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l’esperienza della fede

Tra azione rituale e linguaggio simbolico. l’esperienza della fede. Ufficio Scuola Diocesi di Andria, 2019 sac Mario Castellano Arcidiocesi di Bari-Bitonto. “. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea,

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Presentation Transcript


  1. Tra azione rituale e linguaggio simbolico l’esperienza della fede Ufficio Scuola Diocesi di Andria, 2019 sac Mario Castellano Arcidiocesi di Bari-Bitonto

  2. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva Benedetto XVI, Deus Caritas est, 1

  3. Partiamo da una domanda: è una dottrina insegnata e appresa o una fede celebrata e professata a plasmare l’identità del credente piccolo o adulto che sia?

  4. Anche l’insegnamento della religione può collocarsi nell’ambito più ampio dell’annuncio kerigmatico: • la bella notizia di Cristo che ci ama • ed è morto ed è risorto per donarci la Vita nuova. • È il primo annuncio in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti (Papa Francesco, EvangeliiGaudium, 164) • Kèrigma è molto più che dottrina, • è annuncio capace di generare la fede • e non semplicemente di comunicare concetti se pur belli, veri e religiosi.

  5. la catechesi dovrebbe di più recuperare • questo annuncio e diventarne eco e sviluppo. • la liturgia dovrebbe farne fare esperienza. • l’insegnamento potrebbe, attraverso la sua specificità, • avviare questo processo • di formazione e di iniziazione • alla fede e alla vita cristiana

  6. Gli obiettivi richiamati evidenziano: • i rischi e i limiti di un approccio • alla dimensione della fede solo in termini intellettivi • le prospettive verso cui dovremmo muoverci affinché non si venga solo ‘informati’ sulla fede ma ‘formati’ alla fede ed essa dia ‘forma’ ad una vita non solo religiosa ma autenticamente cristiana.

  7. Una concreta possibilità sta nella valorizzazione della dimensione esperienziale, interpretata antropologicamente, nel passaggio dal segno al simbolo, e nella riscoperta della iniziazione simbolico-rituale alla fede e alla vita cristiana.

  8. Una concreta possibilità Si tratta innanzitutto di superare quell’intellettualismo che rende le forme semplicemente funzionali al contenuto e considera il linguaggio solo uno strumento espressivo per comunicare agli altri la conoscenza della realtà.

  9. Secondo questa visione ogni forma espressiva sarebbe conseguente ad una esperienza pre-linguistica, pre-simbolica e pre-rituale. Ma se è vero invece che l’esperienza si accende nell’espressione, e che il linguaggio non è solo un’espressione, ma è anche sempre un’esperienza della realtà, allora è chiaro che, proprio nell’azione rituale, con la riscoperta della ricchissima “non-verbalità” della liturgia, si garantisce in modo efficace la formazione della “mens Christiana” . A. Grillo, La riscoperta dell’iniziazione simbolico-rituale alla fede

  10. In questo senso, il primato del simbolico-rituale, si offre come via preferenziale di accesso al mistero, che si rivela e manifesta. Questo richiede il riappropriarsi della valenza simbolica del linguaggio, troppo spesso ridotto alla mera funzione didascalica, l’eloquenza di riti (azioni rituali) trasparenti che non necessitino tanto di spiegazioni quanto di autenticità. Già R. Guardini, lamentando che l’aspetto visibile, concreto della religione, il rito e il simbolo, veniva meno e non era più colto e vissuto in modo immediato, sosteneva che era necessario recuperare il rapporto del visibile con l’invisibile, dove però il problema non era tanto l’invisibile, quanto la carenza del visibile. L. Bouyer, prima ancora del Concilio, nel saggio “Il rito e l’uomo” sosteneva che affinché i riti «possano riprendere tutto il loro significato, bisognerà che prima di tutto riprendano la loro realtà». «Quanto più il potere suggestivo immediato delle ierofanie dell’acqua e del banchetto si è affievolito nell’uomo moderno, tanto più sarà necessario che il bagno salutare ritorni ad essere un vero bagno, che gli alimenti sacri possano essere riconosciuti come vero pane e vero vino» L. Bouyer, Il rito e l’uomo. Sacralità naturale e liturgia.

  11. un tavolo… «Un tavolo è un tavolo: così si dice. Ma è davvero solo questo? Un tavolo è ben più di un tavolo… Intorno ad esso s’incontra la famiglia; gli ospiti vengono accolti nella comunità familiare: mangiare insieme crea un legame. Nel vocabolario è scritto: Tavolo: mobile formato da una superficie piana posta su un supporto generalmente a quattro gambe. Tutto questo è indiscutibile, visto da fuori. Nella nostra vita però il tavolo non è solo questo. Esso è il centro della casa, ‘simbolo del vivere insieme’» H. Halbfas, Religionunterricht in derGrundschul

  12. Questo approccio alla comprensione e questo tipo di accompagnamento può facilitare, ad esempio, il passaggio alla scoperta del significato cristiano della mensa eucaristica. Compito del formatore è di accompagnare il fanciullo nello sviluppo di quel ‘senso simbolico’ che il catecheta tedesco citato indica come “l’apertura del terzo occhio” o l’ingresso nella “terra oltre la cruna dell’ago”. «Alla fecondità e alla ricchezza del simbolo appartiene la proprietà di cogliere la realtà nella sua interezza: esso è il senso della totalità. E, per questa sua proprietà di rappresentare il reale nella sua complessità, il simbolo è ambivalente: l’acqua genera la vita, ma è anche portatrice di morte; il fuoco illumina e scalda, ma è anche forza distruttiva; la terra è grembo fecondo, ma anche tomba. Mentre la conoscenza logica e oggettiva dei fenomeni porta l’uomo a descrivere, «comprendere», misurare la realtà per possederla, la conoscenza simbolica gli richiede, invece, un diverso atteggiamento: non di conquista, ma di attesa e di accoglienza. Non è l’uomo che ricerca la verità, è questa che gli viene incontro, gli si rivela. Ecco perché, come scrive Simon Weil, il simbolo non va spiegato, ma contemplato, finché la luce che irradia da esso ci illumini». F. Kannheiser, Io sono una pianta fiorita. Il simbolo nell’IRC. Percorsi didattici per la scuola, dall’infanzia alla secondaria

  13. In immagini, simboli e miti, l’uomo da sempre «racconta» il suo incontro con Dio, incontro che non può essere circoscritto né descritto perché, in quanto rapporto interpersonale, sfugge ad ogni definizione. «Dire la fede attraverso il simbolo significa sottolineare il rapporto particolare che lega Dio all’uomo: egli si rivela nell’esperienza; l’esperienza e la storia sono «orme del suo passaggio», riflettono e danno forma in qualche modo al volto dell’Inconoscibile e, tuttavia, confermano sempre di nuovo la loro natura di segni inadeguati della trascendenza». F. Kannheiser, Io sono una pianta fiorita. Il simbolo nell’IRC. Percorsi didattici per la scuola, dall’infanzia alla secondaria

  14. «Il primo passo per la scoperta della dimensione simbolica della realtà è prendere coscienza del proprio corpo che respira, si muove, percepisce attraverso i sensi. Ascoltare, guardare, toccare, odorare, gustare sono modalità fondamentali che ci mettono in contatto con il mondo esterno, ma che sviluppano anche la coscienza di noi stessi come essere vivi, consapevoli, in relazione, innescando un processo trasformativo da cui nasce un modo nuovo di vedere le cose. Il nutrimento buono che il neonato riceve, in modi e tempi adeguati, nel calore dell’abbraccio materno, si trasforma nell’esperienza psichica della fiducia; la mano del papà che regge il sellino della bicicletta, nell’esperienza della sicurezza, ecc… Il bambino è in grado di comprendere e utilizzare i simboli, manifestando la capacità di andare oltre la mera realtà descrittiva molto prima di quando probabilmente pensiamo». F. Kannheiser

  15. La domanda che ci accompagna costantemente è “come fare o cosa fare in questo tempo di continui e veloci mutamenti sociali e culturali?”; “Cosa possono fare la catechesi, la liturgia e l’insegnamento della religione oggi?”. La risposta non è detto debba essere catastrofica, come spesso ci accade di pensare… Anzi, proprio le nuove sfide poste, ad esempio, dalla cultura digitale, dai così detti ‘nativi digitali’, come nuovo modo di ‘stare dentro’ la realtà e di percepirla possono paradossalmente aiutarci a riscoprire quel potenziale dell’azione simbolico-rituale che abbiamo smarrito. C’è un termine ricorrente nella cultura odierna che è “media” con il quale si indicano i mezzi di informazione e di comunicazione (mass media, social media) plurale del latino “medium”: ‘mezzo’, ‘mediazione’. È ‘un modo’ di essere ‘dentro la realtà’ (si parla di realtà aumentata, intelligenza artificiale). La positività di questo sta tutta, e forse solo, in un’esperienza integrale che coinvolga tutta la persona, attraverso il corpo e tutti sensi e non solo attraverso una conoscenza esclusivamente intellettiva. Restando però consapevoli del grande limite della ‘mediazione digitale’ che ci isola davanti ad uno schermo attraverso il quale “si vede senza essere visti”, rimanendo nascosti, a differenza del grande potenziale della ‘mediazione simbolico/rituale’ che ci mette in relazione e comunione, ci fa uscire allo scoperto, rivelandoci il nostro vero volto proprio mentre è rivolto all’Altro e agli altri.

  16. la liturgia si rivela maestra: nella prassi celebrativa piuttosto che insegnare fa vivere, coinvolgendo tutto il corpo, e in questo modo suscita emozioni, sensazioni e comportamenti, lasciando sviluppare quei valori umani che sono sottesi alla celebrazione stessa, quali l’azione comunitaria, il saluto, la capacità di ascoltare, quella di chiedere, ricevere e accordare il perdono, il ringraziamento, l’accoglienza del dono, dell’offerta e del sacrificio dal quale scaturisce il clima di un banchetto festivo.

  17. I riti, dei quali è fatta ogni azione liturgica, sono altrettante mediazioni. Più che ‘finestre’ aperte sul Mistero le azioni rituali o celebrazioni liturgiche sono vere e proprie ‘porte’ di accesso al mistero di Dio e del prossimo e all’esperienza dell’altro e di sé. Ogni rito è un insieme di parole e silenzio, canto e musica, spazio e tempo, luce e tenebra, profumi e colori, sapori e gesti… Bisogna entrare in queste mediazioni, lasciarsi coinvolgere (in realtà più e meglio di quanto possa fare un’esperienza virtuale/digitale) e lasciarsi tras-formare dal con-tatto con loro.

  18. La mediazione rituale è molto di più che semplice mezzo di comunicazione, come il simbolo è molto di più del semplice segno. Mentre il segno rimanda al significato di qualcosa che rimane esterno ad esso, il simbolo è capace di tenere dentro, insieme (syn-ballein) la realtà pur sempre Altra a cui rimanda. Il segno indica, il simbolo è! E comunica la verità dell’altro e di me.

  19. Il pane eucaristico non è segno di Cristo ma è simbolo, perché non indica ma è il Corpo sacramentale di Cristo. L’azione simbolico-rituale di ricevere e mangiare quel pane/Corpo di Cristo fa si che chi lo mangia diventa il Corpo di Cristo/Chiesa, cioè è Corpo di Cristo. L’azione simbolico-rituale non solo rimanda, indica, comunica, ma in-forma facendo entrare, realizza, tras-forma.

  20. Occorre allora riscoprire il valore del gesto rituale senzainventare altri segni. I gesti rituali fondamentali della liturgia hanno la capacità di ‘accogliere’ tutti e di non escludere nessuno, secondo una gradualità di partecipazione e una varietà di livelli di implicazione (corporea, affettiva, intellettiva), recuperando la loro capacità di “mettere in gioco” chi li compie stando dentro l’azione, secondo una logica più elementare di cui anche l’adulto ha bisogno per stare davanti a Dio. Il mondo della disabilità permette di vivere un approccio di cui abbiamo bisogno tutti, paradossalmente più corporeo, contrapposto alla ‘verbosità’. Un approccio che fa essere dentro. Modello immersivo, osando di più anche con la musica e con l’immagine artistica. È quanto è più comune con il mondo multimediale. Anche riscoprendo l’esigenza del gratuito, dell’improduttivo, del ludico che sono la linfa vitale di una prassi simbolica e rituale.

  21. “L’educazione liturgica ed eucaristica [dei fanciulli] non si può separare da quella generale, nel suo contenuto, umano e cristiano insieme; una formazione liturgica priva di questo fondamento presenterebbe anzi dei riflessi negativi. Coloro pertanto che rivestono un compito educativo, dovranno concordemente ed efficacemente adoperarsi perché i fanciulli, i quali hanno già innato un certo qual senso di Dio e delle cose divine, facciano anche, secondo l’età e lo sviluppo raggiunto, l’esperienza concreta di quei valori umani, che sono sottesi alla celebrazione eucaristica, quali l’azione comunitaria, il saluto, la capacità di ascoltare, quella di chiedere e accordare il perdono, il ringraziamento, l’esperienza di azioni simboliche, il clima di un banchetto tra amici, la celebrazione festiva” (Direttorio per la Messa dei Fanciulli, 8.9).

  22. Qualche provocazione:

  23. Un augurio per concludere Quanto detto ci ha resi più consapevoli che la ‘fede celebrata’ non è un campo riservato agli animatori o esperti di liturgia, ma è patrimonio di ogni fedele, perché è ‘linguaggio originario’ con cui si esprime l’atto di fede della Chiesa. Mi piace concludere con le parole non di un liturgista ma di un catecheta: “Non si ‘apprende’ Cristo solamente attraverso un ‘insegnamento’ verbale o scritto, ma anche attraverso la testimonianza, la ‘narrazione’ di un’esperienza vissuta e trasmessa “di generazione in generazione”, ma soprattutto mediante la forza simbolica ed iniziatica dei riti della liturgia. Ben vengano per tanto tutte quelle sperimentazioni di catechesi e di insegnamento che sono pensate a partire dalla dimensione simbolico-rituale e che pongono al centro l’evento sacramentale come evento rivelativo, non privilegiando la sola comunicazione verbale, ma piuttosto la dimensione simbolica e rituale”.

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