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Ultimo atto

Ultimo atto. Violenza di genere. a cura di Graziella Priulla. 2. 2. Si parla finalmente di femminicidio . Si parla ancora troppo poco delle diverse forme che la violenza sulle donne assume, delle sue dinamiche spesso invisibili.

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Presentation Transcript


  1. Ultimo atto Violenza di genere a cura di Graziella Priulla

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  3. Si parla finalmente di femminicidio. Si parla ancora troppo poco delle diverse forme che la violenza sulle donne assume, delle sue dinamiche spesso invisibili. Troppo poco delle diverse strade che tante donne coraggiose intraprendono, riuscendo a reagire interrompendo la spirale della violenza, e riconoscendola  al primo apparire. Troppo poco di come dovremmo collettivamente reagire di fronte a questa barbarie. Perché c’è bisogno di un cambiamento culturale profondo, che attraversi tutta la società.

  4. E’ l’adeguamento - stentato - della lingua a una stortura di millenni

  5. E’una recente categoria di analisi socio-criminologica delle violenze perpetrate nei confronti delle donne entro un rapporto di coppia. E’ un neologismo per indicare ogni forma di violenza posta in essere contro la donna in quanto donna. Inventare nuove parole serve: finché non hanno un nome, le cose sono invisibili Dare un nome a un problema è essenziale sia per far sorgere consapevolezza della sua esistenza, sia per agire. Iniziare a chiamare gli omicidi misogini con il termine femminicidio serve a rimuovere la generalizzazione che deriva dall’uso di parole quali “omicidio” e “uccisione” e comprendere invece i fattori di rischio specifici, la loro diffusione, le modalità per effettuare le indagini. 5 5

  6. Un triste primato Ogni tre giorni in Italia una donna viene uccisa per mano del proprio partner Un fenomeno allarmante per le Nazioni Unite: eppure in Italia è trattato come un reato di scarsa pericolosità sociale, quasi fisiologico e inevitabile. Anche per l’informazione, il reiterarsi di questo crimine fa sì che scenda la soglia di attenzione e che il trattamento della notizia sia ormai scaduto in un racconto di routine. E colpisce la frequenza con cui si usano, per raccontare questi crimini, categorie come "delitto passionale", "raptus di follia", o che si leggano titoli come: "l’ex confessa: l’amavo più della mia vita". "Gelosia", "passione", "amore" diventano facile movente e persino attenuante, che abbassa la soglia dell’allarme sociale, nel silenzio delle famiglie “normali”. 6 6

  7. Nel mondo oltre 600 milioni di donne subiscono violenze sono 6 milioni 743.000 le donne italiane tra i 16 e i 70 anni che hanno subìto almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita 3 milioni 961.000 donne sono state vittime di violenze fisiche (pugni, schiaffi ecc.) 5 milioni (il 23,7%) hanno subìto violenze sessuali le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi e a tutti i ceti

  8. Una mattanza sotto traccia E’ difficile conoscere il fenomeno della violenza dai dati delle statistiche amministrative, essendo le denunce scarsissime. Solo circa il 7% delle violenze, sia fisiche che sessuali da partner o ex-partner sono state denunciate, nel 33% dei casi le vittime non hanno parlato con nessuno della violenza subìta, e soltanto nel 2,8% si sono rivolte ad un Centro antiviolenza. Ricerche nazionali e internazionali hanno evidenziato che 7-8 donne su 10 prima di essere uccise dal loro partner o ex partner avevano subìto maltrattamenti o erano state perseguitate. 9 9

  9. Il sommerso resterà sommerso?Emergerà quando almeno i medici e gli operatori psico-sociali impareranno a cogliere le richieste d’aiuto non esplicite

  10. Troppo spesso gli stereotipi e i pregiudizi, ancora sottesi in tradizioni, istituti, ruoli e realtà sociali attuali, trovano la donna incapace di quella consapevolezza che la condurrebbe a percepirsi nel suo ruolo di vittima quando questo fosse. E’ soggiogata troppe volte anche da una fragilità psicologica che la mantiene passiva, indulgente e tollerante, incline a sopportazione e oblatività come caratteristiche materne e quindi confacenti con il suo ruolo di donna. E’ soggiogata troppo spesso da una sudditanza economica, quando non possa contare sull’efficienza di una rete istituzionale sistemica e coordinata che la protegga e la difenda.

  11. Il giudizio degli altri In molti casi, una donna in condizione di fragilità psicologica subisce l’ulteriore carico del giudizio dei familiari, che sminuiscono la sua condizione di sofferenza con frasi come "Te lo sei sposato e te lo tieni", e delle forze dell’ordine, che spesso scoraggiano quelle che vanno a denunciare: "Signora, è il padre dei suoi figli: ci pensi bene". Per aiutarle a uscire dall’isolamento è dunque importante avvicinarsi loro con cautela e istruire in modo adeguato forze dell’ordine e operatori sociali.

  12. Il discorso pubblico prende forma Solo da pochi decenni abbiamo parole per descrivere questa forma di relazione che è la violenza di un individuo su un altro di genere sessuale diverso. Scostato (strappato) il velo della normalità da quello che per secoli è stato considerato naturalenella relazione tra i sessi, si cominciano a evidenziare e contare le uccisioni che prima rimanevano sullo sfondo della cronaca, quelle di donne da parte di uomini familiari e conoscenti. Prende forma un discorso pubblico intorno al fenomeno della violenza maschile sulle donne; emerge la sua portata. Solo individuando le cause profonde, psicologiche e culturali, della disuguaglianza di genere è possibile affrontare adeguatamente la questione della violenza sulle donne che fortunatamente trova sempre più spazio nel dibattito pubblico.

  13. Da una ricerca svolta nel 2010 nella provincia di Roma: Gli adolescenti si dividono a metà tra i possibilisti e coloro che non accettano la violenza di genere. Uno su tre pensa sia lecito schiaffeggiare una donna e solo poco meno di uno su due ritiene che la gelosia non giustifichi un comportamento violento, continuando a vedere la gelosia come qualcosa di positivo, espressione dell’amore e non della possessività o della prevaricazione. Quasi un adolescente su tre pensa che siano più a rischio le donne «provocanti»: lo stereotipo sottostante è che queste donne siano corresponsabili della violenza che subiscono. Inoltre, l’uomo si deve far valere e deve sempre sapersi imporre: due terzi degli adolescenti ha interiorizzato questa virilità aggressiva.

  14. La rappresentazione mediatica

  15. Vittoria, giugno 2013 Un bidello uccide un’insegnante.  Si scrive che l'assassino era "ferito" dall'"indifferenza" e "freddezza" dell'insegnante, quasi la colpa fosse di quest'ultima.

  16. O la colpa è del caldo?

  17. Titoli di giornale su donne importanti

  18. Maschi vestiti, donne svestite:perché pare normale anche a molte donne?

  19. Paradossi

  20. E le pubblicità, che relazioni umane suggeriscono?E perché i maschi accettano che li si rappresenti così?

  21. Ciò che quasi sempre i media ci rimandano è l’esaltazione di un modello veicolato da volti e corpi selezionati per rispondere a criteri estetici ed ipersessuati: dalla messa in posa, allo sguardo seducente, all’enfatizzazione di dettagli anatomici, fino ai ritocchi e ai rifacimenti che esaltano la perfezione formale. Troppo spesso la pertinenza delle immagini femminili non ha alcun nesso col tema in oggetto; la sola ragione fondante è l’attrattiva sessuale, piegata alle esigenze della comunicazione persuasiva (il sesso fa vendere).

  22. 4 compagnie telefoniche concorrenti 14 offerte diverse in anni diversi UNASOLAIDEAFISSA

  23. Non stiamo dicendo che messaggi come questo provochino direttamente la violenza. Non è così semplice. Trasformare un essere umano in una cosa che è quasi sempre il primo passo per giustificare la violenza contro la persona. Lo vediamo con il razzismo. Lo vediamo con l’omofobia. Lo vediamo con il terrorismo. Nella storia della nostra specie deumanizzare serve a pensare l’altro essere umano incompleto, animale, oggetto. Serve a compiere azioni inaccettabili in un contesto normale. Queste sottrazioni di umanità accompagnano la nostra vita senza che spesso ne abbiamo consapevolezza.

  24. Ti amo,perciò ti uccido L’analisi storica e sociologica aiuta a comprendere. Non è perché gli uomini sono malvagi che alcuni di loro umiliano o uccidono le loro compagne, ma perché la società nel corso dei secoli ha creato in loro la convinzione di essere i legittimi proprietari del corpo femminile e che il loro desiderio fosse il solo a contare. Questa convinzione, costruita socialmente e culturalmente e radicata nella legge, nella letteratura e nei media, crea quello squilibrio di genere che è all’origine della violenza e che deve cambiare. 27 27

  25. Remo Bodei, filosofo: Quali sono le radici della violenza? Possiamo individuarne due. Una viene dal passato, ed è l’eredità della cultura patriarcale secondo la quale la donna deve essere sottomessa al volere del maschio, che sia il padre, il marito o il fidanzato: un essere senza autonomia da educare a cinghiate ogni volta che si ribella. A questa violenza endemica se ne aggiunge un’altra. Molti uomini non riescono ancora ad accettare l’emancipazione femminile, non sopportano l’idea di aver perso autorità sulle compagne. E per ristabilire il loro primato reagiscono in modo violento. È una sottocultura revanscista molto più diffusa di quello che pensiamo.

  26. Possesso Il rapporto con la donna è fortemente segnato dal verbo avere: “ho un moglie”, “ho una ragazza”, “farò di tutto per riaverti”, “sei mia”, “l’ho posseduta” sono forme linguistiche che chiariscono molto più di tante analisi a quale tipo di rapporto siamo stati/e educati/e. La donna “si ha”, e se è negata è legittimo toglierle la vita, romperla come un oggetto.

  27. Chi lavora stabilmente sui casi di violenza spiega come sia indiscutibile che gli uomini che “condividono la subcultura della superiorità maschile” siano più inclini a diventare “partner abusanti”. Così come è dimostrato dai fatti che “le donne portate a concepire per sé un ruolo subalterno” nella coppia/famiglia siano più inclini a subirla e a non denunciarla. L’85% degli uomini che agiscono violenza l’hanno vista perpetrata dai propri padri o familiari.

  28. Dietro gli aspetti più evidenti del potere, sia privato che pubblico, ce ne sono altri invisibili, che passano attraverso l’educazione, la scuola, i saperi, la comunicazione, il linguaggio, la conoscenza che abbiamo di noi stessi e del mondo. In altre parole siamo di fronte a una forma di dominio che è inscritta in tutto l’ordine sociale e opera nell’oscurità dei corpi: cioè attraverso l’immaginario, i sentimenti, le emozioni, gli habitus mentali di uomini e donne.

  29. Imparare a problematizzare la propria identità di genere nel periodo dell’adolescenza è un fattore determinante per poter progettare il proprio futuro - esistenziale, affettivo e lavorativo - al di fuori delle aspettative dominanti sulla maschilità e la femminilità. In questo processo, il mondo della scuola e quello della formazione giocano un ruolo cruciale e sono chiamati a introdurre una prospettiva di genere all’interno delle proprie pratiche educative: un fare educazione che sia in grado di disfare i modelli dominanti di genere offrendo a studenti e studentesse gli strumenti teorici e relazionali necessari a diventare gli uomini e le donne che desiderano.

  30. Gli stereotipi vengono trasmessi e accolti spesso in modo inconsapevole: è quindi importante capire come funziona il meccanismo di trasmissione e renderlo visibile, per poter cambiare i contenuti dei messaggi educativi.

  31. “L'uomo è cacciatore”: meccanismi linguistici e retorici come questo sono la manifestazione della presenza culturale di un numero enorme di pregiudizi e luoghi comuni sui ruoli sociali di ciascun genere. Sono come la parte emersa di un iceberg di sessismi. Che l’uomo non possa stare per un certo tempo senza fare sesso, altrimenti sta male, è una leggenda sessista. Che la donna dica no per dire sì è una leggenda sessista. Che esistano luoghi nei quali la sola presenza indica la propria disponibilità sessuale incondizionata, è una leggenda sessista. Che una donna debba sempre gradire un complimento sul suo aspetto fisico, altrimenti ha qualcosa che non va, è una leggenda sessista. Retoriche e leggende

  32. I precedenti illustri C’è un principio buono che ha creato l’ordine, la luce e l’uomo, e un principio cattivo che ha creato il caos, le tenebre e la donna. Pitagora L’uomo è per natura superiore, la donna inferiore; il primo comanda, l’altra ubbidisce, nell’uno v’è il coraggio della deliberazione, nell’altra quello della subordinazione. Aristotele Chi si affida ad una femmina si affida ai ladri. Esiodo Alla donna il silenzio reca grazia. Sofocle

  33. Antica preghiera del mattino dei maschi ebrei Che tu sia benedetto, o Dio nostro Signore, re dell’Universo, per non avermi fatto nascere gentile. Che tu sia benedetto, o Dio nostro Signore, re dell’Universo, per non avermi fatto nascere schiavo. Che tu sia benedetto, o Dio nostro Signore, re dell’Universo, per non avermi fatto nascere donna.

  34. Il linguaggio 37

  35. Un cortigiano: un uomo che vive a corte Una cortigiana: una donnaccia Un professionista: un uomo che conosce bene la sua professione Una professionista: una donnaccia Un uomo pubblico: un uomo famoso Una donna pubblica: una donnaccia Un uomo di strada: un uomo duro Una donna di strada: una donnaccia Un uomo facile: un uomo col quale è facile vivere Una donna facile: una donnaccia Un intrattenitore: un uomo socievole Un’intrattenitrice: una donnaccia Un uomo molto disponibile: un uomo gentile Una donna molto disponibile: una donnaccia 38 38

  36. Viviamo in una società che insegna alle donne come fare a non essere violentate anziché insegnare agli uomini a non violentare 39 39

  37. Una sottocultura che addossa alla donna un concorso di colpa nella perdita dell’autocontrollo maschile Quante volte abbiamo sentito dire "guarda quella come va in giro, poi si lamenta se la stuprano"? Quante volte abbiamo sentito dire "se l'è cercata"? Quanti commenti odiosi siamo costrette ad ascoltare davanti ad ogni gonna corta, ad ogni maglietta scollata, ad ogni donna che rivendica il suo diritto di vivere la propria vita e la propria sessualità come meglio crede?

  38. Stereotipi sulla violenza di genere (1)‏ Sulle donne … “Va in giro vestita in un modo tale che se l’è cercata!” “Se lui la picchia ci sarà un motivo, no?” “Se lei proprio non voleva, non sarebbe successo” “Si è ricordata di andare dalla polizia troppo tardi, di sicuro non è vero”

  39. Stereotipi sulla violenza di genere (2)‏ Sugli uomini … “Un uomo di fronte ad una donna provocante non può resistere all’istinto” “Gli stupratori sono uomini stranieri oppure tossicodipendenti” “Gli ha fatto violenza perché è malato, un uomo normale non farebbe una cosa così” “Gli uomini sono fatti così, la violenza e la forza sono una loro caratteristica, ogni tanto si lasciano andare”

  40. Stereotipi sulla violenza di genere (3)‏ Sui luoghi … “Le violenze avvengono in strada o in luoghi bui e isolati” “Casa mia è il luogo più sicuro del mondo, non mi può succedere niente” “Sono cose che ti possono succedere con gli estranei, non con le persone che conosci”

  41. Stereotipi sulla violenza di genere (4) Nella tradizione popolare … Picchia tua moglie ogni sera: tu non sai perché lo fai, ma lei lo sa. Buono o cattivo che sia, al cavallo si dà di sprone. Buona o cattiva che sia alla moglie si dà con il bastone. La donna è come la chitarra. Prima la si suona e poi la si appende al chiodo.

  42. Strategie di rivittimizzazione • La negazione: anche le donne talvolta fanno violenza! • La banalizzazione: in fondo sono casi singoli! • La svalutazione: non esageriamo! ci sono problemi più gravi!

  43. La violenza assistita

  44. Secondo dati del 2006 sono state 690mila in Italia le donne che hanno subìto violenze ripetute dal partner e avevano figli al momento della violenza. Il 62,4% ha dichiarato che i figli hanno assistito ad uno o più episodi di violenza. Le piccole vittime di violenza assistita apprendono che l’uso della violenza è normale nelle relazioni affettive. L’aver subìto e/o assistito a maltrattamenti intrafamiliari è tra i maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di comportamenti violenti nella vita adulta.

  45. Gli esiti dannosi dovuti alla violenza familiare si riscontrano anche a lungo terminenella vita adulta: paura, impotenza, colpa, vergogna, bassa autostima, distacco emotivo, depressione, disturbi d’ansia, aggressività, impulsività, passività, dipendenza, somatizzazioni, sintomi dissociativi, suicidio, abuso di sostanze, difficoltà di autoprotezione e tendenza ad essere vittimizzati, difficoltà genitoriali, trascuratezza, violenza fisica, psicologica e sessuale, disturbi di personalità.

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