La virtù di giustizia deve essere però sempre aiutata dalla virtù di epichèia, che è un sapere particolare, legato alla virtù di prudenza (nelle dimensioni potenziali della gnome e dell’eubulia), atto ad assumere decisioni ad hoc. L’epichèia è la virtù che permette di affrontare le situazioni particolari, applicando il principio di giustizia secondo esigenze straordinarie.

  13. La Prudenza La Prudenza va scomposta nelle sue parti costitutive: • a) parti soggettive: memoria, intelligenza, docilità, solerzia, razionalità, provvidenza, circospezione, cautela, • b) parti integranti: prudenza individuale, prudenza politica, prudenza economica, prudenza sociale; • c) parti potenziali: eubulia, sinesi, gnome.

  14. La Fortezza • La Fortezza può essere detta anche coraggio. Le parti principali che la costituiscono sono la pazienza, la tenacia o perseveranza e la magnanimità. • Questa è una virtù tipica di chi è disposto a rischiare, come l’imprenditore.

  15. La Temperanza • La Temperanza è strutturata come segue, ovvero ne fanno parte le seguenti virtù: la verecondia, l’onestà, l’astinenza, la sobrietà, la pudicizia, la continenza, l’umiltà, la mansuetudine, la clemenza, la modestia.

  16. Le tre virtù principali - I • le tre virtù principaliper il processo di miglioramento, che devono essere, prima riconosciute, e poi esercitate, sono: • L’Umiltà, che è un sentirsi vicino alla terra (humus), e dunque fallibili e fragili. • L’Obbedienza, che è un mettersi in ascolto (ob-audire), in piedi, e pronti ad agire secondo saggezza e conoscenza (competenze).

  17. Le tre virtù principali - II • Il Silenzio, che non è un vuoto mentale o l’assenza di proposte, ma il momento e il modo che le fa maturare. Collegate al silenzio e funzionale ad esso sono la sobrietà e la proprietà di linguaggio. • I tre concetti dovrebbero essere declinati alla luce, però, di un quarto concetto unificante, quello di Persona, come essererazionale autocosciente libero.

  18. La Leadership - I • Innanzi tutto osserviamo le figure che San Benedetto esamina nella sua regola. • 1. L’abate è la figura trattata che pone, in primis, con grande evidenza, la questione della leadership. San Benedetto insegna che l’autorità non deve essere assoluta, perché anche l’abate deve rispondere a qualcuno, che è il Signore.

  19. La Leadership - II • Potremmo affermare che il leader aziendale, come l’abate, deve analogamente rispondere all’azionista, così come a lui rispondono i manager, che il Santo chiama decani, tra i quali vi è il priore, una sorta di primus inter pares, o di amministratore delegato.

  20. La Leadership - III • 2. Il cellerario, che si occupa dell’economia del monastero, è assimilabile al direttore amministrativo e finanziario dell’azienda moderna. Egli, come il priore deve essere prudente, non smodato nel bere nel mangiare, oculato nell’amministrare. • Il testo della Santa regola giunto fino a noi è ricco di dettagli, perché la cura del dettaglio e dei segnali deboli provenienti dall’organizzazione sono fondamentali per la sua gestione.

  21. La Leadership - IV • 3. Vi è poi il guardiano, che si occupa degli approvvigionamenti e della vendita dei prodotti, senz’altro assimilabile a chi in azienda si occupa degli aspetti logistici, commerciali e del marketing. • San Benedetto raccomanda anche la consultazione dei monaci, che noi possiamo tradurre anche con comunicazione strategica.

  22. Lavoro e Riflessione • Tutti devono sempre sapere dove si sta andando e tutti devono sentirsi coinvolti. San Gregorio Magno, che fu il biografo di Benedetto, sottolineò soprattutto la compenetrazione profonda fra lavoro e preghiera. La preghiera, nell’azienda moderna, potrebbe essere comparata con la riflessione, sia analitica sia sintetica.

  23. Il “Know how” sull’Uomo • I monaci benedettini con il loro motto “Ora et Labora” possiedono dunque da un millennio e mezzo, si può dire, il know how intellettuale e morale di un’organizzazione intrinsecamente sana, perché provvista di una profondissima e attualissima cultura sapienziale sull’uomo, che non può diventare obsoleta, poiché si richiama a ciò che dell’uomo non muta, la sua struttura esistenziale profonda.

  24. La Persona e l’Umiltà - I L’uomo è autonomo e libero, [1] ma deve fare i conti con la propria finitezza naturale, con la parabola della propria crescita, sviluppo e declino fisico (e talora mentale). • Occorre sempre “ricordarsi” (vale a dire richiamare al cuore, e non solo tramite il processo mentale della memoria) ciò che si è e ciò che ci può riguardare: debolezza e coraggio, salute e malattia sono possibilità esistenziali sempre presenti.

  25. La Persona e l’Umiltà - II • Il potere e le disponibilità economiche presenti a livello soggettivo, non impediscono che ogni essere umano rimanga irrimediabilmente e necessariamente “prigioniero” della propria “creaturalità” e del proprio limite. • Occorre anche mettere in subordine la propria volontà (e il proprio orgoglio) quando questa è contraria al conseguimento, con gli altri, del bene comune (il risultato aziendale).

  26. La Persona e l’Umiltà - III • L’umiltà[1] è anche fomite e origine della sobrietà, poiché non vi può essere umiltà se non nella consapevolezza che i mezzi materiali sono da considerare sempre tali, e mai un fine o un modo di autoaffermazione individuale.[2] • L’umiltà è parola fuori moda, desueta, e può dare anche fastidio, ma la sua essenza avvicina l’homo all’humus dell’inizio della vita, all’origine del Tutto.

  27. La Persona e l’Umiltà - IV • Esercitando la virtù di umiltà, vi deve essere l’accettazione dei ruoli diversi, nell’ambito di una gerarchia razionale, non confondendo la nozione della pari dignità tra gli umani[1] con la nozione dell’irriducibile differenziazione intersoggettiva.[2]

  28. Le Opzioni dell’Umiltà Che cosa scegliere?  • Voglio oppure mi piacerebbe? • Io oppure noi? • Non hai capito oppure forse non mi sono spiegato bene? • Io non avrei fatto così oppure non so cosa avrei fatto al posto suo? • Bisogna fare così oppure si potrebbe fare così? • A me non la si fa oppure di solito mi accorgo

  29. I Dodici Gradi dell’Umiltà - I • Fuggire la leggerezza e la dissipazione. • Non seguire immediatamente i propri desideri. • Sottomettersi al superiore in obbedienza. • Accettare la sofferenza in silenzio. • Ammettere i cattivi pensieri e le colpe. • Accontentarsi di quello che si ha senza pretese.

  30. I Dodici Gradi dell’Umiltà - II • Qualificarsi come l’ultimo. • Osservare la Santa Regola senza deflettere. • Tacere osservando il silenzio e rispondere se interrogato. • Non ridere alzando la voce, perché è da stolti. • Esprimersi pacatamente e seriamente. • Essere, non solo apparire umili.

  31. La Persona e l’Obbedienza - I • L’obbedienza è un grande bene perché muove dall’ascolto attivo[1] dell’altro. Ob-audire è un mettersi in stazione dignitosamente eretta di fronte all’interlocutore, apprezzando la sua parola, e, se del caso, seguendone le indicazioni. • L’obbedienza è l’accettazione del limite e della “verità del proprio essere”, ed è salutare come prima manifestazione dell’umiltà.

  32. La Persona e l’Obbedienza - II • L’obbedienza è ancora una virtù, nonostante il suo essere “uscita di moda”, così come l’umiltà. • Bisogna distinguere tra obbedienza e sottomissione, come negli esempi seguenti: soldato/superiore, bambino indifeso/padre violento, vittima/aguzzino, • L’obbedienza autentica, invece, è un “atto di libertà”. Vediamo in che senso: nel senso di un cedere libero e responsabile all’autorevolezza dell’altro.

  33. La Persona e l’Obbedienza - III • È anche una sospensione di giudizio sull’altro al quale si obbedisce, in vista e nell’attesa di conferme dell’autorevolezza. • Chi rischia di più nella dinamica dell’obbedienza è chi la chiede, non chi la pratica. • L’esempio più alto e paradossalmente illuminante è quello del richiesto sacrificio d’Isacco ad Abramo da parte di Dio.[1] Abramo obbedisce senza chiedersi il perché di tale intervento divino. E viene fermato dalla mano dell’Angelo sull’orlo

  34. La Persona e l’Obbedienza - IV • L’obbedienza è dunque una virtù paradossale, rispetto alla nozione corrente della crescita personale e professionale individuale, oggi molto connotata da esigenze urgenti di conseguimento del successo, perché richiede come corollario fondamentale la virtù di pazienza, [1] in altre parole la capacità di attendere che maturi la situazione per poter richiedere, a propria volta, l’obbedienza agli altri.

  35. La Persona e l’Obbedienza - V • L’obbedienza è la capacità di considerarsi con realismo e onestà intellettuale, e di creare le prospettive di un’abitudine[1] a richiederla, dopo averla praticata.

  36. La Persona e l’Obbedienza - VI Il segno più evidentedell’umiltà è l’obbedienza. • Senza dilazionare bisogna agire obbedendo. • Si tratta di rinunciare alla propria volontà facendo quella del superiore (noi diciamo “della struttura” gerarchica). • L’obbedienza deve fare mettere la sordina alla proprie urgenze. • La perfetta esecuzione del lavoro è simbolo dell’accettazione dell’obbedienza. • Occorre abolire la mormorazione, sia della bocca sia del cuore.

  37. La Persona e il Silenzio - I • Il silenzio, si sa, può essere di molti tipi: • vi sono silenzi leggeri e silenzi pesanti, gradevoli e sgradevoli; vi è il silenzio di assenso e il silenzio di dissenso. Il silenzio alto della montagna ispira. Il silenzio rotto dalla risacca marina fa compagnia. • Ma il silenzio non è un “qualcosa che manca”, esso è piuttosto uno spazio/tempo di attesa e maturazione, di ricerca, di apertura e disponibilità al nuovo.

  38. La Persona e il Silenzio - II • Pur essendo una “dimensione di assenza” il silenzio è pieno e fecondo, se vissuto con attenzione: essere attenti è un essere-presenti-senza-ansia e dissipazione energetica. • Il silenzio che c’interessa è quello che favorisce l’introspezione, la meditazione e la riflessione. È la pace della vita interiore, il riposo dei e nei valori più intimi. È presenza, dedizione e premura a se stessi.

  39. La Persona e il Silenzio - III • Il silenzio, perché sia utile, deve essere ricercato liberando la psiche dai turbamenti. Deve così diventare silenzio interiore, anche se vigilante. • Esso deve liberare l’anima dalla molteplicità delle impressioni, delle emozioni e degli eventi, che a volte sono inezie e disturbo, riconducendola all’unità di un sentire meditativo e integrato.

  40. La Persona e il Silenzio - IV • Il silenzio lavora in profondità, scendendo per volute successive, dalla superficie dell’esistenza alla consapevolezza dell’esistere.[1] • Il silenzio interiore va preparato con la disposizione d’animo all’accoglienza umile del proprio limite.[2] Esso rinvia alla condizione primordiale di “prima della parola”.

  41. La Persona e il Silenzio - V • Il silenzio va considerato come la diastole del cuore umano, così come la sistole è il rumore operativo. Oppure come l’inspirazione e l’espirazione dell’aria del sistema polmonare. • Entrambi vita, entrambi indispensabili.[1] • È preferibile frenare la spinta naturale all’eloquio, analizzando bene ciò che si vuol dire. • Le molte parole, infatti, fanno sbagliare.

  42. Commentario tra i Vizi e le Virtù - I • Caritas perfecta mittit timorem, cioè “la carità perfetta scaccia il timore”.[1] Che cosa significa? • Si può intendere in questo modo: se una persona riesce a spogliarsi di tutti gli orpelli dell’egoismo e dell’egocentrismo, concentrandosi sulla propria finitezza e creaturalità, riesce a liberarsi dall’ansia di dare immediate risposte a tutto e a tutti, dalla smania di piacere a tutti costi, e così facendo può liberarsi anche dalla paura.

  43. Commentario tra i Vizi e le Virtù - II • La paura, come sappiamo, è una passione dell’anima che appartiene all’umano, come dimensione quotidiana, e come traiettoria, causa ed effetto nel contempo, del sentimento di provvisorietà esistenziale.

  44. Commentario tra i Vizi e le Virtù - III • Coloro che sono inflati superbia,[1] cioè “gonfiati di superbia”, e soprattutto se sono dei decani, (cioè dei responsabili aziendali) devono essere ripresi per tre volte e poi rimossi dall’incarico. Così anche deve essere fatto per il priore (paragonabile a un direttore generale). Così suggeriva San Benedetto ai suoi abati. E noi che facciamo?

  45. Commentario tra i Vizi e le Virtù - IV • Ricordiamoci che la superbia, la quale, collegata alla vanagloria[1] e all’orgogliomalsano,[2] è il primo e più grave dei vizi capitali, anzi è caput vitiorum, origine di tutti i vizi. Abbiamo innumerevoli esempi di superbia, in ogni ambiente umano e in ogni momento e luogo della storia.[3]

  46. Commentario tra i Vizi e le Virtù - V • I più grandi crimini nascono all’ombra della superbia. In proporzione, si può dire che la superbia crea le condizioni del crimine, o perlomeno dell’imbroglio e dell’offesa agli altri e ai loro beni. Il superbo, in definitiva, pensa che a lui proprio sia tutto concesso, al di là del bene e del male, che valgono normalmente come parametri morali per tutti gli altri.

  47. Commentario tra i Vizi e le Virtù - VI • Si quis frater frequenter correptus pro qualibet culpa, si etiam excommunicatus non emendaverit, acrior ei accedat correptio, id est ut verberum vindicta in eum procedant,[1] cioè “Se un monaco, già ripreso più volte per una qualsiasi colpa, non si correggerà neppure dopo una scomunica, si ricorra a una punizione ancora più severa e cioè al castigo corporale”.

  48. Commentario tra i Vizi e le Virtù - VII • Quando una persona si ostina a sbagliare, insegna la Regola, bisogna adottare un sistema che la porti ad emendarsi, passando per varie fasi. Analogamente, in azienda va ponderato con equilibrio il rapporto che deve esserci fra dimensione della relazione gestionale e dimensione della relazione disciplinare. La prima fase è rappresentata dalla correzione e dal biasimo, mentre la seconda è regolamentata dalle Leggi del lavoro (300/70) e dai Contratti Collettivi. Fino al licenziamento disciplinare, che deve essere attuato.

  49. Commentario tra i Vizi e le Virtù - VIII • Omniaeque omnium sint communia, ut scriptum est, ne quisquam suum aliquid dicat vel praesumat,[1] cioè “Tutto sia comune a tutti, come dice la Scrittura, e nessuno dica o consideri propria qualsiasi cosa”.

  50. Commentario tra i Vizi e le Virtù - IX • Non si tratta certamente di una forma di comunismo ideologico, che potrebbe essere sfruttato per significare come si possa immediatamente applicare un principio del genere ovunque,[1] ma di uno stimolo a non porre mai se stessi al centro, come se si vivesse un delirio di onnipotenza e di insostituibilità. Quello che la Regola sottolinea è l’attenzione e la cura del necessario, l’individuazione del superfluo, il rifiuto di ciò che risulterebbe dannoso per il buon andamento dell’organizzazione.

More Related