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Seminario di Teologia Politica

Istituto Euromediterraneo Istituto Superiore Di Scienze religiose. Seminario di Teologia Politica. Tempio Pausania, 22-23 Marzo e 19-20 Aprile 2013. La teologia politica del Novecento. Martino Dalla Valle. Programma e obiettivi.

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Presentation Transcript


  1. Istituto Euromediterraneo Istituto Superiore Di Scienze religiose Seminario di Teologia Politica Tempio Pausania, 22-23 Marzo e 19-20 Aprile 2013

  2. La teologia politica del Novecento Martino Dalla Valle

  3. Programma e obiettivi • Dopo un’introduzione di carattere storico-concettuale, seguita da una rassegna delle diverse forme che la teologia politica ha assunto nel corso della storia, ci soffermeremo a esaminare il suo significato per il mondo moderno. • Prenderemo in esame due opposte visioni del problema teologico-politico: da un lato l’imperio del sovrano che ha il compito di arginare la deriva dei tempi, dall’altro la schiera degli oppressi cui la teologia offre l’ultima riserva escatologica. • Due visioni che hanno i nomi rispettivamente di Carl Schmitt e Walter Benjamin e che, secondo Jacob Taubes, altro indiscusso protagonista del dibattito novecentesco, rappresentano non soltanto la più radicale controversia in materia di teologia politica ma anche il drammatico crocevia che ha profondamente segnato il secolo scorso. • Seguendo Taubes, che considerava di vitale importanza ripensare questo luogo eminente del dibattito teologico-politico, tenteremo di comprendere che nella definizione di teologia politica è in gioco niente meno che la possibilità di estendere universalmenteil messaggio di salvezza cristiano.

  4. Paradigmi del moderno “L’angelo della storia” “L’epimeteo cristiano” Walter Benjamin (1892-1940) Carl Schmitt (1888-1985)

  5. IntroduzioneChe cos’è la teologia politica?

  6. La storia del concetto

  7. L’origine del concetto • Una questione di metodo • L’origine del concetto (che è altra cosa dalla fondazione del problema) appartiene alla storia concettuale. • Per comprendere il significato di concetti e lemmi filosofici è necessario ricostruire la loro genesi storica. • L’espressione «teologia politica», nella forma latina Theologia civilis, o greco-latina theologia politike, compare per la prima volta nel quarto libro della Città di Dio di Agostino (354-430).

  8. La condanna di Agostino della teologia “civile” • La teologia “tripartita” è stata poi avversata dagli scrittori cristiani come Tertulliano ed Eusebio di Cesarea, e fissata in forma canonica da Agostino. • Agostino condanna la teologia “tripartita”: come possono coesistere in uno stesso individuo la spiegazione razionale (teologia naturale) con la superstizione (teologia mitica)? • La teologia politica o civile (forma mediana) contraddice la verità della teologia naturale e richiede l’inganno per assoggettare i popoli. • Agostino nomina Quinto Muzio Scevola (150?-82 a.C.), giurista e allievo dello stoico Panezio (180?-110? a.C.), che ha distinto tre categorie di Dei, istituite l’una dai poeti, l’altra dai filosofi e la terza dai governanti (politici) • Marco Terenzio Varrone(116-27 a.C.) ha poi distinto tre tipi di teologia: • mitica (leggendaria) • fisica (naturale) • politica (civile)

  9. Dal Medioevo all’età moderna • Analogamente, Machiavelli (1469-1527), nei Discorsi, riprese l’idea romana della religione civile, da cui fece dipendere la prosperità delle nazioni • Nel Seicento, la formula theologico-politicus, più che un’espressione filosofica, è un termine tecnico della giurisprudenza (non indica la riflessione sul legame tra umano e divino, ma il rapporto giuridico tra ambiti separati, Stato e Chiesa) • La condanna della religione civile da parte di Agostino ha avuto l’effetto di rinviare fino agli inizi del Seicento la riflessione sui rapporti tra religione e politica (teologia politica). • Per tutto il Medioevo la teologia civile rappresentò soltanto uno degli innumerevoli errori del paganesimo. • Nelle fonti medievali non compare mai l’espressione “teologia politica”. • Per un singolare paradossol’epoca più teologico-politica della storia evitò sempre di usare questo nome (è tale nella sostanza, ma non nel nome).

  10. Il Settecento

  11. La “religione civile” di Vico • Giambattista Vico (1668-1744): la sua Scienza nuova si presenta come una teologia politica consapevole («teologia civile ragionata della provvedenza divina»). • Vico modifica la tripartizione di Varrone ponendo che le diverse forme della conoscenza umana, e quindi della teologia, non solo allegorie di una verità originaria (“philosophia perennis”), ma altrettante intuizioni originali e autosufficienti del mondo che hanno dato forma alle diverse epoche della storia. • La Scienza nuova ricostruisce le fasi della transizione dell’umanità da un’epoca, e quindi da un genere di teologia, all’altra (conoscenza della “provvidenza divina”)

  12. La teologia dell’Encyclopédie • Illuminismo: la voce teologia, d’autore anonimo, contenuta nell’Enciclopedia (1751), ricorda la tripartizione di Varrone: • Teologia mitica o favolosa fiorita tra i poeti e che ha per oggetto la teogonia delle divinità pagane • Teologia politica «abbracciata soprattutto dai principi, dai preti e dai popoli come la scienza più utile e necessaria per la sicurezza, la tranquillità e la prosperità dello stato» (ricorda la condanna di Agostino) • Teologia fisica o naturale coltivata dai filosofi come la scienza più conveniente alla natura e alla ragione (deismo)

  13. Rousseau: la “religione dell’uomo” • Rousseau (1712-1778) afferma nel Contratto sociale (1762) che religione e politica «servono da strumento una all’altra». • Affinché il cittadino diventi politicamente razionale, lo Stato deve educarlo per lungo tempo. Questa funzione pedagogica è svolta dalla religione, i cui insegnamenti convincono gli uomini senza violenza • Rousseau distingue però una religione del cittadino, «riconosciuta in un solo paese», con i suoi dei e i suoi patroni tutelari, dalla religione dell’uomo, «senza templi, senza altari, senza riti, limitata al puro culto interiore del Dio supremo e agli eterni doveri della morale». • Dei tre tipi di teologia (civile, naturale e “cristiana”, che è un ibrido dei primi due), Rousseau salva solo quella naturale, la religione dell’uomo (il “vero cristianesimo” del Vangelo)

  14. Kant e Robespierre La religione civile di Rousseau è suscettibile di due sviluppi opposti: La “legge morale” di Kant La “religione politica” di Robespierre I giacobini, al contrario, riducono la teologia naturale a culto politico. L’unico culto è quello razionale della fede civile (teologia naturale). La Convenzione del 7/4/1794 istituì il “culto nazionale dell’Essere Supremo”, voluto da Robespierre (religione politica). • Con Immanuel Kant (1724-1804) si giunge all’estinzionedella religione civile, o fede civica, che appare ormai come superstizione. • Se esiste un’unica vera religione ed essa coincide con i dettami della ragione, allora non è possibile distinguere tra la rivelazione e la ragione. • La ragione si esprime nel diritto (ambito esteriore, pubblico) e nella morale (ambito interiore, privato). • Abbiamo così una scissione tra l’uomoesteriore del diritto (mondo fenomenico) e l’uomointeriore della coscienza (mondo noumenico, cosa in sé, ambito della morale).

  15. L’OttocentoRivoluzione e controrivoluzione

  16. Il concetto di “teologia politica” è una creazione del Novecento, ma ha trovato i suoi predecessori nell’Ottocento, in particolar modo negli scrittori cattolici della controrivoluzione. Controrivoluzione Ateismo, socialismo e anarchismo Ludwig Feuerbach (1804-1872) Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) Karl Marx (1818-1883) Michail Bakunin (1814-1876) Per questi autori, invece, l’analogia strutturale tra teologia e politica svolge una funzione critica e negativa: smascherare l’origineteologica delle argomentazioni politiche per emancipare l’uomo e la società dall’oppressione religiosa. • Louis Gabriel Ambroise De Bonald(1754-1840) • Joseph De Maistre(1753-1821) • Juan Donoso Cortés (1809-1853) • La crisi aperta dalla rivoluzione poteva essere risolta solo ritrovando il nesso tra teologia e politica (analogia tra le forme di governo e i cultio le confessioni religiose)

  17. Il Novecento (1)La teologia politica “classica” Hans Kelsen Il panteismo giuridico Walter Benjamin Il messianismo politico Carl Schmitt La fondazione della teologia politica Karl Löwith Significato e fine della storia Erik Peterson La riserva escatologica

  18. Schmitt: il moderno è nato nel passaggio dalla teologia alla filosofia, dalla religione alla scienza, dall’eternità del tempo sacro alla linearità della storia profana (secolarizzazione). • I termini in gioco in questo schema sono la teologia, la politica e il loro nesso. • A ciascun termine possono essere assegnati valori diversi od opposti, a seconda che si consideri la politica derivata dalla teologia o viceversa, oppure l’una superiore e indipendente dall’altra. • Provando a formalizzare questo discorso, otterremo quattrocombinazioni a cui corrispondono altrettante reazioni novecentesche al teorema schmittiano della secolarizzazione. Carl Schmitt e i suoi critici • Superiorità e indipendenza della politica (Topitsh, Blumenberg, Assmann) • Superiorità e indipendenza della teologia (Gogarten, Peterson) • La politica corrotta dalla teologia (Strauss, Voegelin, Guardini, Löwith) • La politica salvata dalla teologia (Benjamin, Taubes)

  19. Strauss Voegelin Guardini Löwith Topitsh Blumenberg Assmann Schmitt Gogarten Peterson BenjaminTaubes

  20. Il Novecento (2)La nuova teologia politica

  21. La “nuova teologia politica” di Johann Baptsti Metz (1928) e la “teologia della speranza” di Jürgen Moltmann (1926) sono la risposta cristiana sia all’escatologiamaterialista sia al teorema schmittiano della secolarizzazione e del parallelismo tra politica e religione (la “vecchia teologia politica”). L’accento è ora posto sulla natura escatologica e sociale del messaggio evangelico. Karl Barth (1886-1968) e Rudolf Bultmann (1884-1976) avevano già riconosciuto nell’escatologia il tratto fondamentale del cristianesimo, ma facendone un trascendentale dell’esperienza religiosa ne avevano perduto il carattere storico, la realeincombenza. L’immediato precursore è piuttosto Erik Peterson (1890-1960) che con la sua teoria della “riserva escatologica” ha messo al centro della riflessione teologica il tempo della fine. Il richiamo alla fine rimane l’unica possibilità di sottrarre la teologia alla seduzione del secolo. Per preservare la propria identità, la teologia deve rinunciare alla politica e porsi come alternativa radicale al “mondo”.

  22. Il dibattito attuale Il dibattito attuale assume come punto di partenza la “nuova teologia politica” e in particolare la compresenza di escatologia e libertà. Le nuove forme di teologia politica sono il risultato della composizione variabile di questi due principi, escatologia e libertà e si lasciano suddividere in due grandi gruppi. Laddove si insiste di più sull’escatologia si può parlare di “teologia dell’esodo”, prendendo a prestito l’espressione da Armido Rizzi. Dove, invece, prevale il tema della libertà parliamo di “teologia della liberazione”o, in generale, di “teologiadell’emancipazione”.

  23. Teologie dell’emancipazione Teologie dell’esodo La «teologia dell’esodo» di Armido Rizzi (1933) che radicalizza il principio escatologico. La «teologia politica estrema» di Riccardo Panattoni (1928), che ripensa il messianismo politico di Walter Benjamin. • Teologia della liberazione. Nel 1971 Gustavo Gutiérrez (1928) pubblica l’opera omonima. Alla base della T.L. vi è la dottrina della Communicatio idiomatum fissata dal concilio di Calcedonia (451): Gesù è pienamenteuomoe Cristo. Perciò il credente non può rifiutare il mondo ma deve agire per il riscatto dei poveri. • Teologia politica nera (asiatica, europea). • Teologia femminista (feminist, womanist, latina). Figura centrale è Dorothee Sölle (1929-2003): contro la “visione costantiniana” di Schmitt bisogna ripensare il concetto di teologia politica che ha separato fede e libertà. Fede storica e azione sociale coincidono. La teologia politica deve diventare “ortoprassi”.

  24. La fondazione del problema

  25. La teologia politica di Paolo • È Paolo il primo a dare compiuta espressione razionale alla teologia. Egli rielaborò il primitivo contenuto “mitico” delle comunità cristiane nella prima consapevole teologia cristiana. • Le sue tesi sono concentrate soprattutto nella celebre Lettera ai romani. • Le letture riformistiche e controriformistiche hanno privilegiato l’aspetto teologico perdendo di vista il contesto storico. • La recente esegesi biblica (“Nuova prospettiva su Paolo”, Sanders, Horsley, Dunn) considera invece le sue dottrine sullo sfondo della Palestina del I° sec e alla luce delle relazioni tra ebraismo e protocristianesimo.

  26. L’azione di Paolo appare così come un’alternativateologicaglobale al dominio dell’impero, un progetto antimperiale (su questo aspetto insiste molto Jacob Taubes nelle sue lezioni sulla teologia politica di Paolo). • Paolo parla e si comporta come il “legato” di un nuovo regno a venire. • Sono tre i momenti caratterizzanti della sua teologia politica: • Trascendenza • Cristologia • Escatologia

  27. Il Regno di Dio è un’alternativa al regno di Cesare, qualcosa che lo sostituirà trascendendolo. • Il mondo è percorso da una profonda frattura poiché il peccato ha privato l’uomo dell’immagine di Dio e lo ha lasciato preda della carne (Rm 3, 9-20). • Tutti gli uomini sono peccatori, nessuno è giusto. La legge agisce come un inesorabile strumento di condanna (2,15). • Solo l’incarnazione del Figlio permette all’uomo di restaurare l’originaria immagine divina (8, 1-4) e di essere giustificato (3,26). • Tra l’impero del peccato e il mondo redento esiste un’alternativa drastica. Dio, inviando il Figlio, non riunisce la terra e il cielo, non salva la carne, bensì la condanna, la distrugge e inaugura un regno dello spirito che la trascende (8, 3-6). La vera città dei cristiani, infatti, è in cielo (Fil 3, 20). • Il tempo è fratto in un età del falso e in un’era del vero. Nella natura non abita Dio, ma c’è solo morte. Vera vita sarà solo nel tempo a venire. • L’escatologia di Paolo rappresenta dunque una totale negazione del mondo dato (Rm 6, 4; 12, 2; Ef 2, 15; 4, 17-24). Dio scende sulla terra per annichilirla. Il controimpero di Gesù sovvertirà dalle fondamenta l’impero di Cesare. 1. La trascendenza

  28. 2. La cristologia • Una “cristologia fondamentale”: Gesù non è solo un messia chiamato a liberare Israele ma il vero Figlio di Dio, signore e Cristo (Fil 2, 5-11). Gesù è il mediatore tra Dio e uomo. • Facendosi uomo e morendo sulla croce ha annientato la morte unendola alla natura divina (Ef 1,7). • Il suo sacrificio ha reso possibile la trasformazione della carne in spirito. • Solo il sacrificio di Gesù può giustificare l’uomo e fondare la comunità dei fedeli (Rm 3, 26). • Come la croce ha riunito gli uomini a Dio, così la Chiesa si riunisce attorno al Cristo solo per mezzo della croce. • La croce diventa così il fondamento della cristologia paolina. • La Chiesa è depositaria e custode della promessa di salvezza contenuta nella croce. • Dalla cristologia discende una ecclesiologia escatologica.

  29. Paolo rielabora l’idea biblica di una storia della salvezza, stando alla quale Dio un disegno sia per l’uomo sia per il creato (Cfr. Rm. 8, 19-20). • Il piano divino introduce però una differenza tra gli uomini: non tutti saranno salvati, ma solo coloro che hanno avuto la grazia di conoscere l’annuncio (Rm 9, 11). • Le opere buone non sono sufficienti per la salvezza se non sono accompagnate dalla fede. • Tuttavia, l’imperscrutabile volere di Dio ha concesso tale conoscenza solo a una parte dell’umanità che dunque è stata chiamata a essere popolo di Dio (Ef 1, 11; 2Tm 1, 9). • Il piano divino implica anche una dimensione cosmica perché fin dall’eternità deve essere presente in Dio il proposito misterioso che si è rivelato in Gesù Cristo. • Il momento centrale di questo disegno di salvezza è il sacrificio del Figlio (Rm 3, 25). • L’escatologia è imperniata sulla cristologia del sacrificio eucaristico. 3. L’escatologia

  30. La teologia politica dopo Paolo Dopo Paolo, la teologia politica cristiana ha prodotto tre diversimodelli o paradigmi che sono altrettanti tentativi di determinare i rapporti tra Dio, la Chiesa e l’Impero, cioè tra le supreme auctoritates del Medioevo. Se, infatti, «non c’è autorità se non da Dio» (Rm 13), allora dev’esserci un qualche nesso di necessità tra il volere divino e l’esistenza degli ordinamenti umani (come l’Impero). Il problema è stabilire l’ordine e la gerarchia dei poteri: Dio, Chiesa e Impero possono dare vita a tre differenti rapporti che costituiscono altrettanti modelli di teologia politica.

  31. Le tre forme di teologia politica dell’età medievale

  32. La teologia politica di Hobbes • Fino a Thomas Hobbes (1588-1679) la riflessione teologico-politica si mosse nell’alveo tracciato dalle tre opzioni tardo antiche. • Benché egli fosse debitore del primo tra i modelli tradizionali (secondo cui spetta unicamente al re di rappresentare l’intero ordine politico), tuttavia egli scardinò l’impianto tradizionale della teologia politica. • Fino ad Hobbes nessuno aveva messo in dubbio che esistesse un ordine trascendente. Il dissenso nasceva piuttosto quando si doveva stabilire come quest’ordine agisse e a chi spettasse rappresentarlo. • Hobbes mise in questione il punto di partenza: l’ordine politico non doveva più essere costruito in riferimento alla trascendenza (a principi super- o transumani), ma doveva essere del tutto secolare.

  33. Hobbes e la secolarizzazione La secolarizzazione della società è l’atto fondante della moderna teologia politica. Teologia politica dell’assenza: in un orizzonte compiutamente secolarizzato o sdivinizzato, “nichilistico”, l’ordine divino o trascendente è presente solo come assoluta mancanza. Dio non interviene più nella storia e agisce solo attraverso le leggi di natura. Il compito della nuova scienza politica è costruire l’ordine sociale in un ambito puramente umano e secolare. La società diventa un costrutto artificiale, una “macchina” operante secondo degli automatismi dettati dalla tecnologia del concetto che ha realizzato lo Stato moderno(sovranità, patto sociale e rappresentanza). Il contenuto della religione è la professione di fede: «Gesù è il Cristo». Non è una regola per il governo di questa terra, ma ha solo valore escatologico.

  34. Prima parteLa teologia politica di Carl Schmitt

  35. Teologia politica Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità (1922) • Premessa alla seconda edizione (1933) • 1. Definizione della sovranità • 2. Il problema della sovranità come problema della forma giuridica e della decisione • 3. Teologia politica • 4. La filosofia dello Stato della Controrivoluzione (De Maistre, Bonald, Donoso Cortés)

  36. 1. Definizione della sovranità Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione

  37. Sovranità e stato d’eccezione Il concetto di sovranità è di un «concetto limite». Concetto limite è un concetto relativo alla «sfera più estrema» (lo “stato di eccezione” in quanto istituto giuridico). Per definire correttamente la sovranità non bisogna fare riferimento al caso normale, cioè alle norme vigenti (normalità), ma al «caso limite» (appunto lo stato d’eccezione). Il fatto che il caso limite sia appropriato alla definizione della sovranità ha una ragione sistematica, di logica giuridica: «la decisione intorno all’eccezione è infatti decisione in senso eminente» (p. 33).

  38. Eccezione e decisione • Una norma generale, contenuta nell’articolo di legge normalmente vigente, non può mai comprendere un’eccezione assoluta, poiché una decisione in senso giuridico deve poter essere derivata dal contenuto di una norma (liberalismo, Stato di diritto). • Ma proprio qui sta il problema: il caso d’eccezione è precisamente il caso non descritto nell’ordinamento giuridico vigente e nessuna norma può essere applicata al caos (p. 39). • Può essere descritto in generale come caso d’emergenza (minaccia per l’esistenza dello Stato o simili), ma non può essere descritto con riferimento alla situazione di fatto che resta imprevedibile e indeterminata (non è possibile prevedere il contenuto dell’eccezione né predisporre il suo superamento) • L’eccezione, dunque, solleva la questione della sovranità: chi decide sullo stato d’eccezione? Chi decide ad esempio quando sussiste l’emergenza? Chi ha competenza là dove non sussiste nessuna competenza e non ci sono norme da cui derivare la decisione poiché l’ordinamento vigente è sospeso?

  39. Chi è il Sovrano? • Nella situazione d’emergenza (l’“estremus necessitatis casus” della giurisprudenza del XVI sec.), la costituzione può indicare al massimo chi può agire in questo caso. • Ma se quest’azione non è sottoposta a nessun controllo, né ripartita tra le diverse istanze dello Stato, allora «diventa automaticamente chiaro chi è il sovrano» (p. 34). • Sovrano è chi «decide tanto sul fatto se sussista il caso estremo di emergenza, quanto sul fatto di che cosa si debba fare per superarlo» (ibid.). • Perciò il Sovrano, se da un lato appartiene all’ordinamento giuridico vigente (poiché tocca a lui decidere la sospensione della costituzione), tuttavia, dall’altro, ne è al di fuori perché non deriva la sua autorità da nulla. • «L’ordinamento giuridico, come ogni altro ordine, risposa su una decisione e non su una norma» (p. 37). • Per applicare una norma bisogna ristabilire l’ordine, creare una situazione “normale”. «Sovrano è colui che decide in modo definitivo se questo stato di normalità regna davvero» (p. 39) • L’essenza della sovranità è il monopolio della decisione (p. 40).

  40. La moderna giurisprudenza dello Stato di diritto, al contrario, ha sempre teso ad escludere un tale concetto di Sovrano (uno su tutti Kelsen e il moderno liberalismo). • La tendenza del diritto puro (positivismo giuridico) a regolare dettagliatamente lo stato d’eccezione si imbatte nella seguente contraddizione: descrivere il caso in cui il diritto si sospende da sé. • «Da dove ricava questa forza il diritto?». E «com’è logicamente possibile che una norma valga con l’eccezione di un caso concreto, che essa peraltro non è in grado facilmente di prevedere nella sua esplicazione di fatto?» (p. 40). • Se per il razionalismo (filosofico e giuridico) «l’eccezione non dimostra nulla e solo la normalità può essere oggetto di interesse scientifico», per Schmitt, al contrario, il caso normale non «prova nulla, l’eccezione prova tutto» (p. 41). • Non solo l’eccezione conferma la regola: «la regola stessa vive solo dell’eccezione». Nell’eccezione, la forza della vita reale rompe la crosta di una meccanica irrigidita nella ripetizione» (p. 41). • A differenza del razionalismo e del positivismo, una filosofia della vita concreta non può ritrarsi davanti all’eccezione e al caso estremo La critica allo Stato di diritto

  41. 2. Il problema della sovranità come problema della forma giuridica e della decisione Ciò che importa è chi decide

  42. Sovranità e potere assoluto • Il concetto di sovranità nasce con Jean Bodin (1529-1596) nel contesto della definitiva trasformazione dell’Europa in Stati nazionali e delle lotte del principe con i ceti. • «Per sovranità si intende quel potere assoluto e perpetuo che è proprio dello stato» (Bodin, I sei libri dello Stato). • L’antica definizione (“la sovranità è il potere supremo”) si scontra però con la realtà: «nella realtà politica non esiste un potere supremo, cioè più grande di tutti, irresistibile e funzionante con la sicurezza della legge di natura» (p. 44). • Rousseau aveva già avvertito che la forza non prova nulla per il diritto: «la forza è un potere fisico; la pistola del brigante è anch’essa un potere».

  43. Forma e potere • Il problema di fondo della sovranità è allora «la conciliazione del potere supremo di fatto e di diritto» (p. 44), o, in altre parole, quello della sua formagiuridica. • La moderna teoria liberale dello Stato di diritto (Kelsen) tende invece a separare sociologia e giurisprudenza, dato sociologico (“impuro”) e dato giuridico (“puro”). • Secondo Kelsen il fondamento di una norma può essere solo un’altra norma (scienza del “diritto puro”). • Kelsen nega così lo Stato. Sovrano non è più lo Stato, bensì il diritto. Non lo Stato, ma il diritto deve avere il potere. • La teoria moderna dello Stato riduce lo Stato alla produzione del diritto (p. 49)

  44. Autorità e persona • «Kelsen risolve il problema del concetto di sovranità semplicemente negandolo. La sua conclusione è che bisogna eliminare il concetto di sovranità (p. 47). • La teoria liberale dello Stato è «mitologia semantica». Su che cosa, infatti, riposa il potere di una norma se non «su una disposizione positiva, cioè su un comando»? (p. 46). Il concetto di sovranità resta inaggirabile. • Kelsen rifiuta il soggettivismo e il personalismo del comando, ai quali intende sostituire l’oggettività e impersonalità della norma. • Egli mostra così di ignorare il nesso profondo e sistematico che lega la personalità all’autorità formale. Ignora cioè l’essenza della decisione giuridica. • La forza giuridica di una norma non deriva dalla norma stessa, dal suo contenuto, ma da una decisione.

  45. L’essenza della decisione • Nell’applicazione del diritto sussiste un momento di indifferenza contenutistica, cioè un momento che non può essere dedotto dal contenuto normativo dell’idea giuridica, poiché «la conclusione giuridica non è deducibile fino in fondo dalla sue premesse, e la circostanza che una decisione è necessaria resta un momento determinante di per sé» (p. 55). • «In senso normativo, la decisione è nata da un nulla» (p. 56). • «La legge non dice a chi dà l’autorità. […] Dice solo come si deve decidere, non anche chi deve decidere» (p. 57). • «Ciò che importa dunque è chi decide» (p. 58). L’ultima parola non spetta alla norma, ma al legislatore, al sovrano. • Il senso del decisionismo (Hobbes) è: «Auctoritas, non veritas facit legem» (p. 57). • In conclusione, il problema della forma giuridica è il «contrasto fra soggetto e contenuto della decisione» (pp. 58-59).

  46. 3. Teologia politica Tutti i concetti giuridici sono concetti teologici secolarizzati.

  47. L’analogia di teologia e politica • «Tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati» (p. 61). Non sono affatto concetti originali, bensì il prodotto della secolarizzazione dei concetti teologici. • «Solo con la consapevolezza di questa situazione di analogia si può comprendere lo sviluppo subito dalle idee della filosofia dello Stato negli ultimi secoli» (p. 61). • L’analogia vale sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista filosofico o sistematico. • Nel primo caso, diremo che lo sviluppo storico dei concetti politici è consistito nel loro passaggio dall’ambito della teologia a quello della dottrina dello stato. • L’analogia non è però solo esteriore, storica, fattuale, ma anche interna, strutturale, sistematica. Esiste cioè un’identità perfetta tra epoca e metafisica, tra struttura concettuale e organizzazione sociale (p. 69).

  48. Alcuni esempi di analogia • il Dio onnipotente è diventato il monarca assoluto. • Lo stato di eccezione ha per la giurisprudenza un significato analogo al miracolo per la teologia. • L’idea del moderno Stato di diritto si realizza con il deismo e il razionalismo illuministi, cioè con una teologia e una metafisica che escludono il miracolo (cioè lo stato di eccezione). • Il teismo degli autori conservatori della controrivoluzione riafferma la sovranità personale del monarca (fino al caso di Donoco Cortés che teorizza la necessità della dittatura). • Nel XIX° sec., l’accantonamento delle concezioni teistiche e trascendenti si accompagna alla costruzione immanentistica di un diritto positivo (“positivismo”). • Oggi la democrazia è l’espressione di una scientificità relativista e impersonale (p. 71).

  49. L’identità di epoca e metafisica • Determinare l’identità tra metafisica ed epoca è compito della sociologica dei concetti giuridici. • Ma come dev’essere intesa questa identità? • Bisogna evitare le due opposte spiegazioni del materialismo e dello spiritualismo. Il materialismo appiattisce la sfera spirituale su quella materiale, e riduce la prima a “riflesso”, “rispecchiamento”, “travestimento” dei rapporti economici. Lo spiritualismo, al contrario, spiega i rivolgimenti della storia con i mutamenti della concezione del mondo. In entrambi i casi si procede alla «riduzione di una delle due sfere all’altra» (p. 67). • Per Schmitt, invece, esse devono essere intese come «due identità spirituali, e tuttavia sostanziali» (p. 68), e il compito della sociologia dei concetti è rintracciarne il nesso sistematico, ovvero l’identità di struttura. Il quadro metafisico di un’epoca ha, infatti, la stessa struttura ultima della sua organizzazione politica (p. 69).

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