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GIOVANNI Agostino Placido PASCOLI (1855-1912) Una vita tra il nido e la poesia

GIOVANNI Agostino Placido PASCOLI (1855-1912) Una vita tra il nido e la poesia. L'INFANZIA. Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna nel 1855 da una modesta famiglia ed è il quarto di dieci fratelli.

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GIOVANNI Agostino Placido PASCOLI (1855-1912) Una vita tra il nido e la poesia

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Presentation Transcript


  1. GIOVANNIAgostino Placido PASCOLI(1855-1912)Una vita tra il nido e la poesia

  2. L'INFANZIA • Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna nel 1855 da una modesta famiglia ed è il quarto di dieci fratelli. • La sua infanzia viene turbata nel 1867 dalla morte del padre, assassinato; nel 1868 da quella della madre e di una sorella; nel 1871 da quella del fratello Luigi. • La perdita di questi suoi cari influenzerà tutta la sua vita e la sua produzione poetica.

  3. LA CASA NATALE

  4. La casa natale

  5. La morte del padre Il padre è amministratore di una tenuta dei principi Torlonia. • Il 10 Agosto 1867, mentre torna a casa, viene assassinato. Non si scopre mai l'assassino, i famigliari tuttavia hanno dei fondati sospetti. • Per la famiglia iniziano le difficoltà economiche: la vedova resta sola con i numerosi figli ancora bambini. Questa tragedia sarà il tema di alcuni suoi componimenti poetici.

  6. XAgostodi Giovanni Pascoli

  7. San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla

  8. Arde e cade, perché sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla

  9. Ritornava una rondine al tetto:

  10. Ella aveva nel becco un insetto:la cena dei suoi rondinini

  11. Ora là, come in croce,che tende quel verme a quel cielo lontano,

  12. E il suo nido è nell’ombra,che attende,che pigola sempre più piano

  13. Anche un uomo tornava al suo nido:l’uccisero; disse:Perdono;

  14. E restò negli aperti occhi un grido:portava due bambole

  15. Ora là,nella casa romita,lo aspettano, aspettano in vano:

  16. Egli immobile,attonito,additale bambole al cielo

  17. E tu,Cielo,dall’alto dei mondisereni,infinito,immortale,Oh! D’un pianto di stelle lo inondiquest’atomo opaco del male

  18. La cavalla storna di Giovanni Pascoli

  19. Nella torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio Salto.

  20. Icavalli normanni alle lor poste frangean la biada con rumor di croste

  21. Là in fondo la cavalla era, selvaggia, nata tra i pini su salsa spiaggia;

  22. che nelle froge avea del mar gli spruzzi ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi

  23. Con su la greppia gomito, da essa era mia madre; e le dicea sommessa:

  24. “ O cavallina, cavallina storna,che portavi colui che non ritorna;

  25. tu capivi il suo cenno ed il suo detto! Egli ha lasciato un figlio giovinetto;

  26. il primo d’otto tra miei figli e figlie: e la sua mano non toccò mai briglie.

  27. Tu che ti senti ai fianchi l’ uragano,tu dai retta alla sua piccola manotu c’hai nel cuore la marina brulla,tu dai retta alla sua voce fanciulla’’

  28. La cavalla volgea la scarna testa verso mia madre, che dicea più mesta:“O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna;lo so, lo so, che tu l’amavi forte! Con lui c’eri tu sola e la sua morte

  29. O nata in selve tra l’ondate e il vento, tu tenesti nel cuore il tuo spavento;sentendo lasso nella bocca il morso, nel cuor veloce tu premesti il corso:adagio seguitasti la tua via, perché facesse in pace l’agonia...”

  30. La scarna lunga testa era daccanto al dolce viso di mia madre in pianto.“O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna;oh! due parole egli dové pur dire! E tu capisci, ma non sai ridire.

  31. Tu con le briglie sciolte tra le zampe, con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,con negli orecchi l’eco degli scoppi, seguitasti la via tra gli alti pioppi:lo riportavi tra il morir del sole, perché udissimo noi le sue parole”.

  32. Stava attenta la lunga testa fiera. Mia madre l’abbracciò su la criniera“O cavallina, cavallina storna, portavi a casa sua chi non ritorna!a me, chi non ritornerà più mai! Tu fosti buona... Ma parlar non sai!

  33. Tu non sai, poverina; altri non osa. Oh! ma tu devi dirmi una cosa!Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise: esso t’è qui nelle pupille fise.

  34. Tu non sai, poverina; altri non osa. Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise: esso t’è qui nelle pupille fise. Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”.

  35. Ora, i cavalli non frangean la biada: dormian sognando il bianco della strada.La paglia non battean con l’unghie vuote: dormian sognando il rullo delle ruote.Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: disse un nome... Sonò alto un nitrito.

  36. La carriera di insegnante liceale e universitario In seguito agli eventi drammatici sopra descritti, tra la fine del 1871 e gli inizi del 1872 abbandona gli studi presso il collegio dei padri Scolopi di Urbino per trasferirsi a Rimini, dove si iscrive al liceo classico “Giulio Cesare”. Frequenta in seguito l'Università di Bologna e nel 1882 si laurea in Letteratura greco -latina. Lo stesso anno inizia la carriera di insegnante nei licei.

  37. Nel 1897 ottiene la cattedra di Letteratura latina a Messina; nel 1903 passa all'Università di Pisa. Nel 1907 succede al Carducci all'Università di Bologna.

  38. ROMAGNA

  39. ROMAGNA Di Giovanni PASCOLI

  40. Sempre un villaggio, sempre una campagna mi ride al cuore (o piange), Severino: il paese ove, andando, ci accompagna l'azzurra vision di San Marino:

  41. sempre mi torna al cuore il mio paese cui regnarono Guidi e Malatesta, cui tenne pure il Passator cortese, re della strada, re della foresta.

  42. Là nelle stoppie dove singhiozzando va la tacchina con l'altrui covata, presso gli stagni lustreggianti, quando lenta vi guazza l'anatra iridata,

  43. oh! fossi io teco; e perderci nel verde, e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie, gettarci l'urlo che lungi si perde dentro il meridiano ozio dell'aie;

  44. mentre il villano pone dalle spalle gobbe la ronca e afferra la scodella, e 'l bue rumina nelle opache stalle la sua laboriosa lupinella.

  45. Da' borghi sparsi le campane in tantosi rincorron coi lor gridi argentini:chiamano al rezzo, alla quiete, al santodesco fiorito d'occhi di bambini.

  46. Gia' m'accoglieva in quelle ore bruciatesotto l'ombrello di trine una mimosa,che fioria la mia casa ai di' d'estateco' suoi pennacchi di color di rosa; Già m'accoglieva in quelle ore bruciate sotto l'ombrello di trine una mimosa, che fioria la mia casa ai di' d'estate co' suoi pennacchi di color di rosa;

  47. e s'abbracciava per lo sgreto alto muro un folto rosaio a un gelsomino; guardava il tutto un pioppo alto e slanciato, chiassoso a giorni come un birichino.

  48. Era il mio nido: dove immobilmente, io galoppava con Guidon Selvaggio e con Astolfo; o mi vedea presente l'imperatore nell'eremitaggio.

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