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La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche

La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche.

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Presentation Transcript


  1. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • ruolo fondamentale che la Rivoluzione ha svolto nella nascita e nello sviluppo dei movimenti politici e ideologici che negli ultimi due secoli si sono scontrati sulla scena europea e mondiale: liberalismo, radicalismo democratico, anarchismo, socialismo, comunismo, nazionalismo… • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  2. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • Dalla metà del XIX secolo la Rivoluzione francese è diventata un modello da imitare per i fautori di profonde trasformazioni sociali e politiche... • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  3. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • per i sostenitori dei valori tradizionali e della conservazione sociale, invece, essa ha rappresentato la matrice esecrabile dei movimenti politico-ideologici considerati eversori dell'ordine costituito... • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  4. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • ...fra gli anni Venti e Cinquanta del Novecento, la ricerca delle analogie fra la Rivoluzione francese e quella bolscevica esplosa nel 1917 in Russia ha proiettato sulla prima le divisioni e le passioni alimentate dalla seconda, trasformandosi non di rado in espressione di giudizi di valore sulla legittimità e auspicabilità della rivoluzione in sé quale strumento di trasformazione degli assetti politici, economici, sociali e in senso lato culturali di una collettività… • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  5. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • I contemporanei • per I. Kant e molti suoi allievi più o meno dichiarati come F.G. Klopstock, F. von Schiller e G.W.F. Hegel, la Rivoluzione era «morale nella sua essenza» perché fondata sull'idea stessa del Diritto ... • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  6. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • I contemporanei • l'inglese E. Burke, invece, ne condannava senza appello l'astratto universalismo dei principi, che non poteva generare se non anarchia o dittatura, e la volontà di rottura radicale con la tradizione e, in definitiva, con la storia... • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  7. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • I contemporanei • La tesi della Rivoluzione come frutto di un complotto illuministico-massonico contro la religione e la monarchia di diritto divino trovava un fervido e prolisso sostenitore nel gesuita abate A. Barruel (Mémoires pour servir à l'histoire du jacobinisme, 1797-1799)... • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  8. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • I contemporanei • l'invito di B. Constant e di Madame de Staël a distinguere fra la rivoluzione "buona" del 1789-1791, fondatrice di un nuovo ordine basato sulla Legge e sul Diritto, da quella "cattiva" segnata dal Terrore e dalla dittatura giacobina. • … Questa "teoria delle due rivoluzioni" fu implicitamente accolta dagli storici liberali della Restaurazione: F.P. Guizot, F.A. Mignet e A. Thiers condannarono energicamente la fase giacobina della Rivoluzione, pur considerando quest'ultima, nel suo complesso, come il risultato positivo della crescita socioeconomica settecentesca e del correlato sviluppo della borghesia (le analoghe tesi del girondino A. Barnave, vittima del Terrore, furono conosciute solo nel 1843, con la pubblicazione postuma della Introduction à la Révolution française). • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  9. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • I contemporanei • Mentre F. Buonarroti ne La conspiration pour l'égalité dite de Babeuf (1828) riproponeva l'esperienza robespierrista e babuvista come modello positivo di lotta politica per l'instaurazione di una società comunista (riprese nel 1848 da L. Blanc e non a caso le tesi di F.N. Babeuf e Buonarroti sarebbero state studiate e rivalutate dopo la seconda guerra mondiale da storici di ispirazione filogiacobina o marxista come A. Galante Garrone, A. Saitta, C. Mazauric, V. Daline)... • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  10. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • Linea reazionaria: J.De Maistre (Le serate di San Pietroburgo, 1821). Perversione degli effetti • Serate di San Pietroburgo (uscite nel 1821, poco dopo la morte dell’autore). Le travolgenti vicende della Rivoluzione francese paiono a Maistre come la più evidente conferma dell’agire della Provvidenza: da un lato, esse sembrano il meritato castigo per una nobiltà e un clero corrotti e, dall’altro lato, paiono la dimostrazione più lampante che la Provvidenza si serve degli uomini (anche dei giacobini) come strumenti per realizzare i propri fini imperscrutabili. La convinzione di fondo che percorre l’intera riflessione di Maistre è infatti che gli uomini non siano padroni delle proprie vicende e dei propri accadimenti: ciò pare del resto incontrovertibilmente provato dal fatto che, quando al Rivoluzione raggiunse l’apice della tirannide, ci volle poco per rovesciarla; il XVIII secolo si è presentato come rivolta contro Dio, il quale ha punito questo efferato delitto ritirandosi dalla storia, lasciando fare agli uomini. Proprio in virtù di ciò "il mondo andò in frantumi", dice Maistre. L’imperdonabile errore commesso dalla filosofia moderna sta nel ritenere che tutto sia bene, mentre in realtà l’uomo è profondamente segnato dalla colpa del peccato originale e, in forza di ciò, nel mondo, dove ogni cosa è stravolta, v’è soltanto violenza, crudeltà, efferatezza, cosicché anche gli innocenti finiscono col pagare per i colpevoli. Nelle Serate di San Pietroburgo Maistre torna con rinnovato interesse sul problema del male e del dolore, asserendo che il vero male – quello di natura morale – è imputabile esclusivamente all’uomo, il quale impiega in maniera distorta la propria libertà, mentre il male fisico non è che la conseguenza di tale colpa. E’ soltanto il sacrificio a poter espiare le colpe di cui l’umanità si è macchiata, in primis il sacrificio di Cristo, ma poi anche quello degli innocenti che si fanno carico delle colpe e soffrono anche per i colpevoli. L’agire di Dio (che è l’unico e autentico padrone della storia) può apparire dispotico e crudele, ma ciò dipende solamente dalle colpe degli uomini, che rivendicano per se stessi una libertà assoluta. Maistre, in perfetta sintonia con Bonald, attacca duramente le teorie contrattualistiche e le vane pretese di creare una società nuova, tutte pretese chimeriche della dilagante mentalità illuministica e dei rivoluzionari, che confidavano esclusivamente nella ragion umana. La conclusione cui Maistre addiviene è che "il più grande flagello dell’universo è sempre stato in tutti i secoli ciò che chiamiamo filosofia", ovvero l’umana ragione che agisce autonomamente e – presa da orgoglio – senza accompagnarsi alla fede, giungendo per tale via ad esiti esclusivamente distruttivi. Ne segue, allora, che la costituzione politica non può né deve essere opera dell’uomo e assumere artificiosamente una codificazione scritta, giacché l’uomo non può creare nulla e ciò vale non solo sul piano naturale, ma anche su quello morale e politico. La costituzione è, al contrario, il modo di esistere che un potere superiore (cioè divino) assegna a ciascuna nazione, cosicché il potere non può essere del popolo e l’unico modo di ricostruire la vera sovranità dipende da un potere unico e assoluto. La legge, infatti, è realmente tale se e solo se emana da una volontà superiore, non dalla volontà di tutti o dei più. Sicché la forma naturale di governo (quella che rispecchia il volere divino) è la monarchia, ove al potere del monarca non si possono porre limiti di alcun tipo. In antitesi con quel che credevano i rivoluzionari, il re può essere ucciso ma non legittimamente giudicato. Conseguentemente, la monarchia ereditaria, finalizzata a perpetuare il potere unico e assoluto, è la forma di governo avente la massima stabilità e il massimo vigore. • <http://www.filosofico.net/demaistre.htm>, 18 settembre 2009

  11. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • J. Michelet (Storia della Rivoluzione francese, 1847-1853, ed. it. 1898) collocava al centro della scena il Popolo, romanticamente inteso come indifferenziato portatore di istanze di giustizia e di fratellanza, la Rivoluzione era, nelle sue origini e nei suoi sviluppi, il frutto di un'indicibile miseria popolare, soprattutto contadina. • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  12. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • e da A. de Tocqueville (L'antico regime e la rivoluzione, 1856, ed. it. 1942): • … essa era il risultato di un lungo processo di crescita materiale e spirituale e di sviluppo della borghesia. Quest'ultima, vera protagonista e principale beneficiaria della Rivoluzione, abolendo i privilegi e i particolarismi che erano l'essenza del sistema feudale e creando un modello di stato autoritario come quello giacobino-napoleonico, aveva completato l'azione livellatrice e di accentramento politico avviata alcuni secoli prima dalla monarchia assoluta contro la nobiltà feudale... • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  13. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • A.Toqueville: (Antico regime e rivoluzione francese, 1856) critica al concetto di cesura storica. Continuità con l’assolutismo. Il terrore e la mancanza dei corpi intermedi • Alexis de Tocqueville ritiene che la Rivoluzione francese per certi aspetti sia stata una rivoluzione politica che si è manifestata come una rivoluzione religiosa e che per altri si sia trattato di una rivoluzione religiosa vera e propria. • La Rivoluzione Francese è dunque una rivoluzione politica che ha operato con i modi, e in qualche cosa ha preso l’aspetto, di una rivoluzione religiosa. Guardate attraverso quali segni particolari e caratteristici giunge a rassomigliarvi completamente: non soltanto si diffonde lontano come quelle, ma, come esse, penetra con la predicazione e la propaganda. Una rivoluzione politica che ispira il proselitismo ed è predicata tanto ardentemente agli stranieri quanto appassionatamente è attuata in patria è davvero uno spettacolo nuovo. Fra tutte le cose sconosciute che la Rivoluzione Francese ha mostrato al mondo, questa è certamente la piú nuova. Ma non fermiamoci a ciò, tentiamo di penetrare piú addentro e scoprire se questa somiglianza negli effetti non sia prodotta da qualche nascosta somiglianza nelle cause. • [...] • La Rivoluzione Francese ha operato, in rapporto a questo mondo, come le rivoluzioni religiose agiscono in vista dell’altro; ha considerato il cittadino in un modo astratto, fuori di ogni particolare società; cosí le religioni considerano l’uomo in generale, indipendentemente dal paese e dal tempo. Essa non ha cercato solo quale fosse il diritto particolare del cittadino francese, ma quali fossero i diritti e i doveri generali degli uomini in materia politica. • Risalendo sempre cosí a quanto v’è di meno particolare, e per cosí dire di piú naturale, in fatto di istituzioni sociali e di governo, essa ha potuto rendersi comprensibile a tutti e imitabile in cento luoghi alla volta. • E poiché sembrava tendere alla rigenerazione del genere umano, piú che alla riforma della Francia, ha acceso una passione che fino allora neppure le piú violente rivoluzioni politiche avevano potuto provocare. Ha ispirato il proselitismo e fatto nascere la propaganda; ha potuto prendere cosí quell’aria di rivoluzione religiosa che ha tanto spaventato i contemporanei; o piuttosto, è divenuta essa stessa una specie di religione nuova: religione imperfetta, è vero, senza Dio, senza culto e senza un’altra vita, ma che tuttavia, come l’islamismo, ha inondato la terra con i suoi soldati, i suoi apostoli, i suoi martiri. • A. de Tocqueville, L’antico regime e la rivoluzione, Bur, Milano, 1989, pagg. 49-51

  14. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • A.Toqueville: (Antico regime e rivoluzione francese, 1856) critica al concetto di cesura storica. Continuità con l’assolutismo. Il terrore e la mancanza dei corpi intermedi • Alexis de Tocqueville ritiene che il risultato che la rivoluzione volle ottenere ed effettivamente ottenne fu di “rafforzare i poteri ed i diritti dell’autorità pubblica”, abolendo i “corpi intermedi”. Essa si è cosí inserita in un movimento plurisecolare, portandolo però a compimento in modo brusco. • La Rivoluzione non è stata fatta, come si è creduto, per distruggere il potere della fede religiosa; ad onta delle apparenze, è stata una rivoluzione essenzialmente sociale e politica; e, nell’ambito di tali istituzioni, si è proposta non già di perpetuare il disordine, di renderlo in certo modo stabile e di fare dell’anarchia un sistema, come diceva uno dei suoi principali avversari, bensí di accrescere il potere e i diritti dell’autorità pubblica. Essa non doveva cambiare il carattere che la nostra civiltà aveva avuto fino ad allora, come altri hanno pensato, né arrestarne i progressi, e nemmeno alterare nella sua essenza alcuna delle leggi fondamentali su cui poggiano le società umane dell’Occidente. Quando la separiamo da quegli incidenti che ne mutarono per breve tempo la fisionomia nei diversi tempi e nei diversi paesi, per considerarla in sé stessa, si vede chiaramente che risultato di questa Rivoluzione fu l’abolizione degli istituti politici che, durante parecchi secoli, avevano regnato in modo esclusivo sulla maggior parte dei popoli europei e che ordinariamente si definiscono come istituti feudali, per sostituirvi un ordine sociale e politico piú uniforme e semplice, basato sull’eguaglianza delle condizioni. • Bastava questo per provocare un’immensa rivoluzione; quelle istituzioni antiche, infatti, non soltanto erano ancora mescolate, e come intrecciate a quasi tutte le leggi religiose e politiche d’Europa, ma avevano anche suggerito una quantità di idee, sentimenti, abitudini, costumi che, ad esse aderivano. Fu necessaria una spaventosa convulsione per distruggere ed estrarre di colpo, dal corpo sociale, una parte a cui si collegavano cosí tutti i suoi organi. Perciò la Rivoluzione parve piú grande che non fosse; sembrava che distruggesse tutto, perché quanto distruggeva aveva rapporto con ogni cosa e, in certo modo, faceva corpo con tutto. • Per quanto sia stata radicale, la Rivoluzione ha tuttavia innovato meno di quanto si suppone in genere: dimostrerò in seguito che è stata molto meno novatrice di quanto si crede. È vero invece che essa ha distrutto interamente, o è in via di distruggere (perché dura ancora), tutto quanto nell’antica società derivava dalle istituzioni aristocratiche e feudali, tutto quanto vi si riallacciava in qualche modo tutto quanto ne portava, fosse pure minima, l’impronta. Del vecchio mondo, ha conservato soltanto quanto a tali istituzioni era estraneo, o poteva esistere senza di esse. Perché la Rivoluzione è stata tutt’altro che un avvenimento fortuito. Ha colto il mondo alla sprovvista, è vero; ma è il compimento di un lungo lavorio, la conclusione improvvisa e violenta di un’opera, alla quale avevano lavorato dieci generazioni di uomini. Se non fosse avvenuta, il vecchio edificio sociale sarebbe egualmente caduto, qui piú presto, là piú tardi; soltanto, avrebbe continuato a cadere pezzo a pezzo, invece di sprofondare di colpo. La Rivoluzione ha compiuto bruscamente, con uno sforzo convulso e doloroso, senza transizione, senza precauzioni né riguardi, quanto si sarebbe compiuto a poco a poco, da sé e in molto tempo. Fu questa, la sua azione. • A. de Tocqueville, L’antico regime e la rivoluzione, Bur, Milano, 1989, pagg. 57-58

  15. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • Nel clima infuocato della Comune di Parigi (1870-1871) e delle aspre tensioni politiche dei primi due decenni della terza repubblica veniva scritta e pubblicata l'opera più nota e fortunata della storiografia controrivoluzionaria: le Origini della Francia contemporanea (1875-1894, ed. it. 1986) di H. Taine. Muovendo da una concezione profondamente pessimista della natura umana, Taine vedeva nella Rivoluzione una pura esplosione di follia collettiva, in cui delle minoranze attive e senza scrupoli avevano manipolato (venendone spesso travolte, come apprendisti stregoni) folle che, in uno stato di forte tensione emotiva, avevano trasformato anche individui "normali" in belve sanguinarie. • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  16. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • Contro questa vera e propria criminalizzazione della Rivoluzione si mobilitò la cultura laico-democratica della terza repubblica. I contributi più solidi e duraturi vennero, in questo senso, da A. Aulard e da J. Jaurès. Il primo, interessato soprattutto alla storia politica e religiosa della Rivoluzione, ne proponeva una lettura simpatetica («Per conoscere la Rivoluzione – egli scriveva – bisogna amarla»), ispirata al laicismo razionalista e al culto dell'idea repubblicana edell'unità nazionale, usciti vincitori dalla crisi dell'affaire Dreyfus. Pur condannando gli eccessi del giacobinismo e del Terrore (Danton era stato, per Aulard, il più generoso interprete del «patriottismo rivoluzionario»), egli non contrappose mai una rivoluzione "buona" perché pacifica e ragionevole, quella del 1789, a un'altra "cattiva", quella giacobino-sanculotta, in quanto la violenza rivoluzionaria era stata solo «la risposta alla violenza di un passato che non voleva morire». . • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  17. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • la Storia socialista della Rivoluzione francese di J. Jaurès Pubblicata (1901-1904, ed. it. 1953-1956) a fascicoli da Rouff, noto editore di romanzi popolari, fu un'operazione storiografica e, al tempo stesso, politico-culturale di grande respiro. Alla demonizzazione della Rivoluzione operata da Taine e all'ottica politico-elitaria di Aulard, Jaurès contrapponeva, in un'epoca in cui grandi masse si affacciavano organizzate sulla scena politica e sindacale, una lettura "dal basso" attenta ai fatti economici e sociali e centrata sul protagonismo dei ceti popolari. Per Jaurès la Rivoluzione, diretta dalla borghesia e resa possibile dalla crescita economica settecentesca, aveva vinto grazie al sostegno popolare e aveva liberato nuove forze produttive e sociali che nell'Ottocento avrebbero favorito lo sviluppo del proletariato e del movimento socialista. • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  18. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • A. Mathiez, (La Rivoluzione francese, 1922-27): rivalutazione di Robespierre e del movimento sanculotto. Limiti del movimento giacobino nell’incomprensione della masse contadine • dominante diventava in Mathiez la preoccupazione di esorcizzare la leggenda nera di un Robespierre e di una dittatura giacobina promotori solo di terrore sanguinario. La repubblica democratica dell'anno II e la spietata intransigenza di Robespierre avevano avuto, per Mathiez, il merito storico di salvare la Rivoluzione nel momento di più grave pericolo, realizzando un'alleanza tra la borghesia intellettuale rappresentata dai montagnardi e i ceti medi produttivi e popolari organizzati nel movimento sanculotto. Dopo più di un secolo la rivoluzione bolscevica sembrava a Mathiez confermare la validità storica di quella alleanza e ripetere, in parte rinnovandole, forme di organizzazione e di lotta politica (dittatura rivoluzionaria di minoranze organizzate, che si ponevano alla guida di movimenti popolari più ampi ma eterogenei; dirigismo statale ed economia di guer ra; centralizzazione politico-amministrativa; politicizzazione di massa dell'esercito ecc.) sperimentate durante la Rivoluzione francese. Il confronto fra quest'ultima e la Rivoluzione d'ottobre russa tendeva, così, a trasformarsi in assunzione di entrambe a modello di azione politica per la trasformazione rivoluzionaria della società... • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  19. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • Invece in storici conservatori come P. Gaxotte (La rivoluzione francese, 1929, ed. it. 1989) tale confronto serviva a suffragare l'antico giudizio sulla Rivoluzione come opera del terrorismo ideologico e del settarismo superorganizzato di minoranze intellettuali, come quelle raccolte nelle "società di pensiero" e nei club rivoluzionari, destinati a generare la "dittatura comunista" dei montagnardi (qualche anno prima considerazioni analoghe aveva formulato, ma con ben diversa finezza intellettuale, A. Cochin in Les sociétés de pensée et la démocratie, études d'histoire revolutionnaire, opera pubblicata postuma nel 1921 e rivalutata decenni più tardi da F. Furet). • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  20. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • Con G. Lefebvre la storiografia rivoluzionaria si apriva alla storia delle campagne e, soprattutto, elaborava un modello interpretativo in cui si intrecciavano strettamente economia, strutture e rapporti sociali, lotta politica, mentalità e psicologia individuale e collettiva dei protagonisti della Rivoluzione. Pur convinto che, per le forze che l'avevano promossa,per gli obiettivi perseguiti e i risultati raggiunti, la Rivoluzione francese fosse essenzialmente antifeudale e borghese, Lefebvre fu alieno da ogni schematismo e della Rivoluzione diede un'interpretazione multicausale e articolata. Una profonda consapevolezza dello spessore e della capacità di resistenza delle strutture economico-sociali e mentali, soprattutto nel mondo rurale, lo spinsero a sottolineare, nella storia della Rivoluzione, oltre agli indiscutibili elementi di novità, anche fattori di continuità quali, per esempio, le resistenze contadine non solo al dominio feudale, ma anche ai processi di sviluppo capitalistico in atto in Francia già prima della Rivoluzione. • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  21. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • storici "revisionisti" come F. Furet e D. Richet o gli americani G.V. Taylor e C. Lucas, che dagli anni Cinquanta e Sessanta contestarono la definizione della Rivoluzione come essenzialmente antifeudale e borghese. Per questi e altri studiosi la nobiltà e la borghesia, più che due classi antagoniste, erano le componenti di una nuova elite del danaro e del talento, entrambe interessate al superamento dell'antico regime. Rafforzando la piccola e media proprietà contadina e frenando la spinta alla piena affermazione dell'economia di mercato la Rivoluzione avrebbe non accelerato, bensì ritardato lo sviluppo del capitalismo in Francia. • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  22. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • Scarsa fortuna ha avuto, la proposta interpretativa di J. Godechot (Le rivoluzioni, 1770-1799, 1963, ed. it. 1975) e R. Palmer (L'età delle rivoluzioni democratiche, 1959-1964, ed. it. 1971) secondo la quale la Rivoluzione francese sarebbe stata solo un episodio, sia pur decisivo e fortemente originale, di una più generale «rivoluzione occidentale» di cui quella americana sarebbe stata la prima rilevante manifestazione e che avrebbe contribuito ad affermare istanze democratiche fondate sull'eguaglianza, anche sociale, a fronte delle rivendicazioni aristocratiche e liberali, prevalentemente politiche, che avevano caratterizzato la prima fase della Rivoluzione. • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  23. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • Contro questa proposta, che aveva il merito di inserire la vicenda rivoluzionaria francese in un più ampio contesto internazionale senza cedere alle lusinghe, non infrequenti nella storiografia francese, di primati da rivendicare o da esorcizzare, insorsero soprattutto gli esponenti e i fautori della storiografia giacobino-marxista. Essi erano preoccupati che tale lettura della Rivoluzione francese ne offuscasse la specificità di «rivoluzione borghese a sostegno popolare» che, secondo A. Soboul, per prima aveva realizzato la transizione dal feudalesimo al capitalismo per via rivoluzionaria e non, come sarebbe invece avvenuto nel resto dell'Europa, soprattutto centrorientale, attraverso un compromesso politico tra la vecchia aristocrazia feudale e la borghesia finanziaria e commerciale. • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  24. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • nuovi campi di ricerca si aprono e altri, già arati in passato, vengono scandagliati sulla base di nuove domande e ipotesi di lavoro. La storia religiosa, per esempio, tende a privilegiare la dimensione antropologico-culturale rispetto a quella politico-istituzionale un tempo dominante (oltre ai lavori di M. Vovelle sono importanti, per esempio, quelli di B. Plongeron, Conscience religieuse en Révolution, 1967, e di M. Ozouf, La festa rivoluzionaria, 1976, ed. it. 1982). • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  25. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • La storia politica utilizza nuove categorie analitiche, come quella di sociabilità, per studiare le forme e gli strumenti del processo di acculturazione politica di massa realizzatosi in Francia durante la Rivoluzione (M. Agulhon, J. Boutier, P. Boutry) o si interessa alle trasformazioni del linguaggio e della simbologia politica (R. Balibar, M. De Certeau, D. Julia, J. Revel). • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  26. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • Lo studio dell'iconografia rivoluzionaria apre, poi, interessanti prospettive di ricerca, anche al di là della storia della mentalità, mentre nuove e più raffinate tecniche di rappresentazione grafica illustrano con evidenza ed efficacia inedite, nei volumi dell'Atlante storico della Rivoluzione francese, pubblicati a partire dal 1987, i processi politici, istituzionali, culturali, economici, sociali e di organizzazione dello spazio verificatisi durante la Rivoluzione. Al di fuori e al di là di vecchie, anche se non ancora del tutto sopite, polemiche sulla natura e sui meriti o crimini della Rivoluzione e dei suoi protagonisti, a due secoli di distanza dai fatti studiati la storiografia sulla Rivoluzione francese dimostra, dunque, tutta la vitalità di un cantiere di lavoro in piena attività. • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  27. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • A. Gerard, La Rivoluzione francese. Miti e interpretazioni (1789-1970), Mursia, Milano 1972; L. Guerci, Rivoluzione francese, in N. Tranfaglia e altri (a c. di), Il mondo contemporaneo, Storia d'Europa, vol. 2, La Nuova Italia, Firenze 1980; M. Terni, Il mito della Rivoluzione francese, il Saggiatore, Milano 1981; B. Buongiovanni, L. Guerci, L'albero della rivoluzione, Einaudi, Torino 1989; M. Vovelle (a c. di), Recherches sur la Revolution, La Découverte, Parigi 1991. • <http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/352.htm>, 18 settembre 2009

  28. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • François Furet, 62 anni, direttore del Centre recherches historiques à l'Ecole pratique des Hautes études di Parigi, nel 1965, insieme a Denis Richet, aveva pubblicato una storia della Rivoluzione francese destinata a segnare, una svolta nell'interpretazione dell'89. Di fronte ad una tradizione storiografica tutta o quasi apologetica, Furet invece tenta una revisione critica. Non spiega più gli errori della Rivoluzione come degenerazioni di fanatici, ma spiega che negli stessi princìpi che hanno mosso il corso degli eventi rivoluzionari erano comprese tutte le astrazioni e il dispotismo del periodo del Terrore. In secondo luogo c'è una continuità nella storia francese che la Rivoluzione solo scalfisce. Le tesi contenute nella sua «Storia» Furet le avrebbe svolte in maniera ancor più esplicite in un libro scritto tredici anni più tardi: «Critica della Rivoluzione francese» (in Italia edito da Laterza, £ 18.000). In occasione del Bicentenario, Furet ha pubblicato numerosi altri libri. In particolare «Il Dizionario critico della Rivoluzione», scritto a quattro mani con Mona Ozouf (e pubblicato in Italia da Bompiani, £ 50.000) e soprattutto «L'eredità della Rivoluzione francese», che sarà in libreria per Laterza da febbraio da cui è stata tratta l'anticipazione pubblicata dal «Sabato» in queste pagine. Si tratta, di un, libro molto importante corredato da una nutrita parte iconografica, che, sotto la direzione di Furet raccoglie anche i contributi di Strada, di Geremek, di Ferry e altri storici. • <http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/rivoluzione_francese/francoise_furet/articolo.php?id=2435&titolo=Furet.%20Cambi%F2%20il%20volto%20della%20storia>, 18 settembre 2009

  29. La rivoluzione francese. Ipotesi storiografiche • Linea reazionaria: J.De Maistre (Le serate di San Pietroburgo, 1821). Perversione degli effetti • A.Toqueville: (Antico regime e rivoluzione francese, 1856) critica al concetto di cesura storica. Continuità con l’assolutismo. Il terrore e la mancanza dei corpi intermedi • Interpretazione marxista: • J.Jaures : (Storia socialista della rivoluzione francese, 1901-08) rivoluzione borghese. Borghesia soggetto rivoluzionario • A. Mathiez, (La Rivoluzione francese, 1922-27): Rivalutazione di Robespierre e del movimento sanculotto. Limiti del movimento giacobino nell’incomprensione della masse contadine • A.Sobul: (La Rivoluzione Francese, 1968) studio del movimento sanculotto. Aspirazione alla democrazia diretta e partecipativa. Ideale di una società di piccoli produttori

  30. La rivoluzione francese. Ipotesi storiograficheLa linea revisionista • J. Godechot (Le rivoluzioni, 1770-1799, 1963) e R. Palmer (L'età delle rivoluzioni democratiche, 1959-1964): La rivoluzione atlantica • A. Cobban (La società francese e la rivoluzione, 1964) G.V. Taylor (Ricchezza non capitalistica e le origini della rivoluzione francese, 1966): mito della rivoluzione borghese • F.Furet: (Critica della rivoluzione francese, 1978) rivoluzione e cooptazione dell’élites, dérapages rivoluzionari, caratteristiche reazionarie del movimento sanculotto

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