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Teorie delle audience

Teorie delle audience. Prof. Romana Andò Teoria e analisi delle audience. I Cultural studies. Cultural Studies: un’introduzione. I cultural studies non sono una disciplina accademica come le altre. Non possiedono né una metodologia ben definita, né un campo di indagine chiaramente delineato.

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Teorie delle audience

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Presentation Transcript


  1. Teorie delle audience Prof. Romana Andò Teoria e analisi delle audience Perchè studiare i media?

  2. I Cultural studies

  3. Cultural Studies: un’introduzione • I cultural studies non sono una disciplina accademica come le altre. • Non possiedono né una metodologia ben definita, né un campo di indagine chiaramente delineato. • I cultural studies riguardano, certamente, lo studio della cultura o, più analiticamente, lo studio della cultura contemporanea. (S. During, 2004)

  4. Cultural Studies: impossibili da definire perché… • Cultural Studies oggi non vuol più dire soltanto Scuola di Birmingham: ci sono tradizioni dei Cultural Studies molto differenziate fra loro; • ci sono studiosi che rientrano a pieno titolo nei Cultural Studies pur non sapendolo (Radway); • i Cultural Studies sono interdisciplinari (tra sociologia e semiotica, fra sociologia e l’antropologia post-coloniale, tra criticismo letterario e pensiero marxista, etc.). • i Cultural Studies hanno un’anima etnometodologica e si caratterizzano per la riflessione sui metodi qualitativi (Researching Culture, P. Alasuutari).

  5. Cultural studies: 2 concetti di base • La soggettività (subjectivity): i cultural studies studiano la cultura in relazione alle vite individuali. “la cultura ci aiuta a riconoscere che una qualunque pratica quotidiana (come il leggere) non può essere separata dalla più ampia rete delle altre pratiche quotidiana (come il lavoro, l’orientamento sessuale, la vita familiare)”. (S. During, 2004) • La cultura (culture): “per i cultural studies, “culture” non è un’abbreviazione di “high culture”, considerata un oggetto a valore costante nel tempo e nello spazio”. (S. During, 2004). La cultura è un intero stile di vita, che si compone tanto attraverso le istituzioni e i comportamenti del quotidiano, quanto attraverso l’arte e la letteratura.

  6. La cultura • 1) la cultura conta; • 2) la cultura siamo noi; • 3) la cultura è una pratica; • 4) la cultura è conflitto (perché in alcuni autori è vista come un luogo in cui si scontrano ideologie) [dal manifesto programmatico di Ben Agger] • Da qui, l’attenzione al decentramento dei canoni classici della cultura, e alla produzione, distribuzione e consumo. • Il significato non sta nei testi, ma nemmeno nelle persone che li producono o tanto meno in quelle che li leggono. Il significato sta contemporaneamente in tutte queste componenti.

  7. Di cosa parliamo, quando parliamo di cultura • la cultura è “un orizzonte che recede ogni qualvolta uno gli si approssimi” (S. Benhabib, La rivendicazione dell’identità culturale). • “Che sia così sfuggente non dovrebbe stupire. Parlare della cultura implica infatti un paradosso: • il nostro costituirla come un oggetto di discorso è esso stesso - in quanto discorso, cioè pratica linguistica e culturale - parte dell’oggetto che intende descrivere” (Jedlowsky, Urbino 2007).

  8. Non esistono fatti, se non interpretati (Schutz) • Per Weber la cultura è “una sezione finita dell'infinità priva di senso del divenire del mondo, alla quale è attribuito senso e significato dal punto di vista dell'uomo” • La cultura è ciò che svolge per gli esseri umani la funzione di determinare il significato della vita e delle azioni che in essa sono possibili. • La cultura è ciò che dà forma alla realtà quale la percepiamo e che inquadra le nostre condotte, permettendo al contempo l'elaborazione della nostra esperienza. • La cultura è l'ambito della vita sociale deputato alla mediazione simbolica dell’esistenza (Jedlowsky, Urbino 2007).

  9. Cultura e linguaggio • “le azioni e le relazioni umane prendono forma attraverso una duplice ermeneutica: • identifichiamo ciò che facciamo attraverso la descrizione che ne diamo, la parola e l’atto sono ambedue originari, nel senso che • pressoché ogni azione umana che […] sia socialmente significativa, viene colta come un certo tipo di azione attraverso le descrizioni che gli individui agenti o gli altri ne forniscono” (S. Benhabib)

  10. Cultura come vita • La cultura è indissolubilmente intrecciata con i vissuti e le pratiche degli attori sociali. • La cultura non esiste se non come una "forma di vita" (secondo la celebre espressione di Wiliams, è “a whole way of life”): • studiarla è studiare come le persone danno senso alla realtà e alle cose che fanno, • studiare gli oggetti che li circondano e i modi in cui vivono quotidianamente. • La cultura si riproduce nella vita dei soggetti concreti e da questi viene costantemente riformulata e innovata.

  11. Le origini: l’approccio culturalista

  12. Le origini: la “great tradition” di Leavis • I Cultural Studies nascono come campo di studi negli anni ’50, sulla base delle riflessioni di Frank Raymond Leavis nella rivista “Scrutiny”. • Leavis puntava ad utilizzare il sistema educativo inglese per diffondere la conoscenza e l’apprezzamento della grande tradizione letteraria inglese, contro la minaccia proveniente dalla cultura di massa commercializzata. • Cultura alta educazione.

  13. Cultural studies: tra cultura alta e cultura popolare • L’opposizione alla cultura di massa da parte di Leavis presupponeva la necessità di dimostrare la superiorità (estetica) del canone classico. • Tale dimostrazione passava attraverso l’analisi letteraria dei testi sia della cultura “alta” che di quelli della “cultura popolare”. • Il confronto tra i testi, condotto attraverso il close reading (ovvero l’interpretazione empatica dei testi, sulla base di conoscenze letterarie pregresse), • rappresenta il primo spazio di discussione intellettuale sulla cultura popolare. VS Cultura alta Cultura popolare

  14. Da Leavis ai Cultural Studies • Richard Hoggart e Raymond Williams sono considerati i primi esponenti dei Cultural studies. • Entrambi provenienti dalla classe operaia e entrambi insegnanti interpretarono l’approccio di Leavis in modo ambivalente: • da una parte riconoscevano che i testi letterari inglesi erano più ricchi di quelli della cultura di massa; • dall’altra l’insegnamento di Leavis non trovava punti di contatto con le forme comuni di vita della classe operaia.

  15. Richard Hoggart: The Uses of Literacy (1958) • Questa ambivalenza si trova nel testo di Hoggart (“a schizophrenic book”): • la prima parte è un’esaltazione sentita e sentimentale delle tradizionali comunità industriali degli operai, ancora relativamente non toccate dalla cultura di massa, • la seconda parte è un attacco critico e pratico alla moderna cultura di massa.

  16. Richard Hoggart: The Uses of Literacy (1958) • The Uses of Literacy si concentra sul quotidiano “come categoria culturale della cultura operaia britannica”. • Questa viene descritta come “vita piena e ricca” di rituali del lavoro e del tempo libero, studiata e conosciuta attraverso l’esperienza personale: • il vissuto come base dell’analisi scientifica. • Ad essa si contrappone la cultura di massa americana, accusata di far perdere il carattere di classe e la coscienza comune del proletariato.

  17. Il CCCS di Birmingham • Nel 1964 Hoggart fonda il Birmingham Centre for Contemporary Cultural Studies. • La direzione di Hoggart durerà fino al 1968. • L’interesse per le forme della cultura popolare e per la loro componente politica caratterizza altri due studiosi: R. Williams e E.P. Thompson, anche essi provenienti dall’insegnamento per gli adulti.

  18. Raymond Williams: Culture and Society (1958), The Long Revolution (1961) • Dalla sua prima definizione di cultura come “intero stile di vita […] come modalità di interpretazione delle nostre esperienze comuni”, Williams arriva a concepire la cultura come modo di vivere, che si esprime tanto attraverso le istituzioni e i comportamenti del quotidiano, quanto attraverso l’arte e la letteratura. • I vari elementi della cultura, in relazione tra loro, vengono interpretati come espressioni di una struttura di sentimenti, come valori di un gruppo, una classe, una società … • da leggere come forme culturali.

  19. E. P. Thompson: The Making of the English Working Class (1963) • Alla base del pensiero di Thompson c’è l’idea del conflitto (“whole way of struggle”) tra forme di cultura diverse. • Egli parla di una cultura popolare, attiva in senso anti-egemonico, che deve confrontarsi positivamente con la cultura dominante. • La cultura di massa viene, qui, demonizzata in quanto accusata di eliminare lo spirito di opposizione- ribellione della classe operaia.

  20. Le parole chiave dell’approccio culturalista La great tradition: la cultura alta Il close reading: l’analisi letteraria Il vissuto come base dell’analisi scientifica La cultura come stile di vita La cultura come luogo di conflitto

  21. La tradizione strutturalista: la funzione politica della cultura

  22. La politica in crisi di identità • Thompson aveva indicato che l’identità della classe operaia in quanto classe operaia aveva sempre avuto una forte componente politica e conflittuale, non essendo un prodotto di particolari interessi o valori culturali. • Ma la frammentazione della tradizionale e più antica cultura operaia, tra gli anni ’50 e ’70, mostrava come la gente non si identificava più in quanto soggetti lavoratori e che la dimensione politica dell’identità diveniva sempre meno significativa.

  23. Il ruolo politico della cultura • Negli anni ’70 la cultura comincia, dunque, ad essere indagata dal punto di vista della sua funzione politica. • La cultura viene letta come “ideologia” e come “egemonia”, intendendo con questo concetto una relazione di dominio che non viene vista (e vissuta) come tale da chi la subisce.

  24. L’ideologia nel pensiero di Althusser • Gli individui sono costrutti dell’ideologia. • L’ideologia è l’insieme dei discorsi e delle immagini che costituiscono la conoscenza diffusa degli uomini: il senso comune. • L’ideologia serve allo stato (e al capitalismo) a riprodurre se stesso, senza la minaccia di una rivoluzione. • L’ideologia “cambia ciò che era politico, parziale e aperto al cambiamento in qualcosa che sembri “naturale”, universale ed eterno” (S. During 2004)

  25. L’ideologia dominante • Il ruolo primario dell’ideologia è quello di costruire un ritratto “immaginario” della vita civile all’interno della quale i soggetti sono rappresentati come liberi e unici. • Gli individui accolgono l’ideologia così facilmente perché essa li aiuta a “dare senso” al mondo, • e perché in essa si vedono indipendenti e forti. • Sia nel privato (si veda Lacan e la funzione dell’ideologia in quanto produttrice di false soluzioni alle tensioni private e familiari) • che nella vita politica.

  26. Il senso comune • “sono proprio la sua qualità “spontanea”, la sua trasparenza, la sua “naturalità”, il rifiuto che oppone a far esaminare i principi su cui è fondato, la sua resistenza ai cambiamenti o alle correzioni, il suo effetto di riconoscimento immediato, e il circolo chiuso in cui si muove, che rendono il senso comune simultaneamente “spontaneo” ideologico e inconscio. • tramite il senso comune non si può apprendere come stanno le cose: si può solo scoprire qual è il loro posto nello schema esistente delle cose” (Hall in Hebdige p. 14)

  27. Ideologia: da Marx … • Nell’Ideologia tedesca Marx evidenzia come la struttura economica del capitalismo sia nascosta alla coscienza degli agenti della produzione. • Marx parla in proposito di falsa coscienza.

  28. … ad Althusser • Il concetto di ideologia riguarda • “il rapporto vissuto dagli uomini col loro mondo. • Questo rapporto non si rivela “cosciente” se non a condizione di essere inconscio […]. Nell’ideologia, infatti, gli uomini esprimono non i loro rapporti con le loro condizioni di esistenza, ma il modo in cui vivono i loro rapporti con le loro condizioni di esistenza, la qual cosa suppone al tempo stesso, un rapporto reale e un rapporto “vissuto”, “immaginario”. • L’ideologia è allora l’espressione del rapporto degli uomini col loro “mondo”, ossia l’unità (surdeterminata) del loro rapporto reale e del loro rapporto immaginario con le loro reali condizioni di esistenza” (Althusser 1965)

  29. L’atmosfera della vita umana Perchè studiare i media?

  30. L’ideologia in Althusser • “l’ideologia ha ben poco a che vedere con la “coscienza” […]. Essa è profondamente inconscia […]. • Per lo più sono immagini, a volte anche concetti, ma soprattutto sono strutture e come tali si impongono alla stragrande maggioranza degli uomini senza passare attraverso la loro “coscienza”. • Sono oggetti culturali percepiti-accettati-subiti che agiscono sugli uomini attraverso un processo che sfugge loro” (Althusser in Hebdige, p. 14)

  31. La consapevolezza dell’ideologia • Non si può scegliere di uscire dall’ideologia, ma si può scegliere di • “conoscerla il più approfonditamente possibile, riconoscerla il più in fretta possibile e, attraverso il proprio lavoro interpretativo, sempre e necessariamente incompleto, lavorare per trasformarla” (Spivak 1988, tr. it. p.38)

  32. Dall’ideologia all’egemonia • Il concetto di egemonia, nell’accezione di ideologia dominante (Gramsci 1977), appare in grado di spiegare come la cultura (anche mediale) concorra a perpetuare la società classista dominata da una classe. • Per egemonia si intende un insieme di idee dominanti che permeano una società,ma in modo tale da far sembrare sensato, pacifico e naturale l’assetto vigente di potere. (McQuail 1983) • L’egemonia tende a liquidare l’opposizione allo status quo come dissidenza o devianza

  33. L’egemonia in Gramsci • Secondo Gramsci non è lo Stato a essere responsabile dell’egemonia, ma la società civile, con le sue istituzioni, i sistemi educativi, la famiglia, la chiesa, i mass media e la cultura popolare. • Il consenso è un processo in continuo divenire, frutto di un patteggiamento e non un indottrinamento guidato.

  34. Potere ed egemonia • “il potere, chiaramente, è qualcosa di infinitamente complesso e contraddittorio, non è mai condensato in un unico luogo, circola dappertutto, è diffuso lungo tutto il tessuto sociale. • Come ci ha insegnato Gramsci, un potere che sia capace di inquadrare la società all’interno di un nuovo progetto storico deve operare egemonicamente, deve necessariamente intrecciare i modi di pensare, i media, la cultura, la lingua, la filosofia, l’economia, la cultura popolare, la Chiesa ecc.” (Hall, Mellino, 2007, p.41)

  35. Cultura popolare ed egemonia • La cultura popolare viene intesa come il campo di battaglia su cui i punti di vista dominanti si assicurano la propria egemonia: “un campo di battaglia permanente, i cui parametri sono definiti solo parzialmente dalle condizioni economiche; […] al fine di raggiungere la leadership culturale il gruppo dominante deve impegnarsi in negoziazioni con i gruppi, le classi e valori in opposizione - e queste negoziazioni devono dar luogo a mediazioni autentiche” (Turner 1990)

  36. Gramsci nei Cultural Studies • I CS ritrovano in Gramsci la possibilità di appoggiarsi ad un marxismo non determinista e non economicista, attento al ruolo di istituzioni popolari come la chiesa e a quello degli intellettuali, • capace di tematizzare la cultura come il campo di lotte per l'egemonia fra le classi. • Una prospettiva insomma che riesce a vedere come le classi subalterne siano contemporaneamente influenzate da quelle superiori ma anche capaci di resistere a questa influenza, e come la cultura sia un campo di orientamenti in divenire costante, dove al venir meno di certe "sottoculture" (come quella della classe operaia) corrisponde il sorgere di altre (come quelle giovanili)

  37. La resistenza e l’inglobamento • “L’egemonia non esiste in maniera passiva come forma di dominio. Deve essere costantemente rinnovata, ricreata, difesa e modificata” (Williams 1977). • “La cultura popolare non è la cultura imposta dai teorici della cultura di massa, né un emergere dal basso, spontaneo di una qualche cultura di opposizione […] Piuttosto è un terreno di scambio delle due forze: un terreno […] marcato dalla resistenza e dall’inglobamento”. (Storey 1993, in Grandi 1999)

  38. Il potere: Foucault • L’idea di egemonia non come data a priori dall’alto, ma come terreno di scontro • è vicina al concetto di “potere” di Michel Foucault. • Non esiste un potere unico, dall’alto, ma reti di rapporti di potere. • “come sarebbe indubbiamente facile smantellare il potere, se esso si limitasse a sorvegliare, spiare, sorprendere, proibire e punire. Ma esso incita, suscita, produce; non è semplicemente occhio e orecchio, ma fa agire e parlare” (La vita degli uomini infami, in Archivio Foucault pag. 259)

  39. Il potere: Foucault • Il dominio è stabile e violento. • Il potere è fluido e ribaltabile. • Le azioni degli uomini avvengono all’interno di una rete di poteri e sono esse stesse un modo per ribaltare i rapporti e crearne di nuovi. • Il discorso è il luogo dell’articolazione produttiva del potere e del sapere.

  40. Il discorso: Foucault • Per Foucault il discorso è un insieme di performance verbali, di sequenze di enunciati cui si possono attribuire delle particolari modalità di esistenza. • “così concepito il discorso non è la manifestazione, maestosamente sviluppata di un soggetto che pensa, conosce e dice: si tratta, invece, di un insieme in cui si possono determinare la dispersione del soggetto e la sua discontinuità con se stesso” (L’archeologia del sapere 1971).

  41. I discorsi del potere • “L’analisi del discorso […] può divenire il mezzo attraverso il quale le posizioni ideologiche dei singoli si mostrano e si inseriscono in un contesto sociale, favorendo l’analisi del modo in cui il multiforme uso del linguaggio si interseca con il potere”. • Seguendo Foucault le “relazioni di potere sono mantenute dall’infinita catena di espressioni che “mobilitano” significati nel mondo sociale; […] al modo in cui la storia è prodotta e la società si riproduce” (Bianchi, Demaria, Nergaard, 2002, 16)

  42. Un terreno di scontro • “L’ideologia è così divenuta non solo una ‘forza materiale’ – reale perché è ‘reale’ nei suoi effetti – • ma anche un terreno di scontro (tra definizioni in concorrenza) una scommessa – un premio da vincere – nella attuazione di particolari strategie di lotta” (Hall 1982)

  43. Le parole chiave dell’approccio strutturalista La funzione politica della cultura L’ideologia e l’egemonia Il discorso come luogo dell’articolazione del potere La cultura popolare come campo di battaglia La dimensione ideologica dei media I testi mediali come segni

  44. Stuart Hall e l’ideologia nei media • Con la direzione di Hall del CCCS dal 1968 al 1979, i Cultural studies si arricchiscono del contributo della filosofia post-strutturalista e della psicanalisi post- freudiana, dell’approccio semiotico e dell’antropologia strutturale • contemporaneamente ad una nuova interpretazione del concetto marxista di ideologia. • La cultura, e in particolare i testi mediali, vengono letti come campo di confronto per la definizione dei significati e analizzati in termini di effetti dell’ideologia.

  45. L’ideologia nei media e gli effetti di realtà • La presenza dell'ideologia nei mass media ha come effetto il suo eclissarsi all'interno di messaggi che appaiono come naturali descrizioni della realtà: • 'Vero' significa credibile, o almeno capace di conquistare credibilità in quanto affermazione basata su fatti • Hall parla, in questo caso, di "effetto di realtà“ da cui derivano alcune conseguenze: • la "naturalizzazione" delle rappresentazioni ideologiche del mondo, la polisemicità del linguaggio e il processo di significazione inteso come risultato di un conflitto non riducibile alla lotta di classe, in quanto le forme culturali sono considerate relativamente autonome dalle condizioni economiche.

  46. Gli effetti dell’ideologia • Secondo Hall, l’attività ideologica si presenta come la possibilità dei mass media di definire la linea di demarcazione • “tra spiegazioni preferite ed escluse, • tra comportamenti ammessi e devianti, • tra ‘ciò che è privo di senso’ e ‘ciò che è pieno di senso’ • tra pratiche, significati e valori integrati e di opposizione” (Hall 1979)

  47. L’egemonia e i media • I mass media non definiscono di per sé la realtà, ma danno spazio alle definizioni dei detentori del potere. • I media agiscono per il mantenimento del potere non attraverso “la trasmissione diretta di istruzioni[…] ma grazie alla messa in forma dell’intero ambiente ideologico, un modo di rappresentare l’ordine delle cose […]” (Hall 1982)

  48. L’egemonia e i media • Il ruolo “consensuale” dei media non è più individuato nel loro riflettere un consenso già presente a livello sociale, ma nel partecipare alla costruzione stessa di tale consenso che si articola “liberamente” attorno a definizioni della situazione interne alla “cornice di ciò su cui ciascuno concorda”.(Hall 1982)

  49. Programma come discorso “significato” Codifica Strutture di significato 1 Decodifica Strutture di significato 2 Quadri di conoscenza Relazioni di produzione Infrastrutture tecniche Quadri di conoscenza Relazioni di produzione Infrastrutture tecniche Il processo di comunicazione

  50. Il processo di comunicazione • Il processo comunicativo può essere, a grandi linee, spiegato in questo senso: • alle strutture istituzionali televisive “con le loro pratiche e network produttivi, relazioni organizzate e infrastrutture tecniche, è richiesto di produrre un programma”. • “La produzione, in questo contesto, costruisce il messaggio. Da un certo punto di vista, quindi, il circuito comincia qui” (Hall, Tele-visioni pag. 69)

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