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SPAZI di pensiero a scuola

SPAZI di pensiero a scuola. METIS – Metodologie Educative Territoriali per l’Inclusione Sociale 17 settembre 2013 - MIUR Santa Parrello Dipartimento di Studi Umanistici Sezione di Psicologia e Scienze dell’Educazione Università degli Studi di Napoli F ederico II

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SPAZI di pensiero a scuola

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Presentation Transcript


  1. SPAZI di pensiero a scuola METIS – Metodologie Educative Territoriali per l’Inclusione Sociale 17 settembre 2013 - MIUR Santa Parrello Dipartimento di Studi Umanistici Sezione di Psicologia e Scienze dell’Educazione Università degli Studi di Napoli Federico II ASSOCIAZIONE Maestri di Strada onlus

  2. UN NUOVO ANNO SCOLASTICO L’inizio dell’anno scolastico continua ad essere un marcatore temporale importante nella nostra società. Ma che cosa rappresenta a livello simbolico? Andare a scuola vuol dire davvero sentire di varcare la soglia di un luogo privilegiato di apprendimento e di crescita? Quanto corrisponde la nostra scuola reale alla scuola ideale delineata dalla nostra costituzione, che la vorrebbe strumento prezioso di democrazia e di sviluppo del sé?

  3. Molti insegnanti e allievi si impegnano ogni anno per fare della scuola un luogo fecondo entro il quale realizzare gran parte della complessa trasmissione intergenerazionale di esperienze e di saperi indispensabile per ogni nuova generazione. Perché ciò avvenga la scuola deve essere insieme materna e paterna: materna perché deve accogliere, far sentire protetti, al sicuro, riconosciuti nei bisogni e nelle differenze, paterna perché deve dare regole e offrire modelli in grado di stimolare desideri e progetti di vita futura, esigendo impegno, sacrifici e responsabilità. FUNZIONE MATERNA E FUNZIONE PATERNA

  4. MAL DI SCUOLA • Tuttavia accade sempre più frequentemente che la scuola sia invece luogo di disagio: per gli insegnanti, costretti spesso a lavorare in condizioni difficili e senza il necessario riconoscimento sociale del loro mandato e della loro professionalità; per gli studenti, che non sempre trovano a scuola un clima sereno e un sistema capace di accoglierli nella loro unicità. L’incontro fra docenti stressati e allievi demotivati finisce allora per essere esplosivo: si tratta di un’esplosione silenziosa, un mal di scuola che logora giorno per giorno, entro il quale gli adulti appaiono sempre più stanchi e incapaci di offrirsi come modelli di vita attraenti e i giovani si trovano a replicare copioni di disaffezione, aggressiva o apatica.

  5. DISAGIO SCOLASTICO E DISPERSIONE FUORI E DENTRO LE AULE Uno dei risultati possibili è la dispersione scolastica, fuori o dentro le aule. Non esiste infatti solo una dispersione che si declina come abbandono materiale della scuola, che pure c’è ed è cospicua... Esiste ed è molto diffusa una dispersione dentro la scuola, che è dispersione di desiderio di apprendere, di motivazione a crescere e a costruire la propria vita scegliendo, cambiando i copioni familiari e sociali. Si tratta di una dispersione che travalica i confini dei contesti socio-economici, è presente al sud come al nord, nelle periferie come nei centri storici, nei licei come negli istituti professionali, e ovunque si configura come un enormespreco di risorse umane: ore ed ore trascorse in aula o nei corridoi resistendo ai tentativi tradizionali di insegnamento e coinvolgimento, astraendosi silenziosamente e ostinatamente dalla vita di classe o disturbandola compulsivamente in ogni modo.

  6. COMPLESSITA’ L’insuccesso formativo e la dispersione scolastica sono fenomeni complessiche non riguardano solo la povertà o l’esclusione sociale, ma rimandano a grandi questioni, come • il disagio della civiltà • la crisi dei garanti metapsichici e metasociali • la trasformazione delle dinamiche di trasmissione intergenerazionale e la crisi della funzione paterna • la crisi di credibilità delle democrazie e le profezie di futuro catastrofico • la mancanza di desiderio di apprendere che si configura anche come blocco degli apprendimenti formali…

  7. RISCHI EVOLUTIVI • Tuttavia il rischio evolutivo si fa più grave là dove né la famiglia né la scuola sono in grado di fornire cure e stimoli adeguati, amplificando paure, bassa stima di sé, senso di vergogna, rabbia e rassegnazione, che fanno sentire periferici rispetto alla vita desiderata che sembra scorrere ostentatamente altrove.

  8. Esistono sperimentazioni educative che riescono a modificarequeste situazioni?con quali strumenti?

  9. IL PROGETTO E-VAI Il Progetto E-vai entra nelle scuole, sempre più depauperate di mezzi materiali ma soprattutto di energia motivazionale, per supportare la relazione educativa fra docenti ed allievi, migliorare il clima di classe, favorire le relazioni scuola-famiglia. Come? - coinvolgendo attivamente dirigenti e insegnanti attraverso una reale co-progettazione; - offrendo innesti creativi a supporto della didattica (ad esempio laboratori di giochi matematici e scientifici, di giornalismo, di storia in musica, di orti urbani); - attivando spazi di incontro per i ragazzi fuori dalla scuola (laboratori territoriali della arti); - coinvolgendo i genitori anche a casa; - ma soprattutto creando uno spazio di pensiero riflessivo, per docenti, allievi e operatori.

  10. La scuola, infatti, è andata sempre più delineandosi negli ultimi anni come luogo del dover fare piuttosto che pensare, erogando servizi, talvolta scadenti, saperi, di cui non è sempre chiaro il senso, performance tagliate sulla loro misurabilità e valutabilità, senza tempi e spazi istituzionali dentro i quali sospendere le azioni per riflettere. È invece indispensabile ripensare conoscenze ed eventi dando loro un significato personale: questo è vero tanto per gli adulti quanto per i giovani, che hanno bisogno di ripercorrere alcuni momenti di vita scolastica, soprattutto quelli legati a transizioni, insuccessi, errori, frustrazioni, grazie anche all’ausilio del gruppo.

  11. PENSARE LA RELAZIONE EDUCATIVA • La relazione educativa è sempre difficile, rischiosa, ha un’ampia componente discrezionale che è ansiogena: l’insegnante è costantemente sotto tensione perché la dimensione relazionale coinvolge in profondità, richiedendo una stretta vicinanza (esser-ci) che è sempre anche emotiva; ma al contempo impone una presa di distanza, una sospensione dell’azione per pensare.

  12. ma perché accade che evitiamo di fermarci a pensare alle situazioni scolastiche difficili entro le quali ci troviamo? Non è facile prendere contatto con i propri inciampi interni: insicurezza, senso di inadeguatezza, senso di colpa, ansia, paura, senso di frustrazione… Soprattutto se si è o ci si sente soli, non sostenuti da altri (ESTREMA COMPETIZIONE), da una comunità (CRISI DEL MANDATO SOCIALE). Si finisce per difendersi, indossando ‘armature’ (routinizzazione, rimozione delle componenti emotive, attribuzione di responsabilità su agenti esterni, autoreferenzialità, ossessività rispetto agli obiettivi formali…)

  13. Ma solo fermandosi a pensare, gli adulti possono realmente prendersi cura dei giovani e insegnar loro a fare altrettanto. • FUNZIONE di REVERIE (Bion, 1962) simile ad una ‘funzione di mulino’ (Disanto, 2010): i chicchi di grano non sono commestibili, il pane sì; al bambino occorre che qualcuno macini e panifichi per lui; solo gradualmente il bambino potrà fare altrettanto in autonomia; ma se all’inizio nessuno lavora il grano per lui (le emozioni dolorose), il bambino starà male e non potrà imparare

  14. L’ISTITUZIONE però, per definizione, minaccia costantemente il pensiero e la creatività dei singoli , richiedendo adattamento, compiacenza, funzionamento formale, che non prevedono incertezze, imprevisti…. Occorre RESISTERE: porsi domande, non chiudersi in se stessi, cercare alleanze, darsi tempo (per conoscere gli allievi, per capire)….

  15. Tuttavia essere adulti responsabili capaci di fermarsi a pensare anche e soprattutto alle situazioni difficili dentro le quali ci si trova non è un punto di arrivo, ma un processo continuo. E soprattutto non è un processo individuale, solitario! E’ un processo comunitario, che dovrebbe coinvolgere il contesto sociale e culturale, scolastico, il gruppo dei colleghi.

  16. IL GRUPPO I gruppi di docenti e operatori, che non sono gruppi di terapia (cfr. ad es. i gruppi Balintin F. Pergola, a cura di, L’insegnante sufficientemente buono, Magi 2010) mirano a creare una atmosfera di libertà che permetta ad ogni membro di esprimere senza fretta non solo il proprio parere, ma tutte le impressioni, gli entusiasmi, gli scoraggiamenti, i dubbi, i timori, senza la preoccupazione di dover giungere a conclusioni definite. Ciascuno può raccontare, nel modo più ‘personale’possibile, un’esperienza difficile, avendo chiaro che il focus non è mai l’allievo ma l’allievo dentro la relazione. Il gruppo, guidato da uno psicologo, offre vari punti di vista (gruppo non di supervisione bensì di multivisione), ma non dà vita ad una mera discussione: crea un contenitore emotivo, nel quale è possibile affrontare anche le proprie difficoltà senza eccessivo timore di giudicarsi ed essere giudicati…

  17. Così “non si cambia perché si è capito, ma si capisce perché si è cambiati” (Balint. 1957) Scrive una delle educatrici del Progetto E-vai: ... X, docente di matematica di questa classe, è passata dal trascurarsi e dal trascurare i ragazzi ad una fase nuova. Mi dice verso la fine dell'anno: “Roberta, tu sei sempre cosí solare con i ragazzi .... Ho capito che é importante. Ora mi trucco, mi sistemo con cura e cerco di sorridergli sempre. Ho fatto un progetto per i ragazzi che incontreró e per quelli che cresceranno. Ho preso spunto dalle vostre attivitá, dal vostro modo di fare lezione... Ora appunto tutto e mi organizzo. Farò cartelloni, userópiúgiochi…”.

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