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ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE STATALE "Enrico Fermi"

ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE STATALE "Enrico Fermi" via Capitano Di Castri - 72021 FRANCAVILLA FONTANA (BR) tel. 0831 - 852132. Progetto Classi: IV A Meccanica e IV A Elettronica Docenti: Maria Crocetta Franciosa Paola D’Ambrosio  Anno Scolastico 2005/2006. LA LETTURA NON VA IN ESILIO.

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ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE STATALE "Enrico Fermi"

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Presentation Transcript


  1. ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE STATALE "Enrico Fermi" via Capitano Di Castri - 72021 FRANCAVILLA FONTANA (BR) tel. 0831 - 852132 Progetto Classi: IV A Meccanica e IV A Elettronica Docenti: Maria Crocetta Franciosa Paola D’Ambrosio  Anno Scolastico 2005/2006 LA LETTURA NON VA IN ESILIO

  2. Presentazione del progetto“La lettura non va in esilio” Il progetto “La lettura non va in esilio” proposto dal Centro Astalli in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Direzione generale per i Beni Librari – servizio per la promozione del libro e della lettura) intende sensibilizzare gli studenti al tema dell’asilo politico e approfondire la conoscenza delle problematiche dei richiedenti asilo e dei rifugiati. In particolare vuole favorire la riflessione sul tema dei profughi, attraverso la lettura di autori che hanno scritto sul tema dell’esilio. Da sempre l’esilio rappresenta uno degli eventi più drammatici nella vita dell’uomo. I rifugiati sono persone come noi, che, prima di essere costrette a fuggire avevano una famiglia, una casa, un lavoro. Leggere e conoscere le loro storie, tra cui quelle di personaggi celebri che durante la loro vita hanno cercato rifugio lontano dal paese d’origine, aiuta a comprendere parole capaci di valicare confini, abbattere muri, sorvolare la palude dell’odio e della violenza. Parole che parlano di terre lontane, di paesaggi sconosciuti, di lacrime, di angoscia, di miseria, di sradicamento. Parole che ci invitano a riflettere per costruire una società tollerante. Il progetto ha coinvolto due classi dell’istituto: la IV A Meccanica e la IV A Elettronica, che guidate dalle docenti di lettere hanno letto e schedato i libri messi a disposizione dal Centro Astalli. Dopo questa prima fase, gli alunni della IV A Meccanica, durante una discussione in classe, hanno individuato le tematiche presenti in ogni testo ed enucleato quelle ricorrenti quali: l’ emigrazione, l’ accoglienza, l’ integrazione, i bambini soldato. L’attività di ricerca che è seguita ha dato un taglio sociale al lavoro svolto ed è nata la curiosità di conoscere la situazione dell’ immigrazione e dell’ accoglienza in Puglia, anche attraverso un percorso storico di confronto tra passato e presente.

  3. Gli studenti della IV A del corso di Elettronica si sono lasciati conquistare dalla lettura producendo commenti, recensioni, o, prendendo spunto dai testi, anche una poesia e un racconto. In particolare, la dignità di chi parte viene evidenziata nel commento della poesia “Due voci“ di Erri De Luca. Le cause dell’abbandono delle propria terra sono diverse: tra le altre, la guerra civile in Colombia e in Serbia, l’autoritarismo in una famiglia irachena , come nelle testimonianze tratte dalla raccolta di storie “La notte della fuga”, a cura del “Centro Astalli”. Tali testimonianze sono state analizzate nelle relative schede di lettura. Una volta giunti nel paese ospitante ci sono i problemi di integrazione, il bisogno di aprirsi alla nuova realtà. Per superare il disagio si avverte l’appartenenza “ solo a ciò che piace”, come è per la cinese Jie, protagonista dell’omonimo racconto in “Una questione di pelle”; oppure si avverte il disagio della doppia appartenenza, come capita ai personaggi e alla stessa protagonista del romanzo “Rhoda”, di cui è stata scritta la recensione. Ci può essere, però, una volta integrati, il bisogno di tornare alle proprie radici, soprattutto se un padre affabulatore lo ha tratteggiato con i colori del mito ad una bambina che ne ha conservato l’incantesimo nel suo cuore, come avviene per l’Afghanistan dell’”L’albero delle storie”. Ma non tutti fuggono dalla propria terra : c’è chi lotta per liberare il proprio paese dal regime coloniale, come si racconta nel romanzo “La vera vita di Domingos Xavier“, in cui il protagonista in Angola combatte contro il regime coloniale portoghese. Le vicende drammatiche hanno fornito lo spunto per una poesia, una specie di testamento spirituale di Domingos. Partendo da un’esperienza personale, nel breve racconto, “Milo, mani di pietra”, viene descritto un episodio di intolleranza che ha per protagonista un albanese reo di aver apprezzato, semplicemente guardandola, una giovanissima romana. Il valore di tale progetto sta nell’entusiasmo dimostrato dagli studenti e nella prontezza della risposta alle sollecitazioni. Per l’insegnante, ancora una volta, è stata, da una parte, un’occasione di aggiornamento personale, entrando in contatto con una produzione letteraria a volte pregevole, ma sicuramente con il valore della testimonianza; dall’altra, un’occasione in più per invogliare alla lettura e alla produzione, anche creativa, i propri studenti.

  4. IV A Meccanica Schede di lettura Immigrazione in Puglia Accoglienza in Puglia ieri e oggi Il problema dei bambini soldato IV A Elettronica Recensioni Poesia Commento Racconto Indice

  5. Schede Di Lettura • La Vera Vita Di Domingos Xavier • E Venne La Notte • Rhoda • Soldatini Di Piombo • Migramente • Solo Andata • Questione Di Pelle • La notte Della Fuga • Sognando Maldini • Allah non è mica obbligato • Congedi Balcanici ESCI

  6. Congedi Balcanici Notizie sull’autore: L’ autore del libro “Congedi balcanici” è Drazan Gunjaca; un ex primo ufficiale della marina militare Jugoslavia a Spalato. Da una decina d’anni vive a Pola, dove esercita la professione di avvocato. Una ventina d’ anni fa scrisse in romanzo”A metà strada del cielo”che non ha mai pubblicato; ha dato alle stampe invece il secondo romanzo ”Congedi balcanici”, e in seguito “Amore come pena”(2002). Ha scritto tutti libri sulla guerra, scritti non per esporre le cause, ma per sperare che un conflitto come quello che ha vissuto nella sua terra non si ripeta più. Notizie sul libro”congedi balcanici” “Congedi balcanici” è uscito in Italia nel 2003 presso Fara Editori tradotto da Sardja Orbanic e Danilo Skomercic, ha rappresentato per Gunjaka un ottimo esordio, infatti ha vinto il premio Satyagraha 2002 (Riccione) ed e stato pubblicato in Germania, Australia, USA, Bosnia Erzegovina, Iugoslavia. E’ un romanzo contro la guerra, in particolare contro tutte quelle difficoltà che la popolazione coinvolta deve affrontare, come, soprattutto, l’ impossibilità di mantenere i legami affettivi ben saldi con gli amici e con le ragazze. Si tratta quindi di problemi degli individui, presi singolarmente perchè più indifesi. Nella narrazione di Gunjaca non si parla di divise, perchè ognuno dei suoi personaggi intreccia le sue “sfortune” con quelle dei suoi nemici. Non ha importanza se il protagonista è serbo o croato, oppure se la sua donna è serba o croata, la sofferenza che mette in risalto l’autore e al di sopra di queste distinzioni. Ogni personaggio entra nel racconto in un momento preciso, mostra la sua storia, per non dire disgrazia, e poi “sparisce”tutto nello stesso capitolo. Sembra che il ruolo del personaggio sia finito ma invece più avanti ritroviamo i personaggi (che sono Aca, Bonis, Mario) però “cresciuti” con la guerra e quindi cambiati. Per alcuni dei personaggi c’è addirittura la morte. Il vero protagonista del brano è Rodi che racconta con la sua quotidianità che cosa è stata la guerra nei Balcani. ESCI

  7. Questo romanzo parla di un luogo dove le cose belle sono temporanee, mentre il male, purtroppo, non lo è; qui può succedere qualunque cosa, dove un uomo non può meditare da sobrio nella sua vita, dove nessun ideale si può realizzare perchè come dice Robi nel libro: “Qui gli ideali durano solo dall’ oggi al domani”. E’ un luogo in cui sono successe tante cose, tante battaglie ci sono stati tanti morti che hanno dato la loro vita per la patria, il protagonista passa dal dolore alla rabbia, pensando alle centinaia di persone che sono stati mandati a morire, e anche chi è sopravvissuto si è trovato con la vita distrutta per sempre, ma niente di ciò e successo ai “capi” che tornavano in patria solo per qualche festa, senza perdere la coscienza che in patria c’era la guerra. Vittime assolute risultano solo i giovani volontari, pieni di forza, di speranza e di coraggio, persone contente finchè non è arrivata la guerra, con i suoi morti, i suoi feriti e con traumi psicologici. Vittime assolute sono anche i bambini,che si ritrovavano a dover colmare il vuoto lasciato dai loro padri. Comunque in tutto il romanzo ci sono delle storie a lieto fine, ma ci sono anche personaggi che crollano proprio quando sembra che abbiano raggiunto la loro gioia. ESCI

  8. Sognando Maldini La scrittrice è una donna africana, che nel libro racconta la sua storia e quella di alcune persone di un piccolissimo villaggio di un'isola africana. Nel libro spiccano due personaggi, Salie e il suo fratellino Madickè. Salie è una donna che emigrata in francia fa la scrittrice, Madikè uno dei tanti ragazzini che vedendo all'unica televisione del villaggio le partite, è un tifoso di Maldini e sogna di andare in Francia per diventare un calciatore ed incontrare il suo idolo, appunto Maldini. Tra una partita dell'Italia agli Europei del 2000 e l'altra, si svolge tutto il libro. Salie, una figlia illegittima, viene trattata male dal marito della madre e viene cresciuta da sua nonna, una donna a cui deve la sua formazione. Inizia ad andare a scuola di nascosto, ed aiutata dal suo maestro, un politico francese mandato in Africa, in quanto scomodato, riesce a convincere sua nonna a proseguire gli studi. Salie sogna di diventare una giornalista e vuole andare a vivere in Francia. Anche i ragazzini che guardano le partite, sognano di andare a giocare a calcio in una squadra francese, per diventare ricchi e andarsene dal villaggio che non offriva niente. Il desiderio di emigrare viene dai racconti della gente che era andata a lavorare in Francia ed era ritornata in patria ricca, raccontavano che in Francia c'era la vera vita, c'era tutto: profumi, vestiti, televisioni. In uno dei suoi ritorni in patria Salie, scopre che suo fratello ha un sogno, quello di emigrare. Aiutata dal maestro, vuole convincere il fratello ed altri ragazzini che tutto ciò che gli altri dicevano della Francia, non era vero. Salie, gli raccontò la storia di un nonno che aiutato da un benefattore aveva raggiunto la Francia per giocare a calcio. Nessuna squadra fu interessata a lui, e il benefattore per recuperare i soldi spesi lo "vendette". Senza documenti, questo fu trovato dalla polizia e dopo alcuni giorni di carcere, fu rimandato in africa. Tornato in patria si vergognava perchè non era riuscito a guadagnare soldi per aiutare la sua famiglia povera e la vergogna lo portò al suicidio in mare. ESCI

  9. Ma i ragazzini non credevano o meglio pensavano che a loro non sarebbe andata così. Salie, non voleva che il fratello andasse in Francia, sarebbe rimasto deluso, allora decise di mettere da parte un pò di soldi e mandarglieli per aprire un negozio nel villaggio. Alla fine ci riuscì Madikè è aprì il negozio e gli affari andavano bene. Il sogno di raggiungere la Francia era stato messo da parte. Il libro mette in risalto la situazione di molti popoli, che non avendo nulla nel loro paese, sono costretti ad emigrare, credendo che nella parte ricca del mondo, c'è la vera vita. Ma quando provano sulla loro pelle tale esperienze, si rendono conto che trovano solo un mondo che li sfrutta e mortifica la loro dignità umana. Infatti da una realtà, quella dei piccoli villaggi africani, dove il senso di umanità è sentito, passano ad una realtà che non li considera affatto. Il libro fa anche conoscere una realtà e cultura molto diversa dalla nostra. Ancora ci si accorge di quanta parte del mondo è tanto povera da non poter mangiare, lavorare, e dove per avere qualcosa di migliore, si è costretti a lasciare la propria patria per andarsene in una terra sconosciuta lontana da tutti gli affetti. ESCI

  10. Allah non è mica obbligato “Allah non è mica obbligato ad essere giusto in tutte le cose di quaggiù”, su questa frase gira tutto il libro, infatti la frase viene pronunciata dal protagonista, Birahima, durante il mostruoso viaggio effettuato da lui e dal suo compagno Macuba attraverso la Liberia e la Sierra Leone sconvolte dalle guerre tribali. Orfano di padre e di una madre costretta da un’infezione a “camminare sulle chiappe”, il protagonista viene affidato ad una zia che vive in Liberia; accompagnato da Yacumba, il quale era un uomo d’affari e bandito capace di fare lo stregone e di costruire amuleti, nel loro viaggio i due compagni vengono rapiti da un gruppo di uomini armati, e il piccolo Birahima per non essere ucciso è costretto a diventare un bambino soldato; d’ora in poi i due vengono sballottati da un luogo all’altro a secondo dell’evoluzione degli eventi politici e militari, e hanno contatti con pericolosi individui, militari e banditi, ma tutti con un unico obbiettivo il denari e il potere; questa gente senza scrupoli per raggiungere i suoi scopi utilizza i bambini soldato che vengono sfruttati e muoiono per una causa inesistente! ESCI

  11. La notte della fuga In questo libro il Centro Astalli vuole mettere in evidenza come la vita di un rifugiato o di un migrante sia totalmente diversa dalla nostra, e cosa dovrà affrontare uno di essi per avvalersi dei diritti umani; ma la cosa ancor più preoccupante, è come noi siamo estranei a questi fatti, pur conoscendoli. Si sa che nella vita quotidiana, di migranti e rifugiati si parla raramente, e quando se ne parla, essi sono identificati da un foglio di soggiorno, da una pratica o da un dossier come se fossero uomini e donne senza volto; il principale scopo di questo libro è dare un nome e un volto a queste persone, e soprattutto a farci conoscere meglio il loro dramma, le loro sofferenze vissute, gli affetti familiari spezzati, lo strappo dalla propria terra, i sogni e le speranze di persone in fuga, ed anche per farci capire che essi sono persone umane come noi, e quindi come noi devono avere gli stessi diritti umani. Questa è la storia di un uomo Sudanese, che per aver scritto quello che lui ed altri uomini pensavano sul loro governo, è stato costretto a quaranta giorni di prigionia senza cibo, costretto a bere acqua sporca, ed a dormire con gli scorpioni che camminavano sul viso. Sin da bambino quando giocava con il suo fratello maggiore Tag, il suo sogno era diventare un giornalista, quando nel 1985 frequentando la facoltà di letteratura dell’ università di Khartoum vince una borsa di studio per frequentare la facoltà di giornalismo a Belgrado. Sin da giovane, cominciò ad interessarsi di politica, entrando a fa parte del Fronte Nazionale Democratico, un’ organizzazione di sinistra composta da studenti, che si opponevano al governo. Il giorno prima di partire, andò a trovare il fratello Tag in ospedale, ricoverato in coma per una emorragia celebrale; egli non sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’ avrebbe visto, perché Tag morì qualche tempo dopo. Egli frequentò l’ università di Belgrado dal 1985 al 1993. Egli svolgeva una normale vita da studente, e scrivendo alla sua famiglia, scoprì che la loro vita era sempre più difficile, ma non erano in pericolo. ESCI

  12. Nel 1989 nel suo paese ci fu l’ ennesimo colpo di stato, e lui essendo presidente dell’ associazione degli studenti Sudanesi a Belgrado, decise insieme ad altri studenti di scrivere e divulgare un documento in cui dichiarava che l’ associazione non riconosceva più il governo Sudanese che si era instaurato con il colpo di stato, e quel documento portava la sua firma. Qualche anno dopo scoppiata la guerra in Jugoslavia, fu costretto a tornare in Sudan, e lì fu accolto come un terrorista. Sceso dall’ aereo fu fatto salire in una macchina bendato, e portato in un posto sconosciuto, dove per quaranta giorni fu costretto a mangiare carne marcia ed a bere acqua sporca, ma soprattutto a dormire con gli scorpioni che gli camminavano sul viso. Dopo essere stato liberato tornò dalla sua famiglia, cosciente che nel Sudan non avrebbe più avuto nessuna prospettiva di lavoro, e così decise di scappare. Così con l’aiuto di suo padre, e con l’aiuto del suo partito “il Fronte di Liberazione Nazionale”, riuscì ad ottenere un biglietto per una nave che salpava da Port Sudan diretto a Napoli. Arrivato in Italia trascorse i primi tempi con qualche lavoretto, e mangiando nelle mense pubbliche, fino a quando non conobbe il Centro Astalli che lo aiutò. Così ora è sposato con una donna Sudanese, da cui alcuni anni fa ebbe una figlia di nome Fatima, e solamente può dichiararsi un uomo libero. Concludo dicendo che un immigrato o un rifugiato non è soltanto una persona bisognosa di aiuto, ma è dotata di una straordinaria maturità umana, acquisita grazie sia alle sofferenze patite, sia all’ incontro con culture diverse. ESCI

  13. Campioni senza dimora L’ AUTORE: Filippo Podestà (1975) è fotografo. Si occupa di fotografia sociale e in particolare della questione dei migranti in Europa e nel mondo. Haiti, Repubblica Domenicana, Bosnia e Brasile sono alcuni dei Paesi di cui ha documentato situazioni di povertà e ricostruzione. Da anni denuncia col suo lavoro la condizione di chi vive nelle baraccopoli della periferia milanese. CONTENUTO DEL LIBRO: Il libro racconta una storia di una squadra di calcio che diventa campione del mondo. Bogdan e Barbara lasciano Katawice il 27 agosto del 1993 per venire in Italia con 700 euro. Prima si recano a Roma ma dopo un breve periodo decidono di andare a Milano perché Roma non faceva per loro. Non avendo i soldi veruna casa cercano di trovare rifugio tra i campi, qui fondano un’associazione che promuove la dignità degli ospiti del campo “piccoli invisibili topolini metropolitani”. Questa associazione, che ha Bogdan consigliere e Barbara come presidente, lavora con l’associazione “3Febbraio” in collaborazione con i centri sociali Milanesi e MultiEtnica, l’associazione sportiva, punta a dare visibilità alle lotte. Bogdan forma una squadra di calcio composta di rom e di immigrati da vari paesi. La squadra anche affrontando enormi difficoltà dei senza casa e dei senza lavoro e non avendo un campo di calcio in cui allenarsi migliorano di giorno in giorno. La prima partita viene disputata contro i consiglieri comunali di destra e della Lega, i tornei dei Csi, queste partite erano una gioia pei giocatori perché avevano la possibilità di farsi una doccia. Sotto le bandiere della pace prosegue il viaggio fino al 2003 al primo mondiale di “Street soccer” duecento atleti, rifugiati, emarginati, uomini e donne di 18 nazioni e l’Italia che porta a casa un quinto posto. Nel 2004 è prima, in un torneo a 26 squadre, ma l’Italia non si è accorta di niente mentre loro erano a giocarsi tutto. CONSIDERAZIONI PERSONALI: Io sono stato contento di aver letto questo libro “campioni senza dimora” perché mi è piaciuto quello che ha fatto Bogdan che pur di farsi ascoltare fa di tutto fino a creare una squadra di calcio multietnica e alla fine diventano anche campioni del mondo ESCI

  14. Questione Di Pelle Giovanni Maggi vive a Voghera, ha lavorato a lungo nella redazione della Provincia Pavese e poi ha diretto la “Sentinella del Canavese”. Con la giornalista Marta Rattinelli ha scritto “Sfida al buio”, il “Fantastico Po – Miti, fiabe e leggende”, e “Il Po racconta”, scrivendo per ultimo nell’anno 2005 “Questioni di pelle”. “Questione di pelle” è un libro composto da undici racconti differenti e indipendenti tra loro, di undici ragazzi che hanno in comune il fatto di essere immigrati nel nostro paese, ed il libro tratta quindi da differenti punti di vista, quello che è il tema dell’impatto di ragazzi con una nuova società e tutti i problemi che esso comporta tra cui la differenza di pelle. In alcuni racconti di Giovanni Maggi è anche trattato in secondo piano il tema dell’amicizia e quanto sia importante avere vicino un amico in situazioni difficili. Tra tutti gli undici racconti che ho letto, quello che mi ha maggiormente colpito è stato “Omar”. È la storia di un ragazzo, Omar, che trasferitosi dal suo paese originario qui in Italia con la sua famiglia trova difficile ambientarsi nel nostro ed entrare in contatto con gli altri ragazzi suoi coetanei,ed il padre per proteggerlo gli impedisce di uscire fuori dalla loro abitazione. Ma ogni giorno Omar vede una cosa che gli è completamente sconosciuta, la neve, affacciatosi alla finestra Omar vede questa strana cosa bianca e vedendo gli altri ragazzi rotolarsi nella neve decide di uscire fuori e di imitarli per provare, almeno una volta, una sensazione simile a quella degli altri ragazzi e sentirsi finalmente uguale. Ma rotolarsi nella neve Omar non si rende conto di essere finito in mezzo alla strada, dove passa una macchina ad alta velocità che lo investe e Omar perde la vita. Questo racconto mi ha colpito perché pensando che questo ragazzo ha perso la vita, non perché non aveva mai visto la neve ma perché almeno una volta voleva sentirsi un ragazzo “normale”, provando le loro stesse sensazioni e questo credo che ci deve far riflettere e capire quanto le cose più semplici per un ragazzo che non possiede nulla possano rappresentare un vero tesoro. ESCI

  15. La Vera Vita Di Domingos Xavier Autore:José Luandino Vieira Scritto nel 1961 ma pubblicato soltanto nel 1974 per motivi di censura, “La vera vita di Domingos Xavier” ha conosciuto una diffusione clandestina ed è diventato, come scrive Livia Apa nella prefazione al libro, “il simbolo della vergognosa quanto ormai anacronistica crudeltà del potere coloniale […] e di una guerra coloniale spietata che mieterà migliaia di vittime anche tra gli stessi portoghesi”. José Luandino Vieira, figlio di portoghesi poveri, è nato in Portogallo ma vive, dall’età di un anno, in Angola, dove ha conosciuto la povertà, la vita delle musseque, le bidonville che si arrampicano attorno alle città, alle ville dei coloni ricchi, fatte di baracche di alluminio, di cartone, di fango, ma anche la forza e la dignità di un popolo che ha lottato contro il dominio straniero, ha subito la prepotenza, la tortura, il razzismo, ha visto giovani morire nelle carceri e nei campi di concentramento per difendere l’idea di libertà e di indipendenza.  Attraverso il protagonista del romanzo, Domingos Xavier, il giovane alto e magro, impegnato nel movimento clandestino anticolonialista e che preferirà morire piuttosto che denunciare i compagni di lotta, entriamo nella vita povera ma orgogliosa del popolo angolano, tra i giochi dei bambini e i profumi dei cibi cucinati dalle donne, tra le feste che diventano un momento di unione e di resistenza, con i canti di libertà, e i terribili temporali che in poche ore riescono a travolgere le povere case della periferia di Luanda. Attorno alla figura di Domingos Xavier e alla storia del suo arresto, Vieira racconta del vecchio Petelo, del piccolo Zitinho, del giocatore del Botafogo Xico, di Maria, la moglie di Domingos, e di quella rete di solidarietà, di affetto, di amicizia e di complicità che ha reso possibile la resistenza e ha portato a compimento la lotta per l’indipendenza. Vieira fu arrestato nel 1961 dal regime di Salazar e, come ricorda l’amico e critico letteraio Carlos Everdosa, “con noi quel giorno rimasero oltre all’angoscia e a un dolore immenso, Linda inconsolabile e Xexe nell’innocenza dei suoi tre mesi, estraneo al dramma che stava avendo luogo. Ma riuscimmo a salvare il manoscritto de La vita vera di Domingos Xavier, concluso pochi giorni prima”. Vieira rimarrà in campo di concentramento fino al 1972 e lì scriverà la maggior parte della sua opera. A trent’anni dalla pubblicazione in portoghese, il libro di Vieira viene pubblicato anche in Italia, permettendoci di conoscere un testo importante della giovane e ancora poco conosciuta cultura angolana.  ESCI

  16. E Venne La Notte Autore:Victor Majar Notizie sull’autore:nasce in Libia nel 1957.Nel 1988 e tra i fondatori del gruppo martivo buber-ebrei per la pace,e dal 1993 al 2001 è stato consigliere comunale di Roma. Attualmente dirige il Dipartimento relazioni internazionali dell’associazione nazionale dei comuni italiani. Notizie sul libro:E venne la notte è la storia di una presa di coscienza, cioè quella di un bambino ebreo in un paese arabo che,travolto da un’improvvisa guerra, riesce a comprendere il legame della propria esperienza è la memoria storica della sua famiglia. Commento: in questo libro il giovane Haym racconta di suo zio che guida da sempre il camion tra città e campagna, e quando insieme al padre decisero di vedere la casa dove erano nati.Durante questi viaggi lui non potè mai dimenticare la sua amata Esther, che andò via in Israele per costruirsi un futuro migliore, che nel suo paese sarebbe stato difficile da realizzare.Parla della sua scuola descrivendo come essa è fatta,i suoi amici, la sua maestra Giulia e di tutte le suore ma in particolare di suor Carmen che era tra le più cattive. Racconta del suo amore mai rilevato per la piccola greca Ivy,sbocciato fra i banchi di scuola. Riguardo alla guerra afferma che essa è una cosa terribile per tutti ma soprattutto per chi doveva combatterla;ad essa non vi facevano parte solo i soldati ma anche i civili, infatti le autorità avevano organizzato diversi campi di concentramento per gli Ebrei che venivano considerati nemici.Il 7 luglio ci fu lo sbarco in Sicilia degli alleati e il 19 si accelerò la caduta del fascismo ma non la fine della guerra.Il clima che si creò tra Ebrei e Inglesi stava cambiando,per questo iniziavano degli scontri in strada;questi furono molto violenti e provocarono molti morti.Racconta delle sue cavalcate sui blue belle, e di quando si spingeva fino alla proprietà di Abd Assan Ben Sayed, che era un notabile col quale parlava come un adulto sui perché e sui problemi della vita. Infine racconta che torna ancora sul porto del lungo mare e pensa a quando veniva qui con suo padre e sui perché della guerra. Riflessioni Personali:il libro che ho letto è stato molto interessante e bello perché parla di un argomento molto importante che ancora oggi sussiste quali la guerra. ESCI

  17. Rhoda Autore: Igiaba Scego Rhoda è il romanzo di esordio di Igiaba Scego, una giovane autrice italo-somala nata a Roma nel 1974 da genitori somali fuggiti in Italia in seguito al golpe di Siad Barre. In Rhoda l'autrice racconta l'emigrazione dal punto di vista di quattro donne somale, appartenenti a due generazioni diverse. Nel romanzo si incrociano i punti di vista di Barni e Faduma, emigrate da tempo in Italia e ancora legati alle tradizioni e ai valori della Somalia; e quelli di Rhoda e Aisha, le nipoti di Barni, che vivono l’integrazione in maniera differenti. È presente anche un punto di vista maschile e italiano, quello di Pino, un giovane volontario napoletano. La vicenda è raccontata su tre piani temporali diversi in un arco di tempo che va dal 2001 al 2003 e si svolge tra Roma, Napoli e il cimitero di Mogadiscio dove “il tempo non ha più importanza”. Nell’ estate del ’90, a Mogadiscio, durante la semifinale dei mondiali Italia – Argentina Rhoda e Aisha scoprono che lasceranno il loro paese per raggiungere la zia a Roma. Rhoda tenta di integrarsi solo attraverso una relazione con Gianna, una donna italiana, ma fallisce miseramente. Prova sentimenti ambigui, che le fanno desiderare la compagnia di questa donna più grande di lei forse per una ricerca di una figura materna. Il rifiuto di Gianna viene vissuto da Rhoda come un rifiuto del suo corpo, della sua diversità non solo di colore, e decide di prostituirsi. La sua vita finisce tragicamente, malata di Aids, trova la forza di smettere di prostituirsi grazie a Pino, il giovane volontario che l'aiuta a riacquistare amore e fiducia in se stessa. Tornata in Somalia, Rhoda muore non della malattia letale, ma vittima della guerra civile che dilania il suo paese, è pugnalata da una banda di criminali e in seguito la sua tomba viene anche profanata. La zia Barni, sapeva bene l'italiano, avendolo imparato a Mogadiscio in una scuola italiana, anzi ha conosciuto prima la cultura italiana di quella del suo paese, ma in Italia, sentendosi sempre dire "Voi negri non sapete l'italiano", si è adeguata a questo stereotipo Barni alla fine accetta la sua vita nel paese dei gaal (gli europei), complice anche il fatto che può finalmente avere un'attività propria (un negozio etnico) insieme alla sua amica Faduma.La figura di Aisha è in opposizione a quella di Rhoda, a differenza dalla sorella la giovane riesce a fare da collegamento tra le due culture, a trovare aspetti positivi in entrambe e vuole combattere il razzismo con l'arma del dialogo. La vicenda si conclude con il matrimonio tra Pino e Aisha, che incontratisi per ricordare la loro “amata” Rhoda si scoprono innamorati. ESCI

  18. Soldatini Di Piombo Padre Giulio Albanese, nato a Roma nel 1959, vissuto in Africa dove ha svolto la duplice attività di giornalista e di missionario, fondatore dell’Agenzia di stampa dei missionari, la Misna, la Missionary Service News Agency, la più importante agenzia di informazione e controinformazione sulle aree più depresse del mondo. Collaboratore di varie testate giornalistiche tra cui Radio Vaticana, “Avvenire”, “Espresso” e Radio Rai. Nel 2003 il presidente C.A. Ciampi gli ha dato il titolo di Grande ufficiale della Repubblica italiana per meriti giornalistici nel sud del Mondo. Nel suo libro “Soldatini di piombo” pubblicato nel Maggio del 2005 Giulio Albanese ha affrontato la questione dei bambini soldato. Questo fenomeno è presente in tante zone del mondo, in Colombia, in Birmania, nei Balcani, e in tanti altri stati. Lui si è occupato specialmente dell’ Uganda e della Sierra Leone dove c’è una particolarità: gli eserciti ribelli che hanno arruolato o arruolano i bambini soldato sono tra i pochi ad essere, o essere stati,  quasi esclusivamente composti da bambini sia nel caso del Ruf della Sierra Leone, dove la guerra è finita e il Ruf è stato disciolto,  sia nel caso del Lord’s Resistance Army ugandese, che invece continua a combattere. I bambini vengono rapiti in età pre-adolescienziale, subiscono violenze psicologiche, sono costretti a combattere contro gli stessi villaggi dove sono cresciuti, a commettere delle atrocità. Vengono drogati con sostanze anfetaminiche e sottoposti agli allucinogeni per rimanere soldati. Una volta fuggiti dall’esercito ribelle per i bambini soldato era difficile reinserirsi nella loro famiglia d’origine perché avevano ancora atteggiamenti violenti e a volte venivano rifiutati. Stando ai dati forniti dalla coalizione stop all’uso dei bambini soldato, sono più di 300mila i minori di 18 anni attualmente impegnati in conflitti nel Mondo, ma ci sono reclute anche di dieci anni e la tendenza è verso un abbassamento dell’età. Centinaia di migliaia hanno combattuto nell’ultimo decennio, alcuni negli eserciti governativi, altri nelle armate di opposizione. ESCI

  19. “…improvvisamente , uno dei miei compagni si presentò con un neonato che piangeva. Il nostro comandante afferrò il piccolo per una gamba, lo sbattè a terra con un pugnale sventrò il petto, tirando fuori tutto quello che c’era dentro: cuore, stomaco… Il sangue scorreva a fiotti e fu raccolto in una latta e bevuto a piccoli sorsi dal capo come se fosse stata una pozione magica. Fu allora che decisi di fare bella figura di fronte agli altri; gli chiesi di sorseggiare quel sangue…” Ho deciso di riportare queste poche righe, tratte da una delle tante storie vere di questo libro, quella di Johnny un bambino sierraleonese, per sottolineare gli orrendi atti che realizzano i piccoli soldatini di piombo a causa delle pressioni che subiscono dai loro “superiori”. ESCI

  20. Migramente AUTORE: Sabatino Annecchiarico (Buenos Aires, 1951) – Figlio di emigranti italiani, dal 1985 vive in Italia.Giornalista militante, esperto di geopolitica latino-americana e politiche migratorie, ha lavorato come fotografo, fotoreporter e giornalista per diversi enti di Buenos Aires.Ha collaborato con il progetto “Sirams” dell’ UNESCO e con l’Università di Architettura di Buenos Aires per la preservazione del patrimonio naturale, artistico e culturale del Cono Sur.E’ stato docente della Direcciòn Nacional de Educaciòn para Adultos (DINEA), lavorando in programmi di alfabetizzazione nei quartieri poveri e nelle villas miserias di Buenois Aires.Collabora con numerosi settimanali, mensili e agenzie di stampa in Italia.Attualmente è socio fondatore e presidente dell’Associazione nazionale di mediatori interculturali “StraniEri”. NOTIZIE SUL LIBRO: L’Agenzia Migra è nata nel 2003 grazie a un finanziamento dell’Unione europea con l’obiettivo di dare la parola sull’immigrazione agli immigrati. In Italia vivono tantissimi bravi giornalisti stranieri che raramente hanno l’opportunità di fare il loro lavoro. Migranews per due anni ha messo insieme “menti” italiane e straniere per fornire notizie, racconti, reportages sull’universo dell’immigrazione italiana, spesso tirando fuori delle vere e proprie “chicche”. Al momento l’agenzia è congelata: i fondi sono finiti.Per l’editrice missionaria italiana (Emi) è però appena uscito un volume che raccoglie i testi più significativi di due anni di lavoro.Si chiama Migramente e verrà presentato a Roma il 16 settembre alle ore 18, alla Feltrinelli di via Emanuele Orlando. COMMENTO: Questo libro espone le storie, i punti di vista di venticinque cittadini del mondo, donne e uomini che hanno vissuto in prima persona il fenomeno delle migrazioni e del razzismo.Come sappiamo l’Italia, precisamente nel meridione, è teatro frequente degli sbarchi di migranti.Molti di questi riescono a sistemarsi, ma alcuni finiscono per essere reclutati dalla malavita locale, non a caso le donne e sfruttamento della prostituzione, sono fra le attività più abusate. Così da anni associazioni e organizzazioni di volontariato cercano di aiutare queste donne a uscire dalla condizione di schiavitù per introdurle a una vita libera, offrendo innanzitutto un rifugio sicuro. Alcune ci sono riuscite, altre però hanno paura, le ritorsioni arrivano anche ai parenti nel Paese d’origine. ESCI

  21. E’ il caso ad esempio di Mimì, una giovane nigeriana di venticinque anni che è riuscita a “lasciare” la strada e ora vive una vita diversa. Poi la mafia “immaginaria”. Nell’estate del 2003 Reggio Emilia viene scossa da un duplice delitto. Vengono uccisi due ragazzi cinesi e alcuni dei loro connazionali e coetanei vengono arrestati per gli omicidi. I mass media usano subito un automatismo: usare la frase “mafia cinese” anche se nulla del genere emerge dalle indagini. Tra gli arrestati c’è una ragazza minorenne di quindici anni, C.W.K. Il suo avvocato, colpito dagli indizi pesanti contro i ragazzi, dedicò molta parte del suo tempo lavorativo ad aiutarla. Arrivati al processo, egli è riuscito a salvare la ragazza e ora è in una comunità dove frequenta normalmente la scuola ed è stata brillantemente promossa.”E’ stata dura” afferma in una intervista perché le differenze sull’idea di giustizia sono tante quanto le culture. Un’altra storia è quella di Yohan Cazacun, un ingegnere rumeno che lavorava da operaio piastrellista nella località di Gallarate, in provincia di Varese: aveva preteso dal suo datore di lavoro Cosimo Iannese, un trattamento dignitoso pari a quelli dei lavoratori italiani. Fu bagnato dalla benzina e bruciato vivo, dopo mesi di atroci sofferenze dovute alle bruciature che coprivano quasi il 90% del suo corpo, morì all’ ospedale di Genova. A tre anni dalla sentenza che aveva condannato Iannece a trent’ anni sia in primo che in secondo grado (con il rito abbreviato per evitare l’ergastolo), la Cassazione annullò la condanna per “carente motivazione” da parte dei giudici sulla volontà d’uccidere dell’imputato.”E’ stato bruciato per la seconda volta”, risponde la figlia maggiore di Yohan Cazacu, anche la giustizia è stata ingiusta nei confronti del padre. Ci sono molte vicende che colpiscono in questo libro, quello di Papa un “nero” vittima di razzismo e sfruttamento, delle sorelle C con Radio Padania e la vicenda di Porta palazzo. RIFLESSIONI:Questo libro mi ha colpito tantissimo. Mi hanno colpito le storie, i problemi, le3 ingiustizie di tante persone che soffrono. L’immigrazione non deve essere vista come un fenomeno dai connotati negativi, ma come un fenomeno “comprensivo” per tanti motivi: si emigra per disperazione, per motivi politici, per studio, per amore, si parte per una vita migliore, libera, ripartendo da zero. Avevo molte idee circa le sventure degli immigrati, ma grazie a questo libro mi sono accorto che nessuna era paragonabile a quelle. La vita umana non ha prezzo, non ha colore e soprattutto non ha distinzione fra le culture. ESCI

  22. Solo Andata AUTORE: ERRI DE LUCA Forse vi chiederete se questo è il solito e banale libro che parla sterilmente e staccatamente della vita dei profughi che fuggono dal loro paese in cerca di una vita migliore.. invece no, tratta principalmente dei sentimenti di questa gente. La sua caratteristica è che è formato solo e soltanto da poesie e che oltre a presentare le sensazioni dell’autore descrive le aspettative, i dubbi, le incertezze e le preoccupazioni di gente che si aspetta tanto dal futuro. Le prime poesie sono dedicate alla descrizione di situazioni riprovevoli avvenute nelle zone colpite dalla guerra e perciò all’analisi attenta degli stati d’animo dei personaggi. Masse di gente che si spostano quasi fossero una mandria di montoni. Una delle poesie che mi ha colpito di più è intitolata ”H2O2”. Questa poesia parla di una madre che per non far entrare sua figlia nei campi di concentramento le tinge i capelli con l’acqua ossigenata. All’ età di otto anni la portò da un chirurgo perché le rifacessero il naso, e sugli album fotografici colorava i suoi occhi di azzurro. La madre fece tutto ciò per paura che i tedeschi le portassero via la cosa più preziosa che avesse, sua figlia. Per farla apparire di razza ariana, la sottopose ad ogni genere di intervento chirurgico. Dopo tanti anni la bambina diventò una donna e ripensando a quei giorni capì quanto “l’acqua ossigenata” le avesse salvato la vita. Ciò sta a dimostrare due cose. Una è la malvagità tedesca che faceva apparire bella agli occhi di tutti la propria popolazione non dando importanza ai sentimenti di quella gente che veniva torturata e uccisa crudelmente. La seconda è l’amore sconfinato di una madre nei confronti della propria figlia. Le altre poesie sono altrettanto emozionanti e intense poiché rispecchiano realmente gli stati d’animo di gente che vive in paesi purtroppo afflitti ancora da guerre. L’attività svolta è stata molto interessante, perché oltre a permettermi di conoscere gli stati d’animo, speranze e aspettative di persone in condizioni di vita particolari, mi ha fatto capire che la poesia è un ottimo mezzo per esprimere le proprie emozioni. ESCI

  23. Recensioni • AA.VV., La notte della fuga • Giovanni Maggi, Questione di pelle • Igiaba Scego, Rhoda • Saira Shah, L’ albero delle storie • Josè Luandino Vieira, La vera vita di Domingos Xavier ESCI

  24. AA.VV., La notte della fuga Il titolo del libro è “La notte della fuga”. Scritto da più autori, racconta fatti realmente accaduti di gente che è dovuta scappare dal proprio paese a causa prevalentemente della guerra. Le vicende narrate si sviluppano per lo più di notte trattandosi di fughe: solo alcuni di loro hanno potuto lasciare la loro terra alla luce del sole. Il libro è una denuncia per tutta quella gente che a causa della guerra è costretta a scappare in posti sconosciuti senza sapere cosa fare e dove andare. Le vicende sono narrate in prima persona, perché sono testimonianze scritte di proprio pugno spesso per esprimere il dolore provato, riuscendo così a trovare il coraggio e la forza per andare avanti. Proprio per questo motivo il linguaggio è crudo, perché si vuole trasmettere la verità che spesso è stata così crudele. Non mancano riferimenti a minacce e tante volte anche violenza. Lo stile è essenziale perché si deve colpire il lettore ricordandogli che ciò che sta leggendo è tutto vero. Tra le undici storie raccontate però due mi hanno colpito in particolare: le storie di vittime della guerra civile in Colombia e nella ex Jugoslavia. La vittima della guerra civile in Colombia ha perso il padre in giovane età, ucciso dai guerriglieri (almeno questo è quanto affermò la polizia del luogo).Da quel giorno Isabel (così si chiamava la donna)dovette crescere in fretta perché la guerra prima o poi avrebbe colpito anche lei. Molti anni dopo l’accaduto Isabel ebbe una figlia che chiamò Marianna,cresciuta senza il padre, costretto ad allontanarsi per “non mettere in pericolo”né Isabel né Marianna. Una sera mentre la donna cercava di far addormentare la piccola, ebbe una visita indesiderata da parte di un uomo con il volto coperto che le ordinò minacciosamente di abbandonare la Colombia, probabilmente perché aveva assistito all’omicidio di un suo collega nell’ufficio dove lavorava. Fu costretta ad eseguire l’ordine, anche se quel viaggio l’avrebbe portata lontana da sua figlia che avendo solo due anni non avrebbe potuto sopportare le condizioni di vita precaria che si prospettavano per lei. Era costretta a perdere per la terza volta una persona a lei tanto cara: dopo il padre e il marito,ora anche la figlia, affidata alle cure di sua madre. ESCI

  25. Arrivata in Italia, decise di non arrendersi e di richiedere subito asilo politico per poi poter richiedere il ricongiungimento. L’attesa fu lunga, ma dopo ventisette mesi poté riabbracciare la sua piccola. Mi è piaciuta molto questa storia perché si sottolinea l’enorme coraggio e la forza d’animo di quella donna che fino alla fine ha combattuto riuscendo a raggiungere i suoi obbiettivi. La storia di Igor invece parla di una insegnante di italiano che si innamora di un serbo. Questo grande amore aiuterà moltissimo il giovane profugo ad inserirsi nella società italiana. In questa storia si può notare la “rinascita”che può scaturire da un amore, e soprattutto si conferma la teoria che un uomo dopo aver vissuto tanti terribili momenti può riprendere da dove ha lasciato, reprimendo (ma non cancellando) quei ricordi dolorosi e riprendendo a vivere. A mio parere la lettura delle storie di questo libro è molto istruttiva perché fa vedere le vicende delle migrazioni da un altro lato, più sensibile, più umano. Con questo voglio dire che i personaggi dei racconti è tutta gente come noi nata in luoghi dove è difficile vivere, ma combattendo è riuscita ad uscirne e a riprendere la propria vita. Ma in queste storie non c’è solo la voglia di ricominciare e l’attesa di un futuro migliore, ma anche il ricordo degli orrori e dei torti subiti. ESCI

  26. Giovanni Maggi, Questione di pelle Questioni di pelle è una raccolta di undici racconti scritti da Giovanni Maggi, giornalista contemporaneo che vive a Voghera. Il problema dell’integrazione degli immigrati in Italia, affrontato in questo libro, è ben visibile anche grazie alla presenza di diverse realtà verosimili raccontate per lo più in prima persona che permettono di vedere come siano difficili e così tanto vicine queste problematiche.I personaggi raccontano il loro viaggio verso l’Italia, visto come un viaggio di speranza che cambierà in meglio la loro vita anche a costo di abbandonare la propria terra. Il gioco vale la candela perché all’interno dei racconti i personaggi si espongono a innumerevoli difficoltà, ma grazie anche all’aiuto di parenti o amici, anche italiani, riescono ad avere la meglio sulle avversità e sui problemi dovuti alla loro situazione. In aggiunta all’importante decisione del viaggio, forse il più importante che faranno nella loro vita, i protagonisti vivono un cambiamento della loro situazione. Questo cambiamento è accompagnato da una successiva trasformazione, ed è questa ‘metamorfosi’ che ci porta a scoprire una nuova realtà in una realtà già nuova per quelle persone. Questo passaggio è considerevole perché ci permette di capire come sia possibile una loro presenza nella nostra società senza differenze e discriminazioni. Esempio di questa metamorfosi è quella vissuta nel quarto racconto” Jie”, dal nome della protagonista. È la storia di una ragazza cinese che, in seguito ad un incontro casuale con un gruppo di ragazzi italiani, prende coscienza di sé arrivando a ribellarsi a chi le dà lavoro. Questa conoscenza di se stessa la porta a rivalutarsi, rendendosi conto che si può uscire dalla situazione di sfruttamento in cui si trova.” Deve vendere, per ora non c’è altro da fare. Ma non lo avverte più come un obbligo, un dovere. Sfiora nella tasca il biglietto che le ha dato il giovane alto. E avverte confusamente che c’è qualche cosa che sino ad oggi le è rimasto sconosciuto: l’appartenenza solo a quello che si desidera, che piace.”Appunto questo è il pensiero chiave della trasformazione, in questo caso da uno stato di sottomissione ad uno di indipendenza. L’autore riporta fedelmente le sensazioni, i dubbi e le speranze dei personaggi dandoci l’impressione di sentirli parlare mentre leggiamo. La presenza dei dialoghi favorisce una lettura più veloce, anche se a volte il linguaggio diventa crudo e volgare. Giovanni Maggi con questo libro ci propone di vedere in maniera diversa gli immigrati che incontriamo nell’arco della nostra vita, ormai quotidianamente, perché la loro presenza non ci deve impaurire o farci vivere in uno stato di difesa, ma aprirci a nuove idee vivendo nel rispetto di chi lascia tutto senza nessuna certezza del futuro in un viaggio pieno di speranze e paure. ESCI

  27. Igiaba Scego, Rhoda Notizie sull’autore: Igiaba Scego è nata a Roma il 20 Marzo 1974, da genitori somali, rifugiatisi in Italia dopo il colpo di stato militare di Siad Barre (1969) che mise fine alla felice parentesi democratica del paese. È laureata in lingue e letterature straniere all’università La Sapienza di Roma. Ha collaborato con alcune riviste che si occupano di immigrazione tra cui "Latinoamerica", "Carta" e "Migra". Nel 2003 ha vinto il premio letterario Eks&tra per scrittori migranti. Di prossima pubblicazione un suo libro "La nomade che amava Alfred Hitchcock", Sinnos editore. Il suo interesse per il mondo dell’intercultura non è nato solo per le sue radici somale, ma anche grazie all’incontro con persone illuminate (sia nel mondo accademico sia all’esterno). Dopo gli studi infatti ha collaborato con alcune ONG (anche sul triste fenomeno delle mutilazioni dei genitali femminili) ed ha continuato il suo percorso di studi. Nel 2002 ha conseguito un master in peacekeeping and security studies all’Universita Roma Tre e ora sta ultimando il corso di specializzazione in educazione interculturale nella stessa università. Attualmente vive a Roma dove si divide tra la passione per la scrittura e il lavoro. Genere: Il genere del testo è un romanzo in quanto si tratta di una narrazione di vicende di più personaggi che implica una situazione iniziale di cui segue gli sviluppi fino alla conclusione. Trama e personaggi: La trama del testo si basa sui fatti verosimili, inspirati a situazioni reali ma sviluppati in modo fantastico. L’autrice racconta l’emigrazione dal punto di vista di quattro donne somale: Barni e Faduma, emigrate in Italia già da tempo, e Aisha e Rhoda, nipoti di Barni.La storia più travagliata è quella di Rhoda, a cui si ispira il titolo del libro. Rhoda, viene presentata dapprima indirettamente fino a che la sua esperienza viene ripercorsa mediante un ESCI

  28. flashback: ella, tornata in Somalia e ormai morta rievoca la sua sofferta esistenza da quando con la sorella Aisha ha dovuto lasciare Mogadiscio per raggiungere in Italia la zia. Un’emigrazione vissuta come un’imposizione, tanto che non ha mai voluto inserirsi (condizionata in questo anche dall’atteggiamento della zia).L’unico tentativo di integrarsi con Gianna, una donna italiana, fallisce. Rhoda desidera questa donna più grande di lei: la ammira, vuole la sua compagnia, ne è attratta, ricerca in lei una figura materna. Il rifiuto di Gianna viene interpretato da Rhoda come un rifiuto della sua diversità. Questa è la scintilla che la induce ad auto-emarginarsi con la prostituzione. Non è la necessità del denaro la causa della prostituzione, ma questa è un espediente per sentirsi desiderata dagli italiani che disprezza ma che invidia ‹…” Io invidiavo quella gente. Sotto sotto avrei voluto essere come loro”…›. La vita di Rhoda finisce tragicamente: malata di AIDS trova la forza di smettere di prostituirsi,torna in Somalia dove muore, non per la malattia, bensì per una banda di criminali che la pugnalano mentre è ancora in corso la guerra civile. Verrà profanata anche la sua tomba. La ritroviamo in un luogo in cui “il tempo non ha importanza”, nel cimitero di Mogadiscio. Mentre per tutti è ormai morta, lei riesce ancora a sentire gli odori, percepire presenze: è questo il momento di chiedersi il senso della propria esistenza, di capire a pieno le ragioni del suo auto-distruggersi. Sulle stesse ragioni si interrogano anche gli altri personaggi, fra cui Aisha, primo personaggio del libro, presentata in una situazione spiazzante: quel suo tagliarsi i capelli in maniera così netta sarà dettato dalla sua scarsa vanità o è un taglio che rappresenta un rimedio al dolore? Aisha è una figura antitetica a quella di Rhoda. Lei riesce a rapportarsi sia alla cultura somala che a quella italiana, vuole dimostrare che attraverso il dialogo si può superare il razzismo e trova in entrambe le culture degli aspetti positivi. Aisha è triste e questa tristezza porta il nome di Rhoda. E’ presente anche il punto di vista di un italiano: Pino, un giovane volontario napoletano che si lega a Rhoda e la aiuta a smettere di prostituirsi. Il duo Barni-Faduma è ossessionato dal ricordo di Rhoda. Si trovano di fronte a un dolore improvviso. La zia Barni in particolar modo, dopo la morte di Rhoda, comprende che il suo atteggiamento negativo verso l’Italia e gli italiani le ha impedito di vivere veramente.Alla fine Barni riesce ad aprire un negozio etnico, attività che le permette di mediare la cultura somala e quella italiana e riesce così ad accettare di vivere nel Paese dei “gaal”. La vicenda è ambientata nell’Italia contemporanea fra Roma e Napoli, ma sono presenti alcune digressioni; si sviluppa su piani temporali diversi. ESCI

  29. Struttura narrativa:L’autrice fa parlare Rhoda e gli altri personaggi in prima persona usando il monologo interiore per evocare ricordi, pensieri e situazioni. Il discorso che prevale è quello indiretto. La costruzione sintattica è varia mentre per ciò che riguarda le scelte lessicali,l’autrice spazia nella scelta del lessico utilizzando termini somali, espressioni gergali e talvolta volgari, tipiche del linguaggio parlato. Lo stile è incisivo, ma talora ampio. Tematica/problematica: L’autrice affronta il tema della doppia identità e della emigrazione. Il suo punto di vista rispetto all’argomento è significativo avendo vissuto egli stessa tali problematiche. Questo le permette di osservare la realtà con gli occhi di una somala e contemporaneamente con quelli di un’italiana. Sembra addirittura ritrovare un’alter ego nella figura di Aisha che come lei, sa prendere il meglio dei due mondi, conscia del fatto che vivere in una società come quella attuale, che si sta appena aprendo al multiculturalismo, comporta delle difficoltà. E’ convinta d’altra parte che per abbattere i pregiudizi, che talvolta si basano sull’ignoranza, è necessario far conoscere la propria cultura. Valutazione critica: questo libro a me è piaciuto in quanto si propone come denuncia di una triste realtà che purtroppo dilaga nel nostro Paese e ci permette di comprendere l’isolamento di chi emigra e si trova a vivere ai margini della società ospitante. L’atto di prostituirsi può essere inteso come metafora della situazione del migrante, unasituazione che porta Rhoda a essere vittima di una società che vede la donna straniere solo attraverso gli stereotipi della modella o della prostituta. E’ certamente duro vivere sapendo che in Italia una donna nera ha nell’immaginario comune spazio solo come “femmina disposta a vendersi per pochi spiccioli”. Anche la zia Barni è vittima dei pregiudizi: ella sapeva bene l’italiano ma sentendosi sempre dire “voi negri non sapete l’italiano”, si è adeguata a questo stereotipo. Penso che l’importanza di tale libro risieda nell’evidenziare i problemi dei giovani che appartengono alla terza generazione dei migranti e nel comprender come sia difficile sviluppare una doppia appartenenza. ESCI

  30. Saira Shah, L’ albero delle storie L’albero delle storie è la storia della scoperta dell’Afghanistan da parte di Saira Shah, giornalista di channel 4 , più volte inviata di guerra, che visita la terra dei suoi avi in più riprese tra gli anni ’80 e il 2001. Il testo è una testimonianza sull’ Afghanistan: infatti, Saira Shah, giornalista di guerra ed autrice del testo, ripercorre le fasi dei vari viaggi, alternando ai ricordi in presa diretta del primo contatto con la patria, a fianco dei mujahidin, alle immagini della guerra civile degli anni ’90, a quella dell’uscita dei talebani, fino al reportage realizzato nel 2001, prima e dopo l’11 settembre. E’ un paese semidistrutto dai bombardamenti, quello di Saira Shah, dilaniato dalle rivalità fra etnie, con una popolazione decimata da vent’anni di violenze, fame, un paese che nonostante la bellezza del suo aspetto sta andando in rovina. Le città-gioiello, i giardini, i palazzi blu sotto un cielo altrettanto blu sono spariti. Ma Saira Shah non rinuncia a cercarli: è cresciuta in un verde villaggio inglese del Kent dove suo padre non hai smesso di raccontarle le storie della sua nobile famiglia e di quel paesaggio magico: l’amata Kabul. Nel 1982, Saira Shah, allora adolescente, si avvicina finalmente alla sua amata terra di origini, in occasione del matrimonio di un suo cugino, in Pakistan. Nella casa dello zio, nuove storie, innumerevoli episodi famigliari e vivaci storielle si aggiungono a quel patrimonio che fa di lei quella che è: due persone in una, una ragazza di classe media e pacifista, cresciuta in Occidente, e un “nobile combattente che non ha paura di nulla”. Quest’ultima parte emerge soprattutto nella sua lunga convivenza con i mujahidin, durante la guerra contro l’Unione Sovietica. Durante questo periodo Saira si identifica con questi combattenti, i quali non hanno paura di perdere la loro vita per difendere la loro patria, la loro amata terra. Nel 1986 Saira Shah entra finalmente in Afghanistan, come giornalista. Si è preparata al viaggio con tutta la cura che impone l’amore per il paese natale: ne ha studiato le lingue, la storia, l’archeologia e conosce bene il Corano tollerante dei suoi avi. Da allora ci è tornata molte altre volte. È a Kabul nel 1992, quando i mujahidin vincitori entrano nella capitale; è tornata a Kabul nel 1996 per raccontare la presa del potere da parte del movimento talebano. Saira in questo libro documenta la distruzione e l’orrore, ma anche il prolungamento di una memoria passata. La nostra autrice scopre che la realtà è diversa dai suoi miti, e che la verità si trova in un territorio mitologico. Infatti scrive: “Il mio viaggio fin qui è durato vent’anni. Mentre cercavo di raggiungerlo, il luogo che aveva ispirato il mito è stato distrutto. Ma solo grazie al mito ( la mappa delle storie che la mia famiglia ha disegnato ESCI

  31. per me in quegli anni ormai lontani) posso riconoscere la bellezza in questa rovina “. Ed ancora, ricordando le parole del padre,” Le storie sono come un albero che si staglia all’orizzonte. Tu avanza verso l’albero, così manterrai il tuo cammino su una linea retta. Ma la tua meta non è l’albero in sé. Appena l’avrai raggiunto ignoralo, e scegli un altro punto più lontano”, l’Autrice aggiunge: “ Io non sono mai riuscita a trovare l’Afghanistan mitico che ho passato tanti anni a cercare, ma il viaggio mi ha portato in luoghi di cui all’inizio non avrei mai nemmeno immaginato l’esistenza. E alla fine ho imparato il vero valore del lascito di mio padre. Porto queste storie nel mio cuore: quando le ascolto, esse sono con me dovunque io vada.” Saira narra tutto ciò che ella ha vissuto, in prima persona, soffermandosi a volte su alcuni comportamenti di sottomissione delle donne afgane, messe a confronto con le donne occidentali. Il linguaggio è molto realistico, particolarmente dettagliato quando analizza il modo di agire e di pensare, ad esempio dei mujahidin o del diverbio fra le sue due zie in Pakistan. Lo stile è discorsivo e ampio, a volte la narrazione di alcuni episodi diventa ripetitiva. Per quanto riguarda i miei orizzonti di lettura questo libro non è molto affine al mio genere. Nonostante ciò, ne consiglio la lettura perché mette in evidenza i modi di pensare di queste popolazioni che si rivelano per noi occidentali completamente fuori dal comune, ed inoltre aiuta a capire il perché di una cosi grave situazione che vi è in quel territorio martoriato dalla guerra. ESCI

  32. Josè Luandino Vieira, La vera vita di Domingos Xavier Prefazione alla poesia Questa poesia è stata scritta prendendo spunto dal romanzo intitolato “La vera vita di Domingos Xavier” che comunica al lettore valori morali e sociali essenziali per il vivere civile molto profondi. Il libro appena citato è stato scritto da José Luandino Vieira nel 1961, ma per motivi di censura è stato pubblicato nel 1974. La storia del trattorista Domingos, un giovane negro alto e magro impegnato nel movimento clandestino anticolonialista presente in Angola, si articola in un romanzo che ritrae la crudeltà dei colonizzatori portoghesi nel territorio africano. Il momento cruciale, dal quale dipendono le varie vicissitudini del racconto, è la cattura da parte della PIDE (polizia segreta portoghese guidata dal regime dittatoriale di Salazar) dell’innocente Domingos. A questo punto nel romanzo sono evidenti i toni bassi ed aspri che accentuano l’insopportabile sofferenza del protagonista all’interno della prigione, pronto a subire continue umiliazioni e ad essere martoriato disumanamente. Nonostante il suo corpo martoriato, Domingos tace completamente alle domande fattegli dal capo della polizia ironico, ma razzista al tempo stesso. Il giovane senza nessuna speranza di salvezza preferisce essere ucciso piuttosto che riferire tutti i nomi dei suoi collaboratori, compreso quello del bianco Bernardo de Sousa. C’è da dire che buona parte di quanto raccontato nel romanzo da Vieira è davvero accaduto e le personaggi, con nomi inventati, ricalcano persone esistite realmente. La poesia qui riportata è stata realizzata immaginando che l’innocente ed indifeso Domingos l’abbia scritta di proprio pugno durante il periodo di prigionia salutando con tono nostalgico tutti i suoi amici collaboratori, suo figlio ancora bambino e sua moglie, Maria, pensando a lei che addolorata lo starà cercando ansiosamente. Inoltre, questa poesia è dedicata al protagonista e a tutti quelli che, purtroppo, hanno avuto il suo stesso crudele destino. ESCI

  33. Poesia Un eroe fedele al suo popolo Mi vedo lì, alle nostre feste, al sol pensiero mi sento triste. L’odore buono di cibi e pietanze, i giochi, i canti e le danze. In quelle baracche che a noi sembravan castelli passammo i momenti più belli. Sarà la lotta contro lo straniero a rendere il nostro popolo fiero. La camionetta blu ed il soldato severo mi hanno fatto prigioniero, tra i baobab fioriti e giganti si udì dei miei amori grida e pianti. E la cella dal cattivo odore rende ancor più cupo il mio dolore. Ma a voi amici rimango fedele con umiltà sopporto le pene. Semmai vinceremo questa battaglia solo un pensiero mi attanaglia, abbandonare un’anima sola che ora per me si addolora. ESCI

  34. Erri De Luca: Solo andata Erri De Luca , nato a Napoli nel 1950 è scrittore e giornalista italiano. Dopo la militanza politica degli anni giovanili nell’estrema sinistra e un lungo periodo di lavoro come operaio, muratore e camionista, nel 1989 esordì come scrittore con il romanzo Non ora non qui. Al volume d’esordio fecero seguito numerosi racconti e romanzi brevi, caratterizzati da uno stile asciutto e incisivo e da una forte tensione etica. L’interesse per la cultura ebraica, che lo ha spinto a studiare da autodidatta l’ebraico, lo portò a tradurre con uno stile letterario molto personale alcuni libri dell’Antico Testamento di cui curò l’edizione tra il 1994 e il 1999. Nel 1997 uscì una raccolta di articoli (Alzaia) scritti per il quotidiano "L’Avvenire", una delle testate giornalistiche con cui ha collaborato come opinionista. PARAFRASI E COMMENTO DELLA POESIA : DUE VOCI Siete del sud: no, veniamo dall’equatore, che divide la terra in due metà. La nostra pelle è di colore scuro, per la luce più forte, ci allontaniamo dalla metà del mondo, non dal sud. A piedi, con il vento contro nel deserto del Sahara, luogo di bellezza della notte con le stelle che sembrano essere appese nel cielo. Ci muoviamo carichi d’acqua su una spalla, di cibo sull’altra, con il mantello, la camicia e il libro di preghiera. Il cielo è alto, il cammino già scritto, più corto della crosta terrestre. La sera, ricuciamo i nostri sandali di cuoio con filo di budella e ago d’osso, ogni attrezzo ha un valore, ma vale di più il coltello . Dio della terra che ci hai creato poveri e al tempo stesso padroni dell’universo infinito, ci hai dato anche un nome per invocarti. ESCI

  35. Commento In questa poesia l’Autore ci parla di migranti provenienti dal Sahara, che hanno “ la pelle annerita dalla più dritta luce” . Vi è rappresentato il percorso che compiono, il cammino faticoso “ a spinta di calcagno”, il vento del deserto incessante, poche e umili cose personali con sé: l’acqua, il fagotto, il mantello per ripararsi dal caldo del giorno e dal freddo della notte, la camicia. Non manca il libro di preghiere, per invocare il” Signore del mondo” nei momenti di solitudine e sconforto, ma neanche l’ago d’osso per poter ricucire “il cuoio dei sandali col filo di budello” e il coltello, che ha più “valore” più di tutti gli altri “arnesi”, per potersi difendere. Il Poeta esalta la bella visione della natura del deserto nella notte con “tutte le stelle appese” che suscita un piacere immenso negli animi dei migranti, ma, d’altra parte, li fa sentire dei miserabili costretti a spostarsi in cerca di fortuna, disprezzati dalla “prima voce” che chiamandoli del “sud “li fa sentire inferiori. Quando a parlare è la “seconda voce”, la voce dei migranti che vengono dal sud, si può vedere la loro dignità messa in risalto, nel momento in cui rispondono che non vengono dal sud, ma vengono dal “ parallelo grande, dall’equatore centro della terra ” e si sentono “padroni delle immensità” del creato. Possiamo vedere la loro umiltà, anche nel momento in cui l’Autore li raffigura durante la sera, quando per loro anche la possibilità di poter ricucire i sandali, e quindi poter proseguire questo viaggio, è un segno divino, è già un traguardo . Rassegnati al destino che si beffa della loro condizione di ricchezza e miseria al tempo stesso, innalzano l’invocazione finale come conforto al Signore del mondo nel momento in cui intraprendono il loro viaggio. ESCI

  36. Milo,mani di pietra Di bambini virus è piena la piazza. sono dappertutto. Loro e i loro motorini. Li senti da lontano che si chiamano tra loro: urlano, ballano, cercano il fumo. O stai con loro o ti affacci dalle balaustre del centro commerciale e ti metti a guardare: c’è chi dice che sembra di stare allo zoo. I bambini virus non superano i venticinque anni, si sporgono alti dalle scarpe con la zeppa color oro, argento o fucsia shocking e hanno i capelli più strani del mondo: ciuffi stinti di biondo o di rame, dritti e pungenti. Oppure rape rasate come quadri con i peli messi a disegnare croci celtiche in altorilievo o scritte tipo viva il duce. I bambini virus si pomiciano le ragazze restando seduti sui motorini e si calano pasticche a tuttandare. Il bello di stare a guardarli è che ogni tanto qualcuno scolla il sedere dal sellino del motorino e comincia a muoversi a scatti, in preda alla pasticca della sera prima che risale quando meno te l’aspetti: sono gli scatti della danza techno. E se un bambino virus, dove sta sta, comincia la sua danza, presto diventano in tanti a muovere a scatti testa, braccia e gambe e a fare gli occhi stralunati, mentre con la bocca riproducono i suoni della musica techno modulando i toni della sillaba bo: “Bo. bo, bobobo. ho. ho, bobobo, ho. ho. bobobo, bobobo, bobobo, bo. bo, bobo...” La musica finisce all’improvviso. Le chiappe adagiate su una sella di scarabeo, le mani strette sopra al didietro di qualche ragazza. magari i bambini virus decidono di farsi una canna: “Bo, ho. bobobo, aoh! Che ce l’hai ‘na sigheretta? E n’avvorgibile’? Aoh! Te voi dì a Coso da passamme n’avvorgibile, tacci tua...” “Bo, ho, boboho, che voi? N’avvorgibile’? Ce l’ha Coso: Aoh! Ah Coso! Te vo Coso.” “Che voi?” “Che me passi n’avvorgibile’?” “Aoh! N’te ‘e comprà mai ‘e cartine, sa. Io te passerebbi ‘na sveglia. artro che n’avvorgibile. tacci tua...” “Bo, ho, bobobo, aoh! Ah Secco! Che me fai accenne. ah Secco! Oh! Ah Secco! E damme d’accenne!” Stranamente, dopo tutto quel chiedere, i bambini virus non si passano la canna seguendo un giro preciso: la droga, per loro, è un consumo non un rito. Chi c’ha il fumo fuma per conto suo o al massimo passa la canna all’amichetto o alla ragazza e si sbriga pure per paura di un possibile colpo di mano di qualche bambino virus ingordo e senza fumo. ESCI

  37. Infatti chi non c’ha il fumo si sbatte come può per scroccare tiri di canna il più possibile, naturalmente urlando: “Ah Coso porcoddue, t’ho chiesto se me lasciavi du’ tiri!” “Aoh! Vedi d’annà a.... tacci tua: compratelo er fumo così poi te fai tutti i tiri che te pare.” “Vabbè. oh! E che t’ho detto? Lasciameli du’ tiri porcoddue...” Dalla balaustra del centro commerciale agli striminziti giardini della piazza, i discorsi dei bambini virus arrivano sotto forma di strilli, sgasate improvvise, bestemmie e pomiciate. Seguo dall’alto le monotone evoluzioni dei bambini, lunghe da motorino a motorino e finalizzate allo scambio di occhiali di plastica trasparente, da provare subito, di fronte allo specchietto: ciò che mi stupisce di più è la loro alterigia nei confronti di me stesso. I bambini virus portano le scarpe con la zeppa e girano in scarabeo, stanno le ore a pensare di rasarsi i capelli in un certo modo e poi vanno in discoteca con gli occhiali da sole giallo fosforescente e si calano l’ecstasy e la ketamina. Tutto è vero in loro: le loro cose e le loro azioni formano messaggi coincidenti. La gerarchia delle loro cose e delle loro azioni ne fornisce il senso. Inutile cercare ambiguità. Come nella pornografia e nella pubblicità, così nei bambini virus: quello che si mostra è quello che si mostra e basta. Smetto di pensare quando sento che si urla ancora più forte: c’è qualcosa che non va, forse una rissa. C’era, spintonato in un angolo, un uomo sulla trentina. Dalla pettinatura - capelli lunghi sulle spalle e rasati ai lati - sembra un albanese. Una ragazza gli strilla forte in faccia che cosa cavolo c’ha da guardare. Pure io mi metto a guardare la ragazza: minigonna striminzita con il filo del tanga in rilievo tra i fianchi stretti, calze a giarrettiera e camicetta trasparente, dodici anni al massimo. Un mucchio di bambini virus hanno fatto gruppo intorno all’albanese, gli vanno sotto a turno e lo insultano: “Che te guardi!” “Qui stai a casa nostra l’hai da tenè bassi l’occhi quanno cammini!” “Tornatene ar paese tuo, pezzente ‘nfame!” L’albanese, in ogni caso, conosce il fatto suo e resta tranquillo. Per un po’ prova persino a fornire delle giustificazioni: “Amico, io no stava guardando.” Lui ci voleva mettere una pietra sopra ma i bambini virus no, insistono. Basta alzare una mano ed è subito troppo: all’albanese parte subito uno sganassone che arriva al bambino virus che si è fatto troppo sotto a mano aperta sulla faccia. Mano da lavoro pesante, mano che viene dalle cave di tufo che stanno sulla Teverina. ESCI

  38. Ottanta sacchi al giorno, sedici ore di lavoro: strappare tufo dalla montagna, tagliarlo a squadra, impilarlo sulle pedane. La sera a dormire nelle casupole di lamiera in mezzo alle ruspe con altre cinque, sei persone e sempre poca birra, una sigaretta veloce e poi sotto le lenzuola. pensando ad altro. La sveglia è alle cinque di mattina: sono blocchetti non appena aperti, gli occhi. C’è solo un giorno libero a settimana, il giorno sbagliato dei bambini virus. Il primo a prendere lo schiaffo dall’albanese rincula dieci metri e s’accascia sul cofano di una punto marrone con lo stampo del cinque impresso sulla faccia, Il galletto della situazione pensa di farla finita con un cazzotto a tradimento: si becca un calcione nello stomaco e poi sono pizzoni made in Albania per tutti i bambini virus che si fanno avanti. Alla fine c’è rimasto solo l’albanese, al centro della piazza. Io, a un certo punto. avevo smesso di guardare, per scendere in piazza ad aiutare l’albanese contro tutti quei coatti. Quando arrivo, però, sono in tempo solo per calmarlo: “Io no guardare, io camminare e lei in mezzo a strada e se passare per strada io guarda quello che mi pare.” “Hai ragione, come ti chiami?” “Milo, io lavorare in cava di pietra.” “Avranno chiamato le guardie. ti conviene andare.” Milo. senza fretta, se ne va. Dei bambini virus, adesso, non c’è traccia. Alla ragazza che si era arrabbiata tanto chiedo: “Ma che t’ha fatto?” “Aoh, me stava a guarda’!” Così, nemmeno fatta sera, niente più bambini virus in piazza: stanno dal dottore o si sono spostati in qualche bisca a tramare vendetta. Della loro recente presenza restano solo chiazze di catarro sul marciapiede e cicche di canna in abbondanza. Questa volta, ai bambini virus è andata male. ESCI

  39. Bambini soldato:Situazione, Cause, Conseguenze Più di 300.000 minori di 18 anni sono attualmente impegnati in conflitti nel mondo.Centinaia di migliaia hanno combattuto nell'ultimo decennio, alcuni negli eserciti governativi, altri nelle armate di opposizione. La maggioranza di questi hanno da 15 a 18 anni ma ci sono reclute anche di 10 anni e la tendenza che si nota è verso un abbassamento dell'età. Decine di migliaia corrono ancora il rischio di diventare soldati.Il problema è più grave in Africa (il rapporto presentato nell'aprile scorso a Maputo parla di 120.000 soldati con meno di 18 anni) e in Asia ma anche in America e Europa parecchi stati reclutano minori nelle loro forze armate. Negli ultimi 10 anni è documentata la partecipazione a conflitti armati di bambini dai 10 ai 16 anni in 25 Paesi. Alcuni sono soldati a tutti gli effetti, altri sono usati come "portatori" di munizioni, vettovaglie ecc. e la loro vita non è meno dura e a rischio dei primi. Alcuni sono regolarmente reclutati nelle forze armate del loro stato, altri fanno parte di armate di opposizione ai governi; in ambedue i casi sono esposti ai pericoli della battaglia e delle armi, trattati brutalmente e puniti in modo estremamente severo per gli errori. Una tentata diserzione può portare agli arresti e, in qualche caso, ad una esecuzione sommaria.Anche le ragazze, sebbene in misura minore, sono reclutate e frequentemente soggette allo stupro e a violenze sessuali. In Etiopia, per esempio, si stima che le donne e le ragazze formino fra il 25 e il 30 per cento delle forze di opposizione armata. Anche nella storia passata i ragazzi sono stati usati come soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in netto aumento perché è cambiata la natura della guerra, diventata oggi prevalentemente etnica, religiosa e nazionalista. I "signori della guerra" che le combattono non si curano delle Convenzioni di Ginevra e spesso considerano anche i bambini come nemici. Secondo uno studio UNICEF, i civili rappresentavano all'inizio del secolo il 5 per cento delle vittime di guerra. Oggi costituiscono il 90 per cento. ESCI

  40. L'uso di armi automatiche e leggere ha reso più facile l'arruolamento dei minori; oggi un bambino di 10 anni può usare un AK-47 come un adulto. I ragazzi, inoltre, non chiedono paghe, e si fanno indottrinare e controllare più facilmente di un adulto, affrontano il pericolo con maggior incoscienza (per esempio attraversando campi minati o intrufolandosi nei territori nemici come spie).Inoltre la lunghezza dei conflitti rende sempre più urgente trovare nuove reclute per rimpiazzare le perdite. Quando questo non è facile si ricorre a ragazzi di età inferiore a quanto stabilito dalla legge o perché non si seguono le procedure normali di reclutamento o perché essi non hanno documenti che dimostrino la loro vera età. Si dice che alcuni ragazzi aderiscono come volontari: in questo caso le cause possono essere diverse: per lo più lo fanno per sopravvivere, perché c'è di mezzo la fame o il bisogno di protezione. Nella Rep. Democratica del Congo, per esempio, nel '97 da 4.000 a 5.000 adolescenti hanno aderito all'invito, fatto attraverso la radio, di arruolarsi: erano per la maggior parte "ragazzi della strada".Un altro motivo può essere dato da una certa cultura della violenza o dal desiderio di vendicare atrocità commesse contro i loro parenti o la loro comunità. Una ricerca condotta dall'ufficio dei Quaccheri di Ginevra mostra come la maggioranza dei ragazzi che va volontario nelle truppe di opposizione lo fa come risultato di una esperienza di violenze subite personalmente o viste infliggere ai propri familiari da parte delle truppe governative. Per i ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno riportato ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano fisico sono comunque gravi: stati di denutrizione, malattie della pelle, patologie respiratorie e dell'apparato sessuale, incluso l'AIDS. Inoltre ci sono le ripercussioni psicologiche dovute al fatto di essere stati testimoni o aver commesso atrocità: senso di panico e incubi continuano a perseguitare questi ragazzi anche dopo anni. Si aggiungano le conseguenze di carattere sociale: la difficoltà dell'inserirsi nuovamente in famiglia e del riprendere gli studi spesso è tale che i ragazzi non riescono ad affrontarla. Le ragazze poi, soprattutto in alcuni ambienti, dopo essere state nell'esercito, non riescono a sposarsi e finiscono col diventare prostitute. ESCI

  41. L'uso dei bambini soldato ha ripercussioni anche su gli altri ragazzi che rimangono nell'area del conflitto, perché tutti diventano sospettabili in quanto potenzialmente nemici. Il rischio è che vengano uccisi, interrogati, fatti prigionieri. Qualche volta i bambini soldato possono rappresentare un rischio anche per la popolazione civile in senso lato: in situazioni di tensione sono meno capaci di autocontrollo degli adulti e quindi sono "dal grilletto facile". Una forma di sfruttamento Per quanto molti stati siano riluttanti ad ammetterlo, l'uso di bambini soldato può essere considerato come una forma di lavoro illegittimo per la natura pericolosa del lavoro. L'ILO riconosce che: "il concetto di età minima per l'ammissione all'impiego o lavoro che per sua natura o per le circostanze in cui si svolge porti un rischio per la salute, la sicurezza fisica o morale dei giovani, può essere applicata anche al coinvolgimento nei conflitti armati". L'età minima, secondo la Convenzione n° 138, corrisponde ai 18 anni. Ricerche ONU hanno mostrato come la principale categoria di ragazzi che diventa soldato in tempo di guerra, sia soggetta allo sfruttamento lavorativo in tempo di pace.La maggioranza dei bambini soldato appartiene a queste categorie: ragazzi separati dalle loro famiglie (orfani, rifugiati non accompagnati, figli di single) provenienti da situazioni economiche o sociali svantaggiate (minoranze, ragazzi di strada, sfollati) ragazzi che vivono nelle zone calde del conflitto. Chi vive in campi profughi è particolarmente a rischio di essere sfruttato da gruppi armati. Le famiglie e le comunità sono distrutte, i ragazzi sono abbandonati a se stessi e la situazione è di grande incertezza. I rifugiati sono così spesso alla mercé dei gruppi armati. ESCI

  42. Perché escludere gli under-18 dalle forze armate I 18 anni sono l'età minima per votare nelle legislazioni nazionali della stragrande maggioranza degli stati e segnano il momento formale di transizione tra l'adolescenza e l'età adulta. La Convenzione dei Diritti dell'Infanzia del 1989 ha definito come "minore" ogni essere umano inferiore ai 18 anni. La maggior parte dei Paesi non recluta minori e non permette che questi prendano parte ai conflitti armati. L'uso dei bambini-soldato deve essere considerato come uno sfruttamento illegale di minori per la natura pericolosa del lavoro in cui questi si trovano coinvolti. I 18 anni sono l'età minima stabilita dai trattati internazionali per accedere a lavori pericolosi. ESCI

  43. ESCI

  44. Sierra Leone Liberia Costa D’Avorio Uganda ESCI

  45. Liberia La storia della Liberia Fin dall’inizio degli anni ‘80 la storia della Liberia è stata un susseguirsi di attentati, a volte reali a volte solo presunti, che hanno portato a massicce detenzioni ed esecuzioni. In generale può dirsi che due principali filoni di conflitti interni hanno insanguinato la Liberia. Il primo, in qualche modo risoltosi con il colpo di stato del 1980, si è consumato tra gli Americo-Liberiani e la maggioranza delle popolazioni indigene, ed ha visto le famiglie con ascendenze statunitensi pronte a riprendere il proprio posto nella politica, mentre continuavano a detenere anche il potere economico. ESCI

  46. In questo primo filone si inseriva il piccolo gruppo di ribelli armati capeggiati da Charles Taylor, esponente della stirpe Americo-Liberiana (scappato in Costa d'Avorio qualche anno prima per sottrarsi ad accuse di saccheggio), e che ancora nel dicembre dell'89 invase la Contea di Nimba sfruttando i contrasti già in atto tra la tribù Kran, a cui apparteneva Mr. Doe, capo della Forza Armata di Liberia-Armed Forces of Liberia (AFL), cioè l'iniziale esercito nazionale trasformatosi poi in fazione guerrigliera, e le tribù del nord Gio e Mano. Il secondo filone di conflitti della Liberia si consuma infatti proprio tra gli stessi gruppi etnici indigeni, e si basa sul desiderio, da un lato, di rivendicare antichi risentimenti etnici, e dall'altro, di assicurarsi il potere politico.I conflitti sono diminuiti nel maggio del '96, consentendo di ripristinare un certo controllo nella città di Monrovia, mentre nell'agosto dello stesso anno è stato firmato ad Abuja (Nigeria) il secondo accordo di pace. Ma i combattimenti e le uccisioni eseguite dai soldati della AFL sono state così violente da condurre la popolazione a supportare proprio Mr. Taylor ed il suo National Patriotic Front of Fileria (NPFL). In pratica, la percepibile voglia di dominazione e la spietata crudeltà del pressante regime del gruppo etnico Kran di Mr. Doe, ha consentito a Mr. Taylor addirittura di vincere, nel luglio '97, le elezioni alla presidenza del Paese con più del 75% dei voti. La gran parte dei consensi da parte del popolo liberiano è stata infatti accordata proprio per paura delle possibili devastanti conseguenze di una eventuale mancata vittoria da parte di Mr Taylor. In ogni caso, la vittoria di Mr Taylor, sostenuta dal National Patriotic Party (NPP), è stata vista dagli osservatori quantomeno come una parziale riasserzione del potere Americo-Liberiano. Ancora alla fine degli anni ‘90 sembrava però che ogni fazione della guerra civile liberiana si fosse abbandonata alla messa in opera di stermini etnici e torture, mentre il perenne conflitto ha creato nuovi focolai di lotte intestine e rivendicazioni inter-etniche che potrebbero in ogni momento far scoppiare ulteriori disordini. ESCI

  47. Nell'euforia post-elettorale del 1997 il futuro della Liberia sembrava dipendere dalla capacità del presidente Taylor di creare le necessarie condizioni per una riconciliazione successiva alla guerra civile ed un rinnovamento economico. Ancora nel 1999, a circa due anni dalla sua salita al potere, si constatava invece che una nuova minaccia per la stabilità e la sicurezza montava in Liberia, dal momento che Taylor aveva fino ad allora dimostrato una carenza sia nella volontà che nelle risorse per affrontare le crescenti difficoltà politiche ed economiche, ed allo stesso tempo, era apparso anche incapace di raccogliere le sfide di un ambiente regionale sempre più ostile. La strategia del governo liberiano fino alla fine del 1999 è sembrata infatti orientata semplicemente ad una propaganda dai presupposti viziati, a tutto svantaggio della situazione politico-economica generale del Paese, già aggravata da sette anni di guerra civile.All'indomani della conquista di Taylor della presidenza, era già opinione comune che semplici misure di accrescimento economico non sarebbero state sufficienti per il popolo. Gli investitori internazionali, la comunità internazionale dei finanziatori, i liberiani rifugiati all'estero e la classe media delle città, erano tutti attenti a constatare se Mr. Taylor fosse riuscito a mettere in pratica ciò che aveva promesso. In particolare restava da vedere se egli sarebbe riuscito a mantenere nella nazione un sistema di diffusa legalità, mentre il clima pacifico delle relazioni con le contrarie forze politiche costituiva la vera sfida per il suo governo. Nel generale fallimento di tali aspettative, gli osservatori hanno continuato inoltre a valutare se i membri della famiglia di Taylor che siedono nel governo, fossero effettivamente competenti o stessero soltanto traendo vantaggi di tipo nepotistico. Come conseguenza si è registrato l’allontanamento dei donatori Occidentali che sono rimasti in attesa di assicurazioni sul fatto che Mr. Taylor fosse realmente convinto circa il ripristino della democrazia. ESCI

  48. Un certo sblocco nella situazione generale della Liberia si è cominciato a realizzare invece nel corso del 2000. Infatti, pur restando il potere concentrato nelle mani del presidente Taylor, le crescenti pressioni esercitate sul suo governo per la creazione di sostanziali condizioni che favoriscano una genuina riconciliazione post-bellica e le forti istanze per una concreta ripresa di vigore nell’economia, stavano cominciando a far perdere al National Patriotic Party (NPP) ed allo stesso presidente Taylor anche l’appoggio dei suoi stessi sostenitori.Alcuni proficui cambiamenti nella gestione politica ed economica del Paese, considerati vitali per la popolarità futura dell’amministrazione, sono così stati implementati tra la fine del ’99 ed il 2000, tanto che ad aprile del 2000 il Fondo Monetario Internazionale ha rilasciato il più completo rapporto sullo stato dell’economia della Liberia dall’inizio della guerra civile nel 1989. Una generale carenza di dati statistici aveva infatti finora impedito di formulare prospettive sull'evoluzione economica del Paese. Invece, sulla base di dati raccolti da un team che ha visitato la Liberia a novembre del 1999, per dare anche l’avvio ad un nuovo dibattito con i funzionari liberiani, il rapporto ha indicato numerosi segni di ripresa nell’economia liberiana. La produzione domestica è infatti fortemente risalita dopo la fine della guerra civile, sebbene rimanga a circa un terzo dei livelli pre-guerra. La crescita del Pil è stimata essere raddoppiata nel 1997 e cresciuta di circa il 25-30% nel 1998, grazie agli incrementi nelle produzioni di cibo e nei raccolti. La crescita è rimasta alta anche nel 1999, stimata intorno al 23%, secondo un trend che tuttavia appare in discesa già nel 2000, con crescita intorno al 15%. Secondo il FMI si stima che il Pil pro capite sia indicativamente compreso tra i 150 ed i 200 US$.La corsa verso le elezioni legislative e presidenziali del 2003 costituì la più difficile sfida per il presidente Taylor, per il governo e per la stessa opposizione liberiana, in un generale clima di ribellione, che infiammò soprattutto il nord del Paese, e in vigenza delle sanzioni delle Nazioni Unite. ESCI

  49. Il presidente Taylor ha allora cercato di recuperare la sua immagine internazionale. Taylor è stato infatti molto attivo nella recente crisi della Sierra Leone, rispetto alla quale le sue strette relazioni con il Fronte Unito Rivoluzionario-Revolutionary United Front (RUF) della Sierra Leone gli hanno consentito di rivestire la vantaggiosa posizione, allo stesso tempo, di messaggero e di mediatore per conto delle Nazioni Unite. In conseguenza di tali interventi, anche le relazioni con il Fondo Monetario Internazionale e con la Banca Mondiale sono state avviate verso una normalizzazione, sebbene il governo liberiano avrà bisogno nel prossimo futuro non solo di attuare le riforme raccomandate dal FMI, ma anche di rassicurare le organizzazioni dei diritti umani ed i membri del Congresso Statunitense riguardo all’impegno di rispetto dei diritti umani. Anche gli Stati Uniti, ad ogni modo, si sono da ultimo dimostrati inclini ad assistere la Liberia nella sua spinta per lo sviluppo.Gli ultimi eventi indicano pertanto che il presidente Taylor sembra aver abbandonato la politica di ignorare completamente i finanziatori occidentali ed internazionali in genere, considerato anche che la ricostruzione della Liberia si preannuncia sicuramente costosa, mentre il debito del paese è stimato intorno ai tre miliardi di US$ e il governo è praticamente in bancarotta. ESCI

  50. Costa d’Avorio GUERRA NEL PAESE DEL CACAOLa Costa d'Avorio, ex colonia francese, conquistò l'indipendenza il 7 agosto 1960 e il 27 novembre dello stesso anno venne eletto presidente Felix Huophouet-Boigny, ex parlamentare ed ex Ministro del governo francese . Huophouet-Boigny governò lo stato africano per sette mandati consecutivi rimanendo in carica sino alla sua morte avvenuta nel dicembre 1993. Durante questo lungo periodo resse in maniera efficace le sorti del suo paese, portandolo ad un invidiabile sviluppo economico. Boigny ottenne buoni risultati economici soprattutto grazie al gran numero di francesi rimasti nella ex colonia,anche se alcune sue iniziative  procurano danni all'economia e all'immagine del paese come, ad esempio, la deforestazione sistematica per vendere il legname e la costruzione di un enorme basilica nel suo paese natale Yamoussoukro (seconda per dimensioni solo a San Pietro) che provocò l'indignazione del Papa. ESCI

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