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La frontiera

La frontiera. è costituita da innumerevoli punti, sui quali un movimento organico è giunto ad arrestarsi. F. Ratzel , Antropogeographie , II, Engelhorn , Stuttgart, 1899, p. 259.

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  1. La frontiera è costituita da innumerevoli punti, sui quali un movimento organico è giunto ad arrestarsi. F. Ratzel, Antropogeographie, II, Engelhorn, Stuttgart, 1899, p. 259. arresto di fronte al venir meno di condizioni vitali necessarie oppure di fronte alla resistenza di un altro movimento in senso contrario. Essa può essere spostata in avanti se le condizioni vitali mutano in tal senso, oppure se il movimento in senso contrario si indebolisce. La mobilità è dunque un carattere intrinseco della frontiera». BenedyktZientara, Frontiera, Enciclopedia Einaudi, VI, Torino, Einaudi, 1977, p. 403.

  2. Il termine «frontiera», deriva dal tardo latino fronteria o frontaria che indicava quella parte di territorio situata in fronte, ossia ai margini. Identico significato aveva nell’antico germanico il termine Mark «regione periferica».

  3. Trieste • La «multinazionalità» di Trieste va ricondotta alla dimensione dell’incontro tra culture diverse, slava – tedesca – ebrea, in un ambiente che è però principalmente italiano.

  4. Dunque, non mostrandosi come una linea che separa, che ripara dall’altro, dal diverso, la frontiera si configura piuttosto come uno spazio liminale in cui l’alterità sta sempre innanzi, o meglio dentro come sua stessa intima natura.

  5. L’abitare perciò una terra di frontiera permette di esperire l’assenza del limite, che per quanto lasci intravedere le possibilità dello sconfinamento, quest’ultimo non si configura come una drammatica avventura che inesorabilmente ricaccia indietro sconfitti ma si afferma come piena volontà di naufragare nel mare sconfinato, di ‘vivere’ la vita fin dentro la morte. È la straordinaria forza che viene dalla relazione con l’alterità, con la costante apertura di uno spazio che tocca un altro spazio e che insieme convivono e lottano.

  6. Se la letteratura siciliana sembra voler rompere con il mondo dei padri ma viene irretita poi in un movimento all’indietro entro le logiche del nostos; la letteratura triestina si lascia trascinare invece da una tensione verso un oltre illimitato, verso il «centro arroventato della vita» accessibile attraverso un naufragio voluto e cercato. Due facce della stessa medaglia, dunque, due modalità di movimento che esprimono la medesima ricerca: il confronto con l’oltre, con il limite, il quale si presenta anche come riconoscimento del noto oltre ad essere conoscenza dell’ignoto.

  7. Stuparich • A noi triestini manca la tradizione dell’agricoltore: non abbiamo nel sangue né il suo equilibrio né la sua misura; siamo nomadi e marinai; anche chi viene nella campagna, qua, in poche generazioni si trasforma. E se non possiamo muovere le tende o levar l’ancora, mettiamo calzari o vele alla nostra fantasia. Perciò gli altri ci prendono o per troppo mercantili o per troppo fantastici. Stravaganti. • Giani Stuparich, Trieste nei miei ricordi, Milano, Garzanti, 1948, p. 22.

  8. «Trieste è un posto di transizione – geografica, storica , di cultura, di commercio – cioè di lotta», scriveva Scipio Slataper nel 1912. E ancora: «Trieste…Ma dove la vita è uno strazio così terribile di forze opposte e aneliti fiaccatesi e crudeli lotte e abbandoni?...Questa è Trieste. Composta di tragedia». • Scipio Slataper, L’avvenire nazionale e politico di Trieste, in Scritti politici, a cura di Giani Stuparich, Milano, Mondadori, 1954, p. 134. • Idem, Lettere triestine – la vita dello spirito, in Scritti politici, cit., pp. 45-46.

  9. «l’incombere del silenzio» • Slataper ricercava «la parola che supera la parola, che l’annienta, che dà le cose direttamente» giungendo in ultimo a ribadire che «se parlo, e devo parlare, non sono parole che dico, ma cose».

  10. Scipio Slataper • Slataper diceva che «l’arte è il superamento della letterarietà», che «la letterarietà» è «la falsità del sentimento», cioè «è far della poesia ispirati da parole stampate; è aver sentimenti finti».

  11. Umberto Saba Amai trite parole che non uno osava. M’incantò la rima fiore amore, la più antica difficile del mondo. Amai la verità che giace al fondo, Quasi un sogno obliato, che il dolore Riscopre amica. Con paura il cuore Le si accosta, che più non l’abbandona. Amo te che mi ascolti e la mia buona Carta lasciata al fine del mio gioco. Umberto Saba, Amai,in Mediterranee, Torino, Einaudi, 2004, p. 516

  12. Ebbri canti si levano e bestemmie nell’osteria suburbana. Qui pure - penso - è Mediterraneo. E il mio pensiero all’azzurro s’inebria di quel nome. Materna calma imprendibile è Roma. S’innamora la Grecia alle sue sponde come un’adolescenza. Oscura il mondo e lo rinnova la Giudea. Non altro a me vecchio sorride sotto il sole. Antico mare perduto…pur vuole la Musa che da te nacque, ch’io dica di te, col buio alle porte, parole. • Umberto Saba, Ebbri canti, in IDEM, Il Canzoniere, cit., p. 591.

  13. Gli scrittori triestini • «questi scrittori di lingua, di cultura e spesso sangue misto, sono intenti a scoprirsi, a definirsi, a cercare il loro punto fermo; ma quasi col presupposto di non trovarlo; come chi faccia della ricerca non il mezzo, ma addirittura il fine del suo cercare». Il ‘punto’ sembra essere dunque il segno sotto cui s’inscrive l’essenza della letteratura triestina. Pietro Pancrazi, Scrittori d’oggi, Bari, Laterza, 1946, p. 104.

  14. Lettera di Lord Chandos Hugo von Hofmannsthal descriva il senso di sbigottimento, di disagio e di pietrificazione dinanzi alle parole. • Ho sentito in quel momento, con una certezza che finiva per essere dolorosa, che né l’anno prossimo, né quello dopo ancora, né mai in vita mia, avrei scritto un libro, sia in latino o in inglese, e questo per una ragione bizzarra e penosa…Voglio dire che la lingua nella quale forse potrei non soltanto scrivere ma pensare, non è né il latino né l’inglese, né l’italiano, né lo spagnolo, ma una lingua di cui non conosco neanche una parola, un lingua parlata dalle cose mute. • Hugo von Hofmannsthal, Lettera di Lord Chandos, traduzione di

  15. Il punto • «come il punto sia metafora del consistere e della vera sicurezza, a cui si oppone il cerchio che è metafora della paura, e dell’insicura dissipazione del tempo». Insomma se volessimo ridurre semplicisticamente il problema potrebbe valere l’equazione: la Sicilia sta a Trieste come la retorica alla persuasione. Il punto è concentrazione, non ha direzione, contiene in sé tutte le direzioni possibili, è un’infinita possibilità di azione. Gilberto Lonardi, Mito e accecamento in Michelstaedter, «Lettere italiane», XIX, 3, 1967, p. 300.

  16. «Per me non è mai tempo di tornare, chi va sicuro non potrà affogare». • «Tutta è la vita arida e deserta, finché in un punto si raccolga in porto, / di sé stessa in un punto faccia fiamma». • Carlo Michelstaedter, Poesie, a cura di Sergio Campailla, Milano, Adelphi, 1987, p. 87.

  17. Itti e Senia Il coraggio di sopportare Tutto il peso del dolore, il coraggio di navigare verso il nostro libero mare, il coraggio di non sostare nella cura dell’avvenire, il coraggio di non languire per godere le cose care. Nel tuo occhio sotto la pena arde la fiamma selvaggia, abbandona la triste spiaggia e nel mare sarai sirena. Se t’affidi senza timore ben più forte saprò navigare, se non copri la faccia al dolore giungeremo al nostro mare. Senia, il porto è la furia del mare, è la furia del nembo più forte, quando libera ride la morte a chi libero la sfidò» Carlo Michelstaedter, Poesie, Adelphi, pp. 83-84.

  18. Roberto Bazlen In un mondo dell’ignoto, scoprire la continuità del noto – ma in un mondo del noto, leggere l’avventura dell’ignoto.

  19. Bazlen • Il mediatore della cultura transnazionale, colui che ha fatto circolare per la prima volta in Italia Kafka e Musil, Walser, Gombrowicz e Blanchot, William C. Williams e Broch, Marshall McLuhan e John Cage, Freud e Jung, solo per fare qualche esempio, ha portato alla luce e fatto conoscere i romanzi di Italo Svevo, nonché grande amico di Montale, il quale gli ha dedicato due poesie, lettore e consulente editoriale, dal 1951 al 1961, per la casa editrice Einaudi, fondatore e anima dell’Adelphi il cui stile è assolutamente bazleniano acquirente del catalogo Frassinelli a cui lui aveva collaborato .Con la traduzione di Bazlen vengono pubblicati nel 1947 per la prima volta in Italia L’introduzione allo studio della psicanalisi e L’interpretazione dei sogni di Freud, e nel 1949 Psicologia e alchimia di Jung, da Adler a Jaspers, per la casa editrice Astrolabio, per la quale insieme a Ernst Bernhardcrea l’apposita collana «Psiche e coscienza».

  20. Bazlen • «Io credo che non si possano scrivere più libri. Perciò non scrivo libri – Quasi tutti i libri sono note a piè di pagina gonfiate in volumi (volumina). Io scrivo solo note a piè di pagina» (S, 203).. Si legga anche quanto scrive in una pagina del CLC: «per scrivere ho bisogno di bere, ma per bere mangiare, ma mangiare fa pesanti, e dunque malinconici, dunque bere senza mangiare, ma bere senza mangiare il vino va in testa e la mattina dopo me lo sento, e allora non posso scrivere, e cattiva coscienza perché non scrivo, e dunque non lettere, per lavorare, ma i lavori seccanti dunque dormire, ma dormito troppo, e già non dormire è una conquista, e dunque al cinematografo» , p. 131.

  21. Bazlen aveva passato la vita sempre e soltanto fra i libri, il libro era per lui un risultato secondario, che presupponeva qualcos´altro. Occorreva che lo scrivente fosse stato attraversato da questo altro, che vi fosse vissuto dentro, che lo avesse assorbito nella fisiologia, eventualmente (ma non era obbligatorio) trasformandolo in stile

  22. Lettera a Montale • «Siete diventati matti di volermi far collaborare ad una rivista? Io sono una persona per bene che passa quasi tutto il suo tempo a letto, fumando e leggendo, e che esce ogni tanto per fare qualche visita o per andare al cinematografo. Per di più manco completamente di spirito messianico divulgativo, e non ho mai inteso nessun bisogno di partecipare agli altri le mie idee, tanto meno ai lettori di riviste. Se avete bisogno di indicazioni, scoperte, bibliografie, ecc. vi aiuterò volentieri. Ora sto mettendomi al corrente della nuova letteratura inglese ed americana, se vuoi, col tempo te ne scriverò» (S, 363) • R.Bazlen, Scritti, Milano, Adelphi, p. 363.

  23. Bazlen odiava tutto ciò che era volutamente ‘letterario’ perché certo che «all’intellettuale corrisponde l’anima insipida» (S, 211). Del resto, «già il fatto che abbia avuto [bisogno] di creare l’opera parla contro la vitalità di questo individuo» (S, 220).

  24. L’orologio di Virgilio Giotti • «E sintivoel tic-tac/ indrio de l’orològio,/ come ‘navose che pian piano disessi/ qualcossa, e sempre sempre». • «E cussì de ano in ano, / fin che un giorno sarà / come se tuto quanto / no’ ghefussi mai sta». • Idem,Le stagioni, in ivi, p. 385.

  25. Ho avuto l’impressione che cercaredi significare e precisare con le parole, si turba e distrugge la percezione senza parole dei sentimenti, degli affetti, delle sensazioni. Con il risultato che al posto dei sentimenti e affetti e sensazioni, che sono la nostra vita, si mettono delle scritture. Delle copie al posto degli originali, e gli originali deturpati o perduti. • Virgilio Giotti, Appunti inutili, in Opere, cit., p. 390.

  26. Mediterraneo • Medi-terraneo, «il cui nome parla di un mare che separa e unisce, che sta tra le terre senza appartenere in esclusiva a nessuna di esse, […], un mare che si rifiuta di chiudere la propria inquietudine nella fissità di una Scrittura, nella sacralità assoluta e definitiva di un testo», diventa il simbolo di uno spazio che accoglie le contraddizioni e le ambivalenze. Franco Cassano, Necessità del mediterraneo,in L’alternativa mediterranea, a cura di Danilo Zolo e Franco Cassano, Milano, Feltrinelli, 2007, p. 81; Cfr., P. Matvejević, Mediterraneo. Un nuovo breviario, Milano, Garzanti, 1991.

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