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ELIMINAZIONE DI OGNI FORMA DI DISCRIMINAZIONE NEI CONFRONTI DELLA DONNA DONNA E ISLAM: lo Chador IL RUOLO DELLA DONN

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ELIMINAZIONE DI OGNI FORMA DI DISCRIMINAZIONE NEI CONFRONTI DELLA DONNA DONNA E ISLAM: lo Chador IL RUOLO DELLA DONN

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Presentation Transcript


    1. ELIMINAZIONE DI OGNI FORMA DI DISCRIMINAZIONE NEI CONFRONTI DELLA DONNA DONNA E ISLAM: lo Chador IL RUOLO DELLA DONNA IN OCCIDENTE: la maternità L’INFIBULAZIONE LA DONNA ESTERA IMMIGRATA DONNE:POLITICA E LAVORO

    2. ELIMINAZIONE DI OGNI FORMA DI DISCRIMINAZIONE NEI CONFRONTI DELLA DONNA ALESSANDRA & PAOLA

    3. PROSTITUZIONE:l’attività che prevede degli atti sessuali prestati dietro pagamento.Il pagare non consiste necessariamente in una transizione monetaria, ma può assumere la forma di un luogo dove abitare,qualcosa da mangiare,sostanze stupefacenti o altre forme di pagamento in natura.Per molte donne di strada la prostituzione costituisce uno dei principali mezzi di sopravvivenza.

    4. Ogni anno 1-2 milioni di donne vengono fatte migrare clandestinamente da trafficanti ed organizzazioni dedite allo sfruttamento della prostituzione.Molte donne lasciano il loro paese attratte dalle promesse dei trafficanti e raggiungono il loro paese di destinazione illegalmente.Arrivate si trovano nel circuito della prostituzione. Queste donne provengono principalmente dal Sud America,Africa,Asia ed Est Europeo.

    5. La prostituzione e la mafia albanese La terribile vicenda di donne che vengono avviate alla prostituzione dalla mafia albanese.

    6. CONVENZIONE SULL'ELIMINAZIONE DI OGNI FORMA DI DISCRIMINAZIONE NEI CONFRONTI DELLA DONNA

    7. Articolo 1 Ai fini della presente Convenzione, l'espressione "discriminazione nei confronti della donna" concerne ogni distinzione esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o distruggere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio da parte delle donne, quale che sia il loro stato matrimoniale, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo, su base di parità tra l'uomo e la donna.

    8. Articolo 2 Gli Stati parti condannano la discriminazione nei confronti della donna in ogni sua forma, convengono di perseguire, con ogni mezzo appropriato e senza indugio, una politica tendente ad eliminare la discriminazione nei confronti della donna, e, a questo scopo, si impegnano a:

    9. Articolo 3 Gli Stati parti prendono in ogni campo, ed in particolare nei campi politico, sociale, economico e culturale, ogni misura adeguata, incluse le disposizioni legislative, al fine di assicurare il pieno sviluppo ed il progresso delle donne, e di garantire loro su una base di piena parità con gli uomini, l'esercizio e il godimento dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali

    10. Articolo 4 L'adozione, da parte degli Stati, di misure temporanee speciali, tendenti ad accelerare il processo di instaurazione di fatto dell'eguaglianza tra gli uomini e le donne non è considerato atto discriminatorio, secondo la definizione della presente Convenzione, ma non deve assolutamente dar luogo al permanere di norme ineguali o distinte; suddette misure devono essere abrogate non appena gli obiettivi in materia di uguaglianza, di opportunità e di trattamento, siano raggiunti. L'adozione da parte degli Stati di misure speciali, comprese le misure previste dalla presente Convenzione, tendenti a proteggere la maternità, non è considerata un atto discriminatorio.

    11. Articolo 5 Gli Stati prendono ogni misura adeguata al fine di modificare gli schemi ed i modelli di comportamento socioculturale degli uomini e delle donne e di giungere ad una eliminazione dei pregiudizi e delle pratiche consuetudinarie o di altro genere, che siano basate sulla convinzione dell'inferiorità o della superiorità dell'uno o dell'altro sesso o sull'idea di ruoli stereotipati degli uomini e delle donne al fine di far sì che l'educazione familiare contribuisca alla comprensione che la maternità è una funzione sociale e che uomini e donne hanno responsabilità comuni nella cura di allevare i figli e di assicurare il loro sviluppo, restando inteso che l'interesse dei figli è in ogni caso la considerazione principale.

    12. Articolo 6 Gli Stati prendono ogni misura adeguata, comprese le disposizioni legislative, per reprimere, in ogni sua forma, il traffico e lo sfruttamento della prostituzione delle donne.

    13. DONNA E ISLAM: lo Chador Silvia Loddo e Alessandra Monni

    14. INTRODUZIONE Il problema della posizione della donna è fondamentale: infatti determina fortemente la vita di ogni giorno, dà veramente il tono di una società e di una cultura.

    15. IL VELO ISLAMICO Negli ultimi anni è diventato veramente il pomo della discordia, un simbolo di identità contestato o difeso .

    16. Sura XXIV An-Nûr V. 31 (La Luce) Nel Corano è previsto un velo, in arabo Higiab: letteralmente "copertura", che viene tradotto con velo e in francese talvolta anche con "foulard”. <<E di' alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi sì da mostrare gli ornamenti che celano.>>

    17. l'ultima parte della citazione accenna al divieto per le donne di battere i piedi: basandosi su di essa i talebani dell'Afganistan imponevano alle donne di camminare senza far rumore ,forse in riferimento all’ebraismo che identificava le donne che attiravano l’attenzione in prostitute.

    18. Nell'ambito islamico si è diffuso l’uso del velo perché la donna non doveva mostrarsi in pubblico e quando lo faceva si doveva coprire il più possibile.

    19. alcuni coprono i capelli, altri coprono anche il viso (chador iraniano)

    20. e altri ancora coprono tutto il corpo (burqa afgano).

    21. legislazione italiana Non esistono disposizioni specifiche sul velo islamico nella legislazione italiana.

    22. L'articolo 85 del Testo unico della legge di pubblica sicurezza (decreto regio 18 giugno 1931, n. 773) vieta di "comparire mascherati in luogo pubblico" e prevede per i trasgressori una "sanzione amministrativa". Chi, invitato a farsi identificare, rifiuti di farlo, è punito con un'ulteriore ammenda.

    23. L'articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533 (Disposizioni in materia di ordine pubblico) vieta invece l'uso di caschi protettivi, o di "qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo". Per chi trasgredisce è previsto l'arresto da sei a dodici mesi e una sanzione amministrativa. A norma di legge, dunque, indumenti come il burqa (velo integrale) e niqab (velo che lascia una fessura solo per gli occhi) non sarebbero utilizzabili, perché non consentono l'identificazione della persona.

    24. La carta d'identità. Una circolare del ministero dell'interno del 24 luglio 2000 (sui permessi di soggiorno), inviata a tutti i questori e alle prefetture d'Italia, a firma del capo della polizia Gianni De Gennaro, chiarisce che per il rilascio delle carte di identità sono permesse le fotografie col capo coperto ma con i tratti del viso ben visibili.

    25. Nel quarto capoverso, la circolare recita: "Con circolare del 14 marzo 1995 della Direzione generale dell'Amministrazione civile, è stato precisato che nel caso in cui la copertura del capo con velo, turbante o altro sia imposta da motivi religiosi, il turbante, il "chador" o anche il velo, come nel caso delle religiose, sono parte integrante degli indumenti abituali e concorrono, nel loro insieme, a identificare chi li indossa, naturalmente purché mantenga il volto scoperto. Sono quindi ammesse, anche in base alla norma costituzionale che tutela la libertà di culto e di religione, le fotografie da inserire nei documenti di identità in cui la persona è ritratta con il capo coperto da indumenti indossati purché, ad ogni modo, i tratti del viso siano ben visibili".

    26. Il velo nel cristianesimo L'apostolo Paolo diceva “la chioma viene considerata un attributo di bellezza femminile e come tale deve essere per modestia coperta anche per non distrarre gli uomini dal raccoglimento religioso”.

    27. Questo uso è stato ormai superato anche se in alcuni gruppi religiosi è un simbolo di distinzione.

    28. Su muccadore Anche nella tradizione sarda c’è l’usanza, per le donne, di portare il velo, con un significato simile a quello islamico.

    29. Nel dialetto sardo il velo è chiamato Muccadore probabilmente in analogia con il chador islamico: è possibile che derivino dallo stesso vocabolo originario, importato dalla colonizzazione araba in Sardegna.

    30. Velo da sposa

    31. I cristiani adottarono l’uso del velo nuziale solamente verso il terzo o quarto secolo dell’era volgare, poiché in odio del flammeum pagano, ne mutò il color rosso in bianco.

    32. Durò l’uso del velo nuziale per tutto il medioevo in chiesa, non solo per la sposa, ma anche per lo sposo. Quattro uomini tenevano i quattro angoli del velo sospeso sopra le due teste incoronate degli sposi.

    33. Nell'antica Roma l’abito della sposa é di colore bianco, simbolo della sua verginità, chiusa da un nodo di Ercole che doveva essere sciolto soltanto dallo sposo. Altro accessorio molto importante era il "velo", che veniva tolto il giorno dopo la consumazione del matrimonio ed era di colore giallo zafferano, a simboleggiare il fuoco di Vesta, la dea che proteggeva il focolare domestico.

    34. La sposa si copriva il volto fino alla fine della cerimonia per evitare che lo sposo, scorgendo il suo reale aspetto, interrompesse il rito nuziale.

    35. Il fazzoletto da testa (foulard) ricopre diversi significati a secondo del ruolo che la donna interpreta: vergine, vergine madre, filosofia. Nell’antichità romana si chiamava peplum (in greco péplos o pépla) un velo ornato di ricami con cui si adornava la statua di Minerva. Minerva era la dea della Sapienza e indicava la filosofia.

    37. IL RUOLO DELLA DONNA IN OCCIDENTE: la maternità

    38. Introduzione La maternità, al pari della paternità, in tutte le società pre-moderne si presenta come un fatto naturale, non artificiale, nel senso che viene ad iscriversi in un ordine dato delle cose, che trascende la volontà del singolo.

    39. La rivoluzione culturale Con la rivoluzione culturale che apre l'epoca moderna, e che si modella principalmente nell'Europa del XVII secolo, anche la maternità viene coinvolta in quel sistema di valori in cui è centrale la lotta ingaggiata dall'uomo con la natura. In questo contesto, la maternità appare come un fatto irrazionale, di cui si tende a perdere l'essenza in modo proporzionale alla crescente dinamicità della società.

    40. La filosofia In questo periodo, infatti, nuove linee di pensiero si diffondono, la filosofia razionalista conosce il momento di massima diffusione, e tutto il vivere quotidiano è permeato da questo nuovo approccio alla vita. Anche la maternità, come massima espressione della struttura familiare tradizionale, si riveste di significati simbolici, divenendo l'espressione di quel comportamento istintivo che deve essere controllato dalla razionalità umana.

    41. La rivoluzione industriale Quando con la Rivoluzione Industriale anche le donne entrano in massa nella produzione, la maternità si pone, nel suo significato e nella prassi quotidiana, come un evento denso di difficoltà, di rischi, di obblighi non pienamente sentiti, insomma di elementi non razionalizzabili e in qualche modo sempre più problematici per la vita della donna che si fa carico di tante incombenze al di fuori della famiglia.

    42. Fine della famiglia patriarcale Infatti , il modello della famiglia patriarcale, comincia lentamente a perdere terreno, soppiantato da gruppi famigliari, costituiti solo i genitori e i figli (famiglie nucleari). La motivazione principale di questo cambiamento, verificatosi soprattutto negli agglomerati urbani, è la nuova struttura dell'economia.

    43. La vita di città Se nelle campagne infatti, il possedimento di terreni e animali costituiva la certezza di sopravvivenza per l'intera famiglia, che doveva proprio al suo essere numerosa la possibilità di migliorare la produzione agricola, nelle città il lavoro nelle fabbriche, aveva determinato un nuovo assetto familiare, in cui anche la donna, faceva parte della catena produttiva al di fuori delle mura domestiche, ciò comportava, ovviamente, la rinuncia ad una famiglia numerosa, che risultava molto difficile da mantenere.

    44. 2 Questa è sicuramente una delle cause del sempre maggior controllo delle nascite (di chiara matrice protestante), operata soprattutto nei Paesi anglosassoni. Non a caso i movimenti di emancipazione della donna, che nascono con la Rivoluzione Francese, ma si affermano a partire dalla metà dell'800 nelle aree industrialmente più avanzate (in particolare nel Regno Unito), traggono da queste determinanti storiche le loro giustificazioni.

    46. Esistono nella società moderna, è bene ricordarlo, delle contraddizioni: da un lato, la maternità è vista come un fatto correlato alla natura stessa della donna, come un valore altamente positivo che ogni società le ha da sempre assegnato; dall'altro, la maternità è vista come un momento di sofferenza, in un certo modo non più sostenibile, di subordinazione della donna alla famiglia.

    47. In ogni caso, i sentimenti con cui è vissuta la maternità, variano notevolmente, a seconda della classe sociale. In particolare, in Italia, ci troviamo di fronte a due tipi differenti di culture ancora distanti e separate fra loro, che rispecchiano le contraddizioni di cui sopra.

    48. Da una parte, abbiamo l'articolato mondo delle famiglie borghesi, dove il progressivo controllo delle nascite viene operato in base al principio del calcolo dei costi, e in modo funzionale alla dinamica professionale; i figli sono generati per perpetuare l'orgoglio del buon nome della famiglia e in stretto rapporto con le elevate aspirazioni del loro successo sociale, normalmente ricercato attraverso la scuola.

    49. Dall'altra, troviamo il non meno complesso mondo delle famiglie popolari, dove la maternità è ancora vissuta con sentimenti altamente positivi, molto spesso il figlio è il depositario della volontà di riscatto della famiglia, e rappresenta la possibilità di elevarsi ad un livello sociale superiore. Potremmo dire, quindi, che la famiglia popolare è più legata al bisogno di figli di quanto non lo sia la famiglia di classe medio-alta.

    50. 3 Atteggiamenti e valori della donna italiana nei confronti della maternità: A questo punto, è d'obbligo chiedersi come la donna italiana viva la sua maternità. La società italiana è ben nota per essere altamente familistica e per essere stata caratterizzata, fino ai nostri giorni, da quello che molti sociologi hanno chiamato il "complesso della Grande Madre", già presente nella cultura etrusca, e prevalente nella cultura matriarcale degli italici, prima che sparisse a causa dei conquistatori romani del VII secolo a. C. La personalità dell'italiano, sembra quindi storicamente legata al "mammismo", ad una relazione di dipendenza privilegiata con la figura materna, simbolo di protezione e sicurezza. In effetti, nella cultura tradizionale, la maternità è vissuta dalla donna italiana come un'affermazione di tutta la propria femminilità, il momento a partire dal quale ella può acquistare in famiglia un ruolo non secondario riconosciuto dal maschio.

    51. In questo contesto, però, non dobbiamo dimenticare un aspetto importantissimo dell'essere madre nella nostra società, che ha contribuito alla diminuzione dei tassi di natalità e che è fra i primi responsabili del nuovo assetto della famiglia italiana: l'affermazione delle donne nel campo del lavoro.

    52. La maternità, infatti, intesa come il periodo concesso dalle aziende alle future mamme, che si protrae di solito dal settimo mese di gravidanza al terzo mese dopo il parto, è una conquista ottenuta in tempi recenti (legge n° 1204 del 1971 e legge n° 53 del 2000) ed è esigibile, solo in condizioni lavorative regolari, infatti, tutto il mondo sotterraneo del lavoro nero, ne è ovviamente escluso.

    53. Ci sono casi in cui anche in una situazione di assunzione regolare, si impone alla dipendente, pena il licenziamento, di non usufruire di tale agevolazione, e nonostante le aziende si professino a parole a favore delle donne nel loro organico, molte volte, evitano di assumere donne, che andando in maternità arrecano un "danno" economico all'azienda, che è costretta per quel periodo a pagare uno stipendio a "vuoto", quando non deve anche prendere qualcuno che sostituisca la persona in questione.

    54. L’INFIBULAZIONE Alina Micaela Claudia

    55. Gibuti 98% Somalia 98% Eritrea 90% Etiopia 90% Sierra Leone 90% Sudan 89% Egitto 50%

    56. 130 milioni: Le donne mutilate sessualmente nel mondo. 2,2 milioni: Le donne che ogni anno sono mutilate in 28 paesi del Medio Oriente e dell'Africa. 6.000 Le infibulazioni compiute ogni giorno su ragazzine fra i 4 ed i 12 anni. 40.000 Le donne infibulate che vivono in Italia. 6.000 Le bambine che rischiano di essere operate in Italia.

    57. L’infibulazione in Italia La legge italiana:Non esiste finora nella nostra legislazione una norma esplicita che vieti le barbarie della mutilazione sessuale femminile. Nei rari casi in cui vengono sporte denunce, si applicano gli articoli 582 e 583 del codice penale, relativi alle lesioni personali.

    59. L’infibulazione è la pratica più atroce di mutilazione genitale, comporta l’asportazione del clitoride, delle piccole labbra e delle grandi labbra.

    61. La bambina è tenuta con le gambe divaricate e immobile da altre donne tra cui la stessa madre. Il taglio è fatto senza nessuna precauzione anestetica o disinfettante, l’incisione è compiuta con una lama di un coltello, un paio di forbici, un pezzo di vetro affilato o una scheggia di metallo. Le gravi ferite sono suturate a seconda della tradizione con fili di seta o spine di acacia. Per cicatrizzare le ferite si usano delle sostanze naturali come il tuorlo d’uovo, succo di limone, miscugli di erbe o delle ceneri che provocano delle infezioni anche mortali.

    63. Finita l’incisione e la cucitura i genitali appaiono come quelli delle bambole di plastica. Inesistenti. Le gambe vengono legate e immobilizzate per alcune settimane per permettere alla ferita di guarire. La cosa più atroce per le “neo donne” è fare pipì. Il bruciore dell’urina sulla ferita è terrificante.

    67. In Africa gli stessi uomini di potere stanno attuando delle campagne anti-infibulazione dichiarando che loro non hanno permesso che le loro figlie venissero sottoposte a tale rito barbarico, sperando fare esempio al popolo e di eliminare piano piano questa terribile tradizione sanguinaria. La strada per la liberazione da questa pratica è ancora lunga soprattutto perché le stesse ragazze decidono di loro spontanea volontà di essere sottoposte alla mutilazione.

    70. Vanessa Melissa Silvia Stefania

    71. Il numero delle donne immigrate estere è in continua crescita. Cause: 1. Risposta al tipo di offerta di lavoro inevaso in Italia: come collaboratrice domestica fissa (di solito per l’assistenza di anziani autosufficienti, lavori di casa, baby sitter), oppure nel terziario o in agricoltura. 2. Ricongiungimenti familiari: 45.537 nel solo 1998, circa il doppio dell’anno precedente, oltre alla sanatoria in atto. 3. Progetto familiare di integrazione degli immigrati. Cresce infatti il numero dei minori presenti (181.597 a fine 1998) e dei figli nati in Italia (su 100 minori presenti, 58 sono nati in Italia negli ultimi 6 anni).

    72. Sul fenomeno migratorio femminile si è innescato dal 1989 ad oggi il flusso parallelo di donne africane, dell’est europeo ed in misura minore dell’America Latina, costrette alla prostituzione forzata.

    73. La prostituzione non nasce dal disagio migratorio, ma da un preciso progetto criminale che utilizza tutti i mezzi per sostituire nei locali pubblici e notturni, negli alberghi e soprattutto nella strada la prostituta italiana che non accetta il rischio portato dall’AIDS e le condizioni di vita imposte.

    74. la povertà la miseria le guerre

    75. migliaia di persone ad affidarsi ai trafficanti internazionali che li sfrutteranno nei mercati del sesso e/o del lavoro nero;

    77. c’è infine la responsabilità di: un sistema consumistico che propone modelli e stili di vita che inducono a cercare percorsi che sembrano “facili” per raggiungere posizioni economiche e sociali di autentico o falso benessere.

    78. Le donne che giungono in Italia sono: 1. Donne molto giovani 2. Donne picchiate, maltrattate dalle mamane perché non guadagnano abbastanza 3. Senza permesso di soggiorno

    79. E’ molto difficile per queste donne uscire dal giro della prostituzione, soprattutto se non hanno pagato il debito, perché le famiglie in Nigeria sono in pericolo ed anche le donne stesse possono essere uccise.

    80. Non solo: sono molto condizionate dal rito woodoo al quale vengono sottoposte; è come un patto di sangue e hanno la convinzione che la loro vita è nelle mani della mamane e se non pagano muoiono.

    81. Che cosa proponiamo Dobbiamo: lavorare per abbattere i pregiudizi, far conoscere che il mercato del sesso immigrato è in gran parte schiavo. far riflettere i nostri cittadini quanto sia diverso e umiliante comprare il sesso schiavo impegnarci in riflessioni ed azioni liberanti.

    83. ELENA E SARA Donne:politica e lavoro

    84. Donne:politica e lavoro Secondo il Bureau International Du Travail l'Africa Subsahariana è una delle regioni del mondo in cui le donne, di tutte le età, lavorano di più. La minoranza che ha conquistato, spesso a caro prezzo, la propria autonomia non può nascondere la situazione di precarietà e di dipendenza dell'immensa maggioranza delle africane né il fossato che separa il loro reale ruolo economico dal loro potere sociale e politico. Diciassette ore al giorno, è l'orario di lavoro di una donna africana.

    85. Malgrado i progressi compiuti, sono relativamente poche le donne riuscite a sfondare il « tetto di cristallo » che impedisce il loro accesso verso le responsabilità di alta dirigenza.Nei 192 paesi nel mondo, solo 12 donne sono capi di Stato

    86. Un po’ di dati…. Oltre il 40% della forza lavoro mondiale è oggi costituito di donne. Circa il 70% delle donne nei paesi sviluppati e il 60% nei paesi in via di sviluppo svolgono un lavoro retribuito.

    87. Lavoro retribuito: Le donne dedicano al lavoro retribuito dal 50% al 70% del tempo che vi dedicano gli uomini, mentre dedicano al lavoro non retribuito oltre il doppio del tempo che vi dedicano gli uomini. Africa 58 % Asia 64% America Latina 46% Europa 69% America del Nord 73% Mondo Arabo 35%

    88. MANI ANONIME... In linea generale le donne rappresentano l'80% della forza lavoro utilizzata nella produzione alimentare. Sono le mille e una piccola mano che alimentano il continente. Mani anonime, a lungo dimenticate dalle statistiche e dai piani di sviluppo. Mani invisibili, prive di retribuzione, senza diritto alla terra, alla proprietà, al credito, all'eredità. Sfruttate a piacimento su terre che non gli appartengono e che, in caso di divorzio o di morte del marito, gli saranno subito tolte dalla famiglia acquisita.

    89. Le donne immigrate e non, spesso per sopravvivere, sono costrette a svolgere lavori umili e poco dignitosi : LA PROSTITUZIONE

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