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Fattori comuni nei modelli di trattamento per i pazienti borderline Marta Vigorelli, Giovanni Foresti Matteo Biaggini, P

Articolazione dell'intervento. Introduzione caratteristiche complesse della sofferenza borderline e sua specificit?I risultati della ricerca per la cura del DBPDiverse prospettive dei modelli di trattamentoFattori comuni di cambiamento in 4 diversi modelli, in particolare nel MBT (Bateman e Fona

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Fattori comuni nei modelli di trattamento per i pazienti borderline Marta Vigorelli, Giovanni Foresti Matteo Biaggini, P

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Presentation Transcript


    1. Fattori comuni nei modelli di trattamento per i pazienti borderline Marta Vigorelli, Giovanni Foresti Matteo Biaggini, Pamela Zambonin, Mariangela Villa

    2. Articolazione dell’intervento Introduzione caratteristiche complesse della sofferenza borderline e sua specificità I risultati della ricerca per la cura del DBP Diverse prospettive dei modelli di trattamento Fattori comuni di cambiamento in 4 diversi modelli, in particolare nel MBT (Bateman e Fonagy) e nella DBT(M.Linhean) Fattori comuni per il trattamento comunitario: limiti e specificità

    3. Perché questo tema? La patologia borderline di personalità si manifesta con un’alta incidenza nella popolazione psichiatrica, espone i pazienti a gravi rischi di vita (Stone 1993) presenta una problematica risposta alla psicofarmacologia (Soloff 2000) e richiede un elevato impegno dei servizi psichiatrici, delle famiglie (Skodol 2002) e delle comunità. La gravità di questi problemi ha indotto negli USA, l’American Psychiatric Association nel 2001, a pubblicare Linee Guida che ne hanno riconosciuto la matrice multidimensionale proponendo alcune indicazioni, tra cui fondamentali, la valutazione iniziale e la costruzione di una chiara cornice del trattamento, prescrizione psicofarmacologica, la gestione con uno o più clinici.

    4. Il National Institute for Mental Health in Inghilterra ha dato indicazioni programmatiche per la realizzazione di équipes specialistiche multidisciplinari con servizi ambulatoriali in aree del territorio con alta incidenza del disturbo Borderline. In Italia una grande attenzione a questo problema è presente nelle Società di Ricerca (la Society for Psychoterapy Research It SPRIt, l’Associazione Italiana per gli Studi del Disturbo di Personalità AISDP) e in numerose Società di Psicoterapia. Nel SSN invece o nei progetto Obiettivo non è ancora una priorità specifica. I Servizi psichiatrici ma soprattutto le comunità e le residenzialità terapeutiche hanno sempre più richieste di accoglimento di questi tipi di pazienti, ma mancano linee guida.

    5. Multidimensionalità del disturbo Livelli bio-psico-sociali (J.Paris, C.Perris, J.Gunderson, M.C.Zanarini, )

    6. 1- Multidimensionalità del disturbo borderline: l'aspetto neuropsicologico (LeDoux 1996, van der Kolke 1996, Gabbard 2007) Gli eventi e attaccamenti traumatici, causando un eccessivo rilascio di glucocorticoidi, danneggiano stabilmente l’ippocampo, e dunque la memoria, ed iperattivando l’amigdala, non solo compromettono la memoria dichiarativa, ma anche producono la conservazione, nel corpo dell’evento a livello procedurale, in quanto la corteccia prefrontale e l’ipotalamo si disconnettono e non riescono più a svolgere la loro funzione integrativa Possono così essere riprodotte solo reazioni di: Iperattivazione (attacco/fuga) Congelamento Compromettono insomma una buona Regolazione emotiva

    7. 1-Il sistema della ricompensa Nel primo caso la tendenza è simpatica, dopaminergica e ventro-tegmentale, e si manifesta biochimicamente con alti livelli di dopamina mesolimbica durante gli stati di stress, che i soggetti riescono a modulare con fatica. La dopamina prodotta va inoltre ad alimentare anche il circuito della ricompensa e salda l’attaccamento del soggetto al suo nucleo familiare per quanto inadeguato

    8. 2- Sofferenza dei legami transgenerazionali: disorganizzazione dell’attaccamento Main, 2000, Lyons Ruth 2003, Fonagy 2002, Liotti 2006 il genitore in un legame disorganizzato

    9. Partendo dall’assunto della TA : a) natura innata a chiedere aiuto e conforto nelle situazioni di pericolo; b)altrettanto innata tendenza a offrire aiuto e conforto a un cospecifico (sistema di accudimento): c) persistere di questa tendenza lungo tutto l’arco della vita; Il principale fattore di rischio nella genesi del DBP è da ricercare nell’instaurarsi di un particolare pattern di attaccamento nel bambino: l’attaccamento Disorganizzato-Disorientato (pattern D) che può essere rilevato al termine del primo anno di vita attraverso la Strange Situation. Questo pattern prevede che il bambino si trovi a interagire con un genitore turbato dal continuo e frammentario emergere alla coscienza di dolorose e spesso terrorizzanti memorie relative a lutti e traumi non elaborati. Ciò conduce il genitore ad assumere atteggiamenti ed espressioni di dolore, paura, o talora improvvisa e immotivata collera, rispondendo inadeguatamente alle esigenze di attaccamento del figlio, e provocando spavento e paura in esso.

    10. Si crea così una condizione di circolarità paradossale, che causa l’iperattivazione del sistema di attaccamento: la paura spinge a cercare la vicinanza del caregiver (regola innata del sistema di attaccamento) nonostante sia egli stesso a spaventarlo: stato di “terrore senza sbocco” Ciò determina l’insorgenza di uno stato alterato di attenzione e coscienza, tale per cui i processi cognitivi perdono coerenza e coesione e facilitano la costruzione di modelli operativi interni (MOI) frammentari, multipli e incoerenti in cui si alterna

    11. Conseguenze nel tempo dell’Attaccamento Disorganizzato Sulla base di alcuni studi condotti nell’ambito della teoria dell’attaccamento si è evidenziata la tendenza a confermare nell’età adulta i MOI costruiti in infanzia: questo permette di spiegare il motivo per cui un pattern di attaccamento D, possa porre le basi per un successivo sviluppo della patologia borderline. infatti può determinare una carenza nello sviluppo metacognitivo tale da inficiare la capacità di riflettere sui propri stati mentali e quelli altrui, rendendo incapace il soggetto di regolare e modulare l’esperienza emotiva e le sue azioni, le sue reazioni e relazioni con gli altri Conseguenza: vulnerabilità e disregolazione emotiva, lo rendono molto più sensibile a traumi successivi e al collasso dissociativo. Inoltre la parte aliena interiorizzata (immessa dal caregiver) assumerà per il futuro border un carattere persecutorio e rappresenterà un continuo pericolo di autodanneggiamento.

    12. Data la complessità di questa sindrome ci chiediamo:

    13. Che cosa ci dice la ricerca sui fattori di efficacia? 6 Trattamenti hanno realizzato una manualizzazione e ricerche di validazione CBT 1990 Terapia cognitivo comportamentale di Beck DBT 1993 Terapia dialettico-comportamentale di M. Linhean TFP 1999 Psicoterapia basata sul transfert di Kernberg TRI 2003 Terapia ricostruttiva interpersonale di L. Benjamin CAT 2004 Terapia cognitivo-analitica di Ryle MBT 2004 Trattamento basato sulla mentalizzazione di Bateman e Fonagy

    14. La rassegna delle ricerche sui modelli di trattamento per pazienti borderline ha individuato queste caratteristiche comuni come fattori di efficacia: (Bateman e Fonagy 2000, 2004) Alto livello di strutturazione Realizzazione coerente e affidabile con una forte alleanza tra paziente e terapeuta che ha un ruolo abbastanza attivo Hanno un chiaro focus (vedi comportamenti autolesivi o pattern ricorrenti) Coerenza teorica Flessibilità Intensità modulata in base ai bisogni Approccio personalizzato Buona integrazione con altri servizi di comunità

    15. Gli studi fatti fin’ora confermano il successo del trattamento psicoterapeutico (soprattutto a orientamento psicodinamico) per il miglioramento in numerose aree del disturbo e un elevato rapporto costi/benefici (Stevenson e Meares 1992,Gabbard 2000, Leichsenring e Leibing 2003) ….ma siamo ancora lontani dal possedere evidenze empiriche

    16. …e i risultati della ricerca sulla funzione delle Comunità terapeutiche per pazienti borderline? Una rassegna sistematica compiuta da Lees, Manning et al. e una meta-analisi ha rilevato risultati positivi dei trattamenti comunitari, che operano in contesti di sicurezza, soprattutto per pazienti borderline tossicodipendenti inseriti in programmi alternativi alla detenzione.(Therapeutic Community Effectiveness. A Systematic International Review of Therapeutic Community treatment for People with Personality Desorders and Mentally Disordered Offenders, University of York, 1999) Chiesa e Fonagy nel 2000 con una ricerca che confronta 2 gruppi di pazienti, ha dimostrato che il trattamento comunitario a ricovero breve seguito da una terapia dinamica ambulatoriale è più efficace, sia del trattamento residenziale a lungo termine, sia del trattamento psichiatrico tradizionale per indicatori quali: l’autolesionismo, tentato suicidio,ricoveri, e maggior efficienza dei costi.

    17. Modelli di trattamento: due prospettive opposte? “Esistono tante vie per l’evoluzione del disturbo borderline di personalità, quanti sono i pazienti borderline” (Zanarini, Frankenburg 1997, 2005, Madeddu 2005) “Va sempre più prendendo piede l’ipotesi della mentalizzazione come caratteristica centrale della terapia del Disturbo Borderline di Personalità. Il concetto di mentalizzazione non solo fornisce un quadro comune che spiega come possano funzionare approcci molto differenti, ma consente anche di cogliere le differenze tra i vari trattamenti rispetto a questo tema.” (Associazione Italiana per lo studio dei disturbi di Personalità, Maffei, Fossati,Visintini, Barone,Semerari, 2006)

    18. Finalità dell’intervento Non intendiamo porre oggi la questione della valutazione e della diagnosi (argomento su cui già abbiamo fatto una precedente giornata di studio) né quello di un'integrazione, intesa come appiattimento riduttivo e omologazione, dei modelli clinici, per altro numerosi data la difficoltà imposta da questo tipo di psicopatologia. Ogni modello ha origini specifiche, una sua storia e contesti differenti di applicazione. Sullo sfondo però di una visione bio-psico-sociale (C.Perris 1993, J.Paris 1996) condivisa e un'ottica che privilegia la personalizzazione dei progetti e dei percorsi di cura,  tentiamo di enucleare i fattori comuni, al di là dell'egemonia di un modello rispetto agli altri, cercando di cogliere meccanismi comuni ai diversi modelli che possono incidere sull'efficacia dei trattamenti.

    19. Confronto Abbiamo confrontato i modelli utilizzando gli otto criteri proposti da Waldinger e riproposti da Kernberg (2000) per il trattamento dei pazienti borderline e presenti nel TFT: Stabilità della cornice del trattamento Incremento della partecipazione del terapeuta alle sedute Tolleranza dell’ostilità del paziente manifestata nel transfert negativo Scoraggiamento dei comportamenti autodistruttivi rendendoli egodistonici Uso dell’interpretazione Blocco dei comportamenti agiti ponendo limiti alle azioni dannose Focalizzazione delle interpretazioni sul qui-e-ora piuttosto che sul passato Monitoraggio del controtransfert

    20. Presenza degli 8 criteri di Kernberg in altri modelli * = principio messo in atto con modalità diverse dal modello tradizionalmente psicodinamico

    21. Quali meccanismi comuni di cambiamento? Abbiamo individuato OTTO MECCANISMI DI CAMBIAMENTO COMUNI ai quattro modelli citati ma ottenuti attraverso tecniche e percorsi diversi, evidenziando che questi hanno la capacita’ di attivare nel paziente lo stesso processo pur utilizzando modalita’ differenti. Tali meccanismi sono: RELAZIONE INTERPERSONALE CORRETTIVA; ABILITA’ DI MENTALIZZAZIONE, PROCESSI COLLABORATIVI Vrsus attaccamento sicuro; STABILIZZAZIONE DELL’IDENTITA’ DI SE’; TRASPOSIZIONE DEL SETTING SUL PIANO MENTALE; ARRICCHIMENTO DELLA MEMORIA EPISODICA IN CONDIZIONI DI ELEVATO AROUSAL; STIMOLAZIONE DELL’ “ORIENTING REFLEX”; CORNICE STABILE PER IL TERAPEUTA E RIDUZIONE DI FALSE ASPETTATIVE; STIMOLAZIONE DELLA CAPACITA’ RIFLESSIVA.

    22. Relazione interpersonale correttiva

    23. abilita’ di mentalizzazione, processi collaborativi versus attaccamento sicuro Nei pazienti borderline i due sistemi (attaccamento e competenze riflessive) tendono ad escludersi a vicenda, soprattutto quando l’attaccamento è fortemente attivato, proprio in quanto disorganizzato; per questo si stimola il paziente, attraverso una modalità collaborativa, a comprendere la mentre propria e dell’altro orientandolo verso un attaccamento sicuro

    24. Stabilizzazione dell’ identita’ di se’ Inviando al paziente dei feedback coerenti e fondati su una logica comprensibile gli si permette di creare un’immagine di sé stabile (base per capirsi e per comprendere e organizzare le esperienze) e gli si fornisce una risposta gratificante che accresce l’alleanza terapeutica

    25. Trasposizione del setting sul piano mentale Si ricrea nel paziente a livello mentale l’atmosfera del setting (sicurezza, solidità, astensione da giudizi di valore automatici) facilitando la generalizzazione di quanto appreso nelle sedute anche ad ambienti esterni e diversi dal setting stesso

    26. Arricchimento della memoria episodica in condizioni di elevato arousal Si migliora la capacità del paziente di discriminare gli stimoli in condizioni di elevato arousal permettendogli di prevenire la crisi riconoscendo i pattern di eventi che la precedono.

    27. Stimolazione dell’ “orienting reflex” Il paziente è destabilizzato e allontanato dalla posizione di equilibrio delle sue certezze per innescare in lui un riflesso di completa apertura dei sistemi di ricezione ed elaborazione di stimoli (orienting reflex), che permette un migliore apprendimento durante le sedute.

    28. Cornice stabile per il terapeuta e riduzione di false aspettative Sono stabilite delle regole che funzionano come confini per prevenire il dropout del paziente e rendono esplicite le aspettative impedendogli di inseguire false illusioni.

    29. Stimolazione della capacita’ riflessiva Si porta alla comprensione degli stati mentali propri e altrui per superare quelle ripetute strategie disadattive che il paziente usa per affrontare gli insostenibili stati emotivi negativi (es. automutilazioni, uso di droghe, promiscuità sessuale).

    31. In particolare presentiamo i 2 modelli più intensivi (aspetto che più si avvicina al trattamento comunitario): LA TERAPIA DIALETTICO-COMPORTAMENTALE (Marsha M. Linehan 1993) a orientamento cognitivo-comportamentale che ottenuto la più ampia validazione rispetto agli altri trattamenti IL TRATTAMENTO BASATO SULLA MENTALIZZAZIONE (Bateman e Fonagy 2004) a impostazione psicodinamica, che ha ottenuto risultati clinici migliori in più aree sintomatiche e il perdurare dei risultati al follow up

    32. DBT TERAPIA DIALETTICO-COMPORTAMENTALE (Marsha Linhean 1993) Deriva dalla teoria cognitivo-comportamentale, ma si differenzia da essa per l’importanza cruciale data alla regolazione emotiva. Si basa sulla “TEORIA BIOPSICOSOCIALE”, secondo la quale all’origine del BPD c’è una compromissione della regolazione delle risposte emozionali dovuta a due fondamentali fattori: 1) AMBIENTE INVALIDANTE (famiglia caotica, perfetta, tipica) 2) VULNERABILITA’ EMOTIVA DI BASE TRASMESSA GENETICAMENTE. Uno dei principi fondamentali cui si ispira è la dialettica, ovvero la ricerca di una sintesi che equilibri due posizioni estreme che è perseguita in ogni ambito, dai nuovi comportamenti che il paziente deve apprendere, alla scelta delle tecniche da utilizzare nel corso della terapia.

    33. Fasi del trattamento DBT La terapia è divisa in 4 fasi: nella prima (1 anno) ha come finalità la riduzione dei comportamenti suicidari, autolesivi e impulsivi attraverso l’incremento della capacità di autoregolazione, nella seconda si lavora a livello emotivo riducendo lo stress post-traumatico nella terza e quarta lo si prepara a concorrere autonomamente al raggiungimento dei propri obiettivi migliorando le abilità relazionali e la qualità della vita. Setting 1 seduta di psicoterapia individuale e 1 di gruppo di tipo pedagogico-riabilitativo, per l’acquisizione delle abilità di regolazione degli stati emotivi, telefonate nei momenti di crisi psicofarmacologia Riunioni di équipe di sostegno al terapeuta

    34. Trattamento basato sulla mentalizzazione (Bateman e Fonagy 2004) Si propone di: Incrementare i processi di mentalizzazione Colmare il vuoto tra l’esperienza affettiva primaria del paziente borderline e la sua rappresentazione simbolica Lavorare sul transfert: il transfert è percepito dai pazienti borderline come una cosa reale, veritiera e attuale ed è in questo modo che l’èquipe terapeutica deve accoglierlo Mantenere una vicinanza mentale: Il compito del terapeuta è di significare in modo accurato lo stato affettivo del paziente e le rappresentazioni interne che lo accompagnano. Riconnettere il paziente al presente, spostando il processo terapeutico nel “qui e ora” analizzando l’esperienza attuale. Comprendere e accettare i limiti: sebbene sia importante riconoscere i punti di forza di ogni paziente, è altrettanto fondamentale comprenderne i limiti, soprattutto in termini di mentalizzazione

    35. Tecniche Fondamentali MBT Interpretazione Transfert Mentalizzazione Affettività e significato Assistenza psichiatrica integrata Interventi Individuali Psicoterapia di gruppo Espressivi Setting Frequenza: 2-5 incontri settimanali Durata: 18 mesi Contesto: Ambulatoriale (OPD) e ospedalizzazione parziale

    36. Il fattore comune e necessario per i pazienti più gravi (Migone, Semerari 2006) La DBT e il MBT (le 2 terapie con un maggior numero di ore e tipi di intervento) sembrano garantire per i pazienti più gravi che presentano disturbi in tutte le aree sintomatiche un “effetto massa” attraverso una molteplicità di setting e di interventi, costituito da molte ore settimanali in cui il paziente è impegnato in qualche tipo di attività terapeutica. Questo effetto globale e intensivo della cura, che interviene su tutte le aree del disturbo, consente la riduzione anzitutto dei sintomi comportamentali per poi intervenire sui problemi di identità e di relazione. Questa potrebbe essere un’utile indicazione per il trattamento intensivo iniziale – a tempo definito- in comunità terapeutica per i pazienti borderline.

    37. La comunità come base sicura Il paziente borderline soffre per una forte discontinuità del sè e dell’altro e questa continua oscillazione, questo continuo passaggio di stato, crea una situazione di impotenza e di confusione. Se noi accettiamo l’idea che il lavoro terapeutico istituzionale debba consistere nell’offrire per molto tempo di seguito una funzione di sostanziale continuità, allora la cura diventa di fatto una base sicura per riuscire a distinguere vari aspetti di sé e dell’ oggetto. Ma tutto questo presuppone una capacità di chi si offre come operatore di essere saldo e continuare a proporsi e a riproporsi (Correale 2005). La vita in comunità deve fornire prevalentemente il senso di continuità che il paziente borderline tende a perdere.

    38. La comunità come contesto di regolazione delle emozioni e dei comportamenti Risponde all’obiettivo di modificare la disregolazione emotivo-affettiva e la presenza di discontrollo comportamentale o impulsività. (Gabbard 1989) Tramite il rispetto nei dettagli delle regole, delle procedure, dei confini della comunità. Ciò protegge la struttura dalla pressione manipolatoria …. La violazione delle regole, anche di quelle minori, può già indicarci che un paziente borderline, o il recipiente di un’identificazione proiettiva, è al lavoro, cercando di provocare, manipolare e proiettare negli altri stati emotivi intollerabili”. Il fine è la comprensione della comunicazione in atto e non la difesa della istituzione; il giungere a capire come avviene il tentativo di ‘trasgressione’. La struttura deve dunque possedere la libertà di rispettare le regole usandole come possibilità di contenimento e comprensione.

    39. La comunità come spazio di integrazione dei meccanismi scissionali Il buon esito di molti trattamenti comunitari dipende dalla capacità del gruppo di elaborare l’identificazione con le rappresentazioni del Sé e dell’oggetto proiettate dal paziente”. E’ fenomeno comune la grande polarizzazione che ‘accade’ nelle equipe alle prese con pazienti scissionali. Tipicamente vi sono ‘buoni’ e ‘cattivi’, persone comprensive e accoglienti e altre normative e rigide; spesso coloro che hanno compiti organizzativi legati alle regole sono vissuti come completamente ‘rigidi’ ma – altrettanto comunemente – i pazienti borderline hanno una grande capacità di riconoscere i conflitti latenti nell’equipe e interni ai singoli soggetti; in tal senso le proiezioni sono in qualche modo depositate sul fertile terreno istituzionale e personale e possono divenire o strumento diagnostico (conoscitivo) e terapeutico o ennesimo fallimento per il paziente (Madeddu 2005).

    40. La comunità come attivazione della funzione riflessiva Una delle caratteristiche dell’ organizzazione del pensiero del paziente borderline è che questi tende facilmente a perdere la funzione riflessiva del Sè e la funzione di mentalizzazione, cioè tende con facilità a vedere se stesso e l’altro in termini di comportamenti: è arrabbiato con me, io sono arrabbiato con lui, punto e basta; non voglio pormi il problema del perché siamo arrivati a questo, quello che conta è vincere la battaglia perché lui mi sta facendo del male. La comunità deve favorire un processo di ‘mentalizzazione’, cioè la capacità di attribuire a un altro fantasie, pensieri, idee, sentimenti. Dunque non soltanto che cosa fa l’altro, ma perché lo sta facendo, da quale sorgente interiore dell'altro deriva il suo comportamento. Questo è un uso della funzione riflessiva, non soltanto per monitorare se stessi, ma per costruire relazioni collaborative e stabili (Correale 2005).

    41. In sintesi: funzioni prioritarie della comunità terapeutica per i pazienti borderline La comunità come base sicura La comunità come contesto di regolazione delle emozioni e dei comportamenti La comunità come spazio di integrazione dei meccanismi scissionali La comunità come attivazione della funzione riflessiva

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