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La Ragione e la follia: l’orizzonte del mio sguardo

La Ragione e la follia: l’orizzonte del mio sguardo. Il soggetto nella filosofia contemporanea CARTESIO: L’EVIDENZA DEL SOGGETTO FOUCAULT E DERRIDA: IL COGITO E LA FOLLIA FOCAULT : LA RICOSTRUZIONE DEL QUADRO STORICO CHE DETERMINA GLI SGUARDI

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La Ragione e la follia: l’orizzonte del mio sguardo

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  1. La Ragione e la follia: l’orizzonte del mio sguardo • Il soggetto nella filosofia contemporaneaCARTESIO: L’EVIDENZA DEL SOGGETTO • FOUCAULT E DERRIDA: IL COGITO E LA FOLLIA • FOCAULT: LA RICOSTRUZIONE DEL QUADRO STORICO CHE DETERMINA GLI SGUARDI • DERRIDA: LA DECOSTRUZIONE DELLO SGUARDO CHE DETERNIMA IL QUADRO STORICO • FOUCAULT E DERRIDA NEL RETROBOTTEGA

  2. Il soggetto nella filosofia contemporanea Novecento : Filosofia moderna: Ottocento: la dissoluzione del soggetto la scoperta del soggetto l’individuazione del soggetto Dimensione collettiva La critica al modello storico di uomo occidentale: Hegel: storico-culturale (Spirito oggettivo) Cartesio: l’io come prima certezza La scuola di Francoforte: l’uomo eterodiretto Feuerbach: relazionale Hobbes, Locke: lo stato come prodotto dell’uomo Marx: storico-sociale (materialismo storico) Heidegger: la vita inautentica La critica al concetto di soggetto Hume: la scienza della natura umana Positivismo: naturale-biologica Heidegger: Io non originario, io, mondo e altri si costituiscono insieme Kant: le forme a priori (strutture mentali) del soggetto Dimensione individuale Romanticismo: sentimenti, emozioni Strutturalismo, post-strutturalismo: soggetto = strutture linguistiche, culturali, sociali, economiche Soggetto = ragione Kierkegaard: esistenziale Rousseau: la società come causa della degenerazione dell’uomo Nietzsche: psico-culturale Freud: inconscia Soggetto = Nietzsche  volontà di potenza (volontà di dar senso a se stesso e alle cose) Soggetto = Freud  pulsioni, desideri inconsci I maestri del sospetto: Marx, Nietzsche, Freud Soggetto ≠ coscienza Il dubbio investe l’oggetto, la realtà delle cose Il dubbio investe il soggetto

  3. Il soggetto nella filosofia contemporanea Novecento : la dissoluzione del soggetto Soggetto = volontà di potenza (volontà di dar senso a se stesso e alle cose) L’interpretazione (ermeneutica) Heidegger: il linguaggio come luogo di incontro dell’uomo e del mondo Gadamer: comunità linguistica e dialogo Derrida: la decostruzione dei testi, l’importanza del non detto La volontà Sartre: progetto, responsabilità, impegno (esistenzialismo) Scuola di Francoforte: critica al sistema e resistenza all’irrazionalità del sistema (Marxismo) Foucault: la rivolta contro i poteri, la cura di sé (strutturalismo, post-strutturalismo) Soggetto = Freud  pulsioni, desiderio Freud: maggior controllo razionale e minor repressione sociale Marcuse: eliminazione repressione sociale e liberazione eros (Scuola di Francoforte) Deleuze: liberazione desiderio (post-strutturalismo)

  4. Hegel e la modernità Soltanto con Cartesio [...] perveniamo propriamente a una filosofia autonoma, consapevole che l’autocoscienza è momento essenziale del vero. [...] Ormai possiamo dire di trovarci in essa proprio a casa nostra e, come il navigatore dopo lungo errare sul pelago infuriato, possiamo gridar “terra”!; a Cartesio infatti mette capo veramente la cultura dell’età moderna, il pensiero della filosofia moderna, dopo che a lungo si era andati avanti sulla vecchia via. Cartesio è un eroe che ricominciò da capo l’impresa e restituì alla filosofia quel terreno alla quale essa tornò soltanto adesso dopo trascorsi mille anni. (Hegel, Lezioni di Storia della filosofia, 3, II) G. W. F. Hegel (1770-1831) La modernità di Cartesio La centralità della coscienza del soggetto Conversione dal cielo alla terra

  5. CARTESIO: L’EVIDENZA DEL SOGGETTO I sensi possono ingannarci bisognava necessariamente che io, che la pensavo, fossi pur qualcosa I ragionamenti possono essere sbagliati Io penso, dunque sono Non possiamo distinguere tra sogno e realtà il principio primo della mia filosofia Centralità soggetto poiché i nostri sensi talvolta c'ingannano, volli supporre non esserci nessuna cosa che fosse quale essi ce la fanno immaginare. . . . pensai ch'io ero soggetto ad errare come ogni altro, e però respinsi come falsi tutti i ragionamenti che avevo preso sin allora per dimostrazioni. In fine, considerando che gli stessi pensieri, che noi abbiamo quando siam desti, possono tutti venirci anche quando dormiamo benché allora non ve ne sia alcuno vero, mi decisi a fingere che tutto quanto era entrato nel mio spirito sino a quel momento non fosse più vero delle illusioni dei miei sogni. Ma, subito dopo, m'accorsi che, mentre volevo in tal modo pensare falsa ogni cosa, bisognava necessariamente che io, che la pensavo, fossi pur qualcosa. Per cui, dato che questa verità: Io penso, dunque sono, è così ferma e certa . . . giudicai di poterla accogliere senza esitazione come il principio primo della mia filosofia. (Cartesio, Discorso sul metodo) SEMBRA che oltre le discipline filosofiche non sia necessario ammettere un'altra scienza. ...RISPONDO: Era necessario, per la salvezza dell'uomo che, oltre le discipline filosofiche d'indagine razionale, ci fosse un'altra dottrina procedente dalla divina rivelazione. Prima di tutto perché l'uomo è ordinato a Dio come ad un fine che supera la capacità della ragione (Tommaso d’Aquino, Somma teologica, Parte prima, Questione 1) René Descartes (1596-1650)

  6. Il soggetto è alla base delle rappresentazioni delle cose Centralità soggetto Il pensiero rispecchia la realtà com’è? Io penso, dunque sono Posso fingere di non aver un corpo, che il mondo non esista ma non perciò . . . di non esserci io (= non pensare) Dubbio mondo esterno Sono una sostanza pensante distinta dal corpo Separazione anima e corpo Se davvero platonismo e cristianesimo sono le due grandi correnti di pensiero che hanno dato vita e volto all'Occidente, la mortificazione del corpo da loro inaugurata ha trovato il suo proseguimento e la sua radicalizzazione nel sistema delle scienze moderne che Cartesio ha inaugurato e in cui ancora oggi, senza residui, l'Occidente si identifica. Per fondare questo mondo oggettivo e astratto Cartesio ha dovuto mettere tra parentesi la vita pre ed extra-scientifica e quindi tutte quelle formazioni di senso che si fondano sull'esperienza corporea attraverso cui il mondo ci è direttamente alla mano. L'io dell'uomo sensibilmente intuitivo della vita quotidiana venne spezzato in anima e corpo. Il corpo, da soggetto che esplora con i suoi sensi il mondo, venne risolto in oggetto, relegato nella “cosa estesa”, e inteso, al pari di tutti gli altri corpi, in base alle leggi fisiche che presiedono l'estensione e il movimento. . . . Tra l'io umano che abita il mondo e l'ego cogito c'è una sola differenza: l'io umano abita un corpo, l'ego cogito è pura mente. (U.Galimberti , Psichiatria e fenomenologia) Così le cose naturali si dicono vere in quanto attuano la somiglianza delle specie che sono nella mente di Dio: p. es., si dice vera pietra, quella che ha la natura propria della pietra, secondo la concezione preesistente nella mente di Dio. - Quindi, la verità è principalmente nell'intelletto, secondariamente nelle cose, per la relazione che esse hanno all’intelletto, come a loro principio. L'assioma, «la verità è adeguazione tra la cosa e l'intelletto», può riferirsi ai due aspetti della verità. (Tommaso d’Aquino, Somma teologica, Parte prima, Questione 16) Poi, esaminando con attenzione ciò che ero, e vedendo che potevo fingere, sì, di non avere nessun corpo, e che non esistesse il mondo o altro luogo dove io fossi, ma non perciò potevo fingere di non esserci io . . . ne conclusi esser io una sostanza, di cui tutta l'essenza o natura consiste solo nel pensare . . . Questo che dico «io», dunque, cioè, l'anima, per cui sono quel che sono, è qualcosa d'interamente distinto dal corpo, ed è anzi tanto più facilmente conosciuto, sì che, anche se il corpo non esistesse, non perciò cesserebbe di esser tutto ciò che è. (Cartesio, Discorso sul metodo)

  7. Il pensiero rispecchia la realtà com’è? Centralità ed evidenza per il soggetto Centralità soggetto Dubbio mondo esterno Io penso, dunque sono tutte le cose che noi concepiamo molto chiaramente e molto distintamente sono vere Separazione anima e corpo Perché Dio essendo buono non può permettere che ci inganniamo Supporrò dunque che non Dio, sommo bene, fonte di verità, ma un genio maligno, sommamente potente ed astuto, abbia posto ogni suo sforzo ad ingannarmi; riterrò che il cielo, l'aria, la terra, i colori, le figure, i suoni e tutto il mondo esterno non siano altro che inganni di sogni, con i quali ha cercato di ingannare la mia credulità. . . . Ma forse Dio non ha voluto che fossi così ingannato, ed infatti viene definito come sommamente buono. . . . Ma dopo che ho riconosciuto che vi è un Dio, per il fatto che, in pari tempo, ho riconosciuto anche che tutte le cose dipendono da lui, e ch'egli non è ingannatore, ed in seguito a ciò ho giudicato che tutto quel ch'io concepisco chiaramente e distintamente non può non essere vero, ancorché non pensi più alle ragioni per le quali l'ho giudicato vero, purché mi ricordi di averlo chiaramente compreso, non mi si può portare niuna ragione contraria, che me lo faccia mai revocare in dubbio.  (Cartesio, Meditazioni metafisiche, Terza meditazione) Ora io chiuderò gli occhi, mi turerò le orecchie, distrarrò tutti i miei sensi, cancellerò anche dal mio pensiero tutte le immagini delle cose corporee, . . . e così intrattenendo solamente me stesso e considerando il mio interno, cercherò di rendermi a poco a poco più noto e più familiare a me stesso. Io sono una cosa che pensa . . . In questa prima conoscenza non si trova nient'altro che una chiara e distinta percezione del fatto che io conosco; percezione, la quale, a dir vero, non sarebbe sufficiente per assicurarmi che essa è vera se potesse mai accadere che si trovasse esser falsa una cosa, che io concepissi così chiaramente e distintamente. E pertanto mi sembra che già possa stabilire per regola generale, che tutte le cose che noi concepiamo molto chiaramente e molto distintamente sono vere. (Meditazioni metafisiche , Terza meditazione) Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virai, e la tua sapienza incalcolabile. E l'uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato . . . Ma come invocare il mio Dio, il Dio mio Signore? Invocarlo sarà comunque invitarlo dentro di me; ma esiste dentro di me un luogo, ove il mio Dio possa venire dentro di me, ove possa venire dentro di me Dio, Dio, che creò il cielo e la terra"? (Agostino d’Ippona, Confessioni)

  8. CARTESIO: L’EVIDENZA DEL SOGGETTO I sensi possono ingannarci bisognava necessariamente che io, che la pensavo, fossi pur qualcosa I ragionamenti possono essere sbagliati Io penso, dunque sono Non possiamo distinguere tra sogno e realtà il principio primo della mia filosofia Centralità soggetto Un demone maligno potrebbe ingannarmi (dubbio iperbolico) Il soggetto è alla base delle rappresentazioni delle cose Centralità ed evidenza per il soggetto Il pensiero rispecchia la realtà com’è? Io penso, dunque sono Dubbio mondo esterno Posso fingere di non aver un corpo, che il mondo non esista, pensare di essere ingannato ma non perciò . . . di non esserci io (= non pensare) tutte le cose che noi concepiamo molto chiaramente e molto distintamente sono vere Sono una sostanza pensante distinta dal corpo Perché Dio essendo buono non può permettere che ci inganniamo Separazione anima e corpo René Descartes (1596-1650)

  9. FOUCAULT E DERRIDA: IL COGITO E LA FOLLIA FOCAULT: LA RICOSTRUZIONE DEL QUADRO STORICO CHE DETERMINA GLI SGUARDI DERRIDA: LA DECOSTRUZIONE DELLO SGUARDO CHE DETERNIMA IL QUADRO STORICO 1961: Foucault scrive Storia della follia contenente tre pagine dedicate all’analisi del cogito cartesiano 1963: conferenza di Derrida Cogito e storia della follia, inserita fra i saggi de La scrittura e la differenza (1967). 1972: nuova edizione della Storia della follia contenente il saggio Il mio corpo, questo foglio, questo fuoco 1991: Derrida concentrando la riflessione su una frase di Foucault contenuta nella Storia della follia: «bisogna essere giusti con Freud» tiene una conferenza che diventerà poi il saggio Essere giusti con Freud. m. Foucault (1926-84) j. Derrida (1930-2004)

  10. FOUCAULT: LA RICOSTUZIONE DEL QUADRO STORICO CHE DETERMINA GLI SGUARDI la cultura moderna: l’occultamento dell’esperienza tragica della follia F. Goya (1746-1828) Il manicomio H. Bosch (1450-1516) Il giardino delle delizie H. Bosch (1450-1516) La nave dei folli

  11. FOUCAULT: LA RICOSTUZIONE DEL QUADRO STORICO CHE DETERMINA GLI SGUARDI Medioevo: Povertà e carità necessari alla salvezza comune accoglienza Rinascimento: Coscienza tragica + coscienza critica della follia Riforma – Controriforma (XVI-XVII: miserabile effetto del disordine e ostacolo all'ordine L’avvenimento Cartesio internamento L'usanza dell'internamento indica una nuova reazione alla miseria, un nuovo patetico e, più in generale, un rapporto diverso dell'uomo verso ciò che può esserci disumano nella sua esistenza. Il povero, il miserabile, il folle, l'uomo che non è padrone dellapropria esistenza, ha assunto lungo il XVI secolo un aspetto che il Medioevo non avrebbe riconosciuto. (Foucault, Storia della follia, pag. 67-69) Ma occorrerà. un lungo periodo di latenza, i quasi due secoli della Renaissance, perché la follia, questa nuova ossessione che succede alla lebbra come paura secolare, susciti al pari di essa reazioni tendenti alla separazione, all'esclusione, alla purificazione, che pure le sono apparentate in modo evidente … Da un lato Bosch, Brueghel, Dürer e tutto il silenzio delle immagini . . . Dall'altro lato, con Brandt, con Erasmo, con tutta la tradizione umanistica, la follia è accolta nell'universo del discorso. In breve, la coscienza critica della follia si è andata sempre più illuminando, mentre i suoi aspetti tragici si oscuravano progressivamente (Foucault, Storia della follia, pag. 67-69) Viene tracciata una linea di separazione che renderà ben presto impossibile l'esperienza, così familiare alla Renaissance, di una Ragione sragionevole e di una ragionevole Sragione. Fra Montaigne e Cartesio si è prodotto un avvenimento: qualcosa che riguarda l'avvento di una ratio. Ma la storia di una ratio come quella del mondo occidentale è ben lontana dall'esaurirsi nel progresso di un "razionalismo"; essa è costituita, in parte altrettanto grande, anche se più segreta, dal movimento con cui la Sragione è sprofondata nel nostro suolo, per sparirvi senza dubbio, ma per prendervi radice (M. Foucault, Storia della follia, pag. 70 È un luogo comune affermare che la Riforma ha portato a una laicizzazione delle opere nei paesi protestanti. Ma incaricandosi per conto proprio di tutta questa popolazione di poveri e d'incapaci, lo stato o l'amministrazione pubblica preparano una nuova forma di sensibilità alla miseria; sta per nascere un'esperienza del patetico che non parla più di una glorificazione del dolore, né di una salvezza comune alla Povertà e alla Carità, ma che intrattiene l'uomo unicamente nei suoi doveri verso la società e indica nel miserabile, a un tempo, un effetto del disordine e un ostacolo all'ordine. Non si tratta dunque più di esaltare la miseria nel gesto che le porta sollievo, ma, semplicemente, di sopprimerla. Se si rivolge alla Povertà come tale, anche la Carità è disordine. (Foucault, Storia della follia, pag. 84)

  12. FOUCAULT: LO SGUARDO DI CARTESIO Errori: Sensi Sogno Follia corretti dalla ragione esclusa dalla ragione Foucault: - legge l’Io penso come l’espulsione della follia dal pensiero, la loro netta separazione - vede nella sua esclusione dal soggetto che dubita la giustificazione del “Grande internamento”, ovvero la segregazione, da parte del potere, dei “diversi”, folli, vagabondi, mendicanti in asili di pazzi, case di lavoro o prigioni Nel cammino del dubbio, Cartesio incontra la follia accanto al sogno e a tutte le forme d'errore. Nell'economia del dubbio c'è uno squilibrio fondamentale tra follia da una parte, sogno ed errore dall'altra. La loro situazione è diversa in rapporto alla verità e a colui che la cerca; sogni e illusioni sono superati nella struttura stessa della verità; ma la follia è esclusa dal soggetto che dubita. Come ben presto sarà escluso che egli non pensi e che non esista. Una certa decisione è stata presa, dal tempo degli Essais. Quando Montaigne incontrava il Tasso, niente lo assicurava del fatto che ogni pensiero non fosse intriso di sragione. . . . Ora, Descartes ha acquistato questa certezza e la conserva solidamente: la follia non può più riguardarlo. Sarebbe una stravaganza il supporre d'essere stravagante; . . . Così il rischio della follia è scomparso dall'esercizio stesso della Ragione. Quest'ultima è ridotta a un pieno possesso di se stessa, in cui non può incontrare altre insidie che l'errore, altri pericoli che l'illusione. (Foucault, Storia della follia, pag. 67-69)

  13. FOUCAULT: l’AUTOCONSAPEVOLEZZA DEL SOGGETTO Come si produce l’AUTOCONSAPEVOLEZZA DEL SOGGETTO come la mentalità collettiva diventa l’autoconsapevolezza individuale Saperi (Episteme epoca storica): Mentalità collettiva Giochi di verità psichiatria, medicina, economia Giochi di potere carcere, manicomi, esercito, ospedale, scuola,famiglia Istituzioni sociali: + Repressione Comunicazione sociale Autoconsapevolezza del soggetto = Mentalità collettiva Ho cercato di dimostrare come il soggetto costituisse se stesso, in questa o quella determinata forma, in quanto soggetto folle o soggetto sano, in quanto soggetto delinquente o in quanto soggetto non delinquente, attraverso alcune pratiche che erano giochi di verità, pratiche di potere, ecc. Dovevo rifiutare una certa teoria a priori del soggetto per poter fare l'analisi dei rapporti che intercorrono tra la costituzione del soggetto o le differenti forme di soggetto e i giochi di verità, le pratiche di potere, ecc. . . . quando dico "gioco" dico un insieme di regole di produzione della verità. Non è un gioco nel senso di imitare o di recitare..., si tratta di un insieme di procedure che conducono a un certo risultato, che può essere considerato, in funzione dei suoi princìpi e delle sue regole di procedura, come valido o no, come vincente o perdente. (Archivio Foucault “Interventi, colloqui, interviste, Vol III 1978-85) grande reclusione di folli, poveri, emarginati Età moderna – società borghese Soggetto = ragione condanna pazzia, povertà, comportamenti emarginanti Potere Mentalità collettiva e coscienza individuale: Saperi:

  14. FOUCAULT: IL GRANDE INTERNAMENTO E LA MORALE AMMINISTRATA le istituzioni: la reclusione dei folli P. Bruegel (1525-1569) Greta la pazza

  15. FOUCAULT: IL GRANDE INTERNAMENTO E LA MORALE AMMINISTRATA L'internamento, questo fenomeno massiccio le cui tracce sono reperibili in tutta l'Europa del XVII secolo . . . Prima di avere il senso medico che noi gli diamo, o che desideriamo supporre in esso, l'isolamento si è reso necessario per tutt'altra causa che la preoccupazione di guarire. Ciò che l'ha reso necessario è un imperativo di lavoro. La nostra filantropia vorrebbe volentieri riconoscere i segni di una benevolenza verso la malattia, là dove spicca solo la condanna dell'ozio. Esso costituisce una delle risposte che vengono date dal XVII secolo a una crisi economica che interessa tutto il mondo occidentale nel suo insieme . . . L'alternanza è chiara: mano d'opera a buon mercato nei periodi di pieno impiego e di alti salari; e in periodo di disoccupazione riassorbimento degli oziosi e protezione sociale contro l'agitazione e le sommosse. Non dimentichiamo che le prime case d'internamento appaiono in Inghilterra nei centri più industrializzati del paese; in Francia a Lione, quarant'anni prima che a Parigi … In questo primo slancio del mondo industriale il lavoro non appare legato ai problemi che esso stesso susciterà; lo si concepisce invece come soluzione generale, panacea infallibile, rimedio a tutte le forme di miseria. (M. Foucault, Storia della follia) Il disegno complessivo composto dall’insieme delle misure repressive e di controllo è quello di una cittadella ortodossa, cinta da mura spirituali e materiali, protetta da milizie celesti ma anche terrene ... l'affermazione delle nuove dimensioni della presenza della Chiesa passava attraverso la costruzione di un rapporto individuale col singolo cristiano in quanto fedele. E la persona si riassumeva e si concentrava nella coscienza come luogo segreto, accessibile solo al confessore o comunque al potere ecclesiastico: d'altra parte, l'effetto del potere su quel luogo si fece sempre piú evidente nella serie di immagini e termini giudiziari (tribunale, prove, indizi, probabilità, esame ecc.) con cui la coscienza si rese pensabile nella letteratura dei «casi» dedicata al suo governo … (A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari) È un fenomeno importante questa invenzione di un luogo di coercizione dove la morale infierisce per via d'assegnazione amministrativa. L'ordine degli stati non tollera più il disordine dei cuori. Si suppone una specie di reversibilità dall'ordine morale dei problemi a quel­lo fisico, una possibilità di passare dal primo al secondo senza residui, né violenza, né abuso di potere. L'applicazione integrale della legge morale non appartiene più agli adempimenti; essa può realizzarsi a partire dal piano delle sintesi sociali. La morale si lascia amministrare come il commercio o l'industria. (M. Foucault, Storia della follia) XVII_XVIII sec: Reclusione  lavoro forzato Fine economia comunitaria + Alienazione piccola proprietà fondiaria Processo di disciplinamento della società Espulsione dei contadini dalla campagna (carestie) XIX sec: urbanizzazione  lavoro nelle fabbriche

  16. DARIO FO - MISTERO BUFFO: lo storpio e il cieco (giullarata XIV sec)

  17. Processo di disciplinamento della società ... A savigliano Espulsione dei contadini dalla campagna (carestie) Il nome del Signor nostro GiesuChristo sii l'Anno di nostra salute millecinquecento novanta sette ... in savigliano ... sono comparsi m. Antonio etmad. Anna di Savigliano...quali sono carrighi di quattro figliuoli piccoli et non haver per la Grande carestia del presente anno et mala riaccolta fatta il modo di allimentarsiluoro con detti luoro figlioli per non haver esso Antonio alcun essercitio salvo non venghino all'allienatione della suddetta possessione. ... Archivio storico Ospedale SS. Annunziata di Savigliano Il controllo dei poveri: l’Ospedale di Carità o Congregazione della Carità (prima metà XVIII sec ) con il compito di "levare i poveri d'andar elemosinando di porta in porta e di istruirli nei dogmi principali di nostra fede” Il controllo dei comportamenti: il Concilio di Trento Il controllo dei poveri: l’Ospedale di Carità o Congregazione della Carità (prima metà XVIII sec ) con il compito di "levare i poveri d'andar elemosinando di porta in porta e di istruirli nei dogmi principali di nostra fede” Come preso ch'ebbe il possesso della sua Chiesa, si diede a provedere alle cose di sua pastorale cura, et del gran zelo divino che mostrò in tutte le sue attioni. Cap. XIV. «Hebbe a pena il buon Vescovo (Ancina) nella sua Chiesa il piede fisso, che tutto si rivolse alla riforma di quella, la quale per mancamento di Pastore, et a causa delle passate guerre, cominciava a patire delle incommodità, et disastri, che le povere greggie sentono, quando da i loro veri guardiani sono abbandonate. . . . Nella visita principalmente s'informava da Curati delli andamenti de' loro popoli ... ordinò, che in tutto, e per tutto s'osservassero le costitutioni del sacro, et santo  Concilio di Trento . . . levò l'abuso di mangiare carne la prima Domenica di Quaresima, et di commetter certe pazzie, che solevano fare in memoria del passato Carnovale i giovani della città in quel giorno ( F. A. Della Chiesa "Vita del servo di Dio Mons. Giovenale Ancina di Fossano", prima edizione 1629) ..La Congregazione ha stimato bene far un scrutinio, ossia esame delle famiglie vergognose, e per ciò fare ha eletto gli Signori A. Filiberto Longis, teologo e Canonico Carignani e Maurizio Derossi dandoli per ciò fare l'autorità necessaria ... ...Ha ordinato doversi licenziare Giovanni Battista Negro una delle due Guardie della presente- Congregazione dalla servitù di Guardia suddetta mandando alli signori Habdomadarv di farsi rimettere da detto Negro il vestito. Camisotta. Calze, spada, cappello, Calzetti, et ogni altra cosa...mandando anche a dire ... d'invigilare per provveder diverse persone che passino servir nella qualità predetta ... Archivio storico Ospedale SS. Annunziata di Savigliano

  18. foucault , un falsificatore antidemocratico Alterità Uguaglianza Esclusione / Repressione Reclusione - protezione – cura VS Integrazione Manicomio utopia democratica Storia = multiforme repressione Storia progressiva Ne segue che il fenomeno dell'internamento deve essere interpretato in una maniera totalmente diversa da quella avanzata da Foucault. Nella logica dello Stato moderno, due sono gli elementi che spiegano la vera natura dell'internamento: il primo è che, per il suo stesso principio, lo Stato moderno è chiaramente trascinato da una dinamica dell'eguaglianza; il secondo è che, per la sua stessa funzione, lo Stato di volta in volta interviene come «gendarme», per assicurare compiti di protezione, e come «protettore» al cui orizzonte è il ruolo di «Stato-benessere». Riportato entro questa logica, il significato dell'internamento diventa al tempo stesso chiaro e sottile: — Percepito infatti rispetto a uno sfondo di eguaglianza, il folle è minaccioso per noi . . .: stando alla logica della funzione repressiva dello Stato, il folle dovrebbe perciò essere rinchiuso. — Tuttavia, in quanto minaccia, il folle è a sua volta minacciato da quelli che si prendono beffe di lui e di fronte ai quali egli si trova indifeso. Il principio di eguaglianza impone di vedere in lui . . . un uomo come gli altri che, in quanto tale, ha diritto alla protezione dello Stato. Stando alla logica della seconda funzione dello Stato, non dovrà dunque essere più semplicemente rinchiuso, bensì curato. (L. Ferry, A. Renaut, Il 68 pensiero, 123) Non con l'apparizione dell'età classica e del cartesianesimo, ma forse con la nascita e lo sviluppo di una società democratica, nel senso che Tocqueville dà alla parola, l'internamento intrattiene uno stretto rapporto. . . L'ipotesi è sostenuta da altrettante tesi, direttamente volte contro la ricostruzione di Foucault: la prima è che, contrariamente a ciò che afferma Foucault, la dinamica dell'età moderna non consiste, nella sua essenza, in una esclusione della alterità. La logica delle società moderne è casomai quella descritta da Tocqueville, ossia una logica di integrazione, sottesa dal postulato di una uguaglianza fondamentale tra gli uomini. Torniamo al principio delle analisi di Foucault nella Storia della follia stesa e nella successiva ripresa nello studio sul sistema carcerario. Questo principio, di ispirazione chiaramente heideggeriano-nicciana, consiste nel situare ciò che è proprio della ragione moderna nella sua incapacità di pensare la differenza (o l'alterità) e nella sua propensione a reprimerla. Applicando questo principio alla storia della follia, il risultato è questo: se il folle fa paura, reca disturbo, il motivo è che egli è l'interamente altro per eccellenza. (L. Ferry, A. Renaut, Il 68 pensiero, 120-121) Da questo punto di vista la storia della follia, in cui si inscrive la nascita dell'utopia democratica del manicomio, non sembra nonostante tutto poter essere letta se non come la storia di un progresso. E, in questo senso, le tesi principali di Foucault dovrebbero apparire sbagliate, e forse persino ingannevoli, sia storicamente che filosoficamente: sul filo di quella indagine sulla storia della follia, i cui principi sono stati applicati in seguito alla storia dell'istituzione penale, si è dispiegato un vasto disegno di falsificazione della storia moderna, unilateralmente presentata come un multiforme processo di repressione. (L. Ferry, A. Renaut, Il 68 pensiero, 127) Il grande internamento di cui parla Foucault si è effettivamente verificato, ma non all'inizio dell'età classica (la Storia della follia fissa la data del 1656). In realtà i documenti consentono di valutare in circa duemila persone gli internati nel 1660, un numero che raggiungerà i cinquemila dopo la Rivoluzione e i centomila nel 1914. (L. Ferry, A. Renaut, Il 68 pensiero, 120)

  19. FOUCAULT: il riemergere della follia In breve, la coscienza critica della follia si è andata sempre più illuminando, mentre i suoi aspetti tragici si oscuravano progressivamente. Questi ultimi saranno presto del tutto evitati. Per molto tempo, si faticherebbe a trovarne la traccia; solo alcune pagine di Sade e l'opera di Goya testimoniano che questa sparizione non significa annientamento, che questa esperienza tragica sussiste ancora oscuramente nella notte del pensiero e dei sogni, e che nel XVI secolo non si è trattato di una distruzione radicale, ma soltanto di un occultamento. L'esperienza tragica e cosmica della follia è stata mascherata dai privilegi esclusivi di una coscienza critica. È per questo che l'esperienza classica, e attraverso di essa l'esperienza moderna della follia, . . . è un insieme squilibrato a causa di tutto ciò che gli manca, cioè a causa di tutto ciò che lo nasconde. Sotto la coscienza critica della follia e le sue norme filosofiche o scientifiche, morali o mediche, una sorda coscienza tragica non ha cessato di vegliare. E lei che le ultime parole di Nietzsche, le ultime visioni di Van Gogh, hanno ridestato. È lei che indubbiamente Freud ha cominciato a presentire all'estremità del suo cammino: sono le sue grandi lacerazioni che egli ha voluto simbolizzare con la lotta mitologica della libido e dell'istinto di morte. (M. Foucault, Storia della follia) Sade, Goya, Van Gogh, Nietzsche e Freud Riemergere della follia:

  20. DERRIDA: LA DECOSTRUZIONE DELLO SGUARDO CHE DETERNIMA IL QUADRO STORICO R. Magritte (1898-1967) S. Dalì (1904-89)

  21. LO SGUARDO DI DERRIDA Se la filosofia non può coltivare il progetto di una uscita radicale dalla sfera degli schemi che costituiscono la nostra esperienza, l'esercizio critico che resta praticabile è quello . . . che Derrida ha chiamato «decostruzione», e consiste nel tentativo, condotto attraverso la lettura di testi della tradizione, di esplicitare le contrapposizioni del discorso filosofico, mettendo il luce le rimozioni su cui si istituiscono, i giudizi di valore che incorporano spesso inavvertitamente o almeno implicitamente, e dunque di rivelare la struttura totale della nostra razionalità, che si manifesta piuttosto in negativo che non in positivo, attraverso delle resistenze invece che in tavole delle categorie . . . si parte dal dato, e si rivelano le strutture e le condizioni che lo determinano. La regola generale è che dove c'è esperienza c'è resistenza, e dove c'è resistenza c'è anche, da qualche parte, un apriori nascosto. (M. Ferraris, Introduzione a Derrida, 55) Derrida dissente. Non è vero che tutto, tranne la volontà di potenza, è storico, e non è vero che ci si può disfare del passato così come si cambia abito: le idealità e le strutture che si conquistano attraverso la storia non si cancellano a colpi di decisioni, giacché nessuna deliberazione di quel genere potrà cambiare i principi della geometria, e probabilmente nemmeno certi aspetti della nostra razionalità o del nostro vivere sociale. Noi non possiamo giungere né a ciò che è esterno alla nostra razionalità, né vedere la nostra razionalità dall'esterno, non più di quanto possiamo davvero metterci al posto di un altro. L'idea di una uscita radicale dai vincoli conquistati e tramandati è dunque una chimera, così come in fondo chimerica è l'aspirazione — che i filosofi francesi ora alimentano attraverso la lettura di Heidegger e di Nietzsche — di oltrepassare la metafisica, cioè — fuor di metafora — di giungere infine a un mondo selvaggio e liberato. (M. Ferraris, Introduzione a Derrida, 53) . . . se la decisione attraverso la quale la ragione si costituisce escludendo ed oggettivando la soggettività libera della follia, se questa decisione è proprio l'origine della storia, se è la condizione del senso e del linguaggio, la condizione della tradizione del senso . . . allora il momento «classico» di questa esclusione, quello che descrive Foucault, non ha né privilegio assoluto né esemplarità archetipa. . . La crisi classica si svilupperebbe a partire dalla e nella tradizione elementare di un logos che non conosce contrario, ma che porta in sé e dice ogni contraddizione determinata. Questa dottrina della tradizione del senso e della ragione sarebbe stata tanto pii necessaria in quanto essa sola può forse fornire un senso e una razionalità in generale al discorso di Foucault e ad ogni discorso sulla guerra tra ragione e in­sensatezza. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 53) Le strutture razionali (e sociali) sono conquiste storiche che: • non possono essere cambiate da una nostra decisione (autonome) • formano la nostra razionalità, il nostro sguardo da cui non possiamo uscire - costituiscono la tradizione del senso e della ragione che non conosce contrario, ma che porta in sé e dice ogni contraddizione determinata Nei confronti della tradizione occorre mettere in atto la decostruzione: esplicitare le contrapposizioni, le rimozioni, i giudizi di valore che i testi (le tracce) incorporano e che costituiscono il loro apriori nascosto che li rende possibili

  22. DERRIDA: LA DECOSTRUZIONE DELLO SGUARDO DI FOUCAULT Il folle progetto di FOUCAULT

  23. DERRIDA: LA DECOSTRUZIONE DELLO SGUARDO DI FOUCAULT Il folle progetto di Foucault Foucault vuole scrivere una storia della follia , esiliata dalla ragione come altro, facendola parlare Non è possibile parlare della follia se non con il linguaggio della ragione (ordine) che l’ha ridotta al silenzio per poter parlare Si tratta dunque di sfuggire alla trappola o alla ingenuità oggettiviste . . . che consisterebbero nello scrivere, nel linguaggio della ragione classica, utilizzando i concetti che sono stati gli strumenti storici di una cattura della follia, nel linguaggio coltivato e poliziesco della ragione, una storia della follia selvaggia . . La volontà di evitare questa trappola è costante in Foucault. È ciò che vi è di più audace, di più seducente in questo tentativo. Ciò che determina anche la sua mirabile tensione. Ma è anche, non lo dico per giuoco, quel che vi è di più folle nel suo progetto. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 43-44) Con lo scrivere una storia della follia, Foucault ha voluto — e qui sta tutto il pregio ma anche l’impossibilità stessa del suo libro — scrivere una storia della follia in se stessa. In se stessa. Della follia stessa. Vale a dire restituendole la parola. . . . la follia che parla di sé . . . vale a dire a partire dalla sua propria istanza e non nel linguaggio della ragione, nel linguaggio della psichiatria sulla follia . . . su di una follia già annientata sotto di essa, dominata, abbattuta, rinchiusa, cioè costituita in oggetto ed esiliata come l'altro di un linguaggio e di un senso storico che è stato volutamente confuso con il logos stesso. . . . “Storia” è già un concetto prodotto dalla ragione Non è possibile svincolarsi totalmente dalla totalità del linguaggio storico che avrebbe prodotto l'esilio della follia, liberarsene per scrivere l'archeologia del silenzio . . . La disgrazia dei folli, la disgrazia interminabile del loro silenzio, sta nel fatto che i loro portavoce migliori sono coloro che li tradiscono meglio; sta nel fatto che, quando si vuole esprimere il loro silenzio stesso, si è già passati al nemico e dalla parte dell'ordine anche se, dentro l'ordine ci si continua a battere contro l'ordine e a metterlo in questione nella sua origine. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 43-44) indubbiamente non si può scrivere una storia, né una archeologia contro la ragione perché, malgrado le apparenze, il concetto di storia è sempre stato un concetto razionale. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 46)

  24. DERRIDA: LA DECOSTRUZIONE DELLO SGUARDO DI CARTESIO L’io penso come iperbole L’io penso come ragione ragionevole

  25. DERRIDA: LA DECOSTRUZIONE DELLO SGUARDO DI CARTESIO Un personaggio tra le righe: l’interlocutore ingenuo Il Demone Maligno e la follia totale Penso anche se sono folle, ma per rendere intelligibile e comunicabile il mio pensiero devo sottoporlo alle regole della ragione ragionevole. Il pensiero non esclude la follia ma se ne differenzia Foucault è il primo, che io sappia, ad aver isolato cosi, nelle Meditazioni, il delirio e la follia dalla sensibilità e dai sogni. Ad averli isolati nel loro senso filosofico e nella loro funzione metodologica. È questa l'originalità della sua lettura. .. . Rileggiamo il passo in cui fa la sua apparizione la stravaganza e che Foucault cita. Collochiamolo al suo posto di nuovo. Descartes ha notato che, poiché i sensi talvolta ci ingannano,«è regola di prudenza non fidarsi mai interamente di quelli che ci hanno una volta ingannati» . . . Ora l'intero paragrafo che segue non esprime il pensiero definitivo e compiuto di Descartes ma l'obiezione e lo stupore del non-filosofo, del novizio di filosofia che si spaventa per quel dubbio e che protesta dicendo: ammetto che voi dubitiate di alcune percezioni sensibili che si riferiscono cose «molto minute e molto lontane», ma le altre! che voi siate seduto qui vicino al fuoco e stiate parlando! . . . Allora Descartes assume lo stupore di questo lettore o di questo interlocutore ingenuo, finge di farlo proprio, quando scrive: «E come potrei io negare che queste mani e questo corpo sono miei? A meno che forse non mi paragoni a quegli insensati il cervello dei quali... ecc. E io non sarei meno stravagante mi regolassi sul loro esempio...». (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 59-75) L'interpretazione di Foucault mi sembra illuminante a partire dal momento in cui il Cogito deve riflettersi e proferirsi in un discorso filosofico organizzato. . . . A partire dal momento in cui lo enuncia, Descartes inscrive il Cogito in un sistema di deduzioni e di protezioni che tradiscono la sua sorgente viva e frenano l'erranza propria del Cogito per aggirare l'errore. Il folle, se anche potesse ricusare il Demone Maligno, non potrebbe in ogni caso dirselo. Non può dunque dirlo. . . . Quella identificazione del Cogito con la ragione ragionevole avviene quando . . . Descartes deve inscriverlo nel linguaggio o nel sistema deduttivo dal momento in cui lo propone all'intelligibilità e alla comunicazione, vale a dire dal momento che lo riflette per l'altro, il che significa per sé. È in questo rapporto all'altro come altro io che il senso si rassicura contro la follia e il non-senso... Il discorso e la comunicazione filosofici (vale a dire il linguaggio stesso), se debbono avere un senso intelligibile, vale a dire conformarsi alla loro essenza e vocazione di discorso, debbono sfuggire di fatto e simultaneamente di diritto alla follia. Debbono portare in se stessi la normalità. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 59-75) il ricorso all'ipotesi del Demone Maligno finirà per rende presente, convocare la possibilità di una follia totale . . . introdurrà il sovvertimento nel pensiero puro, nei suoi oggetti puramente intelligibili, nel campo delle idee chiare e distinte, nel regno delle verità matematiche che sfuggivano al dubbio naturale. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 59-75)

  26. DERRIDA: LO SGUARDO CHE CREA UN NUOVO ORDINE La separazione tra ragione e follia è all’origine della ragione e della storia È l’atto originario di un nuovo ordine (Forma storica della ragiona) di un ordine che imprigiona la follia rendendo possibile dire, finchè una nuova parola, un dire dell’eccesso, rende possibile un nuovo ordine che imprigiona il folle del giorno Ragione generale Iperbole Progetto di eccedere la totalità . . . la struttura di esclusione che Foucault intende descrivere nel suo libro non sarebbe nata con la ragione classica. Sarebbe stata consumata e rassicurata e insediata da secoli nella filosofia. Sarebbe essenziale alla totalità della storia della filosofia e della ragione. In questa prospettiva l'età classica non avrebbe né specificità né privilegio. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 43-44) Struttura storica determinata Totalità finita e determinata Quadro attuale Struttura storica determinata Totalità finita e determinata Nuovo quadro La storicità propria della filosofia trova il suo posto e si costituisce in questo passaggio, in questo dialogo tra l'iperbole e la struttura finita, tra l'eccesso sulla totalità e la totalità chiusa; cioè nel luogo, o meglio nel momento in cui il Cogito e tutto ciò che esso qui simbolizza (follia, dismisura, iperbole, ecc...) si dicono, si rassicurano e decadono, dimenticano se stessi necessariamente fino alla loro riattivazione, al loro risveglio in un altro dire dell'eccesso che produrrà poi a sua volta, un'altra caduta e un'altra crisi. . . In questa situazione la crisi o l'oblio non è forse l'accidente ma è il destino della filosofia parlante che non può vivere se non imprigionando la follia ma che si estinguerebbe come pensiero e per una violenza ancora peggiore se una nuova parola non liberasse ad ogni istante l'antica follia, pur imprigionando in essa, nel suo presente, il folle del giorno. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 76-77) Separando, nel Cogito, da una parte l'iperbole (che, secondo me, non può lasciarsi imprigionare in una struttura storica di fatto e determinata perché è progetto di eccedere ogni totalità finita e determinata), e d'altra parte ciò che nella filosofia di Descartes (o parimenti in quella che fonda il Cogito agostiniano o il Cogito husserliano) fa parte di una struttura storica di fatto, io non propongo di separare in ogni filosofia il grano dal loglio in nome di qualche philosophiaperennis. Propongo precisamente il contrario. Si tratta di rendere conto della storicità stessa della filosofia. Io credo che la storicità in generale non sarebbe possibile senza una storia della filosofia e credo che quest'ultima non sarebbe a sua volta possibile se ci fosse solo l'iperbole, da una parte o se, dall'altra, esistessero soltanto delle strutture storiche determinate, delle Weltanschauungen finite. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 76) La grandezza insuperabile, insostituibile, imperiale dell'ordine della ragione, ciò che fa si che essa non è un ordine o una struttura di fatto, una struttura storica determinata, una struttura tra altre possibili, è che contro di essa non si può fare appello che ad essa, contro di essa non si può protestare che in essa. II che si risolve nel far comparire una determinazione storica della ragione davanti al tribunale della Ragione in generale. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 60) Si tratta dunque di accedere al punto in cui il dialogo è stato interrotto, si è diviso in due soliloqui: a ciò che Foucault chiama con una parola molto forte la Decisione. La Decisione collega e separa nello stesso momento ragione e follia; essa deve essere intesa qui nello stesso tempo come l'atto originario di un ordine, di un fiat, di un decreto, e come una lacerazione, una cesura, una separazione, un dissenso per sottolineare che si tratta di una divisione da sé, di una spartizione e di un tormento interiore del senso in generale, del logos in generale, di una spartizione nell'atto stesso del sentire. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 48-49)

  27. DERRIDA: ESSERE GIUSTI CON FREUD L'audacia iperbolica del Cogito cartesiano, la sua audacia folle, che forse noi non comprendiamo più molto bene come audacia perché, diversamente dal contemporaneo di Cartesio, siamo troppo sicuri, troppo avvezzi al suo schema più che alla sua esperienza acuta, la sua audacia folle, consiste dunque nel tornare verso un punto originario che non appartiene più alla coppia di una ragione e di una insensatezza determinate, alla loro opposizione o alla loro alternativa. Che io sia folle o no, Cogito, sum. In tutti i sensi dell'espressione, la follia non è dunque, che un caso del pensiero (nel pensiero). Si tratta allora di retrocedere verso un punto in cui ogni contraddizione determinata sotto la forma di una certa struttura storica di fatto può apparire, e apparire come relativa a quel punto-zero in cui il senso e il non-senso determinati si ricongiungono nella loro origine comune. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 70) La questione è la seguente: si tratta di mostrare come l'opera di Foucault pretenda di descrivere l'epoca della psicanalisi. Freud sarebbe colui che riallaccia i rapporti con una certa età classica che non pensa la follia come malattia, ma come sragione; non certo per tagliare il discorso con la sragione, quanto piuttosto per riprenderlo. Al tempo stesso secondo Derrida si deve tener presente che l'opera di Foucault si trova iscritta nell'epoca della psicanalisi. Senza la psicanalisi e il suo aver ridato la parola alla follia, il progetto di Foucault sarebbe impraticabile. . . Per essere davvero giusto con Freud, conclude Derrida, Foucault avrebbe dovuto riconoscere che la possibilità stessa di un libro come La storia della follia si iscrive nell' orizzonte teorico pratico dischiuso dalla psicoanalisi. (M. Vergani, Jacques Derida, 169) L’iperbole cartesiana L’iperbole freudiana Pensare che la coscienza non coincida con se stessa Pensare fuori dalla teologia Foucault Struttura storica determinata Totalità finita e determinata Quadro età moderna Struttura storica determinata Totalità finita e determinata Quadro Novecento

  28. LA RISPOSTA DI FOUCAULT Evento Testo avvenimenti segni VS pratiche discorsive e modalità di implicazione del soggetto decostruzione testo e modalità di implicazione della tradizione Sguardo storico Sguardo metafisico . . . il nostro modo di essere nel mondo, i nostri criteri di distinzione di vero e falso, non sono quelli richiesti dalla vita come tale, cioè gli unici e migliori per la vita; sono solo quelli propri di una certa forma di vita, la quale si è costituita e consolidata come una precisa, particolare configurazione di rapporti di dominio, rapporti che potevano e possono essere diversi. . . . Da questo punto di vista, la nozione classico-cristiana di persona ha la sua legittimità solo nel fatto che l'uomo europeo, sotto la spinta di esigenze sociali, produttive e di dominio, è organizzato e diretto dalla coscienza, dalla ragione, dalla « passione della verità »,' a cui le altre componenti della personalità sono sottomesse..(G. Vattimo, Le avventure della differenza, 51) Sono d'accordo almeno su un fatto: non è per nulla a causa della loro disattenzione che gli interpreti classici hanno cancellato, prime di Derrida e come lui, questo passo di Cartesio. È per sistema. Sistema di cui oggi Derrida è il rappresentante più decisivo, nel suo ultimo splendore: riduzione delle pratiche discorsive alle tracce testuali; elisione degli avvenimenti che vi si producono per trattenere solo dei segni per una lettura; invenzioni di voci dietro il testo per non dover analizzare le modalità d'implicazione del soggetto nei discorsi; citazione dell'originario come detto e non detto nel testo per non ricollocare le pratiche discorsive nel campo delle trasformazioni dove esse si effettuano. . . . dirò che si tratta di una piccola pedagogia storicamente ben determinata che si manifesta in modo assai visibile. Pedagogia che insegna all'allievo che non c'è niente al di fuori del testo, ma che in esso, nei suoi interstizi, nei suoi silenzi e nei suoi non detti, domina la riserva dell'origine; che non è dunque affatto necessario andare a cercare altrove, ma che qui stesso, non tanto nelle parole certe, quanto nelle parole come raschiatura, nella loro griglia, si svela « il senso dell'essere ».(M. Foucault, Storia della follia, 655) Come risponderebbe Foucault? . . . e' probabile che egli replicherebbe a Derrida ammettendo le ambiguità del proprio testo e rilanciandole: è vero che è stata la psicoanalisi a rendere possibile il suo punto di vista sulla follia, ma è altrettanto vero che lui, Foucault, con la sua ricerca sullo statuto del soggetto moderno, tentava di proiettarsi al di là della psicoanalisi, verso l' emancipazione della "volontà di potenza" del corpo dalla rete di saperi e poteri sociali costruiti anche dal linguaggio psicoanalitico. (C. Formenti , Le ingiustizie di Michel, Corriere della Sera, 10 marzo 1994) Derrida tenta di salvare la ragione dall'eterogeneità delle circostanze che, per Foucault, le sottostanno; il merito di Foucault è proprio quello di aver messo in luce l'esistenza di grandi unità discorsive e storiche, contro l'idea di un logos unico e universale. (S. Natoli, La verità in gioco. Scritti su Foucault) difficile non vedere, insomma, come una rimemorazione della differenza . . . si riporti all'illustrazione (e apologia) esistenzialistica della finitezza della condizione umana, aggiornata magari con i più moderni apporti della linguistica strutturale.2 ( nota 2:La tesi del carattere in ultima analisi ancora « teologico » del pensiero derridiano è sostenuta efficacemente in un bel saggio di M. Dufrenne, ...) (G. Vattimo, Le avventure della differenza, 84) L’iperbole di Freud L’iperbole di Cartesio L’iperbole di Foucault - Nietzsche Pensare che la coscienza non coincida con se stessa Pensare la volontà di potenza non ingabbiata dai saperi e dai poteri sociali Pensare fuori dalla teologia

  29. FOUCAULT E DERRIDA NEL RETROBOTTEGA Meditazione Nuovo statuto del soggetto enunciante Soggetto enunciante avvenimenti discorsivi – nuovi enunciati Come guardo? Cosa esclude il mio sguardo? Quale differenza nasconde? Iperbole del mio sguardo Qual è il quadro storico che determina il mio sguardo? Come possono difendermi, come posso curare me steso? Si deve tenere a mente il titolo stesso di « meditazioni ». . . una « meditazione » produce, come altrettanti avvenimenti discorsivi, nuovi enunciati che comportano una serie di modificazioni del soggetto enunciante: attraverso ciò che si dice nella meditazione, il soggetto passa dall'oscurità alla luce, dall'impurità alla purezza, dalla stretta delle passioni al distacco, dall'incertezza e dai movimenti disordinati alla serenità della saggezza, ecc. Nella meditazione il soggetto è senza posa alterato dal proprio movimento; il suo discorso suscita effetti al cui interno egli è preso; lo espone a rischi, lo fa passare attraverso prove o tentazioni, produce in lui stati d'animo e gli conferisce uno statuto o una qualificazione di cui non era affatto al momento iniziale il detentore. In breve, la meditazione implica un soggetto mobile e modificabile dall'effetto stesso degli avvenimenti discorsivi che si producono. . . . . . in una meditazione dimostrativa, alcuni enunciati, formalmente legati, modificano il soggetto man mano che si sviluppano, lo liberano dalle sue convinzioni, o viceversa lo inducono a dubbi sistematici, provocano illuminazioni o risoluzioni, lo affrancano dai suoi legami o dalle sue certezze immediate, inducono stati nuovi; ma inversamente le decisioni, le fluttuazioni, gli spostamenti, le qualificazioni primarie o acquisite del soggetto rendono possibili insiemi di enunciati nuovi, che a loro volta si deducono regolarmente gli uni dagli altri. (M. Foucault, Storia della follia, 652-53)

  30. L’ORIZZONTE TORNA LIBERO: I RISCHI DELLA CONOSCENZA Sarebbe forse opportuno individuare nell'esperienza di Nietzsche il primo sforzo in vista [dello] sradicamento dall'Antropologia, cui indubbiamente è votato il pensiero contemporaneo . . . Nietzsche ritrovò il punto in cui uomo e Dio si appartengono a vicenda, in cui la morte del secondo è sinonimo della scomparsa del primo, e in cui la promessa del superuomo significa anzitutto l'imminenza della morte dell'uomo. Col che Nietzsche, proponendoci tale futuro come scadenza e insieme come compito, fissa la soglia a partire dalla quale la filosofia contemporanea può ricominciare a pensare; egli continuerà senza dubbio a dominarne il percorso. Oggi possiamo pensare soltanto entro il vuoto dell'uomo scomparso. Questo vuoto infatti non costituisce una mancanza; non prescrive una lacuna da colmare. Non è né più né meno che l'apertura d'uno spazio in cui finalmente è di nuovo possibile pensare. (M. Foucault, La morte dell’umanesimo e la cura di sé, pag. 37) l'umanismo pensa metafisicamente. Certamente no, se esso è quell'esistenzialismo che sostiene la tesi espressa da Sartre: précisémentnoussommessur un planoù il y a seulementdeshommes. Se invece si pensa come in Essere e tempo, si dovrebbe dire: precisémentnoussommessur un planou il y a principalement l'Étre. Ma da dove proviene e che cos'è le plan? L'Étreet le plan sono lo stesso. Precisamente siamo su un piano dove esiste solo l’uomo; Precisamente siamo su un piano dove esiste solo l’Essere. Il « si dà » indica l'essenza dell'essere che dà, concedendola, la sua verità. Il darsi all'aperto, unitamente all'aperto stesso, è l'essere stesso. . . . Nel medesimo tempo il « si dà » è usato per evitare provvisoriamente la locuzione « l'essere è », perché abitualmente l'« è » viene detto di qualcosa che è. Questo qualcosa noi lo chiamiamo ente. Ma l'« essere » appunto non è l'« ente ». (Heidegger, Lettera sull’umanismo, pag. 30) Con l'«io penso», contrariamente alla filosofia di Descartes e Kant, noi raggiungiamo noi stessi di fronte all’altro e l’altro è tanto certo per noi quanto noi siamo certi di noi medesimi. In questo modo l'uomo, che coglie se stesso direttamente col «cogito», scopre anche tutti gli altri, e li scopre come la condizione della propria esistenza. Egli si rende conto che non può essere niente (nel senso in cui si dice che un uomo è spiritoso, o che è cattivo, o che è geloso), se gli altri non lo riconoscono come tale. Per ottenere una verità qualunque sul mio conto, bisogna che la ricavi tramite l’altro. L'altro è indispensabile alla mia esistenza, così come alla conoscenza che io ho di me. . . la scoperta della mia intimità mi rivela, nello stesso tempo, l’altro come una libertà posta di fronte a me, la quale pensa e vuole soltanto per me o contro di me. (Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, pag. 11) il linguaggio è la casa dell'essere fatta avvenire e disposta dall'essere. Perciò occorre pensare l'essenza del linguaggio a partire dalla sua corrispondenza all'essere, ed intenderla proprio come questa corrispondenza, cioè come dimora dell'essere umano. Ma l'uomo non è solo un essere vivente che, accanto ad altre facoltà, possiede anche il linguaggio. Piuttosto il linguaggio è la casa dell'essere, abitando la quale l'uomo e-siste, appartenendo alla verità dell'essere e custodendola. Così, nella determinazione dell'umanità dell'uomo come e-sistenza, ciò che importa è allora che l'essenziale non sia l'uomo, ma l'essere come dimensione dell'estaticità dell'e-sistenza. ….(Heidegger, Lettera sull’umanismo, pag. 29-30) la storia della scienza, la storia delle conoscenze non obbedisce semplicemente alla legge generale del progresso della ragione, non è la coscienza umana, non è la ragione umana a detenere in qualche modo le leggi della sua storia. Sotto ciò che la scienza conosce di sé c'è qualche cosa che essa non conosce; e la sua storia, il suo divenire, i suoi episodi, i suoi accidenti obbediscono a un certo numero di leggi e di determinazioni. Ho cercato di portare alla luce queste leggi e queste determinazioni. Ho cercato di sgombrare un campo autonomo che sarebbe quello dell'inconscio del sapere, che avrebbe le sue regole come l'inconscio dell'individuo umano . . . . (M. Foucault, La morte dell’umanesimo e la cura di sé, pag. 46) L'esistenzialismo non è altro che uno sforzo per dedurre tutte le conseguenze da una posizione atea coerente. L'esistenzialismo non vuole esser ateo in modo tale da esaurirsi nel dimostrare che Dio non esiste; ma preferisce affermare: anche se Dio esistesse, ciò non cambierebbe nulla bisogna che l'uomo ritrovi se stesso e si persuada che niente può salvarlo da se stesso, fosse pure una prova valida dell'esistenza di Dio. (Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, pag. 14) ... In realtà, noi filosofi e «spiriti liberi», alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora . . . finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, - finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinnanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così «aperto». (F. Nietzsche “La gaia scienza” - 1882) Non abbiamo lo stesso tipo di rapporto con noi stessi quando ci costituiamo come soggetto politico che va a votare o prende la parola in un'assemblea e quando cerchiamo di realizzare il nostro desiderio in una relazione sessuale. Probabilmente, esistono rapporti e interferenze tra queste differenti forme del soggetto, ma non si è in presenza dello stesso tipo di soggetto. (M. Foucault, La morte dell’umanesimo e la cura di sé, pag. 55) ogni rischio della conoscenza è di nuovo permesso Morte di Dio l’orizzonte torna libero Heidegger : l’orizzonte = linguaggio Morte di Dio  centralità dell’orizzonte Uomo = rapporto con l’essere Sartre: l’uomo al centro dell’orizzonte Morte di Dio  centralità dell’uomo Uomo = rapporto con gli altri Foucault: Morte di Dio  morte dell’uomo l’orizzonte e l’uomo = strutture inconsce Uomo = rapporto con se stessi

  31. Il soggetto nella filosofia contemporanea l’individuazione del soggetto Ottocento: Dimensione collettiva Hegel: storico-culturale (Spirito oggettivo) G. F. W. Hegel (1770-1831) K. Marx (1818-1883) Marx: storico-sociale (materialismo storico) Dimensione individuale Nietzsche: psico-culturale Freud: irrazionali F. Nietzsche (1844-1900) I maestri del sospetto: Marx, Nietzsche, Freud Soggetto ≠ coscienza S. Freud (1856-1939)

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