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Stesure della Vita alfieriana

Stesure della Vita alfieriana. PRIMA STESURA, perduta: a ridosso dell’esperienza della Rivoluzione: scritta a Parigi all’età di 41 anni e 3 mesi (era nato il 16 gennaio 1749: quindi dall’aprile 1790) e terminata il dì 27 maggio dell’anno 1790.

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Stesure della Vita alfieriana

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Presentation Transcript


  1. Stesure della Vita alfieriana PRIMA STESURA, perduta: a ridosso dell’esperienza della Rivoluzione: scritta a Parigi all’età di 41 anni e 3 mesi (era nato il 16 gennaio 1749: quindi dall’aprile 1790) e terminata il dì 27 maggio dell’anno 1790. SECONDA STESURA: fra la primavera 1790 e l’agosto 1792, quando lascia Parigi. TERZA STESURA: revisione e integrazione della seconda, dopo l’approdo definitivo a Firenze. Conclusa nel maggio 1803. Il frutto di tutto questo lavoro è la cosiddetta ‘Parte Prima’ della Vita, che abbraccia (come vedremo) 4 epoche, e il periodo dalla nascita al 1790. Nel maggio 1803 o forse già nei mesi precedenti Alfieri, che è già molto malato, si dedica alla stesura della ‘Parte Seconda’ = gli anni dopo il 1790. Ma morirà ad ottobre, senza che il lavoro sia concluso. Entrambe le parti, comunque, quella definitiva e quella interrotta, vengono pubblicate nel 1806 da Tommaso Valperga di Caluso, con la falsa data “Londra 1804”.

  2. La partizione della Vita alfieriana, parte I

  3. Elenco dei testi posti da Alfieri ‘in appendice’ alla Vita Alla fine dell’Epoca Terza • Primo sonetto • Lettera del P. Paciaudi (I) • Cleopatra prima (scene I-III) • Colascionate I, II e III • Cleopatra seconda (scena I) • Lettera del P. Paciaudi (II) • Cleopatra terza, atto I (scena I e II) • Lettera del conte Agostino Tana • I Poeti, Commedia in un atto (scene I-III) All’inizio dell’Epoca Quarta • Invocazione alla Cetra.

  4. Del Principe e delle Lettere, II 5 Io perciò credo, che lo scrittore grande sia maggiore d’ogni altro grand’uomo; perché oltre l’utile che egli arreca maggiore, come artefice di cosa che non ha fine, e che giova ai presenti ed ai lontani, si dee pur anche confessare che in lui ci è per lo più l’eroe di cui narra, e ci è di più il sublime narratore. Ed in fatti, gli eroi nati dopo quell’Achille (interamente forse fabbricato nella testa d’Omero) tutti vollero più o meno rassomigliarsi a lui. Ma, se un eccellente scrittore vuol dipingere un eroe, lo crea da sé; dunque lo ritrova egli in se stesso. L’uomo in somma non può perfettamente inventare e ritrarre ciò che egli non potrebbe (avendone però i mezzi necessarj) eseguire: ma può bensì l’uomo eseguire ciò che ritrar non saprebbe. Onde io nell’esecutore di una impresa sublime ci vedo un grand’uomo; ma nel sublime inventore e descrittore di essa, a me pare di vedercene due.

  5. Autoritratti alfieriani a confronto Sonetto, datato “9 giugno [1786]. In letto” Dalla Vita Nel bigliettino gli dava conto in due righe della mia immutabile risoluzione, e gli acchiudevo un involtone della lunga e ricca treccia de' miei rossissimi capelli (III 15) «Vedete, sentite; Alfieri è il mio nome; italiano e non francese; grande, magro, sbiancato; capelli rossi, son io quello, guardatemi; ho il passaporto; l'abbiamo avuto in regola da chi lo può dare; e vogliamo passare, e passeremo per Dio» (IV 22) […]io riuniva in me, per così dire, il gigante ed il nano. (IV 6) Sublime specchio di veraci detti, Mostrami in corpo e in anima qual sono: Capelli, or radi in fronte, e rossi pretti; Lunga statura, e capo a terra prono; Sottil persona in su due stinchi schietti; Bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono; Giusto naso, bel labro, e denti eletti; Pallido in volto, più che un re sul trono: Or duro, acerbo, ora pieghevol, mite; Irato sempre, e non maligno mai; La mente e il cuor meco in perpetua lite: Per lo più mesto, e talor lieto assai, Or stimandomi Achille, ed or Tersite: Uom, se’ tu grande, o vil? Muori, e il saprai.

  6. F. X. Fabre, 1793, oggi agli Uffizi

  7. F. X. Fabre, 1793, oggi agli Uffizi

  8. F. X. Fabre, 1796

  9. ALFIERI, Della tirannide I 3 Disse il dotto Montesquieu, che base e molla della monarchia ella era l'onore. Non conoscendo io, e non credendo a codesta ideale monarchia, dico, e spero di provare; Che base e molla della tirannide ella è la sola paura. E da prima, io distinguo la paura in due specie, chiaramente fra loro diverse, sì nella cagione che negli effetti; la paura dell'oppresso, e la paura dell'oppressore. Teme l'oppresso, perché oltre quello ch'ei soffre tuttavia, egli benissimo sa non vi essere altro limite ai suoi patimenti che l'assoluta volontà e l'arbitrario capriccio dell'oppressore. Da un così incalzante e smisurato timore ne dovrebbe pur nascere (se l'uom ragionasse) una disperata risoluzione di non voler più soffrire: e questa, appena verrebbe a procrearsi concordemente in tutti o nei più, immediatamente ad ogni lor patimento perpetuo fine porrebbe. Eppure, al contrario, nell'uomo schiavo ed oppresso, dal continuo ed eccessivo temere nasce vie più sempre maggiore ed estrema la circospezione, la cieca obbedienza, il rispetto e la sommissione al tiranno; e crescono a segno, che non si possono aver maggiori mai per un Dio. Ma, teme altresì l'oppressore. E nasce in lui giustamente il timore della coscienza della propria debolezza effettiva, e in un tempo, dell'accattata sterminata sua forza ideale. Rabbrividisce nella sua reggia il tiranno (se l'assoluta autorità non lo ha fatto stupido appieno) allorché si fa egli ad esaminare quale smisurato odio il suo smisurato potere debba necessariamente destare nel cuore di tutti.

  10. dei Giornali, datato 26 aprile 1777 Volli assistere al funesto spettacolo d'un soldato disertore che si passava per l'armi. Era quest'infelice saltato il giorno dianzi dalle mura, e rottesi le reni. Non perdo mai occasione d'imparare a morire: il più gran timore ch'io abbia della morte, è di temerla: non passa giorno in cui non vi pensi; pure non so davvero se la sopporterò da eroe, o da buon cattolico, cioè da vile: bisogna esservi per saperlo. Quel che mi pare è che variando le circostanze d'età, di salute, d'accidenti anche momentanei, la mi parrebbe a vicenda, dura, men dura, forse anche talvolta grata, ed altre durissima. M'arrabbia il vedere nella natura umana una tenacità ad amar codesta prigion corporea, tanto più quanto val meno. In mio pensiero, che non ad altro è volto ch'alla gloria, rifaccio spesso il sistema di mia vita, e penso ch'a quarantacinque anni non voglio più scrivere: godere bensì della fama che sarommi procacciata in realtà, o in idea, ed attendere soltanto a morire. Temo una sola cosa: che avanzando verso la meta giudiziosamente prefissami, non la allontani sempre più, e ch'agli anni quarantacinque non pensi se non a vivere; e forse a sciccherar carta. Per quanto mi sforzi a credere e far credere ch'io sia diverso dal comune degli uomini, tremo d'essere somigliantissimo.

  11. Manzoni, sonettoautoritratto, 1801 [novembre-dicembre] Capel bruno: alta fronte: occhio loquace: Naso non grande e non soverchio umile: Tonda la gota e di color vivace: Stretto labbro e vermiglio: e bocca esile: Lingua or spedita or tarda, e non mai vile, Che il ver favella apertamente, o tace. Giovin d’anni e di senno; non audace: Duro di modi, ma di cor gentile. La gloria amo e le selve e il biondo iddio: Spregio, non odio mai, m’attristo spesso: Buono al buon, buono al tristo, a me sol rio. A l’ira presto, e più presto al perdono: Poco noto ad altrui, poco a me stesso: Gli uomini e gli anni mi diran chi sono.

  12. Alfieri (di anni 37) Manzoni (di anni 16) Capel bruno: alta fronte: occhio loquace: Naso non grande e non soverchio umile: Tonda la gota e di color vivace: Stretto labbro e vermiglio: e bocca esile: Lingua or spedita or tarda, e non mai vile, Che il ver favella apertamente, o tace. Giovin d’anni e di senno; non audace: Duro di modi, ma di cor gentile. La gloria amo e le selve e il biondo iddio: Spregio, non odio mai, m’attristo spesso: Buono al buon, buono al tristo, a me sol rio. A l’ira presto, e più presto al perdono: Poco noto ad altrui, poco a me stesso: Gli uomini e gli anni mi diran chi sono. Sublime specchio di veraci detti, Mostrami in corpo e in anima qual sono: Capelli, or radi in fronte, e rossi pretti; Lunga statura, e capo a terra prono; Sottil persona in su due stinchi schietti; Bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono; Giusto naso, bel labro, e denti eletti; Pallido in volto, più che un re sul trono: Or duro, acerbo, ora pieghevol, mite; Irato sempre, e non maligno mai; La mente e il cuor meco in perpetua lite: Per lo più mesto, e talor lieto assai, Or stimandomi Achille, ed or Tersite: Uom, se’ tu grande, o vil? Muori, e il saprai.

  13. Foscolo, sonettoautoritratto [nell’edizione del 1803] Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto, Labbro tumido, acceso, e tersi denti, Capo chino, bel collo, e largo petto. Giuste membra; vestir semplice eletto; Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti; Sobrio, umano, leal, prodigo, schietto; Avverso al mondo; avversi a me gli eventi: Talor di lingua, e spesso di man prode; Mesto i più giorni e solo; ognor pensoso; Pronto, iracondo, inquïeto, tenace: Di vizj ricco e di virtù, do lode, Alla ragion, ma corro ove al cor piace: Morte sol mi darà fama, e riposo.

  14. Alfieri (di anni 37) Foscolo (di anni 25) Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto, Labbro tumido acceso, e tersi denti, Capo chino, bel collo, e largo petto; Giuste membra; vestir semplice eletto; Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti; Sobrio, umano, leal, prodigo, schietto; Avverso al mondo, avversi a me gli eventi: Talor di lingua, e spesso di man prode; Mesto i più giorni e solo, ognor pensoso, Pronto, iracondo, inquieto, tenace: Di vizj ricco e di virtù, do lode Alla ragion, ma corro ove al cor piace: Morte sol mi darà fama e riposo. Sublime specchio di veraci detti, Mostrami in corpo e in anima qual sono: Capelli, or radi in fronte, e rossi pretti; Lunga statura, e capo a terra prono; Sottil persona in su due stinchi schietti; Bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono; Giusto naso, bel labro, e denti eletti; Pallido in volto, più che un re sul trono: Or duro, acerbo, ora pieghevol, mite; Iratosempre, e non maligno mai; La mente e il cuor meco in perpetua lite: Per lo più mesto, e talor lieto assai, Or stimandomi Achille, ed or Tersite: Uom, se’ tu grande, o vil? Muori, e il saprai.

  15. Foscolo (di anni 25) Manzoni (di anni 16) Capel bruno: alta fronte: occhio loquace: Naso non grande e non soverchio umile: Tonda la gota e di color vivace: Stretto labbro e vermiglio: e bocca esile: Lingua or spedita or tarda, e non mai vile, Che il ver favella apertamente, o tace. Giovin d’anni e di senno; non audace: Duro di modi, ma di cor gentile. La gloria amo e le selve e il biondo iddio: Spregio, non odio mai, m’attristo spesso: Buono al buon, buono al tristo, a me sol rio. A l’ira presto, e più presto al perdono: Poco noto ad altrui, poco a me stesso: Gli uomini e gli anni mi diran chi sono. Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto, Labbro tumido acceso, e tersi denti, Capo chino, bel collo, e largo petto; Giuste membra; vestir semplice eletto; Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti; Sobrio, umano, leal, prodigo, schietto; Avverso al mondo, avversi a me gli eventi: Talor di lingua, e spesso di man prode; Mesto i più giorni e solo, ognor pensoso, Pronto, iracondo, inquieto, tenace: Di vizj ricco e di virtù, do lode Alla ragion, ma corro ove al cor piace: Morte sol mi darà fama e riposo.

  16. G,B, Gigola, Ritrattao [di Ugo Foscolo], miniatura su avorio, 1801-02

  17. F. X. Fabre, 1813, ora alla Biblioteca Nazionale di Firenze

  18. F. Gianni, Ritratto poetico del generale in capo Bonaparte (dicembre 1796) Pallido il volto, ed animato il ciglio Fronte solcata dai pensier di Marte, Labbro socchiuso di color vermiglio, Scarne le gote, chiome incolte e sparte: Tondeggia il mento, imbruna il sopraciglio D’onde la trïonfal Vittoria parte: Corpo non grande, gigantesco spirto Ch’ama l’alloro, odia di Pafo il mirto.

  19. F. Gianni, Ritratto di Bonaparte Foscolo, autoritratto, prima stesura Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto, Labbro tumido, acceso, e tersi denti, Capo chino, bel collo, e largo petto. Giuste membra; vestir mondo e negletto; Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti; Sobrio, umano, leal, prodigo, schietto; Avverso al mondo; avversi a me gli eventi. Talor di lingua, e spesso di man prode; Mesto sovente e solo; ognor pensoso; Pronto, iracondo, inquïeto, tenace; Errar, pentirmi, e alla ragion dar lode, Ma retta al cor; cercare or gloria or pace, E da morte aspettar fama, e riposo. Pallido il volto, ed animato il ciglio Fronte solcata dai pensier di Marte, Labbro socchiuso di color vermiglio, Scarne le gote, chiome incolte e sparte: Tondeggia il mento, imbruna il sopraciglio D’onde la trïonfal Vittoria parte: Corpo non grande, gigantesco spirto Ch’ama l’alloro, odia di Pafo il mirto.

  20. Jacques-Louis David, ritratto del giovane generale Bonaparte, 1796-97. Antonio Raffaele Calliano, Ritratto di Ugo Foscolo, 1809, matita (Firenze, Gab. Disegni e Stampe)

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