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Semiotica

Semiotica . R. Solaini. Prima lezione. Il pensiero strategico. R. Solaini. A proposito di strategia . Secondo il dizionario della lingua italiana (Treccani), strategia è:

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Presentation Transcript


  1. Semiotica R. Solaini

  2. Prima lezione Il pensiero strategico R. Solaini

  3. A proposito di strategia • Secondo il dizionario della lingua italiana (Treccani), strategia è: • nell’arte militare, la tecnica di individuare gli obiettivi generali e finali di una guerra o di un ampio settore di operazioni, di elaborare le grandi linee di azione, predisponendo i mezzi per conseguire la vittoria • regola generale di condotta che, prevedendo i possibili sviluppi di certe situazioni (per es., le successive mosse dell’avversario), stabilisce quali linee di azione si debbano seguire per il conseguimento dell’obiettivo. • Strategia è innanzitutto capacità di commisurare i mezzi ai fini. Strategia è attuazione di una condotta ragionevole. • Secondo la definizione data, però (voce 2), il pensiero strategico dipende anche dalla capacità di prevedere le mosse degli altri. • Da questo punto di vista il pensiero strategico è un atto comunicativo, un dialogo a distanza, così come ogni vera dialettica presume anche una strategia. • Ad esempio, prevedere, fare intendere, dissimulare, interrogare, tenere la posizione sono tutte mosse, che appartengono sia all’ambito della comunicazione, sia a quello della strategia. • La strategia non usa la comunicazione. La strategia è comunicazione. R. Solaini

  4. Strategia e semiotica • Prima ancora che comunicazione, strategia è capacità di lettura, di interpretazione, di trasformazione, del mondo. Ancora prima di comunicarlo, la strategia, cioè, costruisce senso. • Strategia è, innanzitutto, un processo di attribuzione di senso: è uno stratega colui che sa “leggere” la situazione, “interpretare” una mappa, “valorizzare” le possibilità di azione. • Il lavoro strategico è quindi una performance cognitiva, che ha lo scopo di riconoscere dietro ogni situazione una possibile struttura di senso, e quindi di azione. • Ogni strategia dipende dalla capacità di trasformare gli oggetti in segni di quegli stessi oggetti. R. Solaini

  5. Cavalli • Il primo esempio di pensiero strategico è offerto, fin dalla nascita della cultura occidentale, dall’episodio del cavallo di Troia con il quale Ulisse riuscì a sconfiggere i Troiani. • Fra i Greci si confrontano due diverse logiche di azione. La prima, impersonata da Achille, è basata sulla forza. La seconda, impersonata da Ulisse, sull’intelligenza. • La condotta di Achille è basata sul legame immediato e diretto fra mezzi e fini. La condotta di Ulisse, invece è basata sulla trasformazione della realtà e sulla mediazione simbolica: il cavallo di Troia non è più un cavallo, ma la messa in scena di un cavallo, un segno (menzognero) di un cavallo, forse una statua in onore degli Dei, forse un nascondiglio. • Infatti, intorno alla “vera” natura del cavallo si svolge una discussione fra l’indovino troiano Calcante (nell’antichità gli indovini erano incaricati dell’interpretazione dei segni) e una spia di Ulisse, strategicamente lasciara lì da Ulisse sotto mentite spoglie. • I Greci vincono la guerra (nonostante con la forza non fossero riusciti ad avere la meglio) perché vince, perché viene ritenuto più credibile, il loro discorso, il racconto della spia di Ulisse. R. Solaini

  6. Statua o nascondiglio? R. Solaini

  7. Il segno • Si ha un segno quando aliquid stat pro aliquo (qualcosa sta per qualcos’altro). • Si definisce segno tutto ciò che rinvia a qualche cos’altro, tutto ciò che può essere interpretato come manifestazione sensibile di un contenuto intelligibile assente. • Sono segni, ad esempio, i sintomi (che rinviano alla malattia), le tracce (che rinviano a colui che le ha impresse), gli indizi (che rivelano l’identità del colpevole), uno stemma (che rinvia a una famiglia nobiliare). • Poiché segno è tutto ciò che parla di qualche cos’altro da sé, ciò che trasforma un oggetto nella manifestazione di un contenuto nascosto (e da interpretare), il segno, come il cavallo di Troia, è, strutturalmente una finzione. (Ad esempio, si possono lasciare falsi indizi per ingannare il detective) • Il linguaggio, secondo la definizione di Umberto Eco (Trattato di semiotica generale) è “facoltà di mentire”. Se con il linguaggio non si potesse mentire, dice Eco, non si potrebbe dire nulla, neanche la verità. • Lo studio dei segni cerca di determinare in che modo, a quali condizioni, in quali contesti culturali siamo portati a considerare una finzione credibile. Come accada che un segno diventi uno stereotipo ed possa quindi essere confuso con ciò per cui esso sta. R. Solaini

  8. “Questo non è un cavallo” R. Solaini

  9. Fra arte e semiotica: Magritte R. Solaini

  10. La semiotica • La semiotica è una disciplina che ha una lunga preistoria. Fin dall’inizio, e secondo la sua etimologia, il suo oggetto è stato lo studio dei segni (in greco, sēmeĩon) e della loro interpretazione. Da allora, hanno parlato di segni Eraclito, Aristotele, gli Stoici, Sant Agostino, Bacone Locke, Husserl (solo per citarne alcuni). • Il segno, quindi, è stato un costante e ricorrente problema per il pensiero logico e filosofico, che affrontava il nodo di come l’uomo possa affacciarsi intenzionalmente sul mondo (guardando e non solo vedendo, ascoltando e non solo sentendo – cfr., The sound of Silence, Simon & Gurfunkel). Si tratta di capire come sia possibile attribuire significato a quanto ci circonda. • La storia della semiotica, invece, comincia intorno all’inizio del 1900 con l’opera di Ferdinand de Saussure (linguista ginevrino, 1817-1913) e di Charles S. Peirce (filosofo e logico statunitense, 1839-1914). Si tratta di due figure profondamente diverse per formazione e carattere. • Oggi, dopo un secolo di riflessione, piuttosto che di segni, si preferisce parlare di testi: di sistemi di significazione e di comunicazione. Si è riconosciuto, cioè, come ciascun segno esista, abbia un significato determinato, e possa quindi essere studiato, solo entro un contesto e in relazione ad altri segni. • L’oggetto della semiotica è lo studio è il “senso”; la sua ambizione è “dire qualcosa di sensato sul senso” (cfr. Algirdas Greimas) R. Solaini

  11. Seconda lezione Costruire valori, progettare strategie R. Solaini

  12. Semiotica e strategia • La strategia diventa una questione eminentemente semiotica quando, piuttosto che beni materiali sono in gioco valori simbolici (in semiotica si parla di Oggetti di Valore). Detta in altri termini, la strategia diventa una questione semiotica quando si passa dal mercato dei bisogni (tendenzialmente saturo) a quello dei desideri (G. Fabris, Il nuovo consumatore). • La semiotica è quindi centrale, fondante, per il lavoro strategico in quanto: • Il mercato contemporaneo si è spostato sempre di più verso la circolazione di valori immateriali e simbolici piuttosto che di beni materiali. Il mercato, cioè, tende a soddisfare il bisogno secondario di produrre senso (J. Lotman, Semiotica della cultura). • La nozione di valore contiene quella di servizio o bene materiale, ma non viceversa: i servizi offerti fanno parte del valore simbolico (dell’identità) di una marca, senza essere riducibili ad essa. • La semiotica osserva, quindi come ciascuna strategia discorsiva si incarichi di trasformare oggetti in valori, ovvero in oggetti dotati di senso, ovvero in segni. R. Solaini

  13. Comunicare per creare mondi possibili • Secondo gli approcci classici, la comunicazione è uno degli elementi del marketing mix (insieme al prezzo, alla scelta dei canali di distribuzione, al prodotto e al packaging). • In questo contesto, la comunicazione ha una funzione accessoria e di servizio: si tratta di informare, di far conoscere l’esistenza di un nuovo prodotto e di sottolinearne i vantaggi. Si tratta di trovare i giusti canali per raggiungere il target e “colpirlo”. • Un approccio semiotico alla strategia riconosce invece alla comunicazione un ruolo essenziale. Se si tratta di valori e non di beni materiali, la comunicazione non può avere una funzione descrittiva, ma necessariamente costitutiva: solo attraverso il linguaggio è possibile costruire valori, significati, simboli. • Ad esempio, un oggetto non può diventare ed essere considerato “mitico”, o “di culto”, a meno che venga sancito come tale dal discorso di una comunità. R. Solaini

  14. Due concetti di comunicazione APPROCCIO CLASSICO • La comunicazione ha valore importante ma accessorio: si tratta di informare circa strategie elaborate altrove. • La comunicazione ha funzione informativa e descrittiva: si limita a raccontare il mondo per quello che esso è. Il linguaggio “riflette” e rappresenta il mondo. • La comunicazione ha una dimensione monologica: i consumatori prendono atto delle informazioni, ma non interagiscono con la marca (la parola target, in inglese “bersaglio”, lascia intendere quanto poco spazio di azione sia lasciato al consumatore) APPROCCIO SEMIOTICO • La comunicazione ha valore essenziale: la comunicazione è essa stessa strategia. • La comunicazione ha valore costitutivo. Il linguaggio costruisce il mondo, per come esso appare, ne costituisce il tessuto di razionalità (logos significa in greco sia “parola”, sia “ragione”) • La comunicazione ha una dimensione dialogica. I valori di associati a un prodotto non sono solo affermati dalla marca, ma sono il risultato di un continua contrattazione e negoziazione fra marca, competitors e consumatori. R. Solaini

  15. A proposito di valore • Determinare il valore di un prodotto (o di una marca) equivale a determinare il significato. Valore e significato sono sinonimi, tanto è vero che si parla comunemente di “valori semantici” o “valori simbolici”. • Indagando come si costruiscano i significati, la semiotica studia quindi anche come si costruiscano valori: • Valore come tipo: il valore è risultato di un’astrazione, fra scommessa e banalità, che riconduce ogni concreta occorrenza a un tipo più generale. • Valore come posizione entro un sistema: il valore viene determinato dalle relazioni che esso intrattiene con gli elementi dello stesso sistema. Da questo punto di vista il concetto di valore semantico coincide interamente con la nozione di posizionamento nel marketing • Valore come ruolo narrativo: il valore di un oggetto dipende dal ruolo che a esso viene assegnato dal racconto che lo mette in scena. R. Solaini

  16. La semiotica nella ricerca strategica • La semiotica è oggi diventata disciplina portante e fondamentale nel lavoro di analisi e di progettazione delle strategie di comunicazione. • Attraverso l’analisi semiotica si intende ricostruire innanzitutto l’idea, i valori (i core values), il concetto (concept), che sta alla base di qualsiasi strategia di marketing. • In tutti i momenti di verifica e di modifica di una strategia di comunicazione, la semiotica interviene per “grattare la superficie dei testi”, scoprendo così i nuclei semantici costanti, le idee portanti, e quindi strategiche, ma nascoste dalla variabilità delle scelte creative. • In questo modo, la semiotica assicura la coerenza, e quindi l’efficacia, di una strategia di comunicazione e la sua adeguatezza rispetto agli obiettivi stabiliti. • Al tempo stesso, la semiotica può indicare anche i modi in cui un concetto può trasformarsi coerentemente con la propria storia, ma anche in modo innovativo. R. Solaini

  17. Il primo presupposto • Sotto le forme espressive più eterogenee, dietro le soluzioni più creative, operano motivi profondi e costanti, che costituiscono la matrice del testo, oltre che il comune denominatore di un insieme di testi, fra di loro assimilabili. • Individuare con precisione tali motivi profondi serve, nel momento creativo, a “farli parlare” meglio, e, nel momento strategico, a trasformarli nella maniera più utile. • Per la semiotica, dunque, un testo (etimologicamente un “tessuto”) è una struttura, una trama ordinata su più livelli di diversa profondità. R. Solaini

  18. Il secondo presupposto • L’idea, il concetto, non è cartesianamente semplice, univoco. • Il concetto può essere detto con una semplice parola, ma una parola non è un “semplice” concetto: una parola deve essere interpretata, contestualizzata, inserita all’interno di un tessuto di relazioni (vale a dire, in un testo), altrimenti rimane ambigua: una “nebulosa di senso”, un “iceberg”, che nasconde intere configurazioni testuali, che la spiegano e che occorre ricostruire (cfr. Floch, Semiotica, marketing e comunicazione, p. 51) • Se una parola fosse un semplice concetto, se avesse un significato univoco e dato, di essa non si potrebbe dire nulla, se non attraverso sinonimi. Non si potrebbe fare altro che ribadire che un concetto significa (è uguale a) se stesso (concezione analitica del linguaggio). • Al contrario, un concetto presume un linguaggio e dipende dall’uso che se ne fa. Nasconde una struttura che lo definisce, volta per volta in maniera diversa. • Scopo dell’analisi semiotica è verificare come le parole si trasformino nell’uso: indagare la vita dei segni, le loro trasformazioni, la loro strategia. R. Solaini

  19. Terza lezione Intepretare, abdurre, dare valore R. Solaini

  20. Interpretare • Ogni attribuzione di valore presume un processo logico di astrazione, che è interpretazione. • Ogni meccanismo interpretativo si basa su un costante passaggio inferenziale. Si tratta sempre di ricondurre un’occorrenza (detta token) a un tipo generale (detto type), di considerare un caso come manifestazione di una regola, che lo spieghi (ovvero che gli dia senso). • Il passaggio dal caso alla regola costituisce un’operazione razionale, definita dal semiologo e logico americano Charles Sanders Peirce “abduzione”. R. Solaini

  21. Deduzione, induzione e abduzione • L’abduzione può essere definita in termini logici come una manipolazione dell’ordine del ragionamento deduttivo. Ciò dimostra come anche un’attività interpretativa (e quindi soggettiva) dipenda da un metodo. • Si intende per deduzione il ragionamento sillogistico codificato da Aristotele negli Analitici Primi e Analitici Secondi: il sillogismo è un’inferenza necessaria, basata su tre termini, e quindi su tre proposizioni: premessa maggiore (o regola), premessa minore (o caso), conclusione (o risultato). • Oltre alla deduzione (passaggio dall’universale al particolare; dalla regola al risultato), si hanno due altre forme di ragionamento; l’induzione (generalizzazione, passaggio dal particolare all’universale; dal risultato alla regola), e l’abduzione (o “ipotesi”, spiegazione del risultato come caso di una regola). R. Solaini

  22. La deduzione • Regola: Tutti gli uomini sono mortali Le biglie di questo sacco sono nere • Caso I filosofi sono uominiQueste biglie vengono da questo sacco • Risultato Tutti i filosofi sono mortali Queste biglie sono nere • La deduzione mira a trarre le conseguenze necessarie da due premesse note. La deduzione è un’inferenza necessaria perché le conclusioni che essa trae sono implicite nelle premesse poste. Per questo, si dice che la deduzione costituisce un’inferenza analitica, certa ma ovvia. • La deduzione ruota intorno al termine medio “uomini”, presente in entrambe le premesse, ma non nella conclusione. Il termine medio assicura la necessità del legame fra “filosofi” e “mortali”. Spiega per quale ragione i filosofi sono mortali: perché sono uomini. • Il termine medio costituisce una possibile definizione di filosofi. • La struttura del sillogismo aristotelico mostra come il ragionamento si fondi su una base semantica implicita, vale a dire su una definizione. R. Solaini

  23. L’induzione • Risultato Tutti i filosofi sono mortali Queste biglie sono nere • Caso I filosofi sono uomini Queste biglie vengono da questo sacco • Regola Tutti gli uomini sono mortali Tutte le biglie del sacco sono nere • L’induzione costituisce una generalizzazione delle precedenti osservazioni: tutti i fatti osservati che rientrano in una data classe (o caso) hanno una determinata caratteristica. Si può allora presumere che tale caratteristica potrà essere estesa anche alle future osservazioni e ipotizzare una regola universalmente valida. Vale a dire, valida per tutti i membri della classe. • L’induzione non costituisce un’inferenza logicamente necessaria: sono sempre di principio ipotizzabili “eccezioni” non ancora note, che falsifichino una regola, o che quantomeno ne limitino il campo di applicazione. • Poiché permette una generalizzazione, l’induzione espande la conoscenza solo sotto il profilo quantitativo: si afferma per un intero universo ciò che si è verificato essere il caso per alcuni esemplari di tale universo/regola. R. Solaini

  24. L’abduzione • Regola Tutti gli uomini sono mortali Tutti le biglie nel sacco sono nere • Risultato Tutti i filosofi sono mortali Tutte queste biglie sono nere • Caso I filosofi sono uomini Tutte queste biglie vengono da questo sacco • L’abduzione costituisce un tentativo di spiegare un risultato osservato, ipotizzando che sia il caso di una regola. • L’abduzione non costituisce un’inferenza logicamente necessaria, perché retrocede dagli effetti alla causa, dal risultato al caso, ma rappresenta il modello del pensiero intelligente e strategico. • L’abduzione è, ad esempio, il modello razionale che presiede al ragionamento diagnostico, o alle investigazioni criminali. La diagnosi infatti ricerca le cause che spiegano i sintomi, ovvero la malattia. Le investigazioni criminali ricercano invece l’antefatto (il responsabile del delitto). • L’abduzione cerca di fare quel “passo indietro” sempre necessario per capire meglio. Per questo viene detta anche “retroduzione”. R. Solaini

  25. L’induzione nelle ricerche di mercato • L’induzione è il modello logico da cui dipendono, ad esempio, i sondaggi (proiezione sull’universo degli elettori di ciò che è stato verificato per un campione rappresentativo) e, più in generale, le ricerche quantitative. • Nelle ricerche quantitative il margine di approssimazione dipende dall’ampiezza del campione dal quale si traggono inferenze induttive. Più il campione è ampio, più si avvicina alla totalità dei soggetti, più l’induzione tende a diventare certa. • Poiché però l’induzione si applica, per ragioni pratiche, su campioni quantitativamente ristretti, si dice che il campione deve anche essere rappresentativo. • Costruire un campione rappresentativo è però problema di tipo abduttivo e non induttivo. Attraverso l’abduzione si procede infatti a costruire classi, tipi, i cui caratteri possono poi essere misurati ed generalizzati. Un campione è rappresentativo quando sono proporzionalmente rappresentati tutti gli elementi tipici, i caratteri rilevanti che compongono la società. • Un campione ritenuto erroneamente rappresentativo, un errato campionamento della società (errore abduttivo) genera margini di errore molto più alti, di quelli derivanti dall’approssimazione statistica (errore induttivo). R. Solaini

  26. Imparare a pesare i numeri Scrive Michel de Certeau (L’invenzione del quotidiano) “La statistica coglie il materiale di queste pratiche non la loro forma; individua gli elementi utilizzati e non il fraseggio derivante dal bricolage, dall’inventiva artigianale”. • I dati quantitativi non possiedono altra validità e pertinenza al di fuori dalle condizioni entro cui sono stati raccolti: essi restano ciò che sono al momento della loro produzione: la loro qualità e la loro rilevanza informativa sono proporzionate a quelle delle procedure di suddivisione e costruzione delle categorie con cui sono stati ricavati e valgono altrettanto. • La semiotica viene impiegata all’interno delle ricerche qualitative: essa si incarica di determinare la rilevanza informativa, la pertinenza (il significato) dei dati che le ricerche quantitative dovranno poi misurare. R. Solaini

  27. Abduzione e senso • Attraverso l’abduzione, si produce senso, perché si interpreta un dato (un indizio o un sintomo) come manifestazione (come caso) di una regola (che può essere precedentemente nota, o costruita ad hoc). Si legge un’occorrenza come occorrenza di un tipo. • L’abduzione consente un aumento qualitativo della conoscenza, in quanto porta alla spiegazione di un fenomeno, ovvero a una sua possibile definizione (che coincide con il termine medio della deduzione sillogistica). • L’abduzione dà un nome alle cose, ipotizza una definizione. Posta una definizione, ad esempio il fatto che i filosofi sono uomini, diventa possibile inferire tutte le proprietà conseguenti, in linea di principio illimitate: se i filosofi sono uomini, allora sono mortali, ma anche razionali, dotati di linguaggio, … • Per questo, l’abduzione è un ragionamento sintetico: essa accresce la conoscenza, attribuendo senso al mondo. • Attraverso l’abduzione, si costruisce senso, ma si perde in certezza. Senso e certezza stanno in rapporto inversamente proporzionale: più un enunciato è certo, più esso è semanticamente povero. Al limite estremo della certezza c’è la tautologia (“x = x”), pura affermazione di identità, semanticamente vuota. Più un enunciato è semanticamente ricco, più esso è incerto e parziale. R. Solaini

  28. Abduzione, senso e strategia • Attribuire senso agli eventi è la prima mossa strategica. L’abduzione, scrive Peirce, è “un’inferenza rivolta al futuro”: l’abduzione formula un ipotesi, e da ogni ipotesi seguono conseguenze: “se, …, allora”. • Non esiste un’abduzione buona e una cattiva in funzione della sua maggiore o minore certezza (l’abduzione è sempre incerta e logicamente fallace). Esiste un’abduzione densa di conseguenze, di futuro, gravida cioè di senso (e quindi anche verificabile). • Più è ricca un’abduzione, più essa è capace di generare senso, più sarà forte la strategia basata su di essa. • Il modello abduttivo mostra come elaborare una strategia dipenda da un processo semiosico. Strategia è mettere in relazione eventi (“prima, .., dopo”; “se, …, allora”) attraverso una attribuzione di senso. R. Solaini

  29. Quarta lezione La forma del senso: relazioni R. Solaini

  30. Il segno • Secondo la definizione classica, segno è tutto ciò che può “stare per” qualche cos’altro, o che può essere interpretato come funtivo (come “elemento di una funzione”) entro una relazione di rinvio: si ha un segno quando aliquid stat pro aliquo. • Il fondatore della semiotica strutturale Ferdinad de Saussure ha precisato la nozione di segno, definendolo come relazione fra un significante (o espressione) e un significato (o contenuto). • Secondo la definizione di Saussure, significante e significato sono termini relativi: possono essere definiti solo reciprocamente (il significante è ciò che rinvia a un significato; il significato presuppone il significante che lo esprime). • Secondo Saussure, dunque, segno è un’unità composta da due facce inscindibili (Espressione e Contenuto). La relazione stessa costituisce il segno; il segno viene quindi ridefinito come una struttura relazionale pura, e non come un oggetto capace di rinviare ad altro. • Il linguaggio, composto da segni, è analogamente definito dalla relazione fra due piani: il piano dell’espressione (E) e il piano del contenuto (C), legati da un rapporto di presupposizione reciproca. R. Solaini

  31. Arbitrarietà verticale • Con il termine “arbitrarietà” si intende definire innanzitutto il rapporto fra espressione e contenuto (E/C), che è convenzionale e non motivato. • Grazie all’arbitrarietà, lingue diverse esprimono concetti analoghi con termini diversi, validi per convenzione). • Segni motivati sono invece le: • Icone: (es. la bilancia per rappresentare la giustizia), nelle quali il rapporto fra significante e significato è motivato da un rapporto di somiglianza (segni di ordine metaforico). • Indici: (es. le tracce lasciate da un animale), nei quali il rapporto fra significante e significato è motivato da un rapporto causale o di contiguità (segni di ordine metonimico). R. Solaini

  32. Arbitrarietà orizzontale • Arbitrario, però, è anche il rapporto che distingue un segno (unità di espressione e contenuto) dai segni contigui. Si parla in questo caso di “arbitrarietà orizzontale”. • Ad esempio: quale è il discrimine fra “bosco” e “foresta”? Ogni lingua decide tale confine liberamente, vale a dire arbitrariamente, anche in funzione del maggiore o minore numero di termini che impiega per coprire una data area semantica. • A causa dell’arbitrarietà “orizzontale” il rapporto fra espressione e contenuto è immotivato, ma, al tempo stesso, necessario: solo perché si possiede un nome, un segno, è possibile identificare una determinata porzione di contenuto. • Espressione e contenuto sono, quindi, come i due lati di un foglio di carta: non si può tagliare un lato senza tagliare l’altro. I due piani sono legati da un rapporto di reciproca solidarietà e presupposizione. R. Solaini

  33. Dare forma al mondo • La tabella riporta la diversa (perché arbitraria) segmentazione di un medesimo campo semantico (il mondo vegetale) operata da diverse lingue (danese, tedesco e francese) • Poiché non esistono equivalenze fra le diverse lingue che possano essere utilizzate come definizioni (ad esempio, baum non “corrisponde” esattamente né a trae, né ad arbre), ogni termine si definisce solo all’interno del sistema, in quanto si distingue e si oppone ai termini contigui, che coprono una diversa porzione di contenuto. Baum Arbre Trae Holz Bois Skov Wald Forêt R. Solaini

  34. La forma del contenuto • La matrice, svuotata degli investimenti semantici relativi a ciascuna casella, mostra la “forma del contenuto” per un determinato campo semantico nelle diverse lingue. • La variabilità (l’arbitrarietà) della forma del contenuto, mostra l’impatto che il linguaggio ha su ogni cultura (vale a dire, sul suo modo di leggere il mondo, riconoscendo unità discrete), la quale viene da esso plasmata. • La mancanza di conformità fra la forme del contenuto di due lingue spiega la difficoltà di traduzione e mostra come tradurre significhi sempre tradurre due culture. Operazione tanto complessa, che alcuni autori – semiologi, logici, filosofi – hanno concluso che tradurre sia, in linea di principio, un’impresa impossibile. R. Solaini

  35. Il senso come relazione • Definire un segno (una parola), etimologicamente “tracciare i confini”, equivale a distinguerlo da ciò che esso non è, da ciò che esso non dice. Determinare la sua posizione all’interno del sistema. • Il senso si dà per relazione e per differenza. Il senso si definisce solo entro una struttura di relazioni ordinate. Il significato di un segno, determinato dal rapporto che intrattiene con i segni ai quali si oppone, o con i quali entra in relazione, è definito “valore”. • Così definito, il senso, il valore” si identifica completamente con il concetto di posizionamento usato nel marketing. R. Solaini

  36. Valori semantici e valori economici • Nella sua accezione strutturale, il “segno” è assimilabile al concetto di “moneta”: in entrambi i casi si parla di “valori”, determinati dai sistemi di relazioni entro i quali i segni e le monete vengono definite. • Come il valore del segno è determinato dal rapporto fra Espressione e Contenuto e dal rapporto con gli altri segni contigui, allo stesso modo il valore di una moneta è determinato dal suo potere di acquisto (il suo “contenuto”) e dal rapporto con le altre valute, con le quali può essere confrontata scambiata. Le due dimensioni (valore di scambio e potere d’acquisto) si definiscono reciprocamente. • Se il segno è come una moneta e viceversa, il mondo del consumo (scambio di monete/merci) può essere equiparato a un sistema di significazione (scambio di segni/testi). • Comunicare significa consumare segni, consumare significa comunicare attraverso le merci (tesi sostenuta per primo da Baudrillard). Il mondo del consumo può essere interpretato come una forma di comunicazione, come un modo di appropriarsi e di trasformare i valori semantici investiti nei prodotti. • La stessa dialettica economica fra produzione e consumo può essere interpretata come un dialogo fra un mittente (produttore) e un destinatario (consumatore). Attraverso il dialogo continuo, nel confronto, sempre strategico e alle volte polemico, fra produzione e consumo si genera il segno/prodotto: un oggetto dotato di un valore al tempo stesso economico e simbolico. R. Solaini

  37. Dalla forma alla sostanza • La solidarietà fra Espressione e Contenuto definisce la particolarità epistemologica (“epistemologia” è una teoria filosofica che riguarda le condizioni di verità di una teoria) della semiotica: il linguaggio non produce senso perché si riferisce al mondo, ma dà forma al mondo, rendendolo riconoscibile e sensato. • Il mondo è considerato dalla semiotica un continuum indistinto, una nebulosa alla quale solo il linguaggio può dare forma. La sintesi fra la forma del contenuto (le strutture semantiche) e la materia continua e ancora indistinta del mondo genera la sostanza del contenuto. • Ogni linguaggio, ogni sistema semiotico, è definito dalla correlazione e dalla determinazione reciproca fra la forma (e quindi la sostanza) dell’espressione e la forma (e quindi la sostanza) del contenuto. • Riconosciuta la solidarietà fra il piano dell’espressione e del contenuto, l’analisi semiotica, analizza espressioni per indagare i contenuti, analizza forme per identificare sostanze. La semiotica indaga ogni scelta formale, verificandone le conseguenze sul piano semantico. R. Solaini

  38. Materia, Forma, Sostanza Espressione Sostanza Forma Materia Materia Forma Sostanza Contenuto R. Solaini

  39. Quarta lezione Piani e assi R. Solaini

  40. Connotazione e metalinguaggio • Dalla definizione del linguaggio come rapporto di determinazione reciproca fra il piano dell’espressione (E) e il piano del contenuto (C), deriva la definizione di metalinguaggio e di linguaggio connotativo. • Si ha un uso connotativo del linguaggio quando un segno (E/C) rimanda ad un ulteriore contenuto (C): Ad esempio: “cane” denota in prima istanza “mammifero della specie dei canidi” e connota successivamente “fedeltà”. • La connotazione è quindi una significazione seconda (ma non per questo necessariamente meno rigidamente codificata), che si istituisce in maniera parassitaria sulla denotazione primaria. • Si ha un uso metalinguistico del linguaggio quando un’espressione (E) viene usata per menzionare un segno nella sua interezza (E/C). Es.: “Cane” è una parola di quattro lettere. R. Solaini

  41. E/C Connotazione e metalinguaggio • Connotazione C • Metalinguaggio E E / C R. Solaini

  42. Linguaggi verbali e non verbali • Il linguaggio verbaleè un sistema semiotico privilegiato, perché è l’unico a godere della funzione metalinguistica: è l’unico linguaggio che possa parlare di se stesso, oltre che di altri sistemi semiotici. Ad esempio, si può analizzare un quadro con il linguaggio verbale, ma non analizzare un romanzo con un quadro. (N.B.: analizzare è cosa diversa dal tradurre, parafrasare, riformulare). • Grazie alla funzione metalinguistica il linguaggio verbale gode di una maggiore stabilità. Per questo, è stato a lungo considerato il sistema semiotico modello. Secondo R. Barthes (1915 – 1980), ad esempio, solo la didascalia verbale permetterebbe a una immagine di significare. • La semiotica successiva, tuttavia, non si è limitata allo studio dei linguaggi verbali, ma ha esteso il suo sguardo su ogni sistema di significazione. La semiotica considera ogni linguaggio che sia interpretabile, che istituisca, cioè, un nesso formale fra Espressione e Contenuto. • In questo modo, la semiotica si fa, fra le altre cose, garante della coerenza del “marketing mix”: dell’insieme della comunicazione di marca che impiega codici diversi e prevalentemente non verbali (design, packaging, naming, architettura dei punti vendita, testi pubblicitari sincretici, sonoro). R. Solaini

  43. La teoria dell’informazione • Intorno alla metà del ’900, la ricerca semiotica si interseca con la teoria dell’informazione. • La teoria dell’informazione, che proviene dagli studi di cibernetica e di intelligenza artificiale, analizza le condizioni che consentono il trasferimento ottimale e garantito di informazioni da un mittente a un destinatario, attraverso un canale e in un contesto. • Per funzionare, la comunicazione presume un codice condiviso fra mittente e destinatario e un canale privo di rumore. • Ma le cose spesso non vanno così: la teoria dell’informazione presume delle condizioni ideali e spesso irrealistiche. Al contrario, la comunicazione ha spesso il compito di aprire un canale e di ricostruire un codice condiviso. • Le condizioni presupposte dalla teoria dell’informazione sono, secondo la prospettiva semiotica, degli obiettivi da raggiungere. R. Solaini

  44. Gli attori della comunicazione(Secondo il modello dell’informazione – cfr. R. Jakobson, 1958) Contesto (funzione referenziale) Messaggio (funzione poetica) Mittente ------------------------------------------------------------Destinatario (funzione emotiva) (Funzione conativa) Canale (funzione fatica) Codice (Funzione metalinguistica) R. Solaini

  45. Le funzioni della comunicazione(Cfr. R. Jakobson - 1958) • Jakobson associa a ciascun attore della comunicazione una funzione specifica. Si fa largo l’idea che comunicare non serva solo a informare (funzione referenziale –vedi sotto), ma anche a esprimere emozioni, a provocare reazioni … • Funzione fatica (attenzione prevalente sul canale; mira a istituire il contatto comunicativo) • Funzione referenziale (attenzione sul mondo; mira a dire qualcosa di vero sulla realtà). • Funzione emotiva (attenzione sul mittente; mira a esprimere una dimensione passionale) • Funzione conativa (attenzione sul destinatario; mira a manipolarlo) • Funzione metalinguistica (attenzione sul codice; verifica o istituisce un linguaggio condiviso) • Funzione poetica (attenzione sul messaggio; rimescola le carte) • Tale modello non indica comunque la funzione unica di un dato testo, ma solo quella prevalente, a seconda di quale attore della comunicazione sia maggiormente preso in considerazione. R. Solaini

  46. La funzione poetica • La funzione poetica è definita come “la proiezione dell’asse del paradigma sull’asse del sintagma”. • Testo esemplare della funzione poetica è stato considerato lo slogan adottato da Eisenhower per la campagna presidenziale americana. “I like Ike” • Tale esempio dimostra come la funzione poetica ecceda i limiti della “poesia ufficiale”, ma rappresenti un modo di utilizzare le proprietà strutturali del linguaggio. • Per questo, non si parla di “poesia”, ma di “funzione poetica”, di uso poetico del linguaggio. R. Solaini

  47. Gli assi del linguaggio • Paradigma o sistema • Dimensione verticale • Selezione in absentia (Scelta fra termini mutuamente esclusivi, secondo la logica “o, … o”) • Principio di sostituzione • Codice, sistema (langue) • Sintagma • (dimensione orizzontale) • Combinazione in praesentia (accostamento fra termini ugualmente presenti) • Principio di contiguità (“e, …e”) • Messaggio, uso (parole) R. Solaini

  48. La funzione poetica II L’uso poetico del linguaggio produce i seguenti effetti di senso: • Rielaborazione semantica. L’assimilazione per via formale di termini contigui (assimilati, quindi sull’asse sintagmatico) porta alla costruzione di figure, ovvero di relazioni paradigmatiche. (Ad esempio, “donna” e “fiore”, che appartengono a due campi semantici lontani, vengono assimilati e ritenuti mutuamente sostituibili. Si crea per via metaforica un nuovo nucleo concettuale) • Opacità semantica. Le figure mettono in crisi le condizioni di sensatezza del testo. La lettura risulta deautomizzata. Occorre allora mettere in atto una strategia interpretativa attraverso la quale decidere sotto quale profilo, per quali particolari caratteri, ad esempio, una donna possa essere assimilata ad un fiore. • Autoriflessività: il testo non rinvia direttamente al mondo, difficilmente riconoscibile attraverso la descrizione che ne viene proposta, ma mostra innanzitutto se stesso, e la propria capacità di mettere in crisi e di trasfomare il codice. • La funzione poetica, rivela lo “spessore” del linguaggio, che non è una pellicola opaca che riflette le cose per come sono, ma un pack che dà loro forma e significato. Non un elenco neutro di etichette da attaccare, ma un sistema di relazioni che mette in forma il mondo. R. Solaini

  49. A proposito di codici • La funzione poetica e la funzione metalinguistica (che prevedono entrambe un’attenzione autoriflessiva del linguaggio su di sé) mostrano come la comunicazione non possa essere intesa come trasferimento di informazioni precedentemente codificate. • Il codice viene affermato, ribadito, o rafforzato dalla funzione metalinguistica; interrogato, messo in crisi, destrutturato dalla funzione poetica. • Il codice, se ancora si può sensatamente parlare di codice, è un punto di equilibrio instabile fra l’esigenza di ordine che ogni testo (e ogni cultura) manifesta e la tendenza al disordine, un compromesso momentaneo fra stabilità e entropia. R. Solaini

  50. Significare: mostrare il senso • La comunicazione non può basarsi su un codice condiviso e dato. Al contrario ogni testo costruisce il proprio codice. Ancora prima che per comunicare, si parla per produrre senso, per significare. • La poesia, ad esempio, è stata a lungo considerata un messaggio senza codice, un testo capace di suscitare emozioni, oltre e contro le regole del linguaggio ordinario. • Questa lettura è riduttiva. Secondo l’interpretazione strutturale, la poesia può essere considerata, al contrario, un codice senza messaggio (cfr. G. Genette, Figure II). Un pretesto, quasi, per elaborare nuovi linguaggi (o per approfondire le capacità espressive di un linguaggio dato). • Questo vale anche in ambito pubblicitario, nel quale ha ampio spazio la funzione poetica (tanto che essa è stata originariamente riconosciuta da un esempio tratto dal mondo pubblicitario). • Ancor prima che a ricostruire il senso di un messaggio, l’analisi semiotica mira quindi a ricostruire i particolari codici, ovvero le strutture, operanti in un testo. • Nell’uso, il linguaggio mostra se stesso. Ciò che può essere mostrato non può essere detto (cfr. Wittgenstein, Tractatus). R. Solaini

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