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SPINOZA (trattato teologico-politico)

SPINOZA (trattato teologico-politico). prof. Michele de Pasquale. Spinoza procede alla corretta interpretazione della Scrittura utilizzando gli strumenti della filologia questo orientamento lo oppone. all’indirizzo ortodosso (appello all’autorità dello Spirito Santo).

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SPINOZA (trattato teologico-politico)

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Presentation Transcript


  1. SPINOZA(trattato teologico-politico) prof. Michele de Pasquale

  2. Spinoza procede alla corretta interpretazione della Scrittura utilizzando gli strumenti della filologia questo orientamento lo oppone all’indirizzo ortodosso (appello all’autorità dello Spirito Santo) all’indirizzo eterodosso (la filosofia procede ad un accertamento naturale della verità della Scrittura) questi due indirizzi pur così divergenti, sono d’accordo su un punto: il senso della Scrittura coincide con la verità

  3. infatti la ricerca filologica dimostra che il testo è corrotto, apocrifo, oscuro; e quando si riesce ad appurare un senso univoco a qualche passo, esso è falso (in questo caso ortodossi ed eterodossi parlerebbero di significato simbolico: ad esempio quando la Scrittura parla del Dio geloso è manifestamente falso perchè Dio non ha passioni) per Spinoza l’accertamento filologico conduce alla conclusione che lo scopo della Scrittura non consiste nella divulgazione di pensieri veri in materia speculativa pertanto lo scopo della Scrittura non è insegnare la verità, ma indurre all’obbedienza (obbedire a Dio e amare il prossimo) poichè la Scrittura-Rivelazione non concerne la verità, essa non costituisce un criterio di verità a cui il filosofo deve attenersi: la ricerca filosofica non può essere inibita dalla Rivelazione nè la religione, nè lo stato debbono opporsi alla libertà di pensiero

  4. “ Se gli uomini potessero procedere a ragion veduta in tutte le loro cose o se la fortuna fosse loro sempre propizia, non andrebbero soggetti ad alcuna superstizione. Ma, poichè essi vengono spesso a trovarsi di fronte a tali difficoltà che non sanno prendere alcuna decisione e poichè il loro smisurato desiderio degli incerti beni della fortuna li fa penosamente ondeggiare tra la speranza e il timore, il loro animo è quanto mai incline a credere qualsiasi cosa; quando è preso dal dubbio, esso è facilmente sospinto or qua or là, e tanto più allorchè esita in preda alla speranza o al timore, mentre nei momenti di fiducia è pieno di vanità e presunzione. Credo che nessuno ignori queste cose, benchè io sia convinto che la maggior parte degli uomini non conoscano se stessi; nessuno, infatti, che sia vissuto tra gli uomini può non essersi accorto come per la maggior parte essi siano così ricchi di sapienza, finche le cose vanno bene e ancorchè siano ignorantissimi, da ritenersi offesi se qualcuno voglia dar loro consigli; mentre nelle avversità non sanno da che parte voltarsi e implorano consiglio a destra e a sinistra, e non c’è suggerimento così insulso, così assurdo inutile che essi non seguano; salvo poi, per i motivi più insignificanti, tornare ad oscillare tra la speranza del meglio o il timore del peggio.(...) Se, poi, sono vivamente impressionati dal verificarsi di qualcosa di insolito, quei superstiziosi denigratori della religione lo credono un prodigio rivelatore dell’ira degli Dei o del sommo Nume, che perciò reputano nefando non placare con offerte e sacrifici, escogitando così un’infinità di stranezze e dando della natura le più bizzarre delle interpretazioni, come se questa partecipasse in tutto alla loro follia. (...) %

  5. Se questa, dunque, è la causa della superstizione, è chiaro che tutti gli uomini sono ad essa naturalmente inclini (checchè ne dicano coloro i quali ritengono esserne la causa il fatto che tutti i mortali abbiano una qualche idea confusa della divinità). Segue inoltre che essa deve essere del tutto mutevole ed incostante come tutte le finzioni mentali e gli impeti del furore, e infine che non può reggersi se non sulla speranza, sull’odio, sull’ira e sulla frode, dal momento che non dalla ragione essa ha origine, ma dalla passione, anzi dalla più irruente delle passioni. Quanto è facile, perciò, che gli uomini si lascino indurre in ogni genere di superstizione, altrettanto è difficile che essi persistano in un unico e medesimo genere. Al contrario, poiché il volgo non si sottrae mai al suo stato di miseria, proprio per questo non sta mai a lungo in quiete, e nulla ama più di ciò che è nuovo e che non l’ha ancora deluso: incostanza, che fu già causa di innumerevoli agitazioni e di guerre atroci; infatti, come si rileva dalle cose or ora dette e come osserva molto bene anche lo stesso Curzio “nulla riesce più della superstizione a dominare le masse”; onde avviene che queste siano facilmente indotte, col pretesto della religione, ora ad adorare come Dei i loro re, ora a esecrarli e detestarli come una peste comune del genere umano. Allo scopo di evitare questo inconveniente si pose un grande studio nel corredare sia la vera sia la falsa religione di un culto e di un apparato tali, da farla ritenere sempre più importante e da imporne a tutti la massima osservanza. %

  6. E in verità, se tutto il segreto e tutto l’interesse del regime monarchico sta nell’ingannare gli uomini e nell’adombrare col nome specioso di religione il timore che serve a frenarli, così da indurli a combattere per la propria schiavitù come se combattessero per la propria salvezza e da far loro credere che, non solo non sia sconveniente, ma che sia il massimo degli onori il sacrificare il proprio sangue e la propria vita per la gloria di un sol uomo, nulla invece si può pensare nè si può tentare in una libera repubblica che sia di ciò più assurdo; poiché ripugna assolutamente alla comune libertà il soffocare coi pregiudizi o il costringere comunque la libera opinione individuale; e quanto ai conflitti che vengono suscitati sotto il pretesto della religione, per certo essi sono originati soltanto dal fatto che si emanano leggi intorno alle cose speculative e le opinioni, come se fossero delitti, vengono incriminate e condannate: onde i difensori e i propugnatori di esse sono sacrificati, non alla salute pubblica, ma soltanto all’odio e alla violenza degli avversari. Mentre invece se in base al diritto dello Stato fossero perseguibili soltanto le azioni, e le parole rimanessero impunite, simili conflitti non potrebbero in alcun modo assumere aspetto giuridico, nè le dispute stesse si convertirebbero in conflitti. Poiché dunque è toccato a noi questo raro privilegio, di vivere in una Repubblica in cui è consentita a ognuno piena libertà di giudizio e la facoltà di onorare Dio secondo il proprio criterio, e dove nulla è stimato più caro e prezioso della libertà, ho ritenuto di non far cosa ingrata o inutile dimostrando che questa libertà non soltanto è compatibile con la pietà e con la pace dello Stato, ma anzi non può essere soppressa senza pregiudizio della stessa pietà e della stessa pace dello Stato: la dimostrazione di questo principio costituisce il principale intento del presente trattato. %

  7. Mi sono spesso meravigliato che uomini, i quali si vantano di professare la religione cristiana, e cioè l’amore, la gioia, la pace, la moderazione e la lealtà con tutti, contendessero tra di loro con tanto astiosa irruenza e si odiassero a vicenda con sì feroce e costante accanimento, da far capire da ciò, piuttosto che dall’esercizio di quelle virtù, la specie di fede da ciascuno professata; le cose sono ormai arrivate al punto, che quasi non si può più distinguere di chi si tratti, se di un Cristiano, cioè, o di un Turco o di un Ebreo o di un Pagano, se non dalla veste esteriore di ognuno e dal culto o dalla Chiesa che frequenta o dall’opinione che segue o dal maestro sulla cui parola suole giurare. Per il resto conducono tutti la stessa vita. Cercando io dunque la causa di questo male, la ravvisai senza dubbio nel fatto che per il volgo ebber valore di religione il considerare il ministero ecclesiastico come una dignità e i doveri ad esso connessi come un beneficio e il rendere i massimi onori ai pastori. Infatti, non appena incominciò nella Chiesa questo abuso, tosto si accese nei peggiori una gran voglia di accedere all’amministrazione dei sacri uffici, e lo zelo della propaganda religiosa degenerò in vergognosa avidità e ambizione, trasformando il tempio stesso in un teatro, dove presero la parola, non dottori della Chiesa, ma oratori, il cui proposito non era d’istruire il popolo, bensì d’imporsi alla sua ammirazione, di criticare pubblicamente gi avversari e di insegnare soltanto novità sensazionali, che suscitassero soprattutto la meraviglia del volgo; di qui un cumulo di contrasti, di invidie, di odi, che il passar del tempo non riuscì a sedare. %

  8. Non c’è da stupirsi, dunque, se dell’antica religione non sia rimasto altro che il culto esterno (col quale il volgo sembra adulare Dio più che adorarlo), e che la fede non sia ormai altro che un complesso di credulità e di pregiudizi: pregiudizi, che trasformano gli uomini da esseri razionali in bestie, in quanto li inducono nell’assoluta impossibilità di usare la propria facoltà di giudizio e di distinguere il vero dal falso, escogitati come sembrano allo scopo di estinguere del tutto il lume dell’intelletto. In verità, se una scintilla almeno di quella luce divina li illuminasse non sarebbero vittime della oro superba insania, ma imparerebbero a onorare Dio con maggiore saggezza e, invece che la caratteristica dell’odio, quella dell’amore li distinguerebbe dagli altri; e non perseguiterebbero con tanta ostilità quelli che da loro dissentono, ma piuttosto avrebbero pietà di essi, se davvero si preoccupassero più della loro salvezza che del proprio successo. Inoltre, se avessero qualche lume divino, questo risulterebbe almeno dalla dottrina; bisogna riconoscere invece che con tutta la loro ammirazione per i profondissimi misteri della Scrittura, nulla hanno saputo insegnare all’infuori di quanto era contenuto nelle speculazioni degli Aristotelici e dei Platonici; e a queste, per non aver l’aria di seguire i pagani, adattarono la Scrittura. Non bastò loro di perdersi dietro ai Greci, ma pretesero che vi si fossero smarriti anche i profeti: il che dimostra chiaramente che essi non hanno la più pallida idea della divinità della Scrittura e che quanto più si ostinano a contemplarne i misteri, tanto più chiaramente mostrano come essa sia per loro oggetto di infatuazione, più che di fede; %

  9. e ciò si vede anche dal fatto che, per lo più, ad intendere la Scrittura nel suo vero significato, essi partono dal presupposto che essa sia veritiera e ispirata da Dio in tutte le sue parti: cosa, che dovrebbe risultare soltanto dalla intelligenza e da un severo esame di essa, sicché essi stabiliscono come regola preliminare della sua interpretazione ciò che essa stessa è in grado d’insegnarci assai meglio, senza bisogno di umani artifici. Riflettendo dunque su queste cose, e cioè che il lume naturale è da molti non soltanto disprezzato, ma condannato come fonte di empietà; che l’interpretazione umana è tenuta in conto di rivelazione divina; che la credulità ha preso il posto della fede e che le controverse opinioni dei filosofi sono discusse con estrema passione nelle chiese e nelle curie, donde odi e contrasti fierissimi, che si convertono facilmente in lotte, e molte altre conseguenze, che sarebbe troppo lungo enumerare, venni nella deliberazione di istituire un nuovo, completo e libero esame della Scrittura, con il proposito di non affermare nulla intorno ad essa e di non ammettere come sua dottrina nulla che in essa non risultasse chiarissimamente contenuto. Seguendo questo criterio ho elaborato un metodo d’interpretazione dei Sacri Volumi, sulla scorta del quale ho incominciato anzitutto a chiedermi che cosa dovesse intendersi per profezia, in qual modo Dio si fosse rivelato ai profeti e perché questi gli fossero accetti: se, cioè, perché possedessero sublimi concetti intorno a Dio e alla natura o soltanto per la loro pietà. Conosciuto questo, ho potuto facilmente stabilire che l’autorità dei profeti vale soltanto in ciò che concerne la pratica della vita e della vera virtù, mentre del resto le loro opinioni ci interessano poco. (...) %

  10. Esposti quindi i principi fondamentali della fede, concludo infine che l’oggetto della conoscenza rivelata non è che l’obbedienza, e che essa si distingue perciò assolutamente, nell’oggetto, nel fondamento e nel metodo, dalla cognizione naturale, con la quale non ha nulla in comune, occupando ciascuna di esse un proprio dominio, senza mutua ripugnanza nè motivo di reciproca subordinazione. Siccome, poi, l’indole degli uomini è così varia, che chi si acquieta a questa chi a quella opinione, onde la medesima cosa suscita nell’uno il sentimento religioso e muove l’altro al riso, dalle cose sopra dette concludo doversi lasciare a ciascuno la libertà di giudizio e la facoltà di interpretare a suo modo il fondamento della fede, giudicando esclusivamente dalle opere se questa sia santa o empia. Così tutti potranno obbedire a Dio in piena e perfetta libertà, e soltanto la giustizia e la carità saranno da tutti tenute in pregio. Dimostrata così la libertà che la legge divina rivelata riconosce a ciascuno, passo all’altra parte della questione: che, cioè, questa stessa libertà può, anzi deve essere concessa senza pregiudizio della pace della Repubblica e del diritto delle supreme autorità, e che non può essere tolta senza grave pericolo della pace e senza grave danno di tutta la Repubblica: e per dimostrare ciò prendo le mosse dal diritto naturale individuale, il quale si estende fin là dove si estende la cupidigia e il potere di ciascuno, nessuno essendo costretto per diritto di natura a vivere secondo la volontà altrui, ma essendo invece ciascuno padrone della propria libertà. %

  11. Dimostro in seguito che nessuno decade da questo diritto, a meno che non deferisca ad altri la facoltà di difenderlo, nel qual caso questo diritto che ciascuno ha di vivere a modo suo, congiuntamente con il potere di difendersi, viene necessariamente esercitato in modo assoluto dalla persona in cui è trasferito; e quindi dimostro che coloro i quali detengono il sommo potere hanno diritto a tutto ciò che rientra nel loro potere e che essi soli sono i custodi del diritto e della libertà, mentre tutti gli altri non possono agire se non in conformità dei loro decreti. Tuttavia, poiché nessuno può privarsi della facoltà di difendersi fino al punto da cessare di essere uomo, ne segue che nessuno può privarsi in modo assoluto del proprio naturale diritto e che i sudditi mantengono quasi per diritto naturale alcune prerogative che non possono essere loro tolte senza grave pericolo dello Stato e che sono loro tacitamente riconosciute o da loro espressamente stipulate con i detentori del sommo potere.” (Spinoza, Trattato teologico-politico)

  12. riguardo al problema della fondazione del potere politico (lo stato di natura, il patto sociale) la sua riflessione è simile a quella di Hobbes, anche se il suo modello di stato, al contrario di Hobbes, è finalizzato alla libertà concorda con l’assolutismo politico hobbesiano ma non con l’esercizio dispotico del potere uno stato solido si fonda sull’uso moderato del potere: più uno stato limita la libertà del cittadino, più dovrà impegnarsi in azioni di controllo, punizioni che lo rendono fragile e non lo fanno essere duraturo

  13. “ D’altra parte, nessuno può mettere in dubbio che sia della più grande utilità, per gli uomini, il vivere secondo regole e ben stabiliti precetti della nostra ragione i quali sono rivolti, come si è detto, al nostro effettivo vantaggio. Inoltre non c’è nessuno che non desideri vivere in sicurezza e senza timore, per quanto almeno è possibile: il che però non può aver luogo che in misura minima, fin tanto che è data licenza a ciascuno di fare tutto ciò che voglia a suo piacimento e fintanto che non si riconosca alla ragione un diritto maggiore che all’odio e all’ira. In mezzo a inimicizie, odii, collere e frodi non c’è nessuno che non viva in preda all’ansietà e che perciò non procuri, per quanto è in suo potere, di evitare questi mali. Se poi vogliamo riflettere sul fatto che necessariamente gli uomini vivono in condizioni misere quando manchi l’aiuto reciproco e il rispetto delle norme razionali (come mostrammo nel Capitolo V), vedremo con la massima chiarezza che essi per vivere in sicurezza e nel miglior modo possibile, dovettero necessariamente accordarsi e dovettero fare in modo che il diritto, prima esercitato naturalmente da ciascuno su tutto, venisse esercitato collettivamente e determinato non in base alla violenza e all’appetito dei singoli, ma in base alla forza e alla volontà di tutti unitamente. Questa iniziativa sarebbe però stata frustrata se gli uomini non avessero rinunciato a perseguire ciò che gli appetiti suggeriscono (in forza delle leggi dell’appetito ciascuno è infatti sospinto in direzioni diverse da quelle degli altri); %

  14. essi perciò dovettero, nel contrarre il patto, impegnarsi con la maggiore fermezza a dirigere le loro azioni soltanto secondo le norme della ragione (cui nessuno osa opporsi apertamente per non sembrare privo di senno), a frenare gli appetiti in quanto inducano a produrre il danno altrui, a non fare a nessuno ciò che non avrebbero voluto fosse fatto a se stessi, a difendere infine il diritto altrui considerandolo come il proprio [...] La società può costituirsi senza che si venga a creare conflitto con il diritto naturale, e ogni patto può essere rispettato con piena lealtà soddisfacendo dunque a questa condizione: che ciascuno alieni a favore della società tutta la potenza di cui dispone. La società verrà così investita del sovrano diritto di natura su ogni cosa, cioè essa sola tratterrà nelle proprie mani l’autorità suprema alla quale ciascuno si troverà nella condizione di dover ubbidire, sia di sua spontanea volontà, sia per timore della pena capitale. Un così inteso diritto esercitato dalla società intera è detto “democrazia”: regime politico definibile appunto come unione di tutti i cittadini, che possiede ed esercita collegialmente un diritto sovrano su tutto ciò che è in suo potere. Ne risulta che questa potestà non può essere condizionata da nessuna legge e che tutti le debbono sottostare in ogni campo; sottomissione del resto che, espressamente o tacitamente, dovette essere pattuita quando tutti trasferirono nella società l’intera potenza di cui disponevano per difendersi, e quindi ogni loro diritto. [...] Aggiungasi che l’individuo ha potuto affrontare con relativa facilità il pericolo di una totale sottomissione al comando e al volere di un altro. %

  15. Infatti, come s’è detto, il diritto di imporre incondizionatamente il proprio volere compete alle autorità sovrane tanto a lungo quanto a lungo dispongono del sommo potere effettivo: nel momento preciso in cui perdono tale potere, perdono anche il diritto di comando ed esso cade nelle mani di quel singolo o di quel gruppo che avrà saputo acquisirlo e che è in grado di conservarlo. In ciò sta il motivo per cui assai raramente accade che l’autorità sovrana impartisca ordini totalmente assurdi, dato che su di essa incombe l’obbligo di provvedere al benessere comune e di ispirare alla ragione la propria condotta: obbligo che deve assolvere se vuole provvedere a se stessa e salvaguardare la propria egemonia. Nessuno poté mantenere a lungo, come dice Seneca, un dominio fondato sulla violenza arbitraria. A ciò si aggiunga la considerazione che in regime democratico è meno da temersi l’eventualità di una condotta politica irrazionale. E quasi impossibile, difatti, che la maggioranza, in un’assemblea di grandi proporzioni, si metta d’accordo nel prendere una decisione assurda. Inoltre sappiamo che il fondamento e il fine di un simile regime è quello di evitare le forme deteriori della cupidigia e di mantenere la s condotta degli uomini, per quanto è possibile, entro i confini della ragione, perché vivano pacificamente e in concordia.” (Spinoza, Trattato teologico-politico)

  16. se col patto i cittadini cedono i loro diritti in cambio di un maggiore vantaggio, uno stato dispotico procura più svantaggi che vantaggi (si pensi alla conflittualità sociale che provoca) uno stato forte è quello che riconosce la libertà di pensiero, di critica anche alle istituzioni politiche la libertà è il miglior antidoto alla sovversione Spinoza contempla solo due casi in cui è lecito limitare la libertà di pensiero e parola: • quando si tratta di teorie che dissolvono il patto sociale; • quando si tratta di azioni contro la stato.

  17. “ Se nessuno può rinunziare alla libertà di pensare e di giudicare secondo il proprio criterio, e se ciascuno per insopprimibile diritto di natura è padrone dei propri pensieri, ne viene che, in una comunità politica, avrà un esito sempre disastroso il tentativo di costringere uomini che hanno diversi e contrastanti pareri a formular giudizi e ad esprimersi in conformità con quanto è stato prescritto dall’autorità sovrana. D’altro canto, gli uomini non sanno tacere: non sanno farlo i più provveduti e prudenti, tanto meno poi la gente comune. Confidare agli altri i propri disegni e le proprie opinioni, quando pur sarebbe necessario tacere, è una sorta di debolezza molto diffusa. Sarà dunque quanto mai oppressivo quel governo che vorrà sopprimere la libertà di esprimere e di esporre esaurientemente il proprio pensiero, mentre darà prova di misura quello che riconosce a chiunque tale libertà. Senza dubbio noi non potremmo negare che l’autorità dei governanti può essere lesa tanto dalle parole quanto dalle azioni, e perciò, se è impossibile strappare tale libertà ai sudditi, sarebbe d’altra parte molto pericoloso accordarla senza nessuna limitazione. […] Il fine dello Stato — ripeto — non è quello di trasformare gli uomini da esseri razionali in bestie o automi. Proprio al contrario, è quello di far sì che adempiano alle proprie funzioni sia fisiche che mentali in condizioni di sicurezza, che usino liberamente la loro ragione, e che cessino, d’altra parte, di contendere tra loro con odio, collera, inganni e di comportarsi in modo ingiusto nei loro mutui rapporti. In una parola: il fine dell’organizzazione politica è la libertà. [...] %

  18. Poniamo ad esempio che qualcuno metta in luce l’irragionevolezza di una data legge e giudichi perciò che vada abolita: se sottopone le proprie opinioni al giudizio dell’autorità sovrana (alla quale soltanto compete di istituire o abrogare le leggi) e nel frattempo non compie atti contrari a ciò che quella legge prescrive, fa opera meritoria verso la comunità politica e si qualifica come il migliore dei cittadini. Se, al contrariole sue obiezioni mirano ad accusare il magistrato di ingiustizia e a suscitare contro di lui l’odio del popoìo, o se in modo sedizioso si adopera ad annullare quella legge contro la volontà del magistrato, allora è da vedersi in lui un provocatore di disordine e un ribelle. [...] Ma si ammetta che questa libertà sia oppressa e che gli uomini possano essere fatti oggetto di coercizione così da non osare di profferire parola se non conformemente a ciò che è stabilito dai sommi poteri: certo non accadrà mai, per questo, che siano anche indotti a pensare soltanto quello che s’accorda con i voleri delle autorità! E sarà inevitabile, allora, che gli uomini quotidianamente pensino in un modo e parlino in un altro, che si venga di conseguenza guastando la lealtà, virtù più di ogni altra necessaria in una comunità politica, che vengano favorite la perfidia e l’esecrabile adulazione. Onde le frodi e lo scadere di tutte le qualità positive. In realtà si è ben lungi da poter creare una situazione tale per cui tutti parlino secondo l’ordine emanato dall’alto. Al contrario, quanto più ci si impegna nel togliere agli uomini la libertà di espressione, tanto più tenacemente essi vi si oppongono.” (Spinoza, Trattato teologico-politico)

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