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L impresa di FIUME

Gli antefatti: PARIGI 1919. Nella primavera 1919 si apre a Parigi una conferenza internazionale per stabilire il nuovo volto dell'Europa all'indomani della prima guerra mondiale. Si tratta di decidere le condizioni di pace da imporre agli sconfitti e di ridisegnare la mappa politica del continente e

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L impresa di FIUME

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Presentation Transcript


    1. L’impresa di FIUME Bellezza, socialismo, patria,rivoluzione

    2. Gli antefatti: PARIGI 1919 Nella primavera 1919 si apre a Parigi una conferenza internazionale per stabilire il nuovo volto dell’Europa all’indomani della prima guerra mondiale. Si tratta di decidere le condizioni di pace da imporre agli sconfitti e di ridisegnare la mappa politica del continente e delle aree coloniali che fanno capo agli Stati europei

    3. L’Italia e il patto di Londra L’entrata in guerra dell’Italia, decisa a seguito del patto di Londra del 26/4/1915, prevedeva, in caso di vittoria delle potenze dell’Intesa, l’acquisizione A)del Trentino Alto Adige fino al Brennero B) della Venezia-Giulia C)dell’Istria piů alcune isole della Dalmazia D) di Saseno e Valona in Albania Inoltre era prevista la partecipazione dell’Italia alla spartizione dell’impero coloniale tedesco e dei possedimenti ottomani.

    4. “La Dalmazia deve essere italiana!” A Parigi, l’Italia rivendica la Dalmazia. A tale richiesta si oppongono la Jugoslavia, appoggiata dal presidente americano Wilson, e la Francia che č contraria alla penetrazione italiana nei Balcani. Gli italiani ritengono invece che, alla luce dei compensi ottenuti dagli altri alleati e del tributo di sangue pagato dalla nazione nel conflitto, l’intera regione debba passare sotto la sovranitŕ di Roma, che in questo modo controllerebbe agevolmente buona parte dell’Adriatico.

    5. ORLANDO (furioso!) A PARIGI Il presidente del consiglio italiano Vittorio Emanuele Orlando, di fronte alla fermezza di USA e Francia nel negare il territorio adriatico all’Italia (cui č concesso solo l’acquisto di Trentino, Istria, e Venezia Giulia), che cosa fa? Prende e se ne va Con il solo risultato di concedere via libera agli altri alleati per la spartizione delle colonie degli sconfitti.

    6. La vittoria mutilata L’abbandono della conferenza di Parigi con i suoi esiti disastrosi infligge un colpo mortale al prestigio italiano e alla reputazione personale di Orlando, tanto che si parlerŕ di una vittoria mutilata. Il presidente, a fronte della radicalizzazione dello scontro politico in Italia - attraversata dalle inquietudini economiche, politiche e culturali del dopoguerra, a loro volta cavalcate dai partiti di massa – rassegna le dimissioni nel giugno 1919.

    7. NITTI Sale al governo Francesco Saverio Nitti, insigne intellettuale, ma privo di vera capacitŕ e fermezza decisionale, a guida di un gabinetto di centro, con l’appoggio dei cattolici del PPI.

    8. Fiume: la cittŕ si trova al confine tra Istria e Dalmazia ed č abitata in maggioranza da italiani.

    9. A Fiume… Fiume con un plebiscito - promosso da un “Consiglio nazionale” che rappresenta gli italiani contro i tentativi di annessione serbocroati - chiede il 30 ottobre 1918 di entrare a far parte della nazione italiana Mentre L’Intesa, alla fine della guerra, la vuole unita alla Jugoslavia.

    10. Il comando interalleato A seguito dei disordini per i perduranti conflitti tra italiani e serbocroati, gli alleati decidono di inviare guarnigioni in cittŕ per mantenere l’ordine (Americani, Italiani, Francesi e Inglesi). Tuttavia le truppe Americane e Francesi divengono anche garanzia delle decisioni antiitaliane che i rispettivi Stati stanno prendendo alla conferenza di Parigi.

    11. Gabriele aiutaci!!! Il Consiglio nazionale di Fiume, il 7 aprile 1919 chiede aiuto a Gabriele D'Annunzio, noto per le sue imprese patriottiche (la beffa di Buccari e il volantinaggio aereo su Vienna) che dell'italianitŕ della cittŕ si era giŕ fatto paladino. Questi accetta l'invito e immediatamente, anche con pubblici discorsi sempre piů patriottici, chiede che l'esercito italiano occupi la cittŕ.Orlando perň appare in altre faccende affaccendato

    12. L’incidente Il 6 luglio 1919, sconsideratamente, ufficiali francesi osano strappare  i nastri tricolori che le donne fiumane portavano in petto. E’ la rivolta che poi sarŕ chiamata  “i Vespri Fiumani”: intervengono soldati e  marinai Italiani, si spara sui francesi. Nei disordini si contano nove morti e parecchi feriti. La commissione d’inchiesta, nominata  dagli alleati, pretende  lo scioglimento del Consiglio  Nazionale  Fiumano, del corpo dei Volontari ed il ritiro dei Granatieri di Sardegna come responsabili dei fatti. Il 25 Agosto i granatieri si ritirano salutati da un mare di tricolori agitati da una folla commossa e piangente. Il sindaco della cittŕ di Fiume nel suo discorso dice : “La Patria vi chiama altrove, ma il vostro cuore resta con noi. Voi ora li conoscete i Fiumani! Dite dappertutto, ove sosterete, ai nostri fratelli, che noi siamo italiani da secoli, e anche staccati dalla Madre siamo sempre stati figli devoti e amorosi….”

    13. Un fausto 11 settembre L’11 settembre 1919 gli ufficiali e i rappresentanti del Consiglio di Fiume offrono a Gabriele D’annunzio la guida per la riconquista della cittŕ

    14. D’Annunzio non si fa pregare Il poeta, dopo aver chiesto a Mussolini un aiuto politico-militare e averne ricevuto un cortese e strategico rifiuto (“Sono con te ma i tempi non sono maturi”), raduna i Granatieri espulsi da Fiume a Ronchi (una borgo vicino a Monfalcone che prenderŕ il nome di Ronchi dei Legionari) e inizia a dirigersi a Fiume attraverso l’Istria.

    15. La marcia di Ronchi Durante il tragitto i Bersaglieri di stanza nella regione ricevono da Nitti l’ordine di fermare il poeta, ma quando incontrano d’Annunzio e i suoi uomini, rifiutano di sparare su ex combattenti pluridecorati e, anzi, infiammati dalle parole e dall’atteggiamento del poeta, invece che fermarlo, lo scortano.

    16. Il governo italiano Il tutto avviene sull’onda di un entusiasmo che le miopi élites liberali italiane non comprendono, prese come sono nel piccolo cabotaggio delle trattative paradiplomatiche, delle mediazioni e dei giochi di potere. Nitti in particolare cerca di dissuadere pubblicamente i partecipanti all’impresa con un monito contro la “sedizione” e le “avventure”.

    17. “Cagoia” Tale atteggiamento merita tutto il disprezzo dei combattenti e del loro “Comandante” che con la solita irriverente fantasia, conia per il presidente del consiglio lo sprezzante nomignolo di “CAGOIA”

    18. Il 12 settembre 1919 D’Annunzio entra a Fiume Con lui sono tutti coloro che hanno deciso di unirsi alla marcia e di partire per la cittŕ: Arditi, Bersaglieri, Granatieri e altri membri dei corpi scelti dell’esercito italiano (circa 2500 uomini che presto diventeranno 10000). Con lui sono anche poeti, letterati, artisti sensibili al richiamo di un nuovo esperimento politico, militare, patriottico ma anche estetico. Non mancano coloro che vedono nel Vate il possibile artefice di una palingenesi sociale, ideale che le pastoie e i settarismi del PSI avevano da tempo accantonato.

    19. Il plebiscito dell’ottobre 1919 Un plebiscito conferma che i cittadini fiumani vogliono essere italiani e che la loro guida deve essere il Comandante (7013 voti favorevoli al Vate su 7154 votanti) INIZIA L’AVVENTURA DELLA REPUBBLICA DEI COMBATTENTI E DEI POETI.

    20. L’esperimento politico dannunziano D’Annunzio entra a Fiume per riconsegnare la cittŕ all’Italia. Paradossalmente perň č l’Italia, nei suoi rappresentanti governativi, che non accetta che Fiume divenga italiana. Da questo paradosso nascerŕ l’idea di una “reggenza”, cioč di un governo effettivo e di una costituzione che “regga” le sorti della cittŕ in attesa che essa possa riunirsi alla madrepatria. Ma la “Reggenza del Carnaro” rappresenterŕ anche un’ occasione storica per dare realizzazione a quelle aspirazioni di rivoluzione sociale e nazionale a lungo covate e alimentate dall’esperienza della trincea.

    21. Guerra di massa e masse in guerra Nelle trincee della Grande Guerra per la prima volta le masse entrano nella storia d’Italia e d’Europa come protagoniste degli eventi. Non che esse non fossero guidate dai comandi, tuttavia la miopia e l’indifferenza alla vita dei generali che mandavano al massacro migliaia di fanti, non potevano togliere alle persone impegnate nei combattimenti l’impressione che il loro eroismo, il loro sacrificio, le loro abilitŕ avrebbero alla fine deciso le sorti della guerra.

    22. Libertŕ e guerra Nelle trincee d’Europa, a prescindere dagli schieramenti in campo, le persone sperimentavano una nuova solidarietŕ e una nuova libertŕ a stretto contatto con la morte e la sofferenza. Si tratta di un’esperienza forte e in grado di modificare l’intero sistema di valori di una persona. In particolare si tratta di un’esperienza di LIBERAZIONE dal timore, dalla paura, dal compromesso accomodante. La guerra pretende tutto dall’uomo, ogni fibra del suo essere viene sacrificata nel delirio delle crudeltŕ e del generale imbarbarimento. MA da tale pretesa nasce un nuova essenzialitŕ, la percezione di una nuova dimensione d’essere, in cui privati di tutto ci si trova a tu per tu con la morte, e perciň stesso questa nuditŕ diventa emancipazione e liberazione da tutti i lacci che ci attaccavano alla vita e alle abitudini: sono privo di tutto MA sono anche libero da tutto, solo con le mie forze interiori a decidere di vivere o morire, e capace di giocare fino in fondo le mie carte perché anche l’attaccamento alla vita non ha piů senso.

    23. Nazionalismo: la comunitŕ dei forti L’esperienza della guerra modifica la percezione dei legami tra le persone. Il singolo non č piů legato all’altro dal comune interesse, ma dal comune sacrificio per la comune esistenza. Quest’ultima prende il nome di Patria. Il singolo prende coscienza del proprio valore solo in relazione a colui che insieme a lui si sacrifica in vista del tutto della Nazione. “E’ il sentimento di una comunitŕ compresa in un grande destino”… “La patria divenne una questione di vita che coinvolgeva direttamente ciascun singolo … e l’uomo, che nel grembo della metropoli si era sempre piů sentito come la rotella di un ingranaggio complicato, si vide chiamato ad un’azione dotata di una perfezione tanto semplice quanto spaventosa, a un’ esistenza virile, sul campo, nel vento, sotto il temporale e in mezzo al pericolo: a un modo d’essere di cui prima di allora si poteva solo leggere nei libri” (E. Juenger, La guerra come esperienza interiore, “Die Standarte”, settembre 1925)

    24. Libertŕ e giustizia sociale Sono in molti a vivere questa esperienza di liberazione. Ma quei molti sono gli stessi che la trincea mette a contatto con quegli intellettuali interventisti rivoluzionari che hanno visto nella guerra la possibilitŕ di una generale rivolgimento politico che spianasse la strada a quella rivoluzione sociale e proletaria capace di instaurare, nei sogni di Marx il regime della fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Sono questi i sindacalisti rivoluzionari che pensano che la violenza (sia essa quella dello sciopero generale, sia quella di una vicenda bellica) generi la possibilitŕ di abbattere il vecchio sistema di sfruttamento borghese mettendo finalmente nelle mani del proletariato il proprio destino.

    25. IL combattentismo fiumano: una sintesi di nazionalismo e socialismo (che non c’entra niente con il nazionalsocialismo) I combattenti fiumani erano agitati da questo spirito esacerbato da due elementi: Da un lato le delusioni per la mancata realizzazione di quel riscatto sociale delle masse che Diaz (capo di stato maggiore dell’esercito italiano) stesso aveva ventilato verso la fine del conflitto; Dall’altro la delusione per quel sogno di grandezza storica della patria subito infrantosi nelle paludi parigine

    26. Combattentismo ossia: arditismo Gli Arditi erano un corpo speciale dell’esercito italiano che si distinse per le sue imprese eroiche alla fine della Grande Guerra. Molti arditi parteciparono all’impresa di Fiume dando ad essa una connotazione speciale in base al loro modo di concepire la vita e il mondo. Cosi Mario Carli (poeta futurista molto vicino a D’Annunzio) ne riassume i caratteri: “Volontarismo. Sdegno del tra-tran, in cui non si rischia né si guadagna troppo. Passione per l’emozione, il pericolo, la lotta. Personalitŕ, iniziativa, fantasia, accortezza di anima predace. Fusione perfetta di pensiero-bellezza-azione. Eleganza di un gesto primitivo, infantile, subito dopo un gesto di eroismo inverosimile. Tutti gli slanci, tutte le violenze, tutte le impennate di cui trabocca l’anima italiana. Aristocrazia, dunque, di carattere, di muscoli, di fede, di coraggio, di sangue, di cervello. Patrizi scesi da cavallo, aviatori scesi dai velivoli, intellettuali usciti dalle ideologie, raffinati fuggiti dai salotti, mistici nauseati dalle chiese, studenti ansiosi di vita e giovinezza, giovinezza, che vuol tutto conquistare o tutto perdere, che vuol dare con pienezza, con salute, con energia i suoi diciannovanni generosi e innamorati dell’Italia, di tutte le cose belle d’Italia, della bella terra, delle belle donne, delle belle cittŕ d’Italia, dell’avvenire che intuiscono meraviglioso” (in: “Roma futurista”, gennaio 1919).

    27. D’Annunzio formatore D’annunzio a Fiume dŕ forma, plasma tutte queste istanze, ne costruisce un sintesi, grazie al suo genio poetico che mette al centro della sua opera politica l’idea di bellezza: La giustizia sociale č bella Il lavoro č bello e “orna il mondo” Il coraggio č bello L’amore giovane ed erotico č bello La lotta č bella La festa č bella

    28. La bellezza La bellezza ha un valore educativo, va messa al centro della vita sociale e politica, perché meglio di tutti i “valori”, di tutte le tecniche, di tutte le legislazioni, di tutte le ideologie, strappa l’uomo a se stesso e rende la sua vita sensata, cioč immortale e felice qui sulla terra. Questo pensiero ripropone l’antico ideale romantico della bellezza come l’infinito nel finito, e l’antico progetto di rinnovare il mondo attraverso l’arte.

    29. D’Annunzio comandante L’esperienza fiumana dura poco piů di un anno, dal settembre 1919 al dicembre 1920. D’Annunzio č il comandante, guida in modo personale le sorti della cittŕ, affiancato dai militari e dagli arditi che lo hanno sin dall’inizio seguito. Egli si ritiene un dittatore temporaneo (come quelli romani) che si impegna nell’intrattenere rapporti con l’Italia, in attesa di costringere le élites di governo ad accettare Fiume come parte integrante della madrepatria.

    30. Una costituzione per Fiume Viste le indecisioni e le ostilitŕ della classe dirigente italiana, egli decide di dare vita ad una vera e propria costituzione fiumana, per dare alla cittŕ un governo stabile ed un ordinamento preciso. Il progetto costituzionale viene affidato ad Alceste de Ambris, uomo di punta della sinistra non socialista, sindacalista rivoluzionario, interventista, libertario. Costui sottoporrŕ il suo lavoro a D’Annunzio che lo limerŕ, anche dal punto di vista della lingua italiana, aggiungendovi alcuni punti che a lui stavano a cuore, e trasformando la carta in un vero e proprio brano letterario.Il 12 novembre 1920 venne proclamata la “Reggenza del Carnaro”.

    31. Una costituzione democratica … Art. 3:La “Reggenza italiana del Carnaro č un governo schietto del popolo”…. “che ha per fondamento la potenza del lavoro produttivo” Art. 18: La sovranitŕ č esercitata dai cittadini che “sono i produttori assidui della ricchezza comune e i creatori assidui della potenza comune” all’interno di uno Stato che č “la volontŕ comune e lo sforzo comune del popolo, verso un sempre piů alto grado di materiale e spirituale vigore”

    32. …corporativa… Il lavoro, intellettuale o manuale, “anche il piů umile, anche il piů oscuro, se sia ben eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo” (art. 14). Esso č al centro del sistema politico. Vi sono dieci corporazioni che riuniscono i lavoratori di tutti gli ambiti produttivi, dando giusto risalto anche a coloro che sono dipendenti e svolgono mansioni non direttive. le corporazioni eleggono i propri rappresentanti in un’apposita istituzione che č parte integrante del potere legislativo. Cosě il lavoro entra nei contesti decisionali e il cittadino lavoratore vede la sua attivitŕ e la sua fatica come perno della vita dell’intera comunitŕ. Si tratta di un’istanza socialista, depurata dai conflitti e dagli odi di classe, di cui il fascismo tenterŕ di raccogliere negli anni successivi l’ereditŕ.

    33. …libertaria… Tutte le libertŕ borghesi e individuali sono garantite (art. 7), compresa la piů completa paritŕ dei sessi (art. 4 e 7). Ma ciň che piů conta č che la libertŕ non finisce nell’individuo, ma tiene conto anche della sua dimensione sociale e comunitaria: si pensi, per esempio, all’idea di una proprietŕ che non possa esistere se non nella sua funzione sociale: non esiste una proprietŕ assoluta di un bene, non esiste l’individuo proprietario, ma unico legittimo titolo di possesso č il lavoro che produce il bene comune. L’individuo non č poi l’unico depositario di diritti: l’individuo trova piena realizzazione nel popolo di cui č parte, la libertŕ č anche nella difesa dei “diritti popolari” (art. 5).

    34. …artistica e festosa… Gli articoli 63 e 64 sono un elemento di originalitŕ dannunziana della costituzione di Fiume. Essi trattano infatti della funzione sociale e politica dell’arte (in particolare l’architettura – art. 63) e della musica. Non si vive degnamente se non nella bellezza e la bellezza va celebrata in tutti i campi della vita pubblica. La gioia dionisiaca del vivere trova il suo particolare spazio nella dimensione musicale: “Non sembra che la grande musica annunzi ogni volta alla moltitudine intenta e ansiosa il regno della Spirito?” (art. 64). Essa eccita l’aurora e i suoi spettacoli corali ed orchestrali “sono totalmente gratuiti come dai Padri della Chiesa č detto delle grazie di Dio”. (art. 65)

    35. La vita a Fiume: l’utopia A Fiume accorrono ben presto moltissimi giovani che hanno vissuto da protagonisti la guerra e che trovano la vita borghese insopportabilmente al di sotto delle aspettative che la guerra stessa aveva alimentato. La repubblica dannunziana appare loro come la degna risposta alle piccolezze della classe dirigente italiana e un monito a quei poteri internazionali che intendevano preservare i propri privilegi, contro le nazioni giovani e povere, ansiose di liberarsi dalle catene e dalla servitů:

    36. Italia e vita (discorso di D’Annunzio – 24/10/1919) “Noi potremo perire tutti sotto le rovine di Fiume, ma dalle rovine lo Spirito balzerŕ vivo ed operante: dall’indomito Sinn Fein irlandese alla bandiera rossa che in Egitto unisce la Mezzaluna e la Croce, tutte le insurrezioni dello spirito contro i divoratori di carne cruda e contro gli smungitori di popoli inermi si riaccenderanno alle nostre faville che volano lontano…Tutti gli insorti di tutte le stirpi si raccoglieranno sotto il nostro segno. E gli inermi saranno armati. E la forza sarŕ opposta alla forza. E la nuova crociata di tutte le nazioni povere e impoverite, la nuova crociata di tutti gli uomini poveri liberi, contro le nazioni usurpatrici e accumulatrici di ogni ricchezza, contro le razze da preda e contro la casta degli usurai, che sfruttarono ieri la guerra per sfruttare oggi la pace, la crociata novissima ristabilirŕ quella giustizia vera…”

    37. La vita a Fiume: la cultura Fiume diventa anche un centro di vita culturale interanzionale. Il poeta Giovanni Comisso e l’aviatore, poeta, combattente, artista, nudista Guido Keller, fondano con altri la “YOGA, unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione”, associazione dotata di un proprio giornale, che accoglie tutte le avanguardie culturali italiane ed europee e si batte contro il vecchiume artistico e politico dell’italia (e contro le correnti fiumane di destra legate a Giovanni Giuriati). Il poeta polacco Leon Kochnitzky, musicista e letterato appassionato dell’Italia e laureatosi in filosofia a Bologna, ebreo poliglotta convertito al cattolicesimo, dopo aver intervistato D’Annunzio per un giornale belga viene cooptato dal comandante e diventa una sorta di ambasciatore di Fiume all’estero. Henry Furst newyorchese di origine tedesca, filobolscevico come Kochnitzky, regista teatrale, segue la stampa straniera per conto di D’Annunzio .il professore di lingue e cultura giapponese all’istituto orientale di Napoli, Harukichi Scimoi, dopo aver in precedenza conosciuto D’Annunzio, si reca a Fiume e viene accolto dal Comandante con un discorso sul “riscatto dell’Asia”.

    38. Fiume futurista Anche il capo del movimento futurista si reca a Fiume, dove molti artisti futuristi hanno veduto la possibilitŕ di diffondere il loro verbo, guidati da Mario Carli, fondatore della rivista futurista fiumana “Testa di Ferro”. Marinetti, poco dopo il suo ritorno dalla cittŕ istriana ebbe a dichiarare pubblicamente: “Ho passato a Fiume una ventina di giorni meravigliosi in un'atmosfera di alto patriottismo generoso ed eroico. Il mio primo discorso alle truppe e tutti quelli che seguirono nelle piazze e nelle diverse mense dei granatieri, degli arditi e del genio, furono accolti col piů fervido entusiasmo. Dopo il mio discorso sull'opera artistica e politica di Gabriele d'Annunzio, al banchetto degli arditi, il duce (e cito qui la " Vedetta d'Italia " del 25 settembre) si alzň e disse: " Per Marinetti e per Vecchi, valorosi agitatori milanesi, gridate: Eja! Eja! Alalŕ!". (Lettera al “Giornale d’Italia” del 19/10/1919)

    39. La vita a Fiume: gli Uscocchi Poco dopo l’entrata di D’annunzio in cittŕ, il governo italiano promuove un blocco navale con lo scopo di impedire i rifornimenti ai legionari. Malgrado il blocco venga piů volte violato, esso risulta estremamente dannoso per l’economia e le attivitŕ produttive della zona. D’Annunzio, insieme ai suoi fedeli, decide allora di adattarsi a quella che non puň non essere un’ economia di guerra. Ciň comporta la creazione di un corpo speciale di veri e propri pirati, che prendono il nome di Uscocchi, dagli antichi pirati cristiani del Carnaro, dediti ad azioni di rapina contro il naviglio mussulmano, e autori di gesta di leggendario coraggio.

    40. Pirateria e goliardia Gli Uscocchi, travestendosi da turisti e viaggiatori, si imbarcano su navi da trasporto in piccoli gruppi (6,7, 10 persone), una volta al largo ne prendono possesso e le dirottano su Fiume, appropriandosi del loro carico di vettovaglie e di oggetti vari. Essi si rendono protagonisti anche di azioni e incursioni beffarde (come quando rubano 46 cavalli all’esercito italiano e li scambiano con 46 denutriti ronzini fiumani).

    41. La vita a Fiume: le feste Cosě L. Kochnitzky spiega il ritmo dionisiaco delle giornate fiumane in cui l’esistenza privata si confonde con quella pubblica: in piazza e per le vie a tutte le ore si parla, si discute, nascono gli amori e si vive come in un antico forum, che i passeggiatori traversano in largo e in lungo:

    42. “Cortei, fiaccolate, fanfare” “…Si crea cosě a poco a poco, questa atmosfera di perpetuo quattordici luglio che avvolge il nuovo venuto a Fiume. Cortei, fiaccolate, fanfare e canti, danze, razzi, fuochi di gioia, discorsi, eloquenza, eloquenza, eloquenza… Mai scorderň la festa di San Vito, patrono di Fiume, il 15 giugno 1920; la piazza illuminata, le bandiere, le grandi scritte, le barche coi lampioncini fioriti (anche il mare aveva la sua parte di festa) e le danze… Si danzava dappertutto: in piazza, ai crocevia, sul molo; di giorno, di notte, sempre si ballava, si cantava; né era la mollezza voluttuosa delle barcarole veneziane; piuttosto un baccanale sfrenato. Sul ritmo delle fanfare marziali si vedevano turbinare, in scapigliati allacciamenti, soldati, marinai, donne, cittadini… Lo sguardo, dovunque si fosse fermato vedeva una danza, di lampioni, di fiaccole, di stelle; affamata, rovinata, angosciata, forse alla vigilia di morire nell’incendio o sotto le granate, Fiume, squassando una torcia, danzava davanti al mare” (La quinta stagione o i centauri di fiume, pp. 45-46)

    43. La vita a Fiume: l’amore L’ultimo discorso di D’Annunzio a Fiume si chiude con un “Viva l’amore, Alalŕ!!!”. Fiume rimane un cittŕ di amore, dove eros trionfa: l’eros della battaglia che va a braccetto con Thanathos, e l’eros dei letti, degli anfratti, dove i giovani celebravano la loro gioia di vivere, dove anche gli ormoni danzavano senza ordine, senza direzione e il sesso, etero od omosessuale, diventava una necessitŕ fatale. Non si trattava perň di mollezza, di una ricerca del piacere decadente, di un bisogno edonistico, ma di una sovrabbondanza di energie vitali, che come gli atomi di Democrito, nel loro vorticoso sciamare DOVEVANO INCONTRARSI.

    44. La fine dell’avventura: il trattato di Rapallo In Italia infuriano le agitazioni socialiste del “biennio rosso”, Nitti, incapace di risolvere la situazione, deve lasciare il campo al piů navigato e furbo Giolitti nel giugno 1920. Quest’ultimo intende anche risolvere tramite un’accorta azione diplomatica la questione di Fiume. Prende contatti con la Jugoslavia e firma il trattato di Rapallo nel novembre 1920, dove viene deciso che Fiume sarebbe diventata cittŕ libera, l'Italia avrebbe rinunciato ad ogni pretesa sulla Dalmazia a parte Zara, che sarebbe passata all'Italia. Ma il governo “illegale” instaurato da Gabriele D'Annunzio sulla cittŕ in nome dell'Italia non vuole riconoscere un trattato che passa sulla testa degli abitanti e di coloro che hanno costruito a Fiume un nuova e fiorente realtŕ politico-culturale. Giolitti allora manda contro la cittŕ ribelle la regia marina, guidata da Enrico Caviglia.

    45. La fine dell’avventura: il Natale di sangue I Il rifiuto da parte di D'Annunzio di accettare l'ultimatum che imponeva di abbandonare Fiume e la denuncia del trattato di Rapallo come illegale provoca il cannoneggiamento della cittŕ da parte della Regia Marina che costringe il Comandante, restio a continuare quella guerra civile che il governo aveva irresponsabilmente iniziato, a consegnarla alla fine dell'anno. La battaglia dei legionari e volontari dannunziani contro l'esercito regolare italiano, comandato dal generale Enrico Caviglia, inizia il 24 dicembre1920 e dura cinque giorni: il lasso di tempo definito dallo stesso Vate il Natale di Sangue. Alla fine si contano diverse vittime, fra cui ventidue legionari, diciassette soldati italiani e cinque civili. Numerosi sono i feriti. Le truppe italiane entrano a Fiume nel gennaio successivo. .

    46. Davanti ai morti di Fiume: “Non eravamo legioni armate, eravamo un’armonia ascendente” « Ieri nel camposanto di Fiume, la volontŕ di ascendere, che travaglia ogni gesta di uomini, toccň l'ultima altezza. Parve la nostra vita piů alta ora nel cielo dell'anima. Sapevano che io li conducevo verso la sommitŕ di una bellezza a me stesso ignota? Quante volte nelle piazze, nelle corti, nei crocicchi, nei prati, su per le colline, lungo le rive, dalla ringhiera, quante volte avevo detto a questi poeti inconsapevoli le parole della piů ebbra poesia? «Chi mai potrŕ imitare l'accento delle nostre canzoni e la cadenza dei nostri passi? Quali combattenti marciano come noi verso l'avvenire? Non eravamo una moltitudine grigia; eravamo un giovine dio che ha rotto la catena foggiata col ferro delle cose avverse e cammina incontro a se stesso avendo l'erba e la mota appicicate alle calcagna nude». Comprendevano. Dischiudevano le labbra perché si gonfiava il cuore. Bevevano la melodia. Credevano ch'io dessi loro da mangiare il miele del mattino: «Il miele senza sostanza». Non eravamo legioni armate; eravamo un'armonia ascendente. Nessuno rimase in piedi: nessuno delle milizie, nessuno del popolo. E colui che versň piů lacrime si sentě piů beato. E qualcosa di noi trasumanava; e qualcosa di grande nasceva, di lŕ dal presente. E ogni lacrima era Italia; e ogni stilla di sangue era Italia; e ogni foglia di lauro era Italia. E nessuno di noi sapeva che fosse e di dove scendesse quella grazia. Tale fu ieri il commiato che i Legionarii diedero alla terra di Fiume. E domani a un tratto la cittŕ sarŕ vuota di forza come un cuore che si schianta. Questi italiani hanno dato il loro sangue per l'opera misteriosa del fato latino, con terribile ebrezza d'amore i nostri, e gli altri con inconsapevole tremito scrivono nella muraglia funebre: «Credo nella Patria futura, e mi prometto alla Patria futura». Inginocchiamoci e segniamoci, armati e non armati, davanti a questi morti. » Gabriele D’Annunzio

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