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Presentation Transcript


  1. Intro Per la fruizione del percorso dalla piattaforma e-learning ho creato un id e una password che potete utilizzare per l’accesso Indirizzo sito http://www.filiestru.org/public/spagh/index.php ID: poseidon Password : labirinto Prodotto finale individuale di Giovanni Sanna

  2. STORIA E MYTHOS DEL LABIRINTO Il labirinto è una struttura, solitamente di vaste dimensioni, costruita in modo tale che risulti difficile a chi vi entra trovarvi l'uscita. Nel bacino mediterraneo si trovano la maggior parte dei labirinti antichi, ovvero nella Creta minoica del II millennio a.C. Il Labirinto di Cnosso è il più famoso: secondo la leggenda fu fatto costruire dal sovrano Minosse nell’isola di Creta per rinchiudervi il mostruoso Minotauro, nato dall'unione della moglie del re con un toro. La lotta tra Teseo e il Minotauro, Casa del Labirinto, Pompei

  3. Il labrinto di Cnosso fu “progettato” da Dedalo,ateniese discendente di Efesto,dio del fuoco e della metallurgia, che, per aver commesso un omicidio, dopo essere scappato dalla sua città natale, trovò rifugio a Creta,alla corte di Minosse. Minosse costrinse gli Ateniesi,sconfitti in guerra,ad inviare ogni nove anni sette giovani e sette fanciulle destinati ad essere gettati in pasto al Minotauro. Il triste tributo continuò fino a quando l'eroe ateniese Teseo appositamente giunto sull'isola, riuscì ad uccidere il Minotauro,dopo essere penetrato nel labirinto. Una volta ucciso il Minotauro, seguì la strada indicata dal filo: Teseo riuscì ad uscire dal labirinto, grazie al filo che Arianna gli aveva dato e che Teseo aveva lasciato scorrere lungo il percorso. Arianna dà a Teseo il filo per uscire dal labirintoAutore: Pelagio Palagi Dedalo sospettato di aver suggerito ad Arianna la soluzione del filo,per vendetta venne da Minosse rinchiuso nel labirinto insieme al figlio Icaro.  Ma riuscirono a fuggire con due paia di ali di cera, anche se il figlio  Icaro avvicinatosi troppo al sole vide sciogliere la cera con cui erano sostenute le sue ali, precipitando e morendo.

  4. Uu minotauro malinconico, prigioniero della sua solitudine, in attesa del destino che si deve compiere. Da quest’opera Jorge Luis Borges afferma di aver preso spunto per il racconto La casa di Asterione. « Ogni nove anni, nove uomini entrano in questa casa perché io li liberi da ogni male. Quando in fondo ai corridoi di pietra sento i loro passi o la loro voce, corro loro incontro allegramente. La cerimonia non dura che pochi minuti. Senza che io mi macchi le mani di sangue, cadono uno dopo l’altro. E dove cadono rimangono: i cadaveri aiutano a distinguere i corridoi l’uno dall’altro. Non so chi siano, ma uno di essi, prima di morire, fece una profezia: disse che un giorno sarebbe arrivato il mio salvatore. Da allora non mi pesa più la solitudine, perché so che il mio salvatore esiste e che un giorno sorgerà dalla polvere. Potrei persino sentire i suoi passi, se solo il mio udito potesse distinguere tutti i rumori del mondo. Voglia il cielo che mi porti in un luogo con meno corridoi e meno porte! Che aspetto avrà il mio salvatore? Forse sarà un toro con la testa di un uomo? O forse sarà simile a me?La mattina, il sole sfavillò sulla spada di bronzo. Non rimaneva più traccia di sangue.«Lo crederesti, Arianna? – disse Teseo – Il Minotauro non s’è quasi difeso». George Frederic Watts ( 1817 - 1904) Il minotauro (1896)

  5. Labirinti antichi Il di-segno del labirinto lo si ritrova in diverse culture dell’antichità tra popoli e paesi diversi, in luoghi lontani fra loro, tempi distanti, quasi a testimoniare l’universalità dell'immagine simbolica del labirinto Luzzanas, Sardegna, forse del 2500/2000 a.C. Naquane, Val Camonica 750/500 a.C. Labirinto egiziano, Kom Ombo

  6. Hollywood Stone, GB, 550 d.C. Moneta di Cnosso, 430/67 a.C. Machu Picchu, Perù Rocky Valley, GB Pompei, 80/60 a.C. Hopi, Arizona 1100/1200 d.C.

  7. Il labirinto nel Medioevo Nel medioevo il labirinto di Dedalo è soprattutto luogo di confusione o prigione ,luogo di erranza. Il labirinto entra anche nella mistica cristiana dove l’oggetto dell’iniziazione muta: tramite l’interpretazione mistico-magica dell’allegoria Teseo diventa simbolo di Cristo che libera l’anima dal male. Secondo questa visione per alcuni autori il Minotauro è il diavolo che minaccia di sbranare il cavaliere-Cristo. Chi nel labirinto riuscirà a sconfiggere il mostro, ne uscirà non solo salvo ma a un livello di nobiltà e coscienza superiori. Nel Nord della Francia, alcune chiese costruite tra il XII e il XVI secolo, presentano pavimenti con disegni di  labirinto: nella cattedrale di Chartres del 1200 troviamo un labirinto a forma circolare che ha un diametro di più di 12 metri e che occupa l'intera navata della chiesa: sembra dunque che il fedele debba percorrere un iter ad Deum.

  8. Afferma a proposito l’esperto René Guénon che il labirinto “ ha una duplice ragion d’essere, nel senso che permette o impedisce , secondo il caso, l’accesso a un certo luogo in cui non devono penetrare tutti indistintamente;soltanto coloro che sono “qualificati”potranno percorrerlo fino in fondo, mentre gli altri saranno impossibilitati a penetrarvi o si smarriranno per la strada”. 1.    IlLabirinto come artefatto, , come modello oggettivo: a)    Le due potenziAlità convertibili del labirinto come segno do confusione e di complesso ordine artistico; il laBirinto come magnifica opera di un superlativo architetto, una volta che si sia percepito nell’insIeme delle sue parti; b)   Il pRincipio strutturale del labirinto : ambages confusionali, cortocircuiti, ambiguità; la presenza dIerrores fisici, intellettualio morali. 2.    Il labirinto come come processo soggettivo, come percorso(i) che corre attorno a una meta invisibile o a un ceNtro : a)    Reale o apparente impenetrabilità e inestricabilità; il labirinto come prigione, almeno per alcuni che percorrono il labirinto; b)    Il senTiero dell’ignoranza; difficile ma necessario processo e progresso che può portare ala conoscenza, trascendenza, alla liberaziOne.

  9. IL LABIRINTO TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO IN LETTERATURA Con il Rinascimento, il labirinto perde l’accezione allegorica di tipo mistico. Sono tuttavia presenti elementi della letteratura antica che rimandano al castello labirintico come luogo della segregazione. Le caratteristiche che ritroviamo in alcune opere letterarie di G.Boccaccio, M. Maria Boiardo, L. Ariosto e T. Tasso sono le seguenti: • il castello- prigione-labirinto • la costruzione è opera di un mago-maga nuovo Dedalo • il labirinto come luogo di confusione, dell’enigma dell’erranza • il labirinto d’amore o di errore è soprattutto multicursal, a più percorsi • la figura femminile ha un ruolo centrale sia nella funzione di attrazione-inganno che di liberazione • nel labirinto è segregato ciò che la società, la religione, l’ideologia condannano cercano di espellere Inserire immagini e testo dell’Orlando furioso

  10. L. Ariosto,Orlando furioso , Canto secondo 41 Sei giorni me n'andai matina e sera per balze e per pendici orride e strane, dove non via, dove sentier non era, dove né segno di vestigie umane; poi giunsi in una valle inculta e fiera, di ripe cinta e spaventose tane, che nel mezzo s'un sasso avea un castello forte e ben posto, a maraviglia bello. 42 Da lungi par che come fiamma lustri, né sia di terra cotta, né di marmi. Come più m'avicino ai muri illustri, l'opra più bella e più mirabil parmi. E seppi poi, come i demoni industri, da suffumigi tratti e sacri carmi, tutto d'acciaio avean cinto il bel loco, temprato all'onda ed allo stigio foco. Il castello di Atlante Video tratto dalla riduzione teatrale-televisiva di Luca Ronconi LINK video Orlando furioso

  11. IL LABIRINTO RINASCIMENTALE E BAROCCO Con il Rinascimento, il labirinto perde l’accezione allegorica di tipo mistico e si carica di un valore estetico-edonistico: esso si commisura al gusto della classe cavalleresca e del mondo cortese. A partire dalla metà del Cinquecento il labirinto diviene una vera e propria moda culturale ed è utilizzato come motivo ornamentale che acquista anche una dimensione ludica e di svago: esso trova spazio nella corte, dove labirinti tracciati con alte siepi sempreverdi sono spesso presenti nei giardini all'italiana.

  12. I LABIRINTI PITTORICI Anche la pittura ha rappresentato nella sua produzione il tema del percorso intricato o labirintico.Qui ne riportiamo alcune, fra le più note, tutte curiosamente realizzate nel XVI secolo. Ritratto dell'uomo con il labirinto, Bartolomeo Veneto 1510 Il giardino delle delizie, H. Bosch 1510

  13. Teseo a Creta, M.Cassoni Campana, 1500 Hortorum Viridariorum, V. de Fries 1550? La torre di Babele, P. Bruegel,1563 Labirinto d'amore, Tintoretto, XVI sec

  14. LABIRINTI MODERNI Ancora nell’Ottocento il motivo del labirinto- prigione si ripresenta in letteratura, a rimarcare la persistenza infinita e universale di mito letterario. Un emblematico esempio è il romanzo di Victor Hugo, L’uomo che ride, 1868 , “ una delle più allucinanti discese nel labirinto, prigione, budello, luogo di segregazione della letteratura moderna ( in sintonia con molte discese e erranze medievali) è quella a cui viene costretto Gwynplaine, il mostruoso protagonista ” in Paolo Orvieto, Labirinti, Castelli, Giardini, Salerno Editrice. Quando Gwynplaine senti chiudersi lo sportello con tutto il cigolio dei suoi chiavistelli, trasalí. Gli sembrò che la porta, che si era appena chiusa, mettesse in comunicazione la luce con le tenebre, rivolta da una parte sul brulichio terrestre, dall'altra sul mondo dei morti, e gli sembrò ormai di essersi lasciate alle spalle tutte le cose illuminate dal sole, e di aver varcato la frontiera della vita, e di esserne fuori. [...] Non vedeva nulla attorno a sé; era immerso nel buio. La porta chiudendosi l'aveva momentaneamente accecato. Anche il finestrino, come la porta, era chiuso. Nessuno spiraglio, nessuna lanterna. [...] Gwynplaine che non era mai venuto a contatto con la durezza delle leggi, se non attraverso le esagerazioni di Ursus, si senti come afferrato da un'enorme mano nera. È spaventoso essere in balia dei misteri della legge. Si può affrontare qualsiasi cosa, ma davanti alla giustizia si è presi da sconcerto. Perché? Ciò dipende dal carattere crepuscolare della giustizia umana, in cui il giudice si muove a tentoni. [...] In che modo cavarsela con l'orribile anonimato della legge? Sotto quell'enigma si sentiva venir meno. [...] Le prigioni di quei tempi non amavano la burocrazia. Si accontentavano di richiudersi su di voi, spesso senza sapere perché. Essere una prigione e avere dei prigionieri, ciò bastava loro.

  15. Differenze e similitudini tra Labirinti antichi e Moderni La breve lettura del testo di V. Hugo ci introduce ad una delle ricorrenze in ambito letterario: accade che l’essere libero viene catturato o imprigionato nella ragnatela di un sistema, giuridico e politico, o burocratico, sadicamente e ottusamente persecutorio, capace di imporre le più efferate torture, per piegare l’individuo un potere sovrano. ۞ Nell'antico labirinto si restaura il bene e il giusto, l’eroe che uccide il mostro. ۞ Il moderno è talvolta solo metafora di un male e di un ingiustizia contro cui l'uomo è del tutto impotente, di un potere arbitrario e incomprensibile. • Come attività didattica si propone la lettura e il confronto tra i testi elencati sotto: • un brano del romanzo di F. Kafka , Il processo ; il racconto di Dino Buzzati Sette piani, un brano del romanzo di V. Hugo , L’uomo che ride. • Consegna: gli alunni devono individuare e riflettere su: • a) gli aspetti comuni che li attraversano dal punto di vista tematico; • gli aspetti lessicali che contraddistinguono il linguaggio del potere (giuridico, burocratico etc ; • Individuare in maniera autonoma, lavoro di gruppo, in altri testi letterari e non, film, fumetti e altro, le richieste dei punti a e b.

  16. Diversità e superioritàI GRECI E LE MITOLOGIE DEI MOSTRI   « I Greci sublimarono parecchie paure istintive tramite i mostri della loro mitologia, i loro satiri e centauri, sirene e arpie; ma riuscirono a razionalizzare quelle paure anche in modo diverso, non religioso, attraverso l'invenzione di stirpi mostruose e di animali che immaginavano viventi in zone orientali, soprattutto nell'India. [...] Non si può raccontare in modo completo la storia anche solo di questo specifico orientamento nella creazione dei mostri, perché le meraviglie dell'Oriente fissarono per quasi duemila anni l'idea che gli occidentali si erano formati sull'India, e penetrarono oltre che nella scienza naturale e nella geografia, in enciclopedie e cosmografie, poemi epici e storie, e furono raffigurate anche in mappe, miniature e sculture. Essi si trasformarono progressivamente in dati fissi della mentalità occidentale, e si manifestarono con imprevedibili trasformazioni in modi molti diversi. Il loro potere di sopravvivenza risultò poi cosí forte che non scomparvero affatto per effetto delle esplorazioni geografiche, né dopo il diffondersi di conoscenze piú approfondite sull'Oriente, ma continuarono a esistere in veste pseudoscientifica fino al XVIII e al XIX secolo » . Da R.Wittkower, Le meraviglie dell’Oriente. Una ricerca sulla storia dei mostri., in ID. , Allegoria e migrazione dei simboli., intr. Di G.Romano, Torino, Einaudi, 1997, pp. 84-152 È il modo migliore per affermare l'assoluta superiorità della propria civiltà: popolare l'altro mondo - intere regioni, ma anche castelli, palazzi, labirinti - di mostri, di esseri deformi e pericolosi. Da collegare con il segmento di Alessandra Traversa

  17. LABIRINTI E SEGREGAZIONI CONTEMPORANEE DELLA DIVERSITA’ Dunque il labirinto e la diversità : quali sono le connessioni, i legami che noi oggi possiamo stabilire tra il motivo del labirinto e la tematica della diversità? Quali sono i luoghi,gli spazi, i soggetti , le culture e mentalità, i modi di essere e di vivere che si incrociano nella società attuale nell’era della globalizzazione? Possono essere considerate le strutture dei Centri di Permanenza Temporanea come dei campi di detenzione che ci rimandano ad uno dei periodi più tragici della storia dell’umanità? Per riflettere intorno a questi interrogativi iniziamo con la lettura di brani tratti da Lager italiani di Marco Rovelli, edizioni Bur. I migranti: “Con quella memoria addosso possono raccontare di quel vuoto che sono i CPT - i Centri di Permanenza Temporanea, giova ricordarlo, l'acronimo innocuo mimetizza i reclusori degli indesiderabili, li mimetizza come fanno i media, e infatti nessuno sa nul­la. Provate a chiedere in giro quanti sanno cosa sono i CPT, quanti sanno che esistono nelle nostre città dei lager dove si rinchiude qualcuno solo perché è un migrante, senza che abbia commesso alcun reato. Raccontare quel vuoto è per loro un mettersi alla prova, mettere alla prova il proprio senso dell'orientamento. E una prova di coraggio, anche. Perché ci sono buchi dello spirito che si vorrebbero dimenticare più in fretta possibile, non si possono ricucire, e solo l'oblio può fare da cicatrice: vorremmo cancellare ciò che ci ha fatto male, e che continua a farci male solo a parlarne. Ma nessuno di loro si è rifiutato di parlarne, tutti quanti hanno voluto dare un nome a quel vuoto che li ha inghiottiti per un tempo privo di forma. Sono tutte voci salvate, queste. Voci di persone che hanno avuto la fortuna di uscire dal CPT in suolo italiano. Che, alme­no per un momento, ce l'hanno fatta. Dunque questo libro non può che essere dedicato a tutti quelli con cui non sono riuscito a parlare, che sono stati espulsi, rimpatriati, che sono rimasti invisibili e senza nome. Ai sommersi”. Marco Rovelli

  18. Nel suo libro Marco Rovelli ha raccolto narrazioni che riguardano più gli uomini che le donne, più gli africani che gli europei. Qui viene riportata parte della lettera di una ragazza bulgara, scritta nel maggio del 1999, dal CPT di Milano, e sottoscritta da alcune sue compagne est-europee. «È passato un altro giorno. Uno di quelli più brutti della mia vita nel lager per stranieri di via Corelli 28 a Milano. Da quando sono in Italia per la prima volta sono dispiaciuta per il modo nel quale si comportano le persone in uniforme che occupano deter­minati posti. Prima non pensavo che alcuni italiani potessero es­sere nazisti, però adesso, stando in questo posto da noi chiamato lager, ho cambiato idea, sì possono. Una sera alcune ragazze di colore, che stavano in un container vicino al nostro, stavano pro­testando perché venivano sempre maltrattate e discriminate per il colore. Dopodiché noi siamo state portate fuori mentre loro le hanno chiuse dentro senza corrente né acqua. Poi ci hanno porta­to a dormire in una grande e sporca stanza su materassi per terra; come cani, senza bagno e al freddo, perché l'ispettore non voleva fare niente per migliorare la situazione nel modo più decente possibile. Per loro era più comodo così, portarci fuori al freddo, dandoci sempre un cibo schifoso che a volte non si riusciva a mandare giù, farci morire di fame, metterci a dormire su lenzuo­la di carta. Lenzuola che quando arrivano nuove persone non vengono nemmeno cambiate. Lasciano quelle delle persone che sono "andate via" facendoci venire fuori delle allergie cutanee >>.

  19. Intervista a Marco Rovelli curata da peace reporter Marco, perché raccogliere le voci dei migranti? Anzitutto perché sono senza voce, e c'è bisogno di qualcuno che la susciti. Personalmente, ho intrapreso questo lavoro in seguito alla lettura delle opere del filosofo Giorgio Agamben, che individua nella 'forma campo' il paradigma principale della biopolitica del '900. La forma campo è la sospensione del diritto e la produzione di 'non-persone', è il diritto che include escludendo. Questa è la forma moderna della biopolitica, un concetto creato da Foucalt per definire il salto di qualità della politica della nostra modernità rispetto a quanto la precedeva. La biopolitica è la presa in carico della vita dell'uomo e delle popolazioni da parte del potere. Non è più un potere che sta in alto, ma si esprime invece attraverso una microfisica, che penetra il corpo sociale con una serie di micro-snodi. E' la politica che si impadronisce del corpo dell'individuo. Il corpo viene sottoposto alla disciplina, normato, regolato, e il carcere diventa il paradigma della società biopolitica e disciplinare. Agamben dà un'ulteriore torsione al concetto e lo mette in relazione con la politica occidentale, con l'idea stessa del diritto: il Novecento è segnato dalla 'forma campo', che sono tutti quei luoghi dove c'è una reclusione di individui che non vengono riconosciuti come tali dal diritto. Non a caso, nel campo di concentramento si veniva privati della cittadinanza ebraica, e la cittadinanza è un requisito indispensabile in uno stato-nazione. La 'forma campo' rivela che i diritti universali sono una finzione. Se non si è cittadini, nello stato-nazione, non si hanno diritti. Privando l'individuo della sua nazionalità, i Cpt lo privano anche della sua identità. E' cosi? I Cpt sono l'emergenza di questa logica che sorregge la biopolitica, cioè l'emergenza della crisi e della finzione dell'universalità dei diritti. I diritti non sono universali ma, come diceva Hanna Harendt, appartengono esclusivamente al cittadino, al garantito, sono riconosciuti a qualcuno solo in virtù della sua appartenenza. Questa appartenenza è appartenenza alla fortezza degli stati d'Europa, e in generale del nord del mondo. E se non sei un cittadino sei un bandito, etimologicamente parlando, e oggi i banditi sono i migranti. Nei Cpt la finzione dell'universalità dei diritti emerge allo scoperto. Il luogo-non luogo dei Cpt è la concrezione fisica della privazione universale dei diritti, dimensioni in cui gli individui non hanno personalità giuridica e dunque sono esposti a ogni tipo di abuso. Diciamo che il fatto di essere sottoposti ad abuso è la condizione normale del migrante. Una volta, uno degli argomenti di propaganda contro i regimi dell'est era che i cittadini non potevano uscire da quei Paesi. Oggi la situazione è esattamente rovesciata, nel senso che chi si è trovato a nascere nel sud del mondo non può varcare le frontiere perché siamo noi, proprio noi, che glielo impediamo. L'individuo è confinato nel suo sud, non può venire qui neanche in vacanza. Non a caso, se pensiamo a una genealogia dei campi, scopriamo che i primi campi di concentramento sono nati in situazioni coloniali. Testo integrale dell’intervista inserito nella piattaforma E-learning

  20. Moni Ovadia recensisceLager italiani, di Marco Rovelli , confrontate i due brani e rilevate quali sono i punti di vista dei due autori, e rispondi alle seguenti domande: • Perché M. Rovelli definisce i CPT come Lager, quali sono le similitudini e le differenze? • Quale posizione assume Moni Ovadia rispetto ai CPT e ai lager ? “L’iperbole è una delle forme retoriche preferite del linguaggio sopravvissuto alla morte apparente delle ideologie. La terminologia che definisce le modalità del totalitarismo nazista e dell’universo concentrazionario, pratica estrema e senso ultimo di quel regime, oggi viene mutuata con ridondanza da coloro che vogliono attirare l’attenzione e l’indignazione dell’opinione pubblica verso le forme della violenza, della guerra, del razzismo o della repressione contro popoli, minoranze, ceti sociali marginali. Molto spesso, l’uso di quella terminologia è sensazionalistico, ignora i contesti, le specificità e le differenze, ha il solo scopo di soddisfare il desiderio di schieramento militante a buon mercato da parte di coloro che se ne servono.Un libro sui CPT dal titolo “I lager italiani”, sembrava rientrare in questa fattispecie e prima di accingermi alla lettura, ho provato un moto di fastidio per la scelta di quel titolo minaccioso. La mia sensazione di disagio era del tutto immotivata. Il titolo è pienamente legittimo e corrisponde con coerenza ad un’opera che ha un intrinseco valore narrativo e una rilevanza morale indiscutibile. Leggendo questi racconti straordinari e paradigmatici che danno voce e fanno emergere dall’inesistenza uomini a cui l’appellativo infamante di “clandestino” ha tolto persino le dimensioni reali dell’essere vivente, prendiamo coscienza di quanto la nostra pseudodemocrazia consumista, conviva con nonchalance con l’eredità totalitaria nazifascista e capiamo in quale misura, una parte della classe politica che ci governa, sia a proprio agio con i princìpi concettuali che ispirarono quel sistema.I clandestini rinchiusi nei CPT, non vivono come gli internati dei lager nazisti. Se ci riferiamo alle loro condizioni strettamente materiali, la correlazione è improponibile ed è lo stesso autore a segnalarcelo nel suo acuto saggio conclusivo per non prestare il fianco ad eventuali critiche capziose che mirassero strumentalmente a banalizzare l’intero discorso. Il merito non è quello delle pur ignobili condizioni della mera esistenza dei reclusi, indegne di una qualsivoglia civiltà, bensì le coordinate giuridiche ed ontologiche che definiscono il clandestino e che ne legittimano la reclusione in uno spazio d’eccezione in cui viene spogliato di ogni status e di ogni diritto.Marco Rovelli, con la forza di una narrazione che trapassa ogni possibile indifferenza o attenuazione di convenienza e con una lucida, appassionata riflessione politico-filosofica nel solco dei fondamentali studi di Hannah Arendt e di Giorgio Agamben, dimostra che i CPT sono dei lager veri e propri e che il ventre che partorisce questo obbrobrio, è il ventre pasciuto della nostra società occidentale.”Moni Ovadia

  21. I Centri di permanenza temporanea in Libia Lo studioso Angelo Del Boca, esperto di storia del colonialismo italiano, in questo articolo richiama alla nostra memoria le vicende della costruzione dei campi di concentramento in Libia da parte dell’Italia, e confronta nell’ambito delle politiche migratorie attuali quali siano le caratteristiche che accomunano e differenziano queste strutture di detenzione . Qui sotto un estratto, si rinvia alla lettura integrale del testo per effettuare i confronti con altri documenti che verranno specificati e forniti agli alunni. Concludendo il mio intervento sottolineo un problema contingente che, purtroppo, rivela analogie con i lager del passato: «Prodotto tipico dell’odio e del disprezzo per un avversario che si vuole annientare, il campo di concentramento ideato e costruito dagli italiani in Libia è, insieme alla forca, lo strumento repressivo più crudele e malvagio che mente umana abbia potuto escogitare. Oggi ne parliamo per delinearne tutti i macabri aspetti, ma anche nella speranza che simili strumenti siano banditi per sempre. Pur rendendomi conto che i Cpt istituiti in Libia negli ultimi anni con il consenso e il finanziamento delle autorità italiane, non si possono configurare come autentici campi di concentramento, essi rientrano tuttavia in quel novero di strumenti odiosi di repressione che credevamo estinti». Libia, viaggio nell’inferno dei migranti

  22. Libia,viaggio nell’inferno dei migranti E’la prima volta che il governo libico apre le porte di un centro di detenzione per immigrati. Lo ha fatto martedì scorso quando, su richiesta della commissione Ue per i rapporti con il Maghreb, ha concesso ad alcuni parlamentari europei un’ispezione di «due ore» nel cpt di Fellah, alla periferia di Tripoli, una sorta di «carcere di massima sicurezza» dove sono attualmente rinchiusi un centinaio di stranieri: uomini, donne e anche bambine in attesa di espulsione. Il luogo ispezionato, è bene chiarirlo subito, è stato scelto dalle autorità libiche, ma chi ha avuto la possibilità di visitarlo ne è uscito comunque «sconvolto». «E’ stata un’esperienza terrificante - racconta in questa intervista Giusto Catania, deputato di Rifondazione comunista a Strasburgo, che faceva parte della delegazione europea - Quando gli immigrati hanno capito che eravamo esterni al carcere, hanno cominciato a dare pugni e calci contro le porte. Alcuni si sono arrampicati sulle sbarre delle finestre poste in alto nelle celle chiedendoci di aiutarli a uscire. Gridavano: "qui non ci danno né da mangiare né da bere", mentre altri tentavano di darci, poi riuscendoci, dei pezzi di carta con delle frasi in inglese e in tedesco stentato, che adesso cercheremo di decifrare. Si tratta di ragazzi mediamente sui trent’anni, soprattutto africani, che secondo i nostri accompagnatori libici sono in cella da pochi giorni, ma dalla loro rabbia si intuiva che sono lì da molto più tempo. Avevano lo sguardo impaurito, disperato. Sono tenuti chiusi a chiave giorno e notte dentro celle sovraffollate. Queste hanno portoni di acciaio e scorrono ai lati di un grande atrio dal quale è possibile vedere i detenuti solo dagli spioncini. Io in Italia ho visitato molti Cpt, soprattutto quelli siciliani, dove sappiamo che le condizioni in cui vengono tenuti gli stranieri non sono affatto tenere, ma il cpt di Fellah non è paragonabile, è molto, molto peggiore. L’organizzazione è appunto tipicamente carceraria, con personale quasi esclusivamente militare».dal quotidiano Il Manifesto del 22 aprile 2005

  23. LE POLITICHE MIGRATORIE E I CPT In questa sezione si vogliono affrontare gli aspetti legislativi che sono alla base della nascita dei CPT nell’ambito più largo delle politiche migratorie. Per una conoscenza più ampia e approfondita della questione si rimanda alla lettura integrale dei materiali inseriti nella piattaforma e-Learning. Gli obiettivi che ci proponiamo sono i seguenti: • Conoscere gli aspetti giuridici essenziali dei Cpt nel diritto italiano • Confrontare alcuni aspetti dell’attuale diritto italiano sulle politiche migratorie e la condizione dello straniero nel mondo antico greco e romano (link Alessandra Traversa sulla condizione dello straniero – barbaro etc.) • Confrontare alcuni aspetti dell’attuale diritto italiano sulle politiche migratorie con il diritto francese (link Marina Marino, Nina Raineri; es. Sans Papier, ) • Riflessione sul lessico utilizzato nell’antichità per definire lo straniero (link  Alessandra Traversa), nell’attualità (in francese link Marina Marino, Nina Raineri)

  24. CERCO UN CENTRO DI GRAVITA’ PERMANANETE CPT nomen omen CPT è un acronimo che sta per Centri di Permanenza Temporanea. Balza agli occhi la significativa paradossalità - ed è una paradossalità piena di senso, da cui conviene partire per dire qualcosa intorno alla cosa della parola. Se la permanenza è una condizione che implica stabilità e durata (fino a coincidere con la stessa sostanza di un soggetto), essa è immediatamente negata dall'attribuzione di una temporaneità, di una precarietà che la contraddice in adiecto. I due termini, insomma, si elidono a vicenda, e al loro posto non resta che un vuoto. La designazione linguistica, dunque, indica già pienamente e compiutamente il senso proprio di ciò che viene a essere designato: una condizione di assoluta sospensione. Una sospensione di senso. Il centro in cui vige questa assoluta sospensione di senso si pone dunque come (non) luogo di deprivazione, di svuotamento. Uno svuotamento tanto da un punto di vista esistenziale (le storie ne raccontano ad abundantiam) quanto da un punto di vista giuridico. da Marco Rovelli, Lager Italiani. PROSEGUI

  25. Nella legge che li istituisce, l'acronimo dei Centri di Permanen­za Temporanea è CPTA. Ma di quella «A» che sta per Assistenza si è persa memoria, nella prassi. I CPT vengono istituiti dall'articolo 12 della legge Turco­Napolitano, per tutti gli stranieri «sottoposti a provvedimenti di espulsione e/o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera non immediatamente eseguibile». A «trattenere» lo straniero nel centro sono le forze di polizia - il questore, dice la legge, sulla base di un decreto del prefetto. È appena il caso di notare come sia paradossale, definire «trattenuto» e «ospite» una persona arrestata, internata, detenuta. Il linguaggio, velando, rivela: i paradossali eufemismi, piuttosto che nascondere la realtà, sembrano mostrarla in tutta la sua evidenza - come tutte gli ambiti d'eccezione, peraltro: si pensi alla guerra, al fuoco amico, ai danni collaterali, alle bombe intelligenti... Del resto, si potrebbe asserire, non può che essere un linguaggio paradossale a designare una realtà paradossale, in cui il diritto, sospendendosi, nega se stesso. Per approfondire l’argomento dal punto di vista legislativo si rimanda al materiale della piattaforma E- Learning

  26. Riflessione sul lessico Una delle attività connesse agli obiettivi che sono stati definiti riguarda l’individuazione dei termini, delle definizioni, dei modi di dire che si caratterizzano per il loro aspetto discriminatorio nei confronti del diverso, dello straniero-migrante in questo caso. Gli alunni saranno orientati a individuare e selezionare in articoli di quotidiani e riviste, testi letterari,filmografia, siti web etc, quelle parole o espressioni – e non solo linguistiche – che creano una visione stereotipata e fondata sul pregiudizio. L’esempio riportato abbraccia le discipline linguistiche coinvolte nel percorso, Italiano,Latino e Francese, ma si può estendere ad altri aspetti della problematica. FRANCESCO MERLO,L’Italia che vive tra egoismo e paura,  Repubblica — 10 giugno 2008   “Solo in Italia li chiamiamo clandestini perché il nostro lessico è povero e spaventato come noi. Ma il suono marcio della parola clandestini denomina (e non domina) più il disagio di noi clandestinatori che la condizione umana dei clandestini, che in Inghilterra sono illegal immigrants, in Francia ormai da venti anni sono les sans-papiers, in Spagna los sin papeles e in Germania illegale Einwanderer (violatori di confine). Alla fine solo noi ancora ci illudiamo che basta guastare un parola per trasformare l' immigrato, che alla luce del sole è senza documenti, nel male vivente che "si nasconde al giorno", nel "clam dies tinus" dei latini, nel clandestino che traffica nel buio come le mammane degli aborti "clandestini" o come i terroristi che in "clandestinità" confezionano bombe e agguati. Per non sentirci sopraffatti dalla prepotenza della loro miseria li clandestinizziamo di prepotenza “

  27. Guido Viale,La grande avventura dall' India all' Europa, Repubblica — 12 gennaio 2007 Zingaro viene dal greco athinganos, che vuol dire intoccabile. E' termine di derivazione sanscrita: rimanda probabilmente a una delle tribù dravidiche che occupavano l' India prima degli arii, e che sono poi confluite nelle caste dei paria. Gitano o zigano viene da egiziano: gli zingari sono stati confusi a lungo con i copti fuggiti dall' Egitto dopo l' invasione araba perché sono sempre stati visti come un popolo in fuga. Rom vuol dire fatto di fango, come Adamo, ma anche, semplicemente, uomo; è il termine con cui la principale etnia zingara designa se stessa. Sinti, termine di più pretta derivazione indoeuropea, è il nome con cui altri zingari indicano la propria etnia. Calderas (fabbricanti di pentole), lautari (fabbricanti di liuti) e lovara (allevatori di cavalli) sono nomi che vari rami del popolo zingaro hanno assunto dal loro mestiere; come, senza connotati etnici, anche giostrai o uomini del circo. Bohèmien è diventato sinonimo di chi vive, in miseria, della propria arte o delle proprie passioni; ma inizialmente designava gli zingari a cui un editto del re di Boemia attribuiva libertà di circolare e di amministrare autonomamente la giustizia. Camminanti è il nome degli zingari in Sicilia. Nomadi è il termine burocratico-poliziesco con cui vengono designati in Italia; soprattutto quelli rinchiusi nei campi. Nei nomi con cui gli zingari sono stati o si sono chiamati nel tempo c' è già molto della loro storia e della loro condizione: un popolo antico come la Terra, di esuli, di emarginati, di perseguitati, pronti ad adattarsi alle attività e alle condizioni di vita più disparate. La loro persecuzione è antica: erano stati cacciati, insieme a ebrei e mori, dalla cattolicissima Spagna della regina Isabella poco dopo il loro arrivo in Europa. In Prussia e nel ducato di Milano era stabilito che potessero venir messi a morte senza processo. Venezia aveva decretato che i cigani ritrovati nel territorio della repubblica potessero essere ammazzati senza incorrere in alcuna pena.

  28. “Lo straniero che fa paura è quello che viene a insediarsi, per rifarsi una vita; spesso è povero e disperato. La povertà non è fotogenica. Ma quell' uomo disperato potreste essere voi o potrei essere io. Non dimentichiamo mai che il destino non è un fiume tranquillo né una serata estiva con gli amici. Il destino è misterioso. Non si sa mai che cosa ci riserva. La paura dell' altro, la fissazione che lo straniero sia una minaccia per la mia sicurezza, sono sensazioni irrazionali che appartengono all' istinto animale. Siamo uomini: facciamo qualcosa per espellere di nostri cuori questi istinti primordiali e nocivi! Perché un giorno o l' altro, saremo noi a trovarci sull' altro versante di questa paura e di questa esclusione, perché saremo diventati stranieri.” Tahar Ben Jelloun da Repubblica, 13 novembre 2007   E se fossi diverso…

  29. Dal libro al film • Prendendo spunto dalle affermazioni dello scrittore marocchino • Tahar Ben Jelloun, si propone un’attività didattica con l’obiettivo far riflettere e valutare criticamente in un contesto o situazione in cui siamo noi “Occidentali” a diventare l’altro o siamo stati l’altro, come testimonia la nostra recente storia di popolo di emigranti. • Leggere, analizzare e confrontare con altri testi sullo stesso argomento, brani tratti dal libro di Maria Pace Ottieri “Quando sei nato non puoi più nasconderti”, ed. A.Mondadori Scuola. • Visione del film “Quando sei nato non puoi più nasconderti”di Marco Tullio Giordana, liberamente tratto dal libro di M.P. Ottieri ; scheda e analisi del film. • Leggere, analizzare e confrontare con altri testi sullo stesso argomento, brani tratti dal libro di G.A. Stella “L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi”. • Le schede di lavoro dell’attività sono inserite nella piattaforma E-Learning

  30. Non-luoghi Non-persone nell’era della globalizzazione Qualcuno ha definito la complessità della società contemporanea un dedalo intricato,in cui il destino delle persone è determinato da forze che vanno al di là del controllo di un singolo stato o nazione. La diffusione della globalizzazione gioca un ruolo principale in questo destino, con effetti negativi e tragici per le persone o gruppi umani più deboli Afferma nel suo libro Vite di scarto, lo studioso polaccoZygmunt Bauman: “ Vi è un’altra funzione utile che i rifiuti umani possono svolgere per far sì che il mondo continui ad andare come va. I rifugiati, gli sfollati, i richiedenti asilo, i sans papier sono i rifiuti della globalizzazione” “Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né relazionale né storico, definirà un nonluogo” Così sostiene l’antropologo francese Marc Augè, nella sua ricerca Nonluoghi, dove definisce la provvisorietà di alcuni spazi e vicende umane, dalle catene alberghiere alle occupazioni abusive, dai campi profughi alle bidonville. Sulla traccia di queste riflessioni possiamo noi definire i CPT un nonluogo? Gli alunni saranno guidati attraverso la proposta di materiali e attraverso la loro scoperta autonoma, all’individuazione di quelli che nella società attuale possono essere definiti nonluoghi, dove l’identità delle persone rischia di smarrirsi o essere indotta a perdersi. PROSEGUI

  31. Luoghi Non Luoghi Nuovi Luoghi Una delle attività sperimentali da sviluppare nel percorso labirintico della società contemporanea riguarda la visione degli spazi della modernità e di come essi vengono vissuti e percepiti. Un progetto nato all’interno dell’università di Roma “ La Sapienza”, Facoltà di Architettura, ad opera del Gruppo RA = R+ RV [LaRealtàAumentataèlaRealtà+Realtàvirtuale] , ci immette in una ricerca che partendo dalle definizioni di Marc Augè, “Lo scopo di questa ricerca è quello di sondare il significato che viene assegnato al concetto di LUOGO e l'evoluzione che questo concetto ha subito nel tempo “ Link Gruppo RA

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