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La storia di Sara B.

RICOMPORRE LO SPECCHIO. La storia di Sara B. V. Caprino, N. Pellegrini, F. Benelli, A. Costa.

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  1. RICOMPORRE LO SPECCHIO • La storia di Sara B. V. Caprino, N. Pellegrini, F. Benelli, A. Costa

  2. Ogni giorno del nostro Esistere è un frammento di specchio, l’ immagine parziale di un Tutto in divenire.Quando il dolore, la malattia, la paura ci colpiscono, la fragilità di quel momento ci porta, sovente, a credere che quel frammento sia l’immagine stessa di tutta la nostra Vita.

  3. Frammento I Sara bussa al servizio Sara giunge al servizio, agli inizi di aprile 2011, su invio della Psichiatra del C.P.S. di Castiglione, Dr.ssa Pellegrini, presso la quale è da poco in cura. Arriva puntuale, ma dopo aver dovuto telefonare, in quanto stentava a trovare la sede. Ben curata bell’aspetto, in sovrappeso ma non sgradevole, ha una vocina molto più infantile dei suoi 30 anni. Ha già effettuato, un percorso di aiuto presso un altro specialista di Brescia, interrotto perché lui voleva diradare gli incontri…. e poi, lei utilizzava la seduta per andare a comprarsi la sostanza. “Ho una dipendenza da Cocaina”, esordisce da subito e senza mezzi termini, cosa inusuale e sorprendente in un colloquio di accoglienza, dove la prassi consolidata sono gli alibi ed i nascondimenti. Ha iniziato a 16 anni, unitamente al fratello Sergio (con il quale, apprenderemo, ha un vincolo affettivo privilegiato all’interno dei rapporti familiari), che poi ha interrotto l’uso, nei fine settimana in discoteca, dopo aver incontrato anche Alcool ed Ecstasy. Negli ultimi 3-4 anni, l’uso si è progressivamente intensificato, fino a divenire quasi quotidiano (Sara acquista ed usa direttamente, nella pausa pranzo).

  4. Sara viene da una famiglia più che benestante: madre di 56 anni, casalinga, con la quale S. dice di avere “un rapporto piuttosto conflittuale”; padre 56enne, agricoltore in pensione; un fratello maggiore di 35 anni, Sandro, sposato con una figlia, che vive fuori casa ma lavora nella azienda di famiglia (e del quale S. non parla mai); il fratello, Sergio di 32 anni, che lavora anch’egli nell’azienda di famiglia, con costui, il rapporto è, invece, molto stretto. Anche la moglie di Sandro, lavora, con funzioni amministrative, nell’azienda di famiglia. Sara, ultima dei figli, invece, dopo aver conseguito il diploma di Segretaria d’azienda, ha preferito andare a lavorare presso il calzificio di uno zio.

  5. La famiglia, certamente, intuisce il problema di Sara, ma fatica a vederlo ed a comunicarselo: il padre si pone in una posizione “comprensiva” ma ambigua; sei anni fa, si sono ritrovati in casa i Carabinieri, giunti per una perquisizione, e lui aveva appena buttato la cocaina!; il fratello Sandro, col quale vi è un rapporto “poco consistente” appare distante, ma sa, come la moglie; col fratello Sergio ha iniziato l’uso e lui si accorge quando usa (“… venerdì sono andata a prenderla, lui mi ha vista strana e non mi ha più parlato …“); l’ unica ad essere “colei che non deve sapere” è la madre, descritta come portata al pessimismo ed ansiosa, alla quale i familiari parleranno, vagamente, di un momento di depressione di Sara.

  6. Sara riferisce di una adolescenza vissuta male: “mi vedevo bruttina e cicciottella… stavo meglio con i gruppi di maschi… con le femmine non riuscivo a competere….”; si definisce senza autostima e con sbalzi d’umore. Dalla sua storia emerge che non ha mai avuto controlli o vincoli particolari: disponibilità economica, disponibilità di tempo (tornava dalla discoteca alle sette di mattina). Non emergono interessi particolari, poi l’indipendenza economica, l’auto regalatale dal papà, il gruppo di amici con cui “faceva festa” molto spesso….. E tanta fatica a costruire relazioni, a farsi accettare. Sara dice di fare sport e di essere calata, negli ultimi 6 mesi, di 13 kg- In chiusura del colloquio di accoglienza, alla domanda su cosa si aspetta dal servizio, dà una risposta netta: “ mi aspetto di venire tutte le settimane a palare con qualcuno “. Eppure, ha già fatto un percorso a Bs, è seguita dal C.P.S., da una psichiatra e da uno psicologo!. O non le è sufficiente, oppure, non ha ancora parlato con nessuno…..

  7. Sara ha, da circa 7 anni, ha una relazione con un ragazzo, Samuele, conosciuto tramite internet, che vive e lavora nel bresciano e che ha conosciuto anche lui la cocaina ma, ha poi smesso. Samuele proviene da una famiglia benestante: madre alto funzionario di una Banca Nazionale; padre con la licenza media e già in pensione, che alleva i tre figli, di salute precaria (fra i genitori rapporto conflittuale). Samuele lavora come geometra in uno studio a Brescia. Sara sta cominciando ad avere dubbi sulla solidità dei suoi sentimenti, proprio adesso che si sta ragionando di matrimonio ( in effetti, poi, emerge che la paziente si è innamorata del migliore amico del fidanzato, anche lui “dentro l’uso ”, al quale non si è mai rivelata. Da quell’ innamoramento è iniziato l’uso continuativo della sostanza); Sara sente che Samuele “non può essere l’uomo della sua vita”, ma si sente in debito nei suoi confronti per tutto quello che ha fatto per lei. Da lui, e dal fratello, “si sente poco ascoltata” (..io non parlo tanto, ma loro non mi chiedono mai nulla…).

  8. Frammento II Le “fughe” di Sara Sara si sente in una fase di stallo: sente di non aver concluso nulla nella vita, rispetto alle proprie scelte. Non si sente compresa dagli altri. La paura della solitudine la spinge ad avere sempre qualcuno al suo fianco, di una compagnia. La sostanza, per questo, sembra colmare i suoi vuoti. Sara ha difficoltà a comunicare le cose che vive dentro di sé e di dire come sta, secondo come si sente e non come gli altri (il fratello ed il partner) credono e desiderano vederla. Anche in questo, la sostanza l’aiuta….

  9. Il pensiero della sostanza sta diventando una prigione: la sogna, di notte, e più volte per notte. Si sveglia, ed è arrabbiata con sé stessa, perché sente che la sostanza le sta entrando dentro, che già possiede una parte di lei. L’altra parte, quella che vuole sentirsi libera di respirare e gridare, tuttavia, non lo vuole. Tuttavia, per ora, proprio quella parte, si deve rassegnare a rifugi “temporanei” (il rapporto col partner, nel fine settimana e nelle feste, i tempi dettati dal lavoro nell’azienda dello zio, la finzione con i familiari, soprattutto con la madre). Sente, tuttavia, il terribile peso di questa “maschera”, ne sente l’inutilità: in merito ad un test psicologico rivela, ad un tempo, curiosità e paura che qualcuno possa, forse per la prima volta nella vita, “leggerle dentro” e renderle la capacità di “leggersi dentro”.

  10. … e Sara ha fretta, molta fretta, nel programma, nel qui ed ora, nella vita… Dà l’impressione di un “rincorrere e di un sentirsi rincorsa” e fa fatica stare nei colloqui. Dopo i primi due colloqui, di accoglienza, quelli successivi sono il barometro del malessere di Sara: alcuni vengono saltati (e sono quelli dei suoi incontri con la “dama bianca”; in questi momenti, Sara agisce le sue “fughe” e nessuno sembra capace di fermarla. Riesce a consumare anche quando è in compagnia del partner). Ma, una parte di lei, si sente in pericolo, chiede protezione e contenimento maggiori. Sara sta cercando di gridare, ma non si sente ascoltata. Ha paura che la cocaina divenga il solo modo per avere voce sufficiente. …e non lo vuole. Per questo, tenta di far venire al servizio il fratello Sergio, quello che sembra più coinvolto. Costui ci contatta il 13/05. Gli viene fissato appuntamento per il 23/05. Appuntamento al quale non verrà… e sarà proprio Sara a telefonare per scusarlo…..

  11. Con queste “fughe” , Sara fa molto rumore. E più lei fa rumore, più gli altri sembrano non ascoltarla (…”io non parlo tanto…”). Proprio il 13 maggio, Sara agisce una “fuga” (nel 2009, c’è stata la prima “grande bouffe” di coca, nell’ appartamento del suo ragazzo sul Garda e di cui lei aveva le chiavi: ha iniziato nel pomeriggio ed ha continuato fino alle 10 del giorno successivo. In quella occasione prova molto spavento ): sparisce da casa un venerdì (13/5) e va a prendere la coca, che consuma in un festino a casa del fornitore per tutta la notte e il giorno dopo. Rientra a casa appena prima che i familiari avvertano i Carabinieri. Il segnale è pesante e riesce a far sì che la famiglia venga coinvolta, seppure con reazioni diverse. Le vengono bloccati uso dell’auto e del cellulare. Ad attivarsi maggiormente è il fratello Sergio; il padre, messo al corrente, reagisce in modo “comprensivo”; alla madre si parla, genericamente, di una fase depressiva. Inoltre, vi è possibilità di un cambio di lavoro, ma a settembre, quando Sara lascerà l’azienda dello zio, per rientrare, sempre come impiegata, in quella di famiglia, al posto della moglie del primo fratello che, essendo in maternità, ha deciso di staccare col lavoro.

  12. …. La reazione, tuttavia, appare ancora debole, rispetto ai segnali. La paziente stessa appare ambivalente: da un lato, giunge a parlare di “fantasie suicidarie, dall’altro, tenta ancora, ma senza successo, di gestire lei le cose, chiedendo che il programma di monitoraggio biologico venga effettuato a casa e resistendo sia alla nostra ipotesi di un percorso residenziale, sia al coinvolgimento pieno di familiari e partner. Riteniamo, allora (siamo ai primi di giugno), che siano maturi i tempi per la definizione di un primo programma terapeutico, che avrà la durata di mesi sei: • controlli tossicologici su campione urinario due volte a settimana; • colloqui individuali di restituzione e condivisione con l’Ed. del Servizio, Costa; • colloqui di restituzione e condivisione del trattamento con i familiari.  La paziente accetta.

  13. L’allarme lanciato da Sara con la sua “fuga” riesce a scuotere la famiglia: in un incontro al servizio, a meta giugno 2011 (padre, fratelli e cognata; assente la madre, tenuta, per ora, all’oscuro di tutto), si illustra il programma terapeutico. Viene data conferma che la giovane, da settembre, lavorerà nell’azienda di famiglia, in sostituzione della cognata, in maternità. I fratelli, di cui il secondo è il più attivo e vicino, sono favorevoli alla cosa, ma non indifferenti alle perplessità di Sara, che vede come una limitazione delle sue autonomie questo “rinchiudersi” in azienda e “non vedere più nessuno”. In questo contesto, emerge la difficoltà del tenere segreto alla madre (persona descritta come pessimista ed ansiosa) il problema di Sara. Il fratello Sergio riferisce che il colloquio con lo psicologo è stato rinviato. Si sottolinea l’importanza di costruire insieme un intervento di cura efficace e coordinato tra servizi, famiglia, paziente.

  14. Alla fine di giugno entra in scena, per una fugace apparizione, il partner di Sara, Samuele. Costui parla del comune uso della sostanza (che lui ha, da poco, interrotto), a suo dire a fini “ricreativi” e della sua sorpresa che invece, la partner, a questa interruzione, abbia continuato, incrementando l’uso. Non emergono sentimenti “forti” su questo, come se la cosa fosse del tutto “normale”. Il partner conferma molte delle cose dette da Sara; diverge nettamente su quanto detto dalla paziente in merito al rapporto con il fratello Sergio: Sara è molto condizionata dai giudizi del fratello, che ha un atteggiamento molto svalutativo e di scarsa attenzione nei confronti della sorella. Del resto, Sara stessa, nel primo colloquio di accoglienza, ha detto di “non essersi mai sentita ascoltata” dal partner e dal fratello Sergio: “ …io non parlo tanto, ma loro non mi chiedono mai nulla.. “. La fine del colloquio lascia l’impressione di “scena costruita”, come se Samuele avesse parlato “sotto dettatura”, su indicazione e regia della paziente….. Ma, perché questa squalifica di Sergio, che, finora, è sembrato il più attivo dei familiari?

  15. A due mesi circa (giugno ‘11) dall’accesso al servizio, la situazione appare ancora in evoluzione: la paziente oscilla fra la necessità di ricevere contenimento ed aiuto (segnalata dall’ultima “fuga”, che ha messo in allerta l’intera famiglia) e quella di controllare sia la sua dipendenza che le sue relazioni, impedendo l’avvio di una relazione d’aiuto efficace. Per quanto riguarda la famiglia, la preoccupazione destata dai suoi agiti sembra essere rimasta soltanto una preoccupazione: Sara continua ad usare, aggirando la ben debole rete di protezione da poco apertasi. Questa ambivalenza, ci pone di fronte ad una domanda: perché Sara chiede aiuto e, nel contempo, fa di tutto per “bloccarlo”, continuando, tranquillamente, nel suo uso? Forse, chiede delle braccia che “contengano” lei e la sua sofferenza, ma, per affidarsi a loro, ha bisogno di saggiarne la forza? Se queste braccia non sono abbastanza forti, cosa farà Sara? Il primo segnale lo invia in questo periodo: abbandona il trattamento con lo psicologo del C.P.S., col quale, dice, di “non riuscire a trovare la giusta sintonia” (prova risentimento per non essere stata attesa ad un appuntamento al quale era in ritardo …eppure era lei ad esserlo!). Sara rivendica il suo bisogno di “essere” contenuta (e la paura di non esserlo abbastanza) abbandonando. Nel contempo, l’uso continua senza ostacoli, ogni occasione è quella buona.

  16. A luglio, in una riunione congiunta con i curanti del C.P.S., l’immutato stato delle cose ( la paziente è ancora positiva -stavolta ad un oppiaceo- e non sembra riuscire a lavorare su di sé con questo tipo di programma) ci spinge ad ipotizzare un nuovo percorso di lavoro: • indirizzando la paziente verso un trattamento residenziale; • convocando tutta la famiglia (madre compresa); • inserendo nella terapia farmacologica uno stabilizzante dell’umore. Nel colloquio che segue, condotto congiuntamente sia dagli operatori del Ser.T che del C.P.S., la paziente esprime imbarazzo, ma, poi tira fuori l’asso: la madre è venuta a sapere tutto, frugando fra le cose della figlia, ha trovato dei documenti medici in cui si esplicitava la situazione, cocaina inclusa. Un chiaro “atto mancato”? E per quale fine Sara rompe il “velo” di protezione levato dai familiari e fa in modo di far sapere tutto alla madre? (perché la famiglia protegge la madre- che non è, poi, così fragile come sembra- e “sprotegge” Sara?). Forse per spingere la famiglia stessa ad aiutarla in una decisione?

  17. Tuttavia, alla nostra proposta di una comunità terapeutica, fatta alla luce della pesante situazione, la paziente rifiuta. In quello stesso colloquio, si comunica alla paziente la nostra decisione di un incontro con tutta la famiglia e se ne fissa la data per il 27/07/11. L’incontro è dettato dalla constatazione che la famiglia non riesce a contenere l’uso di Sara e dalla necessità di verificare quanto il contesto familiare condivida la nostra scelta di un trattamento in C.T.. In caso di non accoglimento della proposta, si verificherà l’utilità della continuazione del monitoraggio tossicologico, che, a quel punto, avrà il mero valore di una “constatazione”.

  18. L’incontro programmato per la fine di luglio vede un altro “colpo di scena”: la famiglia rinvia l’appuntamento presso il C.P.S. e la paziente non viene all’appuntamento (dirà, contattata, che non aveva capito di dover venire lo stesso, anche in assenza dei familiari). Nella stessa data, apprendiamo che Sara ha contattato uno psichiatra locale, affinché la segua privatamente. E’ un'altra fuga, un altro abbandono?. Decidiamo di convocare, per il 7/09, ugualmente, la famiglia, tramite lettera raccomandata, al fine di comunicare la necessità impellente di interventi più incisivi. Intanto, la positività di Sara continua fino alla fine di agosto 2011.

  19. All’ incontro di settembre, Sara porta sulla scena tutta la famiglia (padre, Madre, Fratelli); comunica, in un colloquio preliminare fra lei e gli operatori di Ser.T e C.P.S., di aver maturato, seppure con qualche incertezza, la decisione di “accettare la proposta di un percorso in C.T. . La cosa sorprende (ma, non aveva contattato uno psichiatra privato?; e poi, dalla fine di agosto 2011, i referti urinari sono negativi alla sostanza); come, sorprende la richiesta che non venga comunicata l’attualità del problema (dice di temere la reazione della madre, non del tutto “a giorno” della situazione) e che si sottolinei la sua sofferenza psicologica. Con la famiglia in scena, si assiste ad un altro rivolgimento: la prospettiva di un percorso residenziale spacca in due la famiglia e lo schieramento appare del tutto discrepante dai ruoli che, finora, hanno recitato i singoli componenti. Il fratello Sergio, quello più vicino a Sara, postosi spesso in una posizione di duro controllo della paziente, e la madre si schierano decisamente contro; più possibilisti appaiono il padre e Sandro, il fratello maggiore (quelli che, da sempre, hanno tenuto, con modalità diverse, una linea “morbida”). Di chi è la regia di tutto questo? E quale il fine?

  20. La difficile condivisione della nostra proposta ci porta all’ ipotesi che la dipendenza della paziente (il frammento di specchio), segreto, ormai, condiviso da tutti i componenti, sia qualcosa da contenere e custodire nella ristretta cerchia della famiglia, a tutela di altri segreti (altri frammenti di specchio) e che la sua esternalizzazione metta a nudo altri specchi “infranti”, altre difficoltà (come quella, più volte riportata dalla madre durante il colloquio, della difficoltà di comunicare vissuti e sofferenze fra i componenti), che Sara con la sua sofferenza ha reso intuibili. Inoltre, con questo ennesimo colpo, è stata Sara stessa a sottolineare l’impotenza del sistema familiare, che si era schierato a sua protezione. La dichiarata sofferenza del sistema, ci porta a proporre alla famiglia un supporto (offerta che resterà ignorata). Si concordano incontri periodici di verifica e si decide di iniziare la ricerca di una struttura residenziale che possa accogliere la paziente. Sara si dice d’accordo.

  21. L’incontro successivo presso il C.P.S. (fine settembre 2011), vede un nuovo colpo di coda: Sara (che si sta recando anche presso uno psichiatra privato, oltre che al C.P.S.) esordisce dicendo che va tutto bene (in realtà, i controlli tossicologici la smentiscono: è ancora positiva alla cocaina) e che non intende, per ora, andare in comunità. Preferisce provare a farcela da sola e ridiscutere il tutto a dicembre. Posta di fronte all’evidenza dei risultati tossicologici, non smentisce, anzi precisa di essersela fatta portare fino a casa, ove ne ha fatto uso!. E’ un’altra “spallata” alle sicurezze del sistema familiare, all’onnipotenza di quel macrocosmo, ove tutto va contenuto, custodito, risolto!. Perché?.... Le reazioni dei familiari sono di forte delusione…. Ma non vanno oltre, nessuno si oppone alle decisioni di Sara…. Veramente va tutto bene!.... Si concorda di rivedersi a fine ottobre 2011 e di continuare fino a dicembre con i controlli.

  22. A ottobre, la paziente dichiara, ormai, con tranquillità di aver usato ancora cocaina subito dopo l’incontro precedente, ma di averne parlato con i familiari (ma solo in vista dell’incontro) e di sentirsi più forte e sicura. L’unica reazione della famiglia (madre) è quella di chiedere un riscontro sui controlli tossicologici! Comunichiamo i nostri dubbi in merito alla “genuinità” di alcuni campioni rilasciati. L’incontro di fine dicembre, mostra un quadro “a luci ed ombre”: vi è negatività alla sostanza, ma, alcuni campioni sono, forse , dubbi ed uno ha un valore di poco inferiore al cut-off, altri prelievi sono stati saltati dalla paziente. La dipendenza di Sara sembra, ormai, per la famiglia, una cosa “normale”, l’unica reazione che riesce a destare è quella di chiedere dei controlli urinarii! Ragioniamo su questo fatto in equipe al Ser.T: la paziente, nonostante le risorse che è riuscita ad attivare (C.P.S., terapeuta privato, Ser.T) sembra voler fare quello che vuole. Ci chiediamo se non sia il caso di chiudere, non accettando la definizione della paziente, che vede come programma il solo monitoraggio. Si decide, comunque, di continuare il monitoraggio per non perdere di vista la paziente (agganciata, almeno da questo punto di vista) ed in attesa di sviluppi.

  23. A fine aprile 2012, apprendiamo che la paziente ha deciso di interrompere del tutto il rapporto con il C.P.S. di Castiglione e di farsi seguire unicamente in sede privata. E’ rimasta incinta del fidanzato, ma ha deciso per una i.v.g., senza particolari problemi di coscienza. La famiglia, di questa cosa, ovviamente, non sa nulla. Discutiamo della situazione in equipe, ora che siamo rimasti i superstiti “co- attori” della storia. Sara continua a venire al servizio due volte a settimana, è negativa e la madre, una volta al mese, viene ad informarsi sulla situazione. Ci interroghiamo sul senso del monitoraggio in atto (due campioni urine a settimana). Si decide di convocare la famiglia sulla sua eventuale prosecuzione. Ipotizziamo, in caso di assenso, un monitoraggio per un anno, con prelievo del capello ogni tre mesi.

  24. Frammento III Sara “torna a casa” : L’incontro di ridefinizione del programma terapeutico avviene agli inizi di giugno 2012. Dopo aver esaminato gli ultimi cambiamenti (la chiusura del rapporto col C.P.S. ed il lungo periodo di referti tossicologici negativi),si propone alla paziente ed ai familiari di interrompere il monitoraggio su campioni urinari (effettuato due volte a settimana) e di passare ad un esame del capello a cadenza prefissata.  Dopo un attimo di incertezza- sia Sara che la madre hanno un moto di sorpresa: “No, ma perché interrompere?” (paura di camminare senza le “dande” dei controlli stretti?, che il dilatarsi dei tempi sia nocivo ad momento di positivo equilibrio?)- la proposta viene vista nei suoi aspetti evolutivi e si concorda un nuovo programma: • due controlli trimestrali nel 2012 (15/9 e 15/12); • un controllo a sei mesi nel 2013 (15/6); • un controllo ad un anno nel 2014 (15/6).

  25. Ogni controllo sarà seguito da un incontro di restituzione e discussione degli esiti. Il servizio, ovviamente, ci sarà per ogni eventuale necessità. La famiglia accoglie con soddisfazione. Sara è percepita come molto cambiata, più dentro la famiglia. In particolare, a loro dire, il cambiamento di lavoro (adesso lavora con mansioni amministrative all’interno dell’azienda di famiglia) e la chiusura, dopo 8 anni, della relazione affettiva che aveva con Samuele, sembrano averle molto giovato (proiezione all’esterno del malessere?).

  26. I timori della famiglia vengono fugati dall’esito del primo esame del capello. Sara, al controllo del 15/9/12, risulta negativa. Soprattutto la madre, mostra molta agitazione e sposta sull’esito dell’esame tutto il significato dell’incontro. Eppure, Sara ha già comunicato verbalmente che è tutto a posto. All’evidenza scritta, la famiglia esprime una incredula soddisfazione. La caduta del livello di tensione mostra una lieve apertura della famiglia: cominciano a parlare di come stia andando Sara, ma parlano anche di sé stessi; della durezza del lavoro e di quanto impegno richieda. Sara ha assunto un ruolo pesante e difficile, rientrando nell’azienda (anche nella famiglia?), nel ramo amministrativo. Si occupa della contabilità (ha preso il posto della cognata) e passa tutto il giorno a correre da un capo all’altro dell’azienda. Pur se faticoso, questo sembra gratificarla; ha riacquisito autonomia (non viene più accompagnata dalla madre nelle uscite dall’azienda) e sta riconquistando, poco a poco, la fiducia dei familiari, soprattutto della madre. Per ora tutto va per il meglio; qualche ansia emerge riguardo al futuro. Soltanto il futuro, saprà dire. Ci diamo appuntamento per i primi del 2013, con l’esito di dicembre.

  27. Ad oggi, Sara continua ad essere astinente dalla cocaina e sta vivendo una fase di stabilità…. Non possiamo (e non ci sentiamo in grado), tuttavia, ritenere che questo sia un epilogo. Certamente, nella nostra “umanità” di operatori, lo desideriamo. Ci è ben chiaro che Sara ci ha mostrato solo un “frammento” di specchio, facendoci soltanto ipotizzare gli altri (e non solo i suoi). Non ci è dato sapere (e lo vorremmo) se il suo specchio (come quelli degli altri attori di questa storia) sia riuscito a ritrovare una sua “interezza di immagine”, né sappiamo quale legame tiene insieme, adesso, quei frammenti. Se è abbastanza forte da tenere unita l’immagine che Sara desidera per sé, oppure se è un precario, fragile abbraccio, come quello della sostanza, nella quale Sara ha cercato voce. Una voce non sua, ma che, forse, non solo le ha dato la possibilità di farsi ascoltare, ma anche di far emergere le voci dei suoi fragili affetti. Sara, con le sue “fughe”, ha reso tragicamente evidente l’inutilità di un segreto ben noto a tutti i suoi familiari, che non era altro, poi, che un frammento di specchio nel quale ciascuno si rifletteva…..

  28. Quanto al “perché” di tutto questo, anche noi restiamo a guardarci dentro ipotetici frammenti: • L’uso di Sara fa intravvedere le difficoltà di un sistema familiare “chiuso”, dove tutti trovano posto (tutti lavorano nella “mega-azienda”, perfino la cognata) , ma dove devono risolvere problemi e custodire segreti secondo le norme e con le risorse del sistema stesso. Sara “rompe” questa regola, andando a lavorare fuori (seppur nell’azienda dello zio) e portando “dentro” (in barba a tutti gli sbarramenti del sistema) la cocaina; Sara chiede aiuto e, nello stesso tempo, lo sabota, sottolineando l’inefficienza di quelle risorse. • Il sistema, di fronte al dichiarato uso di Sara, non la espelle né si attiva, ma agisce delle complicità (quelle del padre e del fratello Sergio) e delle immobilità (quella del fratello Sandro) e fa di questo un “segreto”. A cosa è funzionale, per la famiglia, l’uso di Sara? Deve, forse, “proteggere” altri segreti? • Forse, la “fuga” di Sara al di fuori del sistema la mette di fronte alle sue fragilità, e vorrebbe esservi riaccolta; ma, una volta usciti, è difficile rientrarvi. Allora utilizza la sostanza. Ma, il sistema non ascolta che se stesso, e lei è costretta a gridare sempre più forte.

  29. …ma restano soltanto dei frammenti nei quali rimirarci. Soltanto Sara, soltanto il futuro, potranno dire. ….to be continued…

  30. Ciascun paziente ci porge un frammento di sé, il pezzetto di specchio che riflette l’immagine (Sua e Nostra) del momento.A noi il compito di fargli ritrovare gli altri frammenti e ricomporre lo specchio, di sottrarlo alle braccia di un “dolore di pietra”..… il dolore di vedere quel frammento come l’immagine di tutta una vita.

  31. Ricomporre … • Nell’immagine iniziale Sara appare a pezzi come la sua famiglia distrutta dalla situazione • Difficoltà iniziale di Sara nell’accettare la sofferenza, sua e dei suoi familiari • Movimenti ed azioni di Sara e della sua famiglia che tendono a frammentare l’intervento • Evidenza di una modalità familiare di comunicazione frammentaria e spezzata, all’interno di un sistema fortemente CHIUSO

  32. … partendo dai Servizi • La funzione di rete dei Servizi • La capacità di riconoscere le dinamiche disgreganti e quindi di non farsi “tirare dentro” • La capacità di promuovere e favorire il processo “opposto” • La decisione dei Servizi di mettere assieme, all’interno di un confronto aperto, Sara con i familiari • Promuovere il non giudizio • Promuovere la consapevolezza dell’effetto delle proprie azioni sugli altri familiari • Il parlare apertamente di ciò che in famiglia tutti sanno ma non si ha il coraggio di dire • Osservare che aver promosso questo passaggio, solo apparentemente semplice in quanto doloroso, ha permesso un cambiamento, in positivo, di Sara e del sistema familiare

  33. Spunti di discussione … • Atipicità del caso rispetto al modello tradizionale di tossicodipendenza. • Caso isolato o nuovo fenomeno? Può rappresentare una nuova modalità di uso non convenzionale delle sostanze d’abuso da parte dei giovani? • L’impulsività e l’autolesionismo come modo di comunicazione • Ruolo del contesto socio-culturale ed economico. • Atipicità del lavoro di equipe: • lavoro “invisibile” e sincronizzato dei Servizi (all’esterno dell’ottica protocollare) • limitazione del lavoro alla sola domanda del paziente.

  34. Un particolare Ringraziamento al Collega, Dr. A. Costa, per il suo “certosino” e puntuale Lavoro, senza il quale questo racconto sarebbe stato, certamente, carente di parti essenziali.

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