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Università degli Studi di Pavia Facoltà di Economia

Università degli Studi di Pavia Facoltà di Economia. Corso di Economia e Gestione del Sistema Agroindustriale. Capitolo 4: Analisi del canale distributivo. Capitolo 4: Analisi del canale distributivo. L’analisi organizzativa del settore agroalimentare;

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Presentation Transcript


  1. Università degli Studi di PaviaFacoltà di Economia Corso di Economia e Gestione del Sistema Agroindustriale Capitolo 4: Analisi del canale distributivo

  2. Capitolo 4: Analisi del canale distributivo • L’analisi organizzativa del settore agroalimentare; • Margine distributivo in concorrenza perfetta; • Margine distributivo in situazioni non concorrenziali; • Strutture di mercato verticali non concorrenziali; • Vertical restraints.

  3. 4.1 Introduzione Le componenti principali del settore agroalimentare sono: • Le industrie fornitrici di mezzi tecnici per l’agricoltura; • Il settore agricolo; • Il settore dell’industria di trasformazione alimentare; • Il settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio; • Il settore del foodservice. Perché l’intero settore agroalimentare possa funzionare è necessario un certo grado di coordinamento tra le attività svolte da tali componenti. L’analisi dell’organizzazione del settore agroalimentare studia come avviene tale coordinamento. Il coordinamento delle attività svolte nei diversi stadi della filiera agroalimentare può essere problematico in presenza di strutture di mercato non concorrenziali.

  4. 4.2 L’analisi organizzativa del settore agroalimentare Il problema organizzativo fondamentale dei sistemi economici è il coordinamento dei piani d’azione degli attori economici. Lo svolgimento delle attività economiche genera interdipendenza tra gli operatori. Per esempio, una produzione che impiega più persone richiede che ne sia coordinato il lavoro. In alcuni casi lo svolgimento delle attività economiche necessita di infrastrutture il cui uso comune deve essere regolamentato. A volte l’azione di alcuni attori influenza l’utilità di altri, come nel caso delle esternalità.

  5. Il coordinamentoè dunque la regolazione efficace delle interdipendenze, dove l’efficacia si riferisce alla capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati. Distinguiamo tre principali gruppi di meccanismi di coordinamento, più un quarto.

  6. I meccanismi di coordinamento • prima tipologia: decisioni unilaterali degli attori; • seconda tipologia: comunicazione e accordo diretto; • terza tipologia: consuetudini e convenzioni; • quarta tipologia: violenza.

  7. Il primo gruppo di meccanismi di coordinamento si basa su decisioni unilaterali degli attori, senza che essi comunichino le rispettive intenzioni di scelta. Le informazioni, riguardanti le alternative disponibili e le loro caratteristiche, sono rese disponibili a tutti, invece di essere scambiate solo tra parti specifiche. Possibili esempi sono il meccanismo del prezzo e del voto. Per esemplificare questa prima modalità di coordinamento ipotizziamo che vi sia il proprietario di un mulino che acquista il grano su un mercato concorrenziale in cui: • ogni attore agisce in modo indipendente dagli altri, • e in un contesto di perfetta informazione, • e di assenza di costi legati alle procedure di scambio.

  8. In questo caso sono i segnali di prezzo legati alle offerte e controfferte di coloro che detengono i mulini (le componenti della domanda) e dei produttori di grano (le componenti dell’offerta) che determineranno: • le quantità scambiate, • e il livello di attività dei mulini e delle aziende agricole, • coordinando pertanto le scelte produttive dei diversi attori economici.

  9. Il secondo gruppo di meccanismi si basa sulla comunicazione e l’accordo diretto tra le parti. Possibili esempi sono la decisione di gruppo e la negoziazione che si basano sulla decisione congiunta di tutti gli attori coinvolti nelle azioni da intraprendere. Nella decisione di gruppo il processo comunicativo è di tipo collaborativo e informativo/persuasivo e mira ad ottenere il consenso su una scelta collettiva (nella funzione di utilità possono rientrare obiettivi di benessere sociale). Nella negoziazione il processo comunicativo è di tipo competitivo, pertanto ciascuno cerca di ottenere la decisione per sé più vantaggiosa, utilizzando tutti gli strumenti a sua disposizione fra cui le minacce e i tentativi di corruzione (l’argomento delle funzioni di utilità è il benessere individuale).

  10. In questo gruppo di meccanismi basati sulla comunicazione e l’accordo diretto rientrano le relazioni di autorità, come quelle che formano la struttura organizzativa delle imprese. Tali relazioni implicano un accordo sulle procedure con cui si prendono le decisioni e su come vanno ripartiti i diritti di decisione tra le parti. Questi diritti definiscono una relazione di autorità in cui una parte si impegna a obbedire agli ordini di una controparte e rinunciare ad alcuni dei propri diritti di decisione.

  11. Ad esempio, nel caso della relazione di autorità tipica delle imprese, se il proprietario del mulino è anche il proprietario delle aziende cerealicole (integrazione verticale) ordinerà ad esse in base alle relazioni di autorità definite nella burocrazia interna della propria impresa di produrre i quantitativi di grano che desidera. Una relazione di autorità si ha ogni volta che un attore riceve obbedienza ai propri ordini da parte di un altro attore, questa autorità è legittimata da un contratto che lega le parti su base volontaria e da diritti di proprietà definiti all’interno del sistema legale in cui si svolge l’attività economica.

  12. Sempre facendo riferimento al secondo gruppo di meccanismi di coordinamento si può avere la negoziazione. Ad esempio, nel caso in cui il proprietario del mulino che non entra in possesso delle aziende cerealicole ma decide di stipulare con gli agricoltori dei contratti di fornitura. Le clausole del contratto, che indicano il livello e le modalità di attività delle parti, sono definite attraverso un processo di negoziazione tra le parti basato sulla comunicazione.

  13. Il terzo gruppo di meccanismi si basa sulle consuetudini e sulle convenzioni e quindi non implica che gli attori interdipendenti prendano decisioni caso per caso. • Applicando norme, regole e convenzioni accettate si stabilisce quali comportamenti sono da seguire e quali da eliminare. • Per esemplificare si ipotizzi che in un territorio le aziende cerealicole storicamente siano servite da un mulino. • La preferenza accordata a tale mulino può derivare da una serie di fattori come: • la vicinanza e l’accessibilità, • la relazione di fiducia che si è consolidata nel tempo tra gli acquirenti e i fornitori, • un particolare tipo di lavorazione che valorizza il prodotto sul mercato finale.

  14. Con il tempo sono proprio le consuetudini che portano ad un coordinamento delle attività degli agricoltori e del mulino. Quindi in presenza di norme, consuetudini o convenzioni, tutti gli attori rispettano determinate regole di comportamento, semplicemente in virtù di un tacito consenso emerso dall’interazione fra le parti ripetuta per lunghi periodi di tempo.

  15. Mentre i primi tre gruppi fanno riferimento a sistemi economici in contesti democratici, il quarto gruppo di meccanismi di coordinamento riguarda il potere esercitato da alcun attori con l’uso della violenza, tipico dei regimi autoritari. Nel caso di questa quarta tipologia il proprietario del mulino può essere un camorrista che servendosi della violenza pretende determinate quantità a determinati prezzi da parte degli agricoltori. Nel caso in cui ci si trovi in un regime non democratico come ad esempio quello feudale, può accadere che un feudatario imponga con la forza la cessione di determinati quantitativi di grano ai sudditi del proprio feudo.

  16. Le quattro tipologie di coordinamento evidenziano come gli strumenti di analisi economica, che fanno riferimento al paradigma neoclassico, sono insufficienti ad affrontare i problemi organizzativi. L’economia neoclassica considera come unica modalità organizzativa il prezzo e vuole dimostrare che i mercati concorrenziali possono risolvere efficientemente (in senso paretiano) qualsiasi problema di coordinamento. Nel secondo gruppo di forme di coordinamento sono incluse: • le burocrazie private (imprese) • e le burocrazie pubbliche.

  17. Una burocrazia è una forma organizzativa dove il coordinamento tra le diverse attività ed i diversi attori è effettuato attraverso relazioni di autorità definite da una particolare struttura gerarchica che fissa ruoli e posizioni di comando e di subordinazione. Le risorse sono allocate mediante un piano che è definito dagli attori nelle posizioni di comando.

  18. Nell’impresa (burocrazia privata) il comando è legittimato dal possesso dei diritti di proprietà privata. Nelle aziende pubbliche e amministrazioni (burocrazie pubbliche) il comando è legittimato dalle istituzioni dello stato. Le burocrazie private e pubbliche non sono oggetto dell’analisi neoclassica. Gli attori economici analizzati sono soggetti privati. La funzione dello stato in economia è quella di: • garantire il rispetto del diritto alla proprietà privata, • e l’esecutorietà dei contratti, si tratta del cosiddetto stato minimo.

  19. Delle quattro principali forme organizzative (istituzioni) dei sistemi economici capitalistici, cioè: • stato, • mercato, • contratto • e impresa, • l’economia neoclassica studia solo il mercato. • Gli economisti fanno riferimento a due tipologie opposte di sistemi economici: • l’economia di mercato • e l’economia pianificata.

  20. Le economie di mercato pure o le economie pianificate pure sono forme ideali di organizzazione economica. Nei sistemi economici pianificati la burocrazia pubblica, cioè lo stato, coordina le attività economiche al posto del mercato. Le economie dei paesi del socialismo reale dell’est Europa erano economie miste dove il piano pubblico predominante (lo stato) era affiancato dal piano privato (imprese)e dal mercato.

  21. Allo stesso modo, le economie di mercato dei paesi occidentali a industrializzazione avanzata sono miste, in esse, allo stato e al mercato che sono le forme organizzative prevalenti, va aggiunta l’impresa che ha un ruolo persino superiore al mercato nel coordinare le attività economiche. Ad esempio nelle economie a capitalismo avanzato, dove domina la grande impresa capitalistica, il piano privato è la principale forma di coordinamento.

  22. L’analisi organizzativa riveste un ruolo importante nello studio del settore agroalimentare che attualmente presenta una elevata varietà di assetti produttivi e organizzativi come: • la produzione agricola scarsamente industrializzata per l’autoconsumo di molti paesi poveri; • la produzione agricola industrializzata su larga scala di commodities; • la produzione locale di prodotti differenziati.

  23. Il grado di trasformazione dei prodotti agricoli è anch’esso molto vario, un prodotto agricolo: • può essere venduto fresco (latte), • essere trasformato in molti modi (formaggio), • oppure subire trasformazioni blande che però lo differenziano in modo sostanziale rispetto al prodotto originale (latte ad alta digeribilità).

  24. Inoltre una filiera di prodotto, che rappresenta l’insieme delle attività di: • produzione agricola, • trasformazione industriale, • e distribuzione di un prodotto, • può avere una dimensione: • locale, • regionale, • o internazionale.

  25. 4.3 Analisi del margine distributivo4.3.1 Margine distributivo in concorrenza perfetta La domanda rivolta al settore agricolo è derivata dalla domanda al dettaglio per beni alimentari. I prodotti agricoli: • subiscono vari processi di trasformazione (nella forma, nel tempo e nello spazio), • e necessitano di una serie di servizi di facilitazione degli scambi (ad esempio servizi creditizi e di assicurazione), per essere resi disponibili al consumo finale.

  26. Il canale distributivo è costituito dal percorso seguito dai prodotti agricoli per incontrare la domanda finale ed è definito: • sia in base alle funzioni assolte (ossia l’insieme dei processi di trasformazione e di produzione dei servizi aggiunti al prodotto agricolo), • sia in base ai soggetti coinvolti (ossia l’insieme degli operatori dei diversi settori produttivi che gestiscono i processi di trasformazione e di offerta dei servizi).

  27. L’insieme dei costi della distribuzione dei prodotti agricoli è dato dalla spesa alimentare finale al netto dei ricavi del settore agricolo. I costi di distribuzione tendono a crescere con l’avanzare dello sviluppo economico in quanto i consumatori sono: • sempre più ricchi • sempre più impegnati in attività che rendono scarso il tempo da dedicare alla preparazione dei pasti • e richiedono una maggiore varietà di prodotti e servizi aggiuntivi. Questi servizi vanno da: • servizi assicurativi per la garanzia della qualità; • servizi di convenience per una rapida preparazione degli alimenti; • servizi di vicinanza e facilitazione degli acquisti.

  28. In uno stadio di sviluppo non molto avanzato, cioè nell’ambito di un’economia rurale primitiva, i costi di distribuzione possono riguardare solo il lavoro e il tempo impiegati dal singolo produttore nella vendita del proprio prodotto al mercato più vicino. Nei sistemi agroalimentari complessi delle economie avanzate, al contrario il prodotto agricolo viene stoccato, condizionato, trasportato e trasformato più di una volta prima di raggiungere il consumatore finale, ciò determina una aumento dei costi di distribuzione.

  29. Per margine distributivo si intende la differenza tra il prezzo del prodotto alimentare al dettaglio ed il prezzo del prodotto agricolo utilizzato per ottenere il bene alimentare. Ad esempio: Il margine per il latte fresco è dato dalla differenza tra il prezzo pagato per un litro di latte fresco acquistato in un negozio alimentare ed il prezzo del latte rilevato sui mercati agricoli. Nel confronto tra i due prezzi bisogna tener conto del fattore di conversione che permette di confrontare: il prezzo unitario del prodotto agricolo con il prezzo unitario del prodotto alimentare finale, tenendo conto del diverso contenuto di prodotto agricolo dei due beni.

  30. In generale per ottenere una unità di prodotto alimentare finale qr viene utilizzata una quantità δqadi prodotto agricolo, in cui δ rappresenta il fattore di conversione, con 0 ≤ δ≤ 1 . Ad esempio, se per ottenere una confezione di 1000 grammi di pomodori pelati sono necessari 1400 grammi di pomodori freschi, allora il coefficiente di conversione è pari a 0,71. δ= 1000/1400 = 0,71

  31. L’ampiezza del margine dipende: • dal costo dei servizi aggiunti al prodotto agricolo durante i processi di trasformazione e distribuzione; • e nel caso di mercati non concorrenziali, anche dai profitti di cui le imprese si appropriano lungo il canale distributivo. Quando tutti i mercati collegati verticalmente lungo la filiera agroalimentare sono concorrenziali, allora il margine distributivo è pari al costo marginale di produzione dei diversi servizi aggiunti al prodotto agricolo.

  32. Per dimostrare quest’ultima affermazione si considera un modello con una serie di ipotesi semplificatrici: • assenza di ritardi temporali tra produzione agricola e produzione del bene finale; • assenza di incertezza lungo il canale distributivo; • esistenza di un unico settore lungo il canale distributivo; • mercati di concorrenza perfetta.

  33. Si consideri la seguente funzione del profitto per un’impresa che opera nel settore distributivo: Pr = prezzo al dettaglio; Qr = output venduto al dettaglio; Vi = prezzo dell’input i, i = 1, 2, …, k; Xi = quantità dell’input i; P = prezzo all’azienda agricola; Q = output venduto dall’azienda agricola.

  34. Tra qr e q esiste una relazione qr = δq , doveδè il fattore di conversione che misura il tasso di trasformazione del prodotto agricolo in prodotto finale, con 0 ≤ δ≤ 1. Per semplicità si assume δ = 1. La precedente funzione del profitto può allora essere riscritta come:

  35. La differenza pr – p rappresenta il margine distributivo che altro non è che il prezzo che il settore distributivo riceve per i servizi offerti: • raccolta; • pulizia e selezione; • trasformazione; • trasporto; • commercio al dettaglio. CFT rappresenta i costi fissi per l’offerta di tali servizi; Mentre i costi variabili sono rappresentati da:

  36. Derivando la funzione del profitto rispetto alla quantità offerta q, ed uguagliando tale derivata a zero si ottiene la condizione di primo ordine per la massimizzazione del profitto: (pr – p) = CM In tal modo è dimostrata l’uguaglianza tra margine distributivo e costi marginali del servizio distributivo.

  37. Partendo dalla precedente relazione è possibile derivare la domanda rivolta all’agricoltura (detta domanda derivata) dalla domanda al dettaglio (detta domanda primaria) sottraendo a quest’ultima il costo marginale dei servizi distributivi. • Allo stesso modo è possibile ricavare la curva di offerta al dettaglio (detta derivata) dalla curva di offerta agricola (detta primaria) aggiungendo a quest’ultima il costo marginale dei servizi distributivi. • Nel caso di costi marginali costanti del servizio distributivo le curve di domanda e di offerta, primarie e derivate, sono: • parallele, • e distanti verticalmente di un ammontare pari al costo marginale costante.

  38. La dimensione del cambiamento del prezzo finale e agricolo, data una modifica del margine, dipende dall’inclinazione delle curve di domanda e di offerta. Per funzioni lineari, se l’inclinazione è la medesima, l’aumento del prezzo al dettaglio è pari alla diminuzione di quello agricolo. Se la domanda è più inclinata il cambiamento del prezzo sul mercato finale è maggiore di quello agricolo. Se l’offerta è più inclinata è maggiore il cambiamento del prezzo agricolo. Per molti prodotti agricoli l’offerta ha una debole elasticità al prezzo, di solito inferiore rispetto a quella della domanda finale. Quindi il settore agricolo ammortizza gli aumenti del margine distributivo (con la diminuzione del prezzo agricolo) ma con ripercussioni negative per gli agricoltori.

  39. Variazioni dei margini distributivi possono derivare da: • cambiamenti nei prezzi dei fattori produttivi, • cambiamenti dei servizi distributivi, • modifiche tecnologiche che fanno cambiare la produttività dei fattori. • Nel lungo periodo i margini: • tendono a ridursi a causa del miglioramento tecnologico (efficienza), • aumentano a causa della sempre maggiore richiesta di valore aggiunto al bene agricolo di base. • Nel breve e medio periodo, nei margini si possono avere oscillazioni dovute a: • instabilità dei mercati dei fattori, • instabilità della domanda finale, • instabilità dell’offerta agricola.

  40. 4.3.2 Margine distributivo in situazioni non concorrenziali Spesso il settore distributivo non è un settore concorrenziale, pertanto vi è una debole reattività del prezzo al dettaglio a modifiche dei prezzi agricoli: • se diminuisce il prezzo del prodotto agricolo il settore distributivo può non ridurre proporzionalmente il prezzo al dettaglio, aumentando il proprio margine e gli extraprofitti; • se aumenta il prezzo del prodotto agricolo il settore distributivo può non aumentare proporzionalmente il prezzo al dettaglio, riducendo il margine e i profitti, pur di perseguire una politica di stabilità dei prezzi al dettaglio che difenda la quota di mercato. Tale debole reattività dipende inoltre da una possibile carenza di flussi informativi lungo il canale e dalla distanza temporale che separa l’acquisto della materia prima agricola dalla riscossione del prezzo al dettaglio.

  41. Nei mercati non concorrenziali il margine distributivo non dipende solo dai costi del servizio distributivo. Se il settore distributivo è in condizioni di monopolio e il settore agricolo di concorrenza perfetta, il margine sarà pari al margine di concorrenza più la differenza tra il prezzo al dettaglio di monopolio e di concorrenza: A parità di condizioni il monopolio aumenta il margine e riduce il prezzo agricolo, tale riduzione aumenta se il settore distributivo possiede anche un potere di monopsonio. I produttori agricoli si avvantaggiano di un settore distributivo concorrenziale ed efficiente e per primi risentono di eventuali aumenti dei prezzi degli input del settore distributivo.

  42. Tale risultato conduce a due considerazioni: • i rischi di monopolio dei processi di concentrazione dell’industria e del dettaglio alimentare nei paesi avanzati vanno valutati in termini di effetti negativi sui ricavi agricoli che possono superare gli effetti negativi sul benessere del consumatore; • i ritardi del settore distributivo sono una causa dei bassi redditi dei produttori agricoli nelle economie arretrate. I programmi di assistenza e sviluppo rurale dovrebbero promuovere l’efficienza del settore distributivo oltre che della produzione agricola.

  43. Cambiamenti istituzionali che modificano i costi della distribuzione vanno bilanciati con misure di sostegno che compensino gli effetti negativi sui redditi agricoli, come una normativa per la garanzia della qualità. I maggiori costi di controllo per l’attuazione di normative, come quella sulla tracciabilità degli alimenti, possono portare ad un aumento del margine distributivo sopportato per lo più dal settore agricolo.

  44. I margini tendono a cambiare a causa di: • cambiamenti della curva di domanda al dettaglio, della curva di offerta dei servizi distributivi e della curva di offerta dei prodotti agricoli; • cambiamenti di fattori istituzionali; • modifiche nella struttura dei mercati (potere di mercato); • cambiamenti organizzativi lungo la filiera agroalimentare. Cambiamenti istituzionali possono riguardare: • la normativa per la sicurezza alimentare; • la legge sulle cooperative e le organizzazioni dei produttori; • la legislazione per la certificazione dei prodotti.

  45. Cambiamenti organizzativi Quando il livello di integrazione lungo il canale distributivo aumenta si verifica il passaggio da una gestione degli scambi basata esclusivamente sull’uso del mercato ad una gestione degli scambi che: • utilizza contratti di vario tipo, • e forme di collaborazione tra gli operatori più o meno formali.

  46. Cambiamenti organizzativi che possono incidere sui margini distributivi sono: • contratti di lungo periodo per l’acquisto della materia prima agricola con ordini e pagamenti della merce differiti anche di molti mesi rispetto alla campagna di commercializzazione effettiva; • la costituzione di cooperative per la trasformazione e la vendita dei prodotti agricoli; • la formazione di consorzi e gruppi di acquisto ai vari livelli della filiera; • la costituzione di joint venture per la gestione comune di attività di comunicazione o di ricerca e sviluppo.

  47. I margini Il margine tende a ridursi quando vi è una integrazione contrattuale tra agricoltura e settore distributivo in quanto si realizza una gestione più efficiente degli scambi. Il margine tende a ridursi quando si ha la costituzione di cooperative di trasformazione, in quanto a parità di costi di trasformazione e di prezzi al dettaglio il margine contributivo degli agricoltori risulta più elevato del prezzo di mercato. Altre forme di collaborazione tra imprese lungo il canale tendono ad aumentare o ridurre il margine a seconda che siano il potere di mercato o l’efficienza e l’innovazione tecnologica ad essere sviluppati.

  48. 4.6 Vertical restraints Quando due imprese collocate in stadi successivi di una struttura verticale, instaurano fra loro un rapporto di compravendita, una delle due parti può imporre schemi di pagamento più complessi rispetto al pagamento di un prezzo unitario per la merce scambiata. Questi schemi possono vincolare il prezzo pagato a determinati impegni da parte di uno dei contraenti, come ad esempio: • l’impegno dell’acquirente a fornire determinati servizi promozionali; • l’impegno ad acquistare un determinato volume minimo di merce; • l’impegno a comprare esclusivamente da quel particolare venditore.

  49. Sebbene gli accordi che implicano restrizioni verticali possano riguardare qualsiasi momento di scambio all’interno di una struttura verticale, il caso più tipico è quello del rapporto tra impresa produttrice del bene finale e impresa distributrice. Il rapporto tra produttore e distributore può essere descritto come una tipica relazione principale-agente. Il distributore (l’agente) svolge una funzione per conto del produttore (il principale) da cui dipende la realizzazione della funzione obiettivo di quest’ultimo. In questo caso la restrizione verticale può essere vista come lo schema di incentivi scelto dal principale che induce l’agente ad attuare le scelte (in termini di prezzo di rivendita e volumi di vendita) che massimizzino la funzione obiettivo (il profitto) del principale.

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