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Sentenze: Responsabilità dell’RSPP

Sentenze: Responsabilità dell’RSPP. Condannato RSPP per infortunio a lavoratore . Venerdì 19 Febbraio 2010 16:29 carmela Condannato RSPP per infortunio a lavoratore (Sentenza Cassazione penale 15 gennaio 2010, n. 1834)

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Sentenze: Responsabilità dell’RSPP

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  1. Sentenze: Responsabilità dell’RSPP

  2. Condannato RSPP per infortunio a lavoratore • Venerdì 19 Febbraio 2010 16:29 carmela • Condannato RSPP per infortunio a lavoratore (Sentenza Cassazione penale 15 gennaio 2010, n. 1834) • Al centro della presente sentenza si colloca un ingegnere responsabile del servizio di protezione e prevenzione per designazione ricevuta dal titolare di una s.p.a., condannato per il delitto di lesioni colpose gravi in danno di un operaio-dipendente che nell’effettuare di notte “in assenza di luce artificiale e di cinture di sicurezza le operazioni di posizionamento dei ganci di un carrello elevatore all'estremità di un tubo metallico per gasdotto sovrapposto ad altri in quinta fila perdeva l'equilibrio, precipitando da un'altezza di m. 3,15 dal suolo”. • Nel confermare la condanna, la Sez. IV osserva che “la designazione -ai sensi dell'art. 4, comma 4, lettera a), D.Lgs. n. 626/1994 [ripreso dall’art. 17, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 81/2008]- dell’imputato quale responsabile del servizio prevenzione e protezione ha posto quest'ultimo in una specifica posizione nei confronti dei beneficiari delle norme antinfortunistiche, competendogli l'osservanza dei compiti dettagliatamente elencati nel successivo art. 9 [ripreso dall’art. 33 D.Lgs. n. 81/2008], e, tra essi, l'obbligo dell'individuazione dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione da adottare”.

  3. Condannato RSPP per infortunio a lavoratore • Ne desume che, “nel fare ciò, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione opera per conto del datore di lavoro, il quale è persona che giuridicamente si trova nella posizione di garanzia, poiché l'obbligo di effettuare la valutazione e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione, in collaborazione con il responsabile del servizio, fa capo a lui in base all'art. 4, commi 1, 2 e 6 del D.Lgs. n. 626/1994 [ora artt. 17, comma 1, lettera a), 28 e 29 D.Lgs. n. 81/2008], tanto è vero che il medesimo decreto non prevede nessuna sanzione penale a carico del responsabile del servizio, mentre punisce il datore di lavoro per non avere valutato correttamente i rischi”. • Insegna che “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è, in altri termini, una sorta di consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi e delle sue elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore dell'amministrazione dell'azienda, vengono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest'ultimo delle eventuali negligenze del consulente è chiamato comunque a rispondere”, e che “il soggetto designato responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, possa, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione”. • Critica, pertanto, l’assunto difensivo “secondo cui nulla avrebbe potuto fare l’imputato per eliminare i rischi connessi alla movimentazione dei tubi, giacchè il rischio di caduta da una catasta di essi non era preventivabile, in quanto la manovra di aggancio non comportava la salita sui tubi e nessuna segnalazione di rischi del genere era stata a lui comunicata”.

  4. Condannato RSPP per infortunio a lavoratore • E spiega che un tale assunto muove “da un'interpretazione del disposto del D.Lgs. n. 626/1994, art. 9 [ora art. 33 D.Lgs. n. 81/2008] e, più in generale, delle regole che presidiano la responsabilità per condotta omissiva in materia di infortuni sul lavoro, assolutamente non condivisibile”, poiché “l'opzione esegetica sottesa postula invero che, laddove non vi siano poteri di amministrazione attiva in materia di adeguamento dei luoghi di lavoro, e segnatamente di intervento e di spesa, non possa, perciò solo, esservi responsabilità per colpa in connessione al verificarsi di un infortunio, laddove, salvo verifiche della situazione fattuale determinatasi in concreto, può al più essere vero il contrario”. • Chiarisce ancora, con particolare riguardo alle funzioni riservate al responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che “l'assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che l'inottemperanza alle stesse - e segnatamente la mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza, nonché di informazione e formazione dei lavoratori - possa integrare un'omissione ‘sensibile’ tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio”. • Aggiunge che, “considerata la particolare conformazione concepita dal legislatore per il sistema antifortunistico, con la individuazione di un soggetto incaricato di monitorare costantemente la sicurezza degli impianti e di interloquire con il datore di lavoro, deve presumersi che, ove una situazione di rischio venga dal primo segnalata, il secondo assuma le iniziative idonee a neutralizzarla”. • Ciò precisato, la Sez. IV prende atto che “la movimentazione dei tubi costituiva una fase antecedente, ma imprescindibile, al loro avvio nelle linee di lavorazione interne al capannone industriale della azienda”, e chel’imputato, “per la qualifica rivestita, non poteva ignorare, appunto perché prodromica al ciclo di lavorazione e ripetuta costantemente, i rischi connessi alla fase di movimentazione, specie qualora il prelievo riguardava una catasta di tubi che poneva il superiore ad un'altezza da terra tale da costituire una potenziale situazione di pericolo per l'incolumità degli operai addetti alla movimentazione”.

  5. CONDANNA PENALE A RSPP: NUOVO CLAMOROSO CASO. • Costanzo GarofoloCollaboratore tecnico – RSPP presso l’Ufficio Tecnico Territoriale Armamenti Terresti di Nettuno (Ministero della Difesa)Il 15.02.1996 comunico al Direttore dell’Ente (datore di lavoro) la mia rinuncia all’incarico di Capo del Centro di Sicurezza Antinfortunistica Locale ….Il 7.11.1996 presento una ennesima e motivata rinuncia all’incarico ……. • In data 22.04.2002 al dipendente armaiolo Origlia accade un infortunio durante una attività balistica in batteria di tiro.A seguito di ciò vi è una ispezione da parte della DPL di Roma la quale conclude che le sanzioni previste sono a carico del datore di lavoro, del dirigente (direttore del tiro) e del lavoratore.Invece, in data 14.09.2007, il sottoscritto senza aver ricevuto alcuna comunicazione del procedimento penale in corso, riceve una notifica di decreto penale di condanna.Costanzo GarofoloRSPP UTTAT Nettuno

  6. Condannato RSPP !! • Condannato un responsabile del servizio di prevenzione e protezione per non aver segnalato una situazione di pericolo che ha portato ad un infortunio mortale • Si fa strada la “colpa professionale” e la “colpa tecnica” del RSPP: Cassazione Penale Sez. IV - Sentenza n. 15226 del 17 aprile 2007 • Sempre più spesso la Corte di Cassazione è chiamata ad esprimersi sulla responsabilità penale del RSPP e, come si prevedeva, dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 195/2003 sulla formazione e sulla qualificazione dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione con questa sentenza, nella quale la stessa Corte di Cassazione affronta per la prima volta il rapporto fra l’art. 9 del D. Lgs. n. 626/1994 sui compiti del SPP ed i reati di omicidio e di lesioni colpose di cui agli art. 589 e 590 c. p. e con la quale un RSPP è stato condannato assieme al datore di lavoro per non aver segnalato un pericolo che ha portato all’infortunio di una lavoratrice, si fa strada la “colpa professionale” e la “colpa tecnica” del RSPP, le quali si affiancano alla “colpa generica” del datore di lavoro nel caso in cui un infortunio sul lavoro sia derivato da una carenza di misura di sicurezza e sia legato a delle violazioni alla normativa in materia di sicurezza sul lavoro.

  7. Condannato RSPP !! • Il caso all’esame riguarda un infortunio mortale occorso ad una lavoratrice dipendente di una ditta alla quale erano stati appaltati i servizi di confezionamento e di gestione dei carrelli contenenti i pasti all’interno di un ospedale. In particolare la lavoratrice che si era introdotta nella cabina di un ascensore assieme ad un carrello portavivande, essendo il carrello finito nel corso della discesa contro una sporgenza del muro, era rimasta violentemente schiacciata dal carrello stesso contro la parete decedendo per asfissia. • Dell’accaduto erano stati originariamente chiamati a rispondere, oltre al datore di lavoro dell’infortunata, il direttore generale e il responsabile di zona della AUSL nonché il responsabile dell’ospedale ed il RSPP del presidio ospedaliero ma solo questi due ultimi venivano condannati per il reato di omicidio colposo. • La Corte di Cassazione ha ribadito che l’assenza di una capacità immediatamente operativa da parte del RSPP nella struttura aziendale non esclude che una eventuale inottemperanza allo svolgimento dei compiti di cui all’art. 9 del D. Lgs. n. 626/1994 ed in particolare una mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni, una mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché una mancata informazione e formazione dei lavoratori possa costituire una omissione rilevante ai fini della individuazione della responsabilità penale tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio e ciò specie in considerazione del fatto che, secondo quanto disposto dall’art. 7 dello stesso D. Lgs. n. 626/1994, il datore di lavoro committente risponde anche dei rischi delle lavorazioni cui vanno incontro i dipendenti della ditta appaltatrice. • Già in precedenza la Corte di Cassazione aveva avuto modo, con la sentenza della sez. IV n. 41947 del 21 dicembre 2006 Ric. Pittarello e altro, in questa stessa rubrica, di condannare un RSPP sostenendo che, pur essendo questi un semplice ausiliario del datore di lavoro e privo di un effettivo potere decisionale, potesse essere chiamato a rispondere, anche penalmente, per lo svolgimento della propria attività allorquando, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro, ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale. I • l RSPP, infatti, ha sostenuto la suprema Corte risponde insieme al datore di lavoro di un evento dannoso derivante dal suggerimento sbagliato o dalla mancata segnalazione essendo a lui ascrivibile un titolo di “colpa professionale” che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo.

  8. Condannato RSPP !! • In passato più volte la giurisprudenza aveva considerata quella del RSPP come una figura integrativa e strumentale del datore di lavoro ed avulsa da responsabilità penali, così come è possibile leggere in alcune sentenze riportate di seguito in questa stessa rubrica, ma ora sembra riscontrarsi nelle decisioni della Corte di Cassazione una sorta di ripercussione della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 15 novembre 2001 e della conseguente emanazione del D. Lgs. n. 195/2003 con il quale, su espresso indirizzo della Comunità europea, è stata introdotta in Italia la specifica qualifica professionale del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. • Il caso all’esame riguarda un infortunio mortale occorso ad una lavoratrice dipendente di una ditta alla quale erano stati appaltati i servizi di confezionamento e di gestione dei carrelli contenenti i pasti all’interno di un ospedale. In particolare la lavoratrice che si era introdotta nella cabina di un ascensore assieme ad un carrello portavivande, essendo il carrello finito nel corso della discesa contro una sporgenza del muro, era rimasta violentemente schiacciata dal carrello stesso contro la parete decedendo per asfissia. • Dell’accaduto erano stati originariamente chiamati a rispondere, oltre al datore di lavoro dell’infortunata, il direttore generale e il responsabile di zona della AUSL nonché il responsabile dell’ospedale ed il RSPP del presidio ospedaliero ma solo questi due ultimi venivano condannati per il reato di omicidio colposo. • Il RSPP ha inteso far ricorso alla Corte di Cassazione chiedendo alla stessa l’annullamento della condanna e sostenendo che, nella sua qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, era privo dei poteri di decisione e di spesa in materia antinfortunistica. La suprema Corte ha però rigettato il ricorso stesso confermando quando già asserito dal Giudice di merito il quale aveva ritenuto non rilevante il mancato potere di decisione e di spesa e che tale mancanza non escludeva comunque il potere dovere del RSPP di segnalare la situazione di pericolo ai soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento. Irrilevante veniva anche ritenuto dai Giudici di legittimità il fatto, asserito dal RSPP, che una segnalazione dello stesso sulla pericolosità dell’ascensore sarebbe stata in ogni caso inutile, perché la pericolosità era ben nota al datore di lavoro tanto da essere stata evidenziata attraverso l’affissione di un cartello alle cui disposizioni la lavoratrice infortunata non si era attenuta. • La Corte di Cassazione ha ribadito che l’assenza di una capacità immediatamente operativa da parte del RSPP nella struttura aziendale non esclude che una eventuale inottemperanza allo svolgimento dei compiti di cui all’art. 9 del D. Lgs. n. 626/1994 ed in particolare una mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni, una mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché una mancata informazione e formazione dei lavoratori possa costituire una omissione rilevante ai fini della individuazione della responsabilità penale tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio e ciò specie in considerazione del fatto che, secondo quanto disposto dall’art. 7 dello stesso D. Lgs. n. 626/1994, il datore di lavoro committente risponde anche dei rischi delle lavorazioni cui vanno incontro i dipendenti della ditta appaltatrice. • La suprema Corte ha osservato, inoltre, che l’assenza nel D. Lgs. n. 626/1994 di una sanzione penale a carico del RSPP non impedisce che questi possa essere chiamato a rispondere per il mancato svolgimento delle proprie funzioni indicate nell’art. 9 del D. Lgs. n. 626/1994, il quale dispone che il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali ha l’obbligo di provvedere, tra l’altro, «all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale», nonché ad elaborare le misure preventive e protettive, i sistemi di protezione individuale e le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali. Assumere che il RSPP non possa essere chiamato a rispondere di delitti colposi contro la vita e l’incolumità, sostiene ancora la Corte, equivale alla negazione dell’esistenza di un obbligo giuridicamente rilevante considerato che il D. Lgs. 626/1994 ha voluto individuare nel sistema prevenzionistico aziendale un soggetto, il RSPP, incaricato di monitorare costantemente la sicurezza degli impianti e di interloquire con il datore di lavoro affinché questi, informato di una situazione di pericolo, potesse intraprendere le iniziative idonee a neutralizzarla. • Già in precedenza la Corte di Cassazione aveva avuto modo, con la sentenza della sez. IV n. 41947 del 21 dicembre 2006 Ric. Pittarello e altro, in questa stessa rubrica, di condannare un RSPP sostenendo che, pur essendo questi un semplice ausiliario del datore di lavoro e privo di un effettivo potere decisionale, potesse essere chiamato a rispondere, anche penalmente, per lo svolgimento della propria attività allorquando, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro, ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale. Il RSPP, infatti, ha sostenuto la suprema Corte risponde insieme al datore di lavoro di un evento dannoso derivante dal suggerimento sbagliato o dalla mancata segnalazione essendo a lui ascrivibile un titolo di “colpa professionale” che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo. • Fonte: Porreca.it

  9. Condanna di un RSPP • CONDANNATI A SEGUITO DI UN INFORTUNIO SUL LAVORO OCCORSO AD UN LAVORATORE DIPENDENTE SIA IL DATORE DI LAVORO CHE IL RSPP. RIGETTATO DALLA CASSAZIONE IL RICORSO DEL RSPP CHE SOSTENEVA DI NON AVER ACCETTATO L’INCARICO BENCHE’ IL DATORE DI LAVORO AVESSE COMUNICATA LA NOMINA AGLI ORGANI DI VIGILANZA COMPETENTI E TRASMESSO IL SUO CURRICULUM FIRMATO IN CALCE.Cassazione Penale Sez. IV – Sentenza n. 41943 del 21 dicembre 2006 (u.p. 4 ottobre 2006) – Pres. Marini – Est. Campanaio – Ric. Lestingi e altro. • Ancora al centro dell’attenzione della Corte di Cassazione la figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di cui all’art 8 del D. Lgs. n. 626/1994. E’ una sentenza di notevole importanza questa in quanto viene a supporto delle considerazioni più volte espresse in merito alle maggiori responsabilità professionali che si fanno derivare a carico delle figure dei responsabili e degli addetti dei servizi di prevenzione e protezione a seguito della applicazione del D. Lgs. n. 195/2003 sulla loro formazione, sulle capacità e sui requisiti professionali agli stessi oggi richiesti.

  10. Condanna di un RSPP • Il caso posto all’esame della Corte Suprema riguarda l’infortunio occorso ad un autista che in un cantiere edile, nel quale era in corso l’attività di posa di cavi elettrici in uno scavo della lunghezza di circa quattro metri e recintato con una retina sostenuta da bacchette di ferro, mentre scendeva da un camion perdeva l’equilibrio e finiva con le parti basse del corpo su uno di questi tondini che si infiggeva nella natica sinistra in regione perianale. Ricoverato in Ospedale venivano praticate all’infortunato delle suture per le ferite riportate ma dopo qualche giorno a seguito di complicazioni legate ad una infezione cancrenosa lo stesso decedeva. • Per l’accaduto venivano processati dal Tribunale di Bari per violazioni a norme antinfortunistiche e per omicidio colposo e condannati alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno alle parti civili, sia il legale rappresentate della società per la quale lavorava l’infortunato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione nominato dallo stesso ai sensi dell’art. 4 ed 8 del D. Lgs. n. 626/1994. Entrambi venivano accusati di aver posto in opera una recinzione dello scavo pericolosa in quanto costituita da una reticella sorretta da tondini alti circa un metro, normalmente utilizzati per armare il cemento, i quali, tra l’altro, erano privi di protezione a tappo, oltre che in parte arrugginiti, venendo così a costituire in sostanza dei veri e propri “offendicula” sia per i lavoratori che per i terzi. • Il Tribunale di Bari ha sostenuto in merito alla figura del datore di lavoro che “nel momento che sceglie un professionista e lo designa come responsabile della sicurezza non si libera dalle conseguenze connesse alla sua posizione di garanzia se non sceglie un professionista idoneo, non elabora assieme a questi un piano di sicurezza, non gli mette a disposizione i mezzi necessari per attuarlo e non vigila su tale attuazione” ed a carico del responsabile del servizio di prevenzione che “deve essere capace, deve predisporre il piano di sicurezza, deve richiedere ed ottenere dall’imprenditore i mezzi per attuarlo e non deve mettere in atto condotte elusive, impedendo la vigilanza del titolare delegante”.

  11. Condanna di un RSPP • Il caso posto all’esame della Corte Suprema riguarda l’infortunio occorso ad un autista che in un cantiere edile, nel quale era in corso l’attività di posa di cavi elettrici in uno scavo della lunghezza di circa quattro metri e recintato con una retina sostenuta da bacchette di ferro, mentre scendeva da un camion perdeva l’equilibrio e finiva con le parti basse del corpo su uno di questi tondini che si infiggeva nella natica sinistra in regione perianale. Ricoverato in Ospedale venivano praticate all’infortunato delle suture per le ferite riportate ma dopo qualche giorno a seguito di complicazioni legate ad una infezione cancrenosa lo stesso decedeva. • Per l’accaduto venivano processati dal Tribunale di Bari per violazioni a norme antinfortunistiche e per omicidio colposo e condannati alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno alle parti civili, sia il legale rappresentate della società per la quale lavorava l’infortunato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione nominato dallo stesso ai sensi dell’art. 4 ed 8 del D. Lgs. n. 626/1994. Entrambi venivano accusati di aver posto in opera una recinzione dello scavo pericolosa in quanto costituita da una reticella sorretta da tondini alti circa un metro, normalmente utilizzati per armare il cemento, i quali, tra l’altro, erano privi di protezione a tappo, oltre che in parte arrugginiti, venendo così a costituire in sostanza dei veri e propri “offendicula” sia per i lavoratori che per i terzi. • Il Tribunale di Bari ha sostenuto in merito alla figura del datore di lavoro che “nel momento che sceglie un professionista e lo designa come responsabile della sicurezza non si libera dalle conseguenze connesse alla sua posizione di garanzia se non sceglie un professionista idoneo, non elabora assieme a questi un piano di sicurezza, non gli mette a disposizione i mezzi necessari per attuarlo e non vigila su tale attuazione” ed a carico del responsabile del servizio di prevenzione che “deve essere capace, deve predisporre il piano di sicurezza, deve richiedere ed ottenere dall’imprenditore i mezzi per attuarlo e non deve mettere in atto condotte elusive, impedendo la vigilanza del titolare delegante”. • Entrambi gli imputati hanno fatto ricorso dapprima alla Corte di Appello di Bari e poi alla Corte di Cassazione adducendo il primo, quale motivo a sua discolpa, di aver regolarmene nominato e comunicato sia all’Ispettorato del Lavoro che alla Asl competente per territorio il nominativo del Rspp lamentando altresì che il giudice di appello, pur avendo affermato la colpevolezza di quest’ultimo, non aveva sollevato il datore dì lavoro dalle responsabilità inerenti alla sua posizione di garanzia. Il RSPP, dal canto suo, ha sostenuto invece di non aver mai assunto la posizione di delegato alla sicurezza non essendogli mai stato comunicato l’incarico di responsabile del servizio di prevenzione e protezione e di non aver mai accettato sostanzialmente l’incarico stesso. Quest’ultimo, a sua difesa e con memoria aggiuntiva, ammetteva inoltre di avere firmato il curriculum (circostanza che aveva però negata in ricorso) ma affermava di “avere sconosciuto la circostanza che lo stesso sarebbe servito alla società per designarlo come responsabile della prevenzione e che pertanto la firma apposta non corrispondeva alla coscienza e volontà di accettare tale ruolo” • Nel rigettare il ricorso, così come richiesto dal Procuratore Generale, la Sez. IV della Corte di Cassazione ha confermata la condanna di entrambi gli imputati sostenendo che agli stessi siano addebitabili le omissioni loro contestate e che poi hanno reso insicuro il cantiere dove lavorava l’infortunato. La stessa Sez. IV ha altresì sottolineato che “se la protezione fosse stata eseguita a regola d’arte e soprattutto se non fosse stato utilizzato materiale arrugginito ed appuntito, l’incidente non si sarebbe verificato e che pertanto era questa presenza pericolosa, inidonea ad ogni effetto ed insidiosa, che radicava la responsabilità del datore di lavoro e del preposto alla sicurezza” e che inoltre “la rete posta a delimitazione dello scavo era assolutamente inidonea ed essa stessa un grave pericolo presentando dei tondini “rizzati come tante baionette”. • La Corte di Cassazione ha inoltre precisato che “correttamente e secondo i principi più volte affermati da questa Corte entrambi i giudici di merito hanno affermato che la delega delle funzioni non solleva da responsabilità il datore di lavoro se questi non conferisce l’incarico a persona idonea, non gli fornisce i mezzi per approntare e attuare il piano di sicurezza e non sorvegli che ciò sia predisposto”. • Per quanto riguarda poi la posizione del RSPP la Sezione IV della Corte di Cassazione ha posto in evidenza che il datore di lavoro nel comunicare agi organi competenti la sua nomina inviava anche un curriculum firmato dallo stesso RSPP ed ha precisato inoltre che “nonostante le diverse affermazioni dello predetto l’apprestamento di tale documento e la sottoscrizione non poteva che significare l’accettazione dell’incarico” e che per di più “nello stesso curriculum l’imputato dichiarava di svolgere già per l’azienda il compito di addetto alla sicurezza”.

  12. Cassazione Penale, 21 febbraio 2012, n. 6854 - Infortunio mortale per mancanza di misure di sicurezza del rullo compattatore: necessità di macchine di nuova generazione • Responsabilità del legale rappresentante di una s.r.l., e, quindi, quale datore di lavoro, per aver fatto utilizzare al proprio dipendente C.C. in un percorso in salita, un rullo compattatore, senza che il mezzo fosse dotato di misure che ne garantissero il pronto ed automatico arresto qualora la leva del cambio fosse mandata in folle, di tal che il guidatore, in data 10.05.2000, posizionando in folle la leva per cambiare marcia, provocava lo scollegamento della trasmissione idraulica dal motore. In conseguenza dì ciò il rullo iniziava a retrocedere, con velocità sempre crescente, capovolgendosi e schiacciando il C., che decedeva. • Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Rigetto. • La Suprema Corte afferma che il profilo di colpa evidenziato a carico dell'imputato, e rimasto provato, è rappresentato dal fatto d'aver messo a disposizione del C. una macchina che presentava un rischio intrinseco molto elevato: quello di non essere più governabile se, in un percorso inclinato, per una qualunque ragione (rottura meccanica od errata manovra del conduttore) si fosse verificato -come appunto è accaduto nel caso di specie - lo scollegamento della trasmissione dal motore con messa in folle del mezzo."A carico del datore di lavoro, ai sensi della normativa di cui al d.P.R. 547/1955 (art.391-392-6 ) e di quella generale in materia di sicurezza aziendale (art.4 D.L.G.S. 626/1994) ed anche in riferimento alla norma cd. "di chiusura del sistema" ex art. 2087 C.C., sussiste un obbligo di predisporre le misure idonee a rendere sicuro l'espletamento dell'attività lavorativa dei dipendenti ed il controllo dell'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni e procedure aziendali di sicurezza. In altre parole, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica del prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 C.P.P. comma 2."Quanto all'eccepita insussistenza del nesso causale la critica risulta infondata."E' indubbio, essendo dato pacificamente acquisito, che il capovolgimento del compattatore, con il conseguente schiacciamento del C. che lo guidava, è stato determinato dalla sua ingovernabilità per il disinserimento del freno motore e, quindi, per la eccessiva velocità raggiunta dal mezzo in discesa ripida.Ed in ragione di tanto è ineccepibile, in punto di logica, la motivazione sul punto della sentenza impugnata secondo cui il rischio specifico, legato all'inefficienza strutturale dell'azione frenante meccanica, per quanto in precedenza esposto (risultati della perizia di ufficio) poteva essere scongiurata mettendo a disposizione del lavoratore una macchina di nuova generazione, dotata di un sistema frenante idraulico - anziché meccanico -che, sostanzialmente, impedisce la messa in folle.”

  13. Cassazione Penale, Sez. 4, 16 febbraio 2012, n. 6400 - La designazione del RSPP non equivale a "delega di funzione” • Responsabilità del datore di lavoro e del RSPP di una spa per un infortunio occorso ad un dipendente. L'addebito era basato sull'omesso posizionamento della griglia di protezione di una macchina assemblatrice dei profilati di alluminio.Tale omissione aveva posto le cause dell'infortunio, giacché il lavoratore infortunatosi, mentre era addetto al taglio termico dei profilati di alluminio, nell'accompagnare il profilo con la mano destra per farlo entrare nella macchina, subiva il "risucchiamento" dell'arto all'interno del macchinario. • Condannati, ricorrono in Cassazione - Inammissibile. • Innanzitutto, afferma la Corte, con riferimento ai primi due motivi, in modo soddisfacente e correttamente la Corte di merito ha esclusa l'abnormità del comportamento del lavoratore. In caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al datore di lavoro invocare a propria discolpa, per farne discendere l'interruzione del nesso causale (articolo 41 c.p., comma 2), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso datore di lavoro versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l'evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo • Non può trovare accoglimento inoltre il motivo basato sulla pretesa sussistenza di una delega implicita in favore del RSPP.Ciò in quanto, come è noto, la responsabilità penale "diretta" del datore di lavoro (e soggetti assimilati: dirigente, preposti) per l'inosservanza delle norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro non è esclusa ex se per il solo fatto che sia stato designato il RSPP, giacchè la "designazione" del RSPP, che il datore di lavoro è tenuto a fare a norma di legge (cfr., ora, il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 31; individuandolo, ai sensi del successivo articolo 32, tra persone i cui requisiti siano "adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative"), non equivale a "delega di funzioni" utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perchè gli consentirebbe di "trasferire" ad altri - il delegato- la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori. Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore di lavoro in quanto ex lege onerato dell'obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all'espletamento dell'attività lavorativa.

  14. Cassazione Penale, Sez. 4, Sent., 01 febbraio 2012, n. 4407 - Amputazione del terzo e quarto dito di una mano e omissione di una adeguata protezione della macchina • Responsabilità del legale rappresentante di una srl per infortunio in danno di un lavoratore dipendente che subiva l'amputazione del terzo e quarto dito della mano sinistra: la colpa veniva individuata, oltre che sui profili di colpa generica, anche sull'inosservanza all'obbligo cautelare specifico di dotare la macchina ove si era verificato l'infortunio di adeguata protezione della catena di trasmissione e degli ingranaggi: per l'effetto, proprio in ragione di tale carente protezione, il lavoratore, intento a raccogliere un attrezzo, rimaneva impigliato, con la mano, negli ingranaggi, subendo le lesioni contestate. • Ricorso in Cassazione - Inammissibile • La Corte afferma che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, potendosi escludere l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'"abnormità" del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento: dovendosi, al riguardo, considerare abnorme il comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; con la precisazione, però, che non può avere queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli da ultimo.

  15. Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2012, n. 4397 - Concorso di colpa dell'infortunato: anche il lavoratore è destinatario iure proprio della normativa antinfortunistica • Responsabilità del capo cantiere di una s.r.l. per il reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno di un lavoratore che, durante i lavori di manutenzione della colonna di assorbimento dell'acido solforico, durati per circa due ore, non faceva uso dell'apposita maschera protettiva inalando così i vapori nocivi che gli procuravano una insufficienza respiratoria. • Sia in primo che in secondo grado viene riconosciuta la responsabilità dell'imputato e nello stesso tempo il concorso di colpa dell'infortunato nella misura del 50%. • Ricorre in Cassazione la parte civile - Rigetto. • Va rilevato, afferma la Corte, che nel caso in esame il concorso di colpa della parte offesa è stata correttamente ricondotta all'omesso utilizzo della maschera antigas, la cui messa a disposizione del lavoratore è stata oggetto di puntuale accertamento da parte dei giudici di merito.Questa conclusione è coerente con gli obblighi che gravano sul lavoratore in quanto anch'egli destinatario iure proprio della normativa antinfortunistica.

  16. Cassazione Penale, Sez. 4, 31 gennaio 2012, n. 3999 - Uso di un autocarro con bracci estraibili difettosi e omissione di doveri formativi ed informativi: infortunio mortale • Responsabilità dell'amministratore unico di una srl (P.) per infortunio mortale occorso ad un lavoratore (Pa.): accadeva che altro lavoratore, B. F., nell'utilizzare un muletto elevatore Hyster per estrarre un braccio stabilizzatore di un autocarro Fiat 100 azionava inavvertitamente la marcia avanti del mezzo e così schiacciava il capo del Pa. che era intento a controllare l'operazione di estrazione frapponendosi tra il muletto e l'autocarro.Condannato, ricorre in Cassazione - Rigetto.La Corte territoriale e prima ancora il Tribunale hanno fornito un'adeguata e corretta risposta agli interrogativi sollevati dal ricorrente, laddove, da un canto, si è rilevato che era stata erroneamente consentito da parte del P. ai dipendenti l'uso dell'autocarro con bracci estraibili difettosi e, dall'altro, che non era stato spiegato cosa fare in caso di mal funzionamento e sul rischio derivante dall'interposizione di una persona dinanzi alle forche del carrello, concludendo per la sussistenza del nesso causale tra l'omissione di tali doveri formativi ed informativi e l'evento mortale.Di certo la condotta della vittima Pa., chiamato dal B. a svolgere un compito estemporaneo e non rientrante nelle sue mansioni (assunto con un contratto di formazione individuale), che si pose tra il carrello e l'autocarro, non fu affatto oculata e prudente, ma comunque non al punto da potersi qualificare come eccezionale nè fu, tanto meno, frutto di una sua autonoma iniziativa.

  17. Cassazione Penale, Sez. 4, 31 gennaio 2012, n. 3947 - Atteggiamento passivo di un dirigente del punto vendita e responsabilità per infortunio occorso ad una dipendente a causa del mal funzionamento di un cancello • Responsabilità del dirigente di un punto vendita (C.) per lesioni personali gravissime occorse alla dipendente L.M. che, nell'aprire il cancello di accesso carrabile, ne era rimasta travolta poichè, a causa della mancanza del fermo di fine corsa, detto cancello era uscito dalla sua guida, si era ribaltato ed era precipitato per terra. • Condannato, ricorre in Cassazione - Rigetto.Si sostiene nel ricorso che al C. non poteva riconoscersi alcuna posizione di garanzia, poichè lo stesso era privo di poteri di gestione e di spesa e non era emerso che fosse stato destinatario di deleghe che lo autorizzassero ad intervenire. • La Corte afferma invece che i giudici del merito non hanno neanche posto il tema della titolarità, in capo all'imputato, di una formale posizione di garanzia a tutela della sicurezza del luogo di lavoro e della salute dei lavoratori, nè al riconoscimento di tale posizione gli stessi giudici hanno fatto riferimento per affermare la responsabilità dell'imputato. Al contrario, essi hanno dato atto del fatto che l'imputato non era mai stato destinatario di deleghe o incarichi in materia di sicurezza, essendo certamente altra la persona a ciò deputata. Ciò che invece quei giudici hanno considerato e ritenuto significativo - ed è questo che li ha determinati a riconoscere la responsabilità del C. - è che l'assenza di specifica delega non poteva giustificare l'atteggiamento passivo assunto dall'imputato davanti al ripetersi di incidenti che mettevano a rischio la sicurezza di quanti, dipendenti e non, si fossero trovati a transitare nei pressi del cancello durante le operazioni di apertura dello stesso.In realtà, hanno sostenuto gli stessi giudici, l'accertata e non contestata posizione di responsabile dell'esercizio commerciale, sia pure solo con riguardo all'organizzazione interna del lavoro ed alla commercializzazione dei prodotti, poneva l'imputato certamente in una posizione sovra ordinata rispetto agli altri dipendenti, che a lui facevano riferimento, e quindi di responsabilità nei confronti degli stessi.

  18. Cassazione Penale, Sez. 4, 31 gennaio 2012, n. 3946 - Attività di produzione saccarifera e infortunio mortale all'interno di un silos a causa di un moto franoso della parete di zucchero • Responsabilità del dirigente di una s.p.a. esercente l'attività di produzione saccarifera (C.), in particolare, quale direttore dello stabilimento di (OMISSIS) e responsabile per la sicurezza nonchè committente dei lavori di facchinaggio appaltati dalla società cooperativa a r.l. "F. F.", e del presidente della predetta società cooperativa (V.), esercente attività di facchinaggio presso detta unità produttiva, e datore di lavoro della vittima, socio della stessa cooperativa, per la morte del S. che, trovandosi all'interno di un grande silos di zucchero (alto 44 metri ed altrettanto largo), è rimasto vittima di un moto franoso della parete di zucchero presso la quale lavorava, dal quale è rimasto sepolto. • Il S. si trovava all'interno del silos, unitamente al collega Si.Fr., intento a rimuovere manualmente la massa di zucchero posta sul costone sinistro per favorirne il deflusso e l'uscita attraverso la bocchetta centrale posta alla base del silos; tale procedura operativa veniva adottata in sostituzione di quella meccanica, alla quale avrebbe dovuto procedere la coclea interna di scarico che risultava, invece, bloccata. • Condannati, il solo C. ricorre in Cassazione - Rigetto. • "I giudici del gravame hanno ampiamente esaminato ogni questione sottoposta al loro giudizio e, dopo avere ricostruito i fatti, hanno adeguatamente motivato le ragioni del proprio dissenso rispetto alle argomentazioni ed osservazioni difensive." Essi hanno dunque ribadito la responsabilità del C., nell'avere lo stesso messo a disposizione della "F.F." un impianto di deposito e di lavorazione dello zucchero che non rispondeva alle norme di sicurezza vigenti per l'inadeguatezza dell'impianto di condizionamento e climatizzazione, fondamentale per tenere sotto controllo la temperatura e l'umidità dell'ambiente e per consentire allo zucchero di mantenere la propria friabilità. Proprio il cattivo funzionamento di detto impianto determinava la formazione di masse di zucchero fortemente compatto ed addensato che creava alte pareti di prodotto e costringeva gli operatori ad intervenire manualmente all'interno del silos con strumenti metallici per consentire il deflusso dello zucchero verso il basso e l'uscita dello stesso attraverso le bocchette poste alla base del silos. Operazione ad alto rischio per il pericolo di seppellimento dell'operatore in conseguenza del crollo di taluno dei cumuli di zucchero presenti nel silos, come in effetti accaduto al S., rimasto travolto e seppellito dallo zucchero franatogli addosso.

  19. Cassazione Penale, Sez. 3, 23 gennaio 2012, n. 2694 - Mancanza di una procedura di sicurezza per il taglio di alberi e requisiti di una delega di funzione: concorrente responsabilità del delegante • Giovedì 09 Febbraio 2012 14:08 • Cassazione Penale, Sez. 3, 23 gennaio 2012, n. 2694 - Mancanza di una procedura di sicurezza per il taglio di alberi e  requisiti di una delega di funzione: concorrente responsabilità del deleganteResponsabilità di un datore di lavoro che, in relazione allo svolgimento delle operazioni di taglio degli alberi, non aveva effettuato una adeguata valutazione del rischio e non aveva individuato ed organizzato una procedura di sicurezza che mettesse i lavoratori dell'azienda al riparo dal rischio di caduta degli alberi durante il taglio (tanto che uno dei soci lavoratori in data 13.2.2007 aveva riportato nell'operazione gravi lesioni).Il tribunale si è poi fatto carico di considerare la delega di funzione conferita ad altra persona e ha osservato che, al di là delle ragioni che facevano dubitare della serietà della delega e anche a voler ritenere valida ed efficace tale delega, le risultanze istruttorie avevano comunque evidenziato una concorrente responsabilità dell'imputato in ordine alla commissione dei fatti come accertati. • Condannato, ricorre in Cassazione - Inammissibile. • Quanto al primo motivo, in cui il ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto della delega fatta in materia di misure di prevenzione, deve considerarsi, afferma la Suprema Corte, che il tribunale ha puntualmente tenuto conto della delega dedotta dal ricorrente; ma nondimeno è pervenuto all'affermazione della penale responsabilità dello stesso osservando che comunque l'imputato, in quanto datore di lavoro, era tenuto a porre rimedio al delegato che era palesemente inadempiente rispetto agli obblighi di sicurezza. Precedente giurisprudenza ha infatti affermato che gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono sì essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro; ma da una parte l'atto di delega deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento; d'altra parte rimane fermo comunque l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive.

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