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Cross-Cultural Claims for Human Rights.

Cross-Cultural Claims for Human Rights. Quando a rivendicare la tutela dei diritti fondamentali sono gli altri. Cross-Cultural Claims for Human Rights. 1. Relativismo culturale e universalismo dei diritti fondamentali 2. Quale cultura?

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  1. Cross-Cultural Claims for Human Rights. Quando a rivendicare la tutela dei diritti fondamentali sono gli altri

  2. Cross-Cultural Claims for Human Rights 1. Relativismo culturale e universalismo dei diritti fondamentali 2. Quale cultura? 3. Diversità culturale e tutela dei diritti fondamentali: alcuni conflitti apparenti 4. Diversità culturale e diritti fondamentali: un conflitto inevitabile?

  3. 1. Relativismo culturale e universalismo dei diritti fondamentali 1.1. Relativismo culturale 1.1.1. Multiculturalismo e critica all’universalismo dei diritti 1.1.2. Tutela dei diritti fondamentali e diffidenza verso le culture altre 1.1.3. Relativismo culturale e universalismo: una concezione laica e pluralista della dottrina dei diritti fondamentali 1.1.4. Osservazioni conclusive

  4. 1.1. Relativismo culturale Relativismo culturale • Tesi empirica Culture diverse non condividono gli stessi valori • Tesi teorica Ogni standard o criterio di valutazione è relativo al contesto culturale, quindi - ogni cultura può essere compresa e/o giudicata soltanto dall’interno - mancano criteri universali in base ai quali comparare culture diverse - le culture sono tra loro incommensurabili • Tesi normativa Ogni cultura merita uguale riconoscimento e rispetto

  5. 1.1. Relativismo culturale Le tesi che precedono • possono essere fatte proprie da teorie e dottrine diverse • e, soprattutto, possono assumere valenze diverse, se non addirittura contrapposte, a seconda delle teorie o dottrine nelle quali si collocano. In particolare, tesi di carattere relativista possono essere impiegate a) sia per denunciare la contrapposizione tra universalismo dei diritti fondamentali e (rispetto della) diversità culturale, come spesso fanno non soltanto alcuni fautori del multiculturalismo (§ 1.1.1.), ma anche alcuni dei suoi critici (§ 1.1.2.); b) sia, al contrario, per riaffermare il nesso inscindibile tra universalismo dei diritti fondamentali e tutela delle differenze (culturali), come avviene, ad esempio, nell’ambito di una concezione della dottrina e della cultura dei diritti fondamentali che, come propone TeclaMazzarese, può essere definita laica e pluralista (§ 1.1.3.).

  6. 1.1.1. Multiculturalismo e critica all’universalismo dei diritti fondamentali Con il terminemulticulturalismosi indica un gruppo di teorie che, nella pluralità delle loro formulazioni e accezioni, possono dirsi accomunate: • dall’assunzione che la diversità culturale sia un bene da conservare e promuovere; • dalla tesi secondo la quale per conservare e promuovere la diversità culturale può essere necessaria e giustificata l’affermazione di specifici diritti, i cosiddetti “diritti culturali”, altri e diversi dai diritti fondamentali già riconosciuti ad ogni individuo.

  7. 1.1.1. Multiculturalismoe critica all’universalismo dei diritti fondamentali Nell’ambito del multiculturalismo il relativismo culturale viene spesso riproposto come argomento per criticare l’universalismo dei diritti fondamentali. Almeno nelle sue formulazioni più radicali, il multiculturalismo sembra infatti assumere: • che i diritti fondamentali sono espressione dei valori della “cultura occidentale”, mentre culture diverse non sempre condividono gli stessi valori; • che la pretesa di affermare l’universalismo dei diritti fondamentali è espressione di etnocentrismo; • che, se ed in quanto i diritti fondamentali non sono universali, rivendicarne la tutela al di sopra e al di là del rispetto delle specificità delle diverse culture costituisce una forma di imperialismo (culturale, politico e spesso anche militare).

  8. 1.1.1. Multiculturalismoe critica all’universalismo dei diritti fondamentali Sulla base di queste assunzioni il multiculturalismo • in ambito internazionale, contesta la legittimità e opportunità di una sempre più diffusa tutela sovranazionale dei diritti fondamentali; • in ambito statale, arriva talvolta a rivendicare: - che gruppi identificati da culture differenti possano godere di forme più o meno ampie di autonomia nella produzione e applicazione del diritto; - che lo stato non possa intervenire nelle questioni interne a tali gruppi, nemmeno al fine di promuovere e/o proteggere i diritti fondamentali dei loro membri.

  9. 1.1.2. Tutela dei diritti fondamentalie diffidenza verso le culture altre La tesi della contrapposizione tra relativismo culturale e universalismo dei diritti fondamentali sembra essere fatta propria, inoltre, non soltanto da quei fautori del multiculturalismo che, impegnati a riaffermare la specificità e l’eguale valore delle diverse culture, individuano nell’universalismo dei diritti fondamentali l’ennesima forma di imperialismo culturale dell’occidente, ma anche da alcuni di coloro che, proprio in contrapposizione al multiculturalismo, • individuano nel rispetto dei valori e delle tradizioni delle culture altre una minaccia per la tutela dei diritti fondamentali; • rivendicano l’universalismo dei diritti fondamentali e la preminenza della loro tutela rispetto alla pretesa salvaguardia dell’identità di culture diverse.

  10. 1.1.2. Tutela dei diritti fondamentalie diffidenza verso le culture altre Per quanto si propongano di riaffermare e difendere l’universalismo dei diritti fondamentali, molte di queste critiche sembrano infatti avallare più che mettere in discussione l’idea che esista una netta distinzione e separazione, e talvolta di un insanabile conflitto • tra valori e tradizioni di culture diverse e, in particolare, • tra i valori “occidentali” di cui la dottrina e la cultura dei diritti fondamentali sarebbero espressione e i valori, altri e diversi, che informano culture differenti.

  11. 1.1.3. Relativismo culturale e universalismo: una concezione laica e pluralista della dottrina dei diritti fondamentali Il relativismo culturale, però, non deve necessariamente essere inteso come contrapposto all’universalismo dei diritti fondamentali. Al contrario proprio - l’esistenza di differenze (anche ma non solo) culturali - e l’esigenza di riconoscere e tutelare tali differenze possono essere considerate due tra le principali ragioni per le quali rivendicare il riconoscimento di diritti fondamentali.

  12. 1.1.3. Relativismo culturale e universalismo: una concezione laica e pluralista della dottrina dei diritti fondamentali In questa prospettiva, l’universalismo dei diritti fondamentali può essere considerato uno strumento di tutela delle differenze culturali, anziché una minaccia alla loro libera espressione. Come scrive Luigi Ferrajoli, «sono infatti i diritti fondamentali, e specificamente i diritti di libertà, che garantiscono […] l’uguale valore di tutte le differenze personali, a cominciare da quelle culturali, che fanno di ciascuna persona un individuo differente da tutti gli altri e di ciascun individuo una persona uguale a tutte le altre». Ferrajoli, Luigi [2007], Principia Iuris. Teoria del diritto e della democrazia. 2. Teoria della democrazia. Roma-Bari, Laterza, pp. 58-59.

  13. 1.3. Relativismo culturale e universalismo: una concezione laica e pluralista della dottrina dei diritti fondamentali E’ proprio questa prospettiva a caratterizzare quella concezione della dottrina e della cultura dei diritti fondamentali che TeclaMazzareseha definito laica e pluralista. Questa concezione laica e pluralista, prosegue Mazzarese, è quella che caratterizza la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: «In particolare, quella dell’universalismo dei diritti solennemente proclamata nel 1948, è una dimensione laicamente pluralista non solo perché, come puntualizza Antonio Cassese, “[l]a Dichiarazione universale è il frutto di più ideologie: il punto di incontro e di raccordo di concezioni diverse dell’uomo e della società”, ma anche e soprattutto perché, delle “concezioni diverse dell’uomo e della società”, la Dichiarazione universale riconosce pari dignità e legittimità. La Dichiarazione universale, infatti, non tenta né propone un’improbabile sintesi o commistione di sistemi valoriali eterogenei ma, al contrario, ratifica la legittimità della loro varietà e pluralità sancendo “il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione” (art. 18) e “il diritto alla libertà di opinione e di espressione” (art. 19)». Mazzarese, Tecla [2010], Nuove sfide e tentativi di delegittimazione. Un’introduzione In T. Mazzarese, P. Parolari (eds.), Diritti fondamentali. Le nuove sfide. Torino, Giappichelli, 2010, pp. 5-6.

  14. 1.1.4. Osservazioni conclusive Per quanto ampiamente condivisa, la tesi della contrapposizione tra relativismo culturale e universalismo dei diritti fondamentali sembra essere problematica. In particolare, sia quando è formulata nell’ambito delle istanze di ispirazione multiculturalista sia quando emerge da una concezione dubbia e fuorviante dell’universalismo dei diritti, la tesi della contrapposizione tra relativismo culturale e universalismo dei diritti fondamentali sembra spesso viziata: - da forme di “differenzialismo culturale” che, enfatizzando e talvolta addirittura drammatizzando (il peso del)le differenze che caratterizzano culture diverse, alimenta la retorica dello scontro di civiltà; - dall’assunzione di una concezione essenzialista della nozione di cultura che, in antropologia culturale e non solo, è sempre più diffusamente bersaglio di numerose critiche.

  15. 1.1.4. Osservazioni conclusive Allo stesso tempo, per quanto forse meno diffusa, la tesi della riaffermazione del nesso inscindibile che lega tutela delle differenze (culturali) e universalismo dei diritti fondamentali pare convincente - sia perché, come si è detto richiamando Mazzarese, esprime lo spirito della Dichiarazione universale del 1948, uno spirito aperto alla possibilità dell’interazione, del dialogo e del reciproco rispetto tra culture diverse, - sia perché, estranea a quelle forme di essenzialismo e differenzialismo culturale che caratterizzano la tesi della contrapposizione tra relativismo culturale e universalismo dei diritti, sembra in linea con l’evoluzione che negli ultimi decenni ha caratterizzato le analisi antropologiche della nozione di cultura.

  16. 1.4. Osservazioni conclusive Un’attenta problematizzazione della concezione essenzialista della nozione di cultura (§ 2.) sembra infatti consentire, e anzi sollecitare: - che si ridefiniscano i termini in cui la tensione e i possibili conflitti tra rispetto della diversità culturale e tutela dei diritti fondamentali possono e/o devono essere analizzati, interpretati, affrontati ed eventualmente risolti (§ 3.); - che si metta in discussione la tesi della contrapposizione tra relativismo culturale e universalismo dei diritti fondamentali in favore di una concezione laica e pluralista della cultura e della dottrina dei diritti fondamentali (§ 4.).

  17. 2. Quale cultura? 2.1. La concezione essenzialista della nozione di cultura 2.2. Critiche alla concezione essenzialista della nozione di cultura

  18. 2.1. La concezione essenzialista di cultura Le teorie e le dottrine che fanno propria la concezione essenzialista della nozione di cultura sono caratterizzate da tre tendenze principali. 1. La prima è la tendenza a considerare l’insieme delle tradizioni, credenze e valori che informano la vita di una determinata società o di un determinato gruppo come un sistema chiuso, omogeneo, coeso e coerente. 2. La seconda è la tendenza a riproporre una ricostruzione statica di tali tradizioni, credenze e valori, enfatizzando un’esigenza di conservazione che tiene in poca o nessuna considerazione la dimensione dinamica dei fenomeni culturali. 3. La terza è la tendenza a concepire il rapporto degli individui con la propria cultura come un rapporto prevalentemente, se non esclusivamente, recettivo, nell’ambito del quale l’identità culturale dell’individuo si forma attraverso un processo di mera acquisizione delle tradizioni, credenze e valori che informano la vita della società o del gruppo.

  19. 2.2. Critiche alla concezione essenzialista della nozione di cultura In contrapposizione alla concezione essenzialista della nozione di cultura, almeno dagli anni ‘70-’80 del Novecento, in antropologia culturale ma non solo, si tende a mettere in evidenza il carattere interattivo e dinamico delle culture, la loro complessità interna, il loro essere in continuo mutamento Le culture, si sottolinea, a) non sono chiuse (bounded) b) non sono omogenee e integrate c) non sono statiche

  20. 2.2. Critiche alla concezione essenzialista della nozione di cultura a) Le culture non sono chiuse • L’immagine di una pluralità di culture “originarie” e “pure” è storicamente falsa, poiché (da sempre) l’incontro e la commistione di culture diverse hanno dato luogo a quel processo di mescolanza creativa di diversità che Jan NederveenPietersedenomina «ibridazione», UlfHannerz«creolizzazione», altri métissage, altri ancora sincretismo culturale. In realtà, le culture di cui molti oggi si preoccupano di rivendicare un carattere originario, sono il frutto di secoli di contatti, interazioni e scambi tra tradizioni, sistemi di conoscenze e di credenze differenti. • Questo, come sottolinea ad esempio Clifford Geertz, è ancor più vero oggi, in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso in cui la circolazione di persone, risorse e informazioni è più intensa, capillare e veloce che mai. Hannerz, Ulf [1992], Cultural Complexity. Studies in the Social Organization of Meaning. New York, Columbia University Press. Trad. it.: Complessità culturale. L’organizzazione sociale del significato. Bologna, Il Mulino, 1998. Geertz, Clifford [1999], Mondo globale, mondi locali. Cultura e politica alla fine del ventesimo secolo. Il Mulino, Bologna. NederveenPieterse, Jan [2004], Globalization and Culture: Global Mélange.Boulder, CO, Rowman & Littlefield. Trad. it. Mélange globale. Ibridazioni e diversità culturale, Roma, Carocci, 2005.

  21. 2.2. Critiche alla concezione essenzialista della nozione di cultura b) Le culture non sono omogenee e integrate • All’interno di ogni società esistono diverse correnti ideologiche, diversi sistemi di valori, diversi gruppi o classi sociali, diverse religioni, a cui possono corrispondere visioni del mondo non (del tutto) coincidenti. UlfHannerzevidenzia in proposito che, soprattutto nelle moderne società complesse, la condivisione di alcuni agglomerati di significato («clustersdi significato») può articolarsi a livello circoscritto di subculture che aggregano individui con esperienze sotto certi aspetti simili. Tali «sistemi subculturali», come li denomina Alessandro Dal Lago, siano essi di carattere ideologico-politico, socio-economico o etico-religioso, mettono fortemente in discussione l’idea di cultura come microcosmo omogeneo e integrato. Dal Lago, Alessandro [2006], Esistono davvero i conflitti tra culture? Una riflessione storico-metodologica. In: C. Galli (ed.), Multiculturalismo. Ideologie e sfide. Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 45-79. Hannerz, Ulf [1992], Cultural Complexity. Studies in the Social Organization of Meaning. New York, Columbia University Press. Trad. it.: Complessità culturale. L’organizzazione sociale del significato. Bologna, Il Mulino, 1998.

  22. 2.2. Critiche alla concezione essenzialista della nozione di cultura b) Le culture non sono omogenee e integrate • Inoltre, aggiunge Hannerz, «l’individualità non può essere vista come qualcosa di residuale, qualcosa di esterno al dominio della cultura». Al contrario essa contribuisce significativamente alla differenziazione interna di ciascuna cultura in quanto: - sebbene ciascun individuo possa condividere con gruppi di altre persone una determinata fede politica, o una determinata classe sociale, o un determinato credo religioso, la sua identità costituisce un «fatto individuale» nella misura in cui egli integra in una prospettiva unitaria (un self) «peculiari configurazioni di esperienze e coinvolgimenti personali»: «Nella misura in cui cambia lavoro, si sposta da un luogo all’altro, fa le sue scelte in termini di consumo culturale, - scrive sempre Hannerz– un essere umano finisce per costruirsi un repertorio culturale che nel suo complesso non ha eguali»; - nel contribuire alla costruzione della identità di un individuo, il contesto culturale non esercita la propria influenza isolatamente, ma interagisce con fattori psicologici, sociologici, economico-politici, nonché con influssi di altre culture che si combinano in modo irripetibile nelle esperienze e nelle scelte di ogni individuo. Hannerz, Ulf [1992], Cultural Complexity. Studies in the Social Organization of Meaning. New York, Columbia University Press. Trad. it.: Complessità culturale. L’organizzazione sociale del significato. Bologna, Il Mulino, 1998.

  23. 2.2. Critiche alla concezione essenzialista della nozione di cultura c) Le culture non sono statiche • Tradizioni, credenze e valori culturali cambiano nel tempo, più o meno lentamente, ma costantemente. Si modificano e ridefiniscono continuamente - in parte per l’azione dei fermenti interni a ciascuna cultura, - in parte per l’interazione con altre culture. • L’interazione tra le culture, la loro differenziazione interna e il loro continuo cambiamento sono fenomeni inscindibilmente connessi.

  24. 3. Diversità culturale e tutela dei diritti fondamentali:alcuni conflitti apparenti 3.1. Identità culturale e libertà di religione: il referendum svizzero sui minareti 3.2. Migranti e lavoro: i fatti di Rosarno 3.3. Differenze culturali e diritto all’istruzione: la mozione sulle classi di inserimento

  25. 3.1. Identità culturale e libertà di religione: il referendum svizzero sui minareti Fatti • Nel 2007 il comitato “Contro l’edificazione dei minareti” promuove un’iniziativa popolare per la revisione parziale della costituzione ai sensi dell’art. 139 della Costituzione federale della Confederazione Svizzera. • Il testo del quesito referendario è il seguente: «La costituzione federale del 18 aprile 1999 è modificata come segue: Art 72 cpv. 3 (nuovo) 3. L’edificazione dei minareti è vietata». • Il 29 novembre 2009 l’iniziativa viene sottoposta al voto popolare e la riforma della costituzione viene approvata con oltre il 57 % di voti favorevoli. Il “sì” vince in 22 su 26 Cantoni.

  26. 3.1. Identità culturale e libertà di religione: il referendum svizzero sui minareti Argomenti del comitato “Contro l’edificazione dei minareti” «Il minareto come edificio non ha alcun carattere religioso; non viene neppure menzionato né nel Corano, ne in altri scritti sacri dell'Islam. Il minareto è molto di più il simbolo di quella rivendicazione di potere che, in nome della libertà di religione nega i diritti fondamentali agli altri - ad esempio l'uguaglianza davanti alla legge di tutti, quindi di ambedue i sessi - mettendosi con ciò in contraddizione con "la Costituzione" e con l'ordine legale della Svizzera. Chi - come succede nell'Islam - pone  la religione al di sopra dello Stato, ossia dà una maggiore considerazione alle prescrizioni religiose rispetto all'ordine legale creato democraticamente nello Stato di diritto, cade in Svizzera indiscutibilmente in contraddizione con la Costituzione federale. Questa contraddizione non può essere elusa. Il minareto è il simbolo esteriore di questa rivendicazione politico-religiosa che mette in questione i diritti fondamentali costituzionali. Con il divieto di edificare minareti richiesto dall'iniziativa, si otterrà la garanzia che l'ordine sociale e legale inscritti nella Costituzione mantengano nel tempo in Svizzera la più assoluta validità.  Si respingerà così qualsiasi tentativo di certi ambienti islamici di introdurre anche in Svizzera qualche sistema legale orientato verso la Sharia. Non viene toccata invece dall'iniziativa la libertà religiosa che è garantita quale diritto fondamentale a tutti dalla nostra Costituzione». http://www.minareti.ch/01.html

  27. 3.1. Identità culturale e libertà di religione: il referendum svizzero sui minareti Argomenti del comitato “Contro l’edificazione dei minareti” Inoltre, fornendo un esempio paradigmatico di quello che EtiénneBalibarha definito «feticismo dei simboli» il comitato • individua nel minareto un elemento chiave nella lotta all’«islamizzazione» di un’Europa nella quale «sempre più musulmani si distanziano a scopo dimostrativo dalla cultura dello Stato ospite, arrivando addirittura ad esigere dei privilegi giuridici». • giustifica il divieto dei minareti individuando in esso uno strumento di particolare efficacia per perseguire l’integrazione dei musulmani residenti in Svizzera. «Non solo il minareto, ma anche il suo divieto esprime un simbolismo: esso dimostra inequivocabilmente ai musulmani che in Svizzera non si tollera alcuna rivendicazione di potere da parte di minoranze religiose. Un divieto dei minareti è, in questo senso, un messaggio molto più efficace dei documenti provenienti dalla casta di assistenti socio-culturali dei quali la popolazione, e in particolare quella straniera, non prende praticamente conoscenza». http://www.minareti.ch/pdf/Argomentario_breve.pdf

  28. 3.1. Identità culturale e libertà di religione: il referendum svizzero sui minareti Critiche all’iniziativa popolare “Contro l’edificazione dei minareti” In contrapposizione agli argomenti proposti dal comitato, in molti hanno denunciato che il divieto di costruire minareti rappresenta una violazione di più diritti fondamentali sanciti sia, a livello nazionale, nella costituzione svizzera sia, a livello internazionale, nel Patto sui diritti civili e politici e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In particolare, è stata denunciata la violazione - del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione - del divieto di discriminazione

  29. 3.1. Identità culturale e libertà di religione: il referendum svizzero sui minareti Tra le critiche all’iniziativa contro i minareti vale la pena di richiamare quelle dello stesso Consiglio federale svizzero. Nel Messaggio concernente l’iniziativa popolare «contro l’edificazione di minareti» indirizzato all’Assemblea federale, il Consiglio federale svizzero • ha preso in esame: - la validità formale dell’iniziativa - la compatibilità con le disposizioni cogenti del diritto internazionale - la specificità del contesto svizzero - la normativa vigente nei Paesi confinanti • e ha concluso proponendo all’Assemblea di «sottoporre senza controprogetto l’iniziativa “Contro l’edificazione dei minareti” al voto del Popolo e dei Cantoni, raccomandando di respingerla».

  30. 3.1. Identità culturale e libertà di religione: il referendum svizzero sui minareti «8. Conclusioni L’iniziativa rispetta il principio dell’unità formale e materiale, nonché le disposizioni imperative del diritto internazionale (iuscogens), ed è pertanto valida. Tuttavia viola gli articoli 9 e 14 CEDU [Convenzione europea dei diritti dell’uomo] nonché gli articoli 2 e 18, e probabilmente l’articolo 27, del Patto ONU II [Patto sui diritti civili e politici]. Sebbene ciò non invalidi l’iniziativa, resta il fatto che, accettandola, la Svizzera verrebbe meno ai suoi impegni internazionali. L’iniziativa, che pretende di difendere il nostro ordinamento giuridico, è però in contrasto con alcuni valori costituzionali essenziali: il principio dell’uguaglianza giuridica (art. 8 Cost.), la libertà di credo e di coscienza (art. 15 Cost.), la garanzia della proprietà (art. 26 Cost.), il principio della proporzionalità (art. 5 cpv. 2 Cost.) e l’obbligo di rispettare il diritto internazionale (art. 5 cpv. 4 Cost)». Consiglio federale svizzero, Messaggio concernente l’iniziativa popolare «contro l’edificazione di minareti» http://www.admin.ch/ch/i/ff/2008/6659.pdf

  31. 3.1. Identità culturale e libertà di religione: il referendum svizzero sui minareti Tutto questo mette chiaramente in evidenza come nel caso in esame identità culturale, libertà religiosa, divieto di discriminazione non siano affatto in conflitto ma, al contrario, come - il tentativo di disconoscere l’identità culturale degli immigrati musulmani in nome di un’interpretazione fuorviante dell’integrazione finisca con il tradursi in una violazione del diritto fondamentale alla libertà di pensiero, coscienza e religione e del divieto di discriminazione - simmetricamente, i diritti fondamentali siano strumento di tutela dell’identità culturale

  32. 3.2. Migranti e lavoro: i fatti di Rosarno Fatti • Il 7 gennaio 2010 nei pressi di Rosarno, due giovani non identificati sparano da un’auto in corsa ad un immigrato con un fucile ad aria compressa. • Gli immigrati residenti a Rosarno reagiscono con atti di vandalismo, distruggendo auto parcheggiate e vetrine di negozi • La popolazione di Rosarno reagisce a sua volta con la violenza, e si scatenano scontri. • Le autorità dispongono il trasferimento gli immigrati nei Centri d’accoglienza per i richiedenti asilo (Cara) di Crotone e Bari

  33. 3.2. Migranti e lavoro: i fatti di Rosarno Derive razziste? La reazione degli abitanti di Rosarno sembra essere degenerata in toni razzisti e xenofobi. • Riferendo della “contro-rivolta” degli abitanti di Rosarno, i giornali hanno parlato di “caccia all’uomo”, di “caccia all’africano” di “andare a marocchini”. • In tutta Italia sono stati organizzati cortei antirazzisti per denunciare i toni che hanno caratterizzato gli scontri di Rosarno. • In un commento pubblicato sul sito dell’ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), Fulvio Vassallo Paleologo, ha denunciato la «pulizia etnica» subita dai lavoratori migranti a Rosarno www.asgi.it/home_asgi.php?n=744&l=it

  34. 3.2. Migranti e lavoro: i fatti di Rosarno Europarlamento • Nella seduta del Parlamento europeo del 18 gennaio 2010, il deputato cipriota Τριανταφυλλίδης e il deputato portoghese Tavares hanno richiamato l’attenzione sui fatti di Rosarno, denunciando la violazione dei diritti dei lavoratori migranti e la connotazione razzista degli scontri. • Nelle sedute del 2-3-4 febbraio 2010, i fatti di Rosarno sono stati oggetto di tre diverse interrogazioni parlamentari, con le quali si è sollecitata la Commissione europea a indagare sui fatti di Rosarno e ad adottare misure volte a garantire il rispetto dei diritti umani. In particolare: - Corina Cretu (Romania) ha denunciato la componente razzista e xenofoba degli eventi; - Rosario Crocetta (Italia) ha posto invece l’accento sulla violazione dei diritti fondamentali dei lavoratori migranti; - Luigi de Magistris (Italia), infine, ha evidenziato sia lo sfruttamento del quale sono (stati) vittime i lavoratori migranti, sia le derive razziste che hanno contribuito ad inasprire gli scontri con gli abitanti di Rosarno.

  35. 3.2. Migranti e lavoro: i fatti di Rosarno Tra il 15 e il 17 febbraio 2010, una commissione d’inchiesta istituita nell’ambito del Parlamento europeo, e più precisamente del Committee on CivilLiberties, Justice and Home Affairs, ha svolto un’indagine sui fatti, incontrando le autorità locali e nazionali competenti, i sindacati, le ong impegnate sul territorio. Ne è emerso, tra l’altro, quanto segue. • Dal 1990 che a Rosarno e nelle zone limitrofe si radunano ogni anno, tra ottobre e aprile, circa 1500 lavoratori migranti impegnati nella raccolta dei mandarini e delle arance. Queste persone vivono e lavorano in condizioni disumane. • I lavoratori migranti sono sfruttati: - nessuno dei 748 immigrati coinvolti nei fatti del 7-8-9 gennaio, nemmeno quelli regolarmente soggiornanti in Italia (circa il 70%), aveva un contratto di lavoro; - il salario giornaliero è di 25 euro, da cui vanno detratti i 2 euro pagati ai “caporali” che si occupano del reclutamento giornaliero dei lavoratori. • Le tensioni dovute a questa situazione, già emerse un anno fa in un episodio analogo a quello del 7 gennaio 2010, si sono esasperate quest’anno a causa della difficile congiuntura economica (In particolare, il prezzo delle arance è sceso drasticamente e sono diminuiti i finanziamenti europei. Per questo la raccolta delle arance non era conveniente, soprattutto per i piccoli coltivatori, i frutti sono stati lasciati sugli alberi e molti migranti si sono ritrovati senza lavoro o ancor più sottopagati). http://www.europarl.europa.eu/document/activities/cont/201003/20100308ATT70139/20100308ATT70139EN.pdf

  36. 3.2. Migranti e lavoro: i fatti di Rosarno Per quanto sia stato fortemente enfatizzata la componente etnico-culturale, o addirittura “razziale”, degli scontri, quanto precede sembra sufficiente ad affermare che, in realtà, nel caso di Rosarno le tensioni non sono derivate da incompatibilità tra (persone di) culture diverse, ma dal sommarsi degli effetti - di una congiuntura economica sfavorevole e carenza di lavoro, - del ripetuto e prolungato sfruttamento dei lavoratori migranti e massiccia negazione dei loro diritti, - e delle conseguenti condizioni di degrado in cui i lavoratori migranti si trovavano a vivere.

  37. 3.3. Differenze culturali e diritto all’istruzione: la mozione sulle “classi di inserimento” Da ormai oltre vent’anni, a livello ministeriale e tra gli operatori del settore, così come tra gli studiosi di pedagogia, psicologia e sociologia, si discute di alcuni tra i principali aspetti in relazione ai quali il venir meno della tendenziale omogeneità linguistica e culturale degli studenti sembra sollecitare un adeguamento delle istituzioni scolastiche, aspetti tra i quali, in particolare: - la composizione delle classi - l’insegnamento della lingua italiana come seconda lingua - l’introduzione di curricula interculturali - la formazione degli insegnanti - il ruolo dei mediatori culturali Sul tema si sono avute anche iniziative parlamentari, tra cui la mozione 1-00033/08 approvata il 14 ottobre 2008 dalla Camera dei deputati, con la quale si è impegnato il Governo ad istituire «classi di inserimento» finalizzate a realizzare, come dice la parola stessa, un «razionale ed agevole inserimento degli studenti stranieri nelle […] scuole», garantendo a tutti in condizioni di eguaglianza il diritto all’istruzione.

  38. 3.3. Differenze culturali e diritto all’istruzione: la mozione sulle “classi di inserimento” La mozione 1-00033/08 La questione di una riforma del sistema scolastico che tenga conto delle esigenze di classi a composizione multiculturale viene considerata sotto un duplice profilo: 1. un primo profilo, più circoscritto, concerne la necessità di superare l’ostacolo della lingua da parte di quegli studenti stranieri che non conoscano o non padroneggino l’italiano; 2. un secondo profilo, più ampio e complesso, riguarda l’opportunità di adottare all’interno delle classi di inserimento uno speciale curriculum scolastico aperto a progetti interculturali.

  39. 3.3. Differenze culturali e diritto all’istruzione: la mozione sulle “classi di inserimento” Con riferimento al primo profilo la mozione impegna il governo «a rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, favorendo il loro ingresso previo superamento di test e specifiche prove di valutazione, [e] a istituire classi di inserimento, che consentano agli studenti stranieri che non superano le prove e i test sopramenzionati, di frequentare corsi di apprendimento della lingua italiana propedeutici [al loro ingresso] nelle classi permanenti» Mozione 1-00033/08. Il testo si trova nel sito della Camera dei Deputati all’URL http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_16/showXhtml.Asp?idAtto=3488&stile=6&highLight=1&paroleContenute=%27MOZIONE%27+%7C+%271%2D00033%27+%7C+%27CONCLUSO%27+%7C+%27COTA+ROBERTO%27+%7C+%27MOZIONE%27.

  40. 3.3. Differenze culturali e diritto all’istruzione: la mozione sulle “classi di inserimento” Con riferimento al secondo profilo la mozione impegna il Governo «a favorire, all’interno delle predette classi di inserimento, l’attuazione di percorsi monodisciplinari e interdisciplinari, attraverso l’elaborazione di un curricolo formativo essenziale, che tenga conto di progetti interculturali, nonché dell’educazione alla legalità e alla cittadinanza». Un curriculum essenziale, quello sollecitato nella mozione, che dovrebbe perseguire cinque principali obiettivi: «a) comprensione dei diritti e doveri (rispetto per gli altri, tolleranza, lealtà, rispetto della legge del Paese accogliente); b) sostegno alla vita democratica; c) [consapevolezza della] interdipendenza mondiale; d) rispetto di tradizioni territoriali e regionali del Paese accogliente, senza etnocentrismi; e) rispetto per la diversità morale e [la] cultura religiosa del Paese accogliente» Mozione 1-00033/08

  41. 3.3. Differenze culturali e diritto all’istruzione: la mozione sulle “classi di inserimento” Le misure previste nella mozione sono state presentate come strumenti necessari a garantire agli studenti stranieri un effettivo accesso al diritto all’istruzione in condizioni di eguaglianza attraverso • l’insegnamento della lingua italiana • una piena integrazione nella scuola italiana. . Nondimeno, esse appaiono inadeguate, se non addirittura controproducenti, rispetto al perseguimento all’obiettivo dichiarato.

  42. 3.3. Differenze culturali e diritto all’istruzione: la mozione sulle “classi di inserimento” In primo luogo, la mozione sembra inadeguata al perseguimento dell’obiettivo dell’apprendimento della lingua italiana da parte degli studenti stranieri in quanto non tiene conto - né delle conoscenze acquisite nell’ambito di discipline scientifiche come la linguistica, la sociologia, o la pedagogia interculturale, - né delle esperienze già fatte sul campo (ad esempio in relazione alla figura dei mediatori culturali). In particolare, la Società Italiana di Glottologia, la Società di Linguistica Italiana, Associazione Italiana di Linguistica Applicata e il Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica hanno elaborato un documento congiunto per denunciare come la mozione sulle classi di inserimento sia «non chiara nelle premesse, poco perspicua nel metodo e inefficace nella soluzione». http://web.unimc.it/sig/Documenti/Nota-a-mozione-1-00033.pdf.

  43. 3.3. Differenze culturali e diritto all’istruzione: la mozione sulle “classi di inserimento” In secondo luogo, la mozione sulle classi di inserimento appare inadeguata, se non addirittura controproducente, rispetto al fine di favorire l’integrazione degli studenti stranieri per almeno due ragioni, distinte, ma strettamente connesse. a) La prima ragione è che la mozione sembra assumere che integrazione sia sinonimo di assimilazione. Basti pensare ai termini in cui è caratterizzato il curriculum ad impostazione interculturale abbozzato nella mozione. In particolare, seppure asseritamente improntato al rifiuto dell’etnocentrismo, esso sembra esserne piuttosto un’espressione esemplare. - In primo luogo, infatti, il fatto che tale curriculum sia previsto per le sole classi di inserimento, e non anche per quelle ordinarie, sembra suggerire l’idea che l’educazione all’interculturalità sia un obiettivo rivolto soltanto agli immigrati. - In secondo luogo, inoltre, gli specifici obiettivi che il curriculum dovrebbe realizzare sono volti esclusivamente ad impartire agli immigrati insegnamenti sulla cultura del Paese accogliente, esigendone il rispetto, e non invece a favorire conoscenza e rispetto reciproci tra le diverse culture che nella scuola italiana entrano in contatto.

  44. 3.3. Differenze culturali e diritto all’istruzione: la mozione sulle “classi di inserimento” b) la seconda ragione è che l’insistita anche se non sempre esplicita distinzione tra “noi” e “loro” (che segna lo stile dell’intera mozione), sembra improntata a quella concezione essenzialista e differenzialista delle culture - di cui si evidenziato il carattere problematico - e che rappresenta un ostacolo significativo a un autentico processo di interazione e di dialogo.

  45. 3.3. Differenze culturali e diritto all’istruzione: la mozione sulle “classi di inserimento” Le questioni problematiche fin qui evidenziate mostrano come l’intento di ottenere un’integrazione - che sia assimilazione più che interazione tra individui di culture diverse - e che quindi non tenga conto delle differenze culturali e non le rispetti si accompagni alla violazione del diritto fondamentale di ogni individuo a ricevere un’istruzione adeguata in condizioni di eguaglianza con ogni altro individuo. Anche in questo caso, quindi, un atteggiamento poco attento ad un’autentica valorizzazione le differenze culturali ha prodotto un’iniziativa potenzialmente lesiva di un diritto fondamentale. E anche in questo caso, quindi, il conflitto tra rispetto della diversità culturale e tutela dei diritti fondamentali sembra essere soltanto apparente.

  46. 4. Diversità culturale e diritti fondamentali: un conflitto inevitabile? Le considerazioni che precedono consentono: 1. di rispondere negativamente alla domanda, provocatoriamente posta da J.K.Cowan, M.-B.Demboure R. Wilson,«Isitalwaysreally culture thatis at issue?». No, non sempre è la cultura ad essere in gioco. Anche in conflitti in cui apparentemente le differenze etniche sembrano avere un ruolo importante, spesso le questioni davvero rilevanti sono altre, e sono strettamente connesse alla violazione di diritti fondamentali. Lo mostra esemplarmente il caso di Rosarno. Cowan, Jane K. / Dembour, Marie-Bénédict / Wilson, Richard A. [2001], Introduction. In: J. K. Cowan, M.-B. Dembour, R.A. Wilson, Culture and Rights. AnthropologicalPerspectives. Cambridge, CambridgeUniversity Press, 2001, p. 6.

  47. 4. Diversità culturale e diritti fondamentali: un conflitto inevitabile? 2. di affermare che spesso il rispetto dell’identità culturale e la tutela dei diritti fondamentali sanciti nei documenti internazionali e nelle costituzioni statali non solo non sono in conflitto ma anzi si rafforzano reciprocamente. 3. di ribadire che, anche laddove la conciliabilità tra diversità culturale e tutela dei diritti fondamentali risulti complessa e problematica, una critica della concezione essenzialista della nozione di cultura suggerisce un atteggiamento prudente e critico.

  48. 4. Diversità culturale e diritti fondamentali: un conflitto inevitabile? L’essenzializzazione della nozione di cultura e l’assunzione di visioni semplicistiche e stereotipate delle culture e delle differenze culturali portano infatti non soltanto • non solo ad enfatizzare le tensioni che possono porsi in ragione della convivenza tra persone di culture diverse • ma anche a rafforzare l’idea, sbagliata e fuorviante, che i diritti fondamentali - siano prerogativa della sola “cultura occidentale” -siano estranei ad altre culture

  49. 4. Diversità culturale e diritti fondamentali: un conflitto inevitabile? Sembra invece opportuno da un lato, problematizzare l’affermazione secondo la quale i diritti fondamentali sono l’espressione della cultura dell’“occidente” Come scrive TeclaMazzarese, infatti, «quello della Dichiarazione universale [dei diritti dell’uomo] del 1948 più che il catalogo dei diritti dell’“occidente”, della sua “cultura” e della sua “civiltà” [è] piuttosto il catalogo dei diritti che (da ultimo, ma certo non solo negli anni venti, trenta e quaranta del novecento) una parte dello stesso “occidente” (la Germania nazista, l’Italia fascista, la Spagna franchista) aveva ignorato con i propri regimi totalitari, negato con le proprie politiche razziste di discriminazione e di sterminio, violato con la propria volontà di sopraffazione e di guerra». E ancora, «il catalogo dei diritti della Dichiarazione universale è non tanto espressione dei valori distintivi dell’ “occidente”, quanto piuttosto, come testimoniano incertezze e reticenze nel loro riconoscimento e nella loro attuazione e tutela, dei valori che gli stessi paesi “occidentali”, non meno e non diversamente dai paesi “non occidentali”, devono ancora imparare a fare propri». Mazzarese, Tecla [2010], Nuove sfide e tentativi di delegittimazione. Un’introduzione . In T. Mazzarese, P. Parolari (eds.), Diritti fondamentali. Le nuove sfide. Torino, Giappichelli, 2010, pp. 2, 3.

  50. 4. Diversità culturale e diritti fondamentali: un conflitto inevitabile? dall’altro lato, mettere in evidenza come il linguaggio e la cultura dei diritti abbiano assunto un ruolo sempre più significativo nelle culture altre • tanto all’interno dei propri stati e delle proprie aree geo-politiche di provenienza, come dimostrano le varie carte regionali dei diritti fondamentali • tanto tra le persone di culture diverse che risiedono negli stati occidentali, come dimostrano i casi che si sono portati ad esempio, in cui a rivendicare i diritti fondamentali sono proprio gli altri contro di noi.

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