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Corporate Governance

Corporate Governance. La Corporate Governance. Con il termine Corporate Governance si fa riferimento a tutte le norme che caratterizzano un particolare assetto istituzionale aziendale, ovvero uno specifico “modello di impresa”

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Presentation Transcript


  1. Corporate Governance

  2. La Corporate Governance Con il termine Corporate Governance si fa riferimento a tutte le norme che caratterizzano un particolare assetto istituzionale aziendale, ovvero uno specifico “modello di impresa” È l’insieme delle regole e delle strutture organizzative atte a garantire un bilanciamento degli interessi di tutti coloro che sono coinvolti nel governo dell’impresa (proprietari, manager, amministratori, dipendenti, etc.)

  3. Principi di corporate Governance MIGLIORE REPUTAZIONE PER L’AZIENDA TRASPARENZA: tracciabilità delle operazioni poste in essere; INTEGRITA’: meccanismi di controllo delle informazioni atti a garantirne la non manipolazione; ACCOUNTABILITY: regole contabili adeguate e sicure.

  4. Le funzioni d’impresa L’impresa ha una molteplicità di funzioni da svolgere tra loro interdipendenti. Come tale ha molti ruoli funzione economica: come organizzazione economica l’impresa risponde a finalità economiche generali di generazione di valore e soddisfacimento della collettività; funzione sociale: come organizzazione sociale l’impresa risponde al soddisfacimento di chi in essa opera ed alla distribuzione del valore generato; funzione reddituale: come organizzazione patrimoniale, ossia come complesso di beni organizzato per la produzione di reddito l’impresa deve generare un profitto di gestione.

  5. Gli attori coinvolti nel governo L’impresa è un’istituzione sociale formata da una pluralità di interlocutori a finalità plurime il cui compito è creare valore economico e sociale. Nello svolgere le sue attività l’impresa deve tenere conto di tutti tali interlocutori denominati stakeholder. L’impresa presenta una pluralità di stakeholder, ciascuno portatore di uno specifico interesse. L’impresa non può limitarsi all’interesse dello stakeholder azionista.

  6. Tipologie di stakeholder Gli stakeholder si distinguono tra primarie secondari. Sono generalmente primari: i proprietari, i clienti, i fornitori, i dipendenti ed i concorrenti Sono secondari: i gruppi di opinione, gli ambientalisti, i sindacati, i media etc. La loro posizione di potere ed influenza dipende da: la forza ovvero il potere detenuto per effetto del ruolo nella società la legittimazione, ossia dal grado di riconoscimento degli interessi di cui sono portatori l’attualità dell’interesse difeso ovvero l’urgenza e la criticità di risposta da parte dell’impresa

  7. La gestione degli stakeholder Occorre monitorare costantemente gli stakeholder e gestirli secondo la loro natura: • Stakeholder amichevoli, disposti a sostenere l’attività d’impresa: vanno continuamente coinvolti; • Stakeholder avversari, che generano difficoltà: politiche di difesa; • Stakeholder non orientati, il cui orientamento è variabile: occorre collaborare con loro • Stakeholder marginali, che non hanno influenza rilevante: vanno monitorati.

  8. Funzione reddituale e creazione del valore • La teoria della massimizzazione del reddito • intesa come capacità di massimizzazione della capacità di guadagno dell’impresa con continuità. Altri parlano di reddito soddisfacente e di sopravvivenza dell’impresa. • La teoria del valore • dove per “valore del capitale economico” indica non solo il valore dei beni patrimoniali ma anche il potenziale evolutivo e di generazione di nuove risorse.

  9. Value Based Management VALUE BASED MANAGEMENT, SHAREHOLDER VALUE e STAKEHOLDER VALUE:quale scenario per l’Italia?

  10. VBM alcune definizioni "VBM è un approccio formale, sistematico, alla gestione delle imprese mirante a raggiungere l'obiettivo di massimizzare la creazione di valore per gli azionisti nel lungo termine" (Mc Taggart J., Kontes P., Mankins M., 1994). "VBM è un approccio al management in base al quale gli obiettivi dell'impresa, le tecniche e i processi di gestione sono coordinati allo scopo di massimizzare il valore dell'impresa stessa. Gli obiettivi sono raggiungi concentrando le decisioni del management sui ‘drivers’ del valore" (Copeland T., Koller T., Murrin J., 1996). "Value based management è un approccio manageriale il cui primo obiettivo è la massimizzazione del valore per gli azionisti. Gli obiettivi di un'impresa, i suoi sistemi, le strategie, i processi, le tecniche di gestione, la misura delle performance e la cultura dell'organizzazione sono guidate dall'obiettivo di massimizzare il valore per gli azionisti" (Arnold G., Davies M., 2000).

  11. Implementazione del VBM 1° stadio: Individuazione delle fonti della creazione di valore per ogni business, quali sono i “value drivers”, dove viene creato valore e dove viene distrutto. Una volta che la strategia è stata condivisa, è proprio attraverso tali “value drivers” che gli obiettivi devono arrivare ai managers che esercitano il controllo giorno per giorno. 2° stadio: Definizione di un nuovo insieme di indicatori chiave della performance che guidino i necessari cambiamenti nel comportamento del management. Non esistono misure perfette di performance, molto dipende dall’obiettivo e dal periodo. Le misure percentuali (ROCE, TSR, TBR) sono solitamente utili per effettuare confronti, le misure quantitative di valore (come l’EVA) sono utili per stabilire gli obiettivi. Le misure di breve termine sono appropriate per monitorare la performance operativa, mentre quelle di lungo termine per sviluppare le strategie. Le misure della creazione del valore per gli azionisti devono essere adattate sia a livello di corporate che a livello di business unit, ma può risultare inappropriato valutare tutti i managers allo stesso modo. Occorre, infatti, conoscere le persone e la cultura a fondo per poter programmare le misure della creazione del valore. Alcuni managers possono essere motivati da obiettivi relativi al volume, che possono essere ottenuti aumentando il rendimento e riducendo le scorte. 3° stadio:programma di comunicazione che assicuri la diffusione dell’importanza del value based management a tutto il personale dell’organizzazione permettendo così la loro collaborazione alla realizzazione degli obiettivi. Questa fase accoglie ancora troppa poca attenzione.

  12. Critiche al VBM Dallo SHAREHOLDER VALUE allo STAKEHOLDER VALUE • Il VBM si avvale di una logica prettamente finanziaria • Si concentra sugli azionisti ignorando gli altri stakeholder

  13. Le imprese italiane creano valore? La creazione del valore è un indicatore che misura la performance di un azienda in un determinato periodo considerando gli aspetti reddituali, patrimoniali e finanziari. Esistono diverse formule che misurano il Valore Creato; sono tutte riconducibili alla formula base dell’EVA (Economic Value Added) o EP (Economic Profit), per cui un’azienda crea (distrugge) valore quando la differenza tra il ritorno sul capitale investito e il suo costo è positiva (negativa).

  14. Una ricerca condotta dalla Venture Consulting su più di 11.000 aziende quotate europee e americane, facendo riferimento ai dati del 2005, evidenzia che il differenziale tra il ritorno sul capitale ed il suo costo è stato in media • del 9% per le aziende americane, • del 4% per quelle europee e…

  15. …dello 0% per quelle italiane, che quindi non hanno sostanzialmente né creato né distrutto valore!

  16. Perche le aziende italiane creano meno valore? • Debole sistema di Corporate Governance; In numerose aziende italiane il rapporto tra azionisti e manager è spesso poco bilanciato;nelle piccole e medie imprese il management esterno dispone raramente di leve decisionali significative e la direzione strategica è definita dallo stesso imprenditore. Appare, quindi, difficile instaurare un corretto sistema orientato alla creazione di valore. • Funzionamento non ottimale del CdA; Un CdA efficacace stimola un approccio corretto allo sviluppo della strategia aziendale e al modello di gestione e incentivazione dei manager chiave, superando l’impostazione puramente orientata alla compilance procedurale tipica dei CdA italiani. • Eccessivo focus sulla patrimonializzazione (sovradimensionamento del capitale investito rispetto alle esigenze del business) La situazione italiana vede molti piccoli e medi imprenditori focalizzati a sviluppare infrastrutture e asset “tangibili” e ad identificare il valore della propria azienda principalmente in questi beni, piuttosto che nei flussi reddituali futuri.

  17. Le finalità imprenditoriali Il rapporto tra proprietà e governo Imprenditorialità diretta Imprenditorialità delegata

  18. Imprenditorialità diretta • La motivazione economica è massima e si ricerca il profitto come: remunerazione del rischio, compenso per il lavoro imprenditoriale, contropartita per l’attività innovativa. • Secondo taluni, alla ricerca del profitto segue quella del potere e poi quella del prestigio per l’autoaffermazione. PRESTIGIO POTERE PROFITTO

  19. Imprenditorialità delegata • Non vi è coincidenza tra fini imprenditoriali e fini manageriali. • Il manager ricerca prestigio, potere, remunerazione e solidità del posto di lavoro. • Ne consegue che prevale l’interesse per lo sviluppo dimensionale d’impresa. Il reddito è funzionale alla finalità di sviluppo dimensionale. • Il profitto è funzione crescente del tasso di crescita fino ad un certo punto oltre il quale decresce: • per la necessità di diversificazione dell’impresa • per le diseconomie interne legate ai limiti delle capacità manageriali

  20. Imprenditorialità e managerialità come forme di governo ossia come modelli di gestione • GESTIONE IMPRENDITORIALE: • decisioni assunte in base a conoscenze di tipo empirico • decisioni che si basano su poche selezionate informazioni, sull’esperienza • assenza di pianificazione • struttura organizzativa “semplice” dove i ruoli girano attorno alle persone • LIMITI: rigidità a forti cambiamenti anche se dipende dal tipo di imprenditore (statico o dinamico) • VANTAGGI: flessibilità operativa e organizzativa ma bassa flessibilità strategica

  21. GESTIONE MANAGERIALE • decisioni basate su criteri razionali ed accesso ad ampie informazioni • deleghe di potere decisionale • pianificazione strategica • struttura organizzativa più complessa e formalizzata • LIMITI: la pianificazione strategica non ha dato i risultati attesi; eccessiva formalizzazione/burocratizzazione; • VANTAGGI: flessibilità strategica; capacità di fronteggiare la complessità

  22. Imprenditorialità e managerialità non sono modelli gestionali alternativi ma devono essere visti come due componenti della gestione d’impresa Imprenditorialità manageriale nelle piccole imprese Managerialità imprenditoriale nelle grandi imprese

  23. Imprenditorialità manageriale • Consiste nel mantenere i benefici della gestione imprenditoriale (creatività, flessibilità, adattabilità) riducendo i limiti della stessa, ossia inserendo elementi di maggiore professionalità: • nella formulazione della strategia (non unicamente per vision) • nell’organizzazione (deleghe e nuovi ruoli) • nei sistemi di controllo • Il livello e le capacità di adattamento a strumenti manageriali più strutturati differiscono tra: • imprese statiche: tese alla conservazione • imprese dinamiche tese allo sviluppo ed all’innovazione

  24. Managerialità imprenditiva • Consiste nell’introdurre nell’attività di governo manageriale elementi di creatività, innovatività e flessibilità tipici delle gestioni imprenditoriali attraverso: • Esternalizzazione di attività non core per focalizzarsi su attività core • Creazione di divisioni, aziende, business units dotate di autonomia gestionale e proprie finalità di competitività • Lo sviluppo di imprenditorialità interna (internal venturing), ossia avvio di iniziative basate su idee di dipendenti e gestite dagli stessi

  25. Internal venturing E’ l’attività di imprenditorialità svolta dai dipendenti ossia l’avvio di nuove attività basate su iniziative e idee dei dipendenti stessi. Tali iniziative possono riguardare l’innovazione di prodotto, i processi produttivi, le tecnologie dell’informazione e in generale quanto possa accrescere la competitività aziendale

  26. L’internal venturing si concretizza in nuove business units e richiede: • La volontà del vertice aziendale (commitment) • Un adatto contesto organizzativo, che consenta la condivisione di valori e orientamenti, la disponibilità a valutare le idee proposte • Idonei sistemi di gestione delle nuove attività che prevedano: • criteri di selezione delle iniziative/idee coerenti con la mission aziendale • ricompense legate ai risultati • efficaci strumenti di controllo • strutture adeguate: nuove divisioni autonome ma efficacemente coordinate oppure unità organizzative integrate dotate di sufficienti margini di autonomia

  27. Modalità di controllo proprietario Nelle SPA il soggetto economico, ossia chi ha il potere di determinare l’indirizzo di gestione, è la persona o il gruppo di persone che hanno il potere di fare nominare nelle assemblee degli azionisti gli organi amministrativi della società e di tale potere effettivamente si avvalgono Saraceno, 1978

  28. Cosa rende possibile il potere di nomina? La detenzione della maggioranza delle azioni (essere azionista di controllo) Un singolo azionista/proprietario o famiglia Un singolo/famiglia + creditori (banche) o altre figure istituzionali (fondi) + altri Al rischio possono partecipare, con più o meno potere anche i lavoratori, lo stato o altri stakeholder

  29. NOTA BENE: spesso una persona o un gruppo possono avere il controllo di una SPA senza avere la maggioranza!! Per il disinteresse degli azionisti non di comando Attraverso l’emissione di azioni privilegiate e di risparmio (che hanno un limitato diritto di voto) Con la costituzione di sindacati di azionisti, che proprietari di minoranza, vincolano temporalmente la gestione dell’azienda alle direttive di qualcuno legato al soggetto economico Con la costituzione di una finanziaria

  30. Forme proprietarie tradizionali • proprietà totalitaria (100%) o maggioranza assoluta (70%) • proprietà in parti eguali(50%) di due soggetti “spartitori” • proprietà di maggioranza relativa (es. 25%) di un socio che assieme ad altri soci (nucleo stabile) controlla l’azionariato disperso

  31. Forme proprietarie innovative • proprietà frazionata, laddove vi è un socio di riferimento con una minoranza significativa (es con il 10% controlla parte degli azionisti minori) • proprietà concentrata, quando c’è un azionista con una maggioranza relativa che deve tuttavia rendere conto ad altri azionisti istituzionali (istituzioni finanziarie- fondi di I; fondi pensione, banche d’affari) • proprietà dispersa: public company

  32. Public company • Secondo taluni è la forma più naturale emergente dalla dissociazione tra proprietà e controllo • Tuttavia ha molti limiti: • il dislivello di immagine e di potere tra manager e proprietà e la sempre minore governabilità dei primi; • la perdita di trasparenza e flessibilità nelle decisioni per eccesso di burocratizzazione • il dirottamento da parte dei manager dei fondi verso investimenti a ritorno breve (immagine soprattutto) piuttosto che a ritorno differito • focus sui dividendi da parte dei proprietari • ingerenza di proprietari istituzionali

  33. Il governo dei manager • Non sempre chi detiene il capitale di comando governa effettivamente l’azienda. Specie nelle imprese più grandi il governo è in mano ai direttori (Top management) i quali: • assumono decisioni collegiali • si auto-generano Tanto più l’impresa è grande e deve essere flessibile tanto più occorre delegare parte del potere imprenditoriale a livello di middle management

  34. CG, CdA e Sistema di controllo CORPORATE GOVERNANCE SISTEMA DI CONTROLLO CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

  35. CG e Consiglio d’Amministrazione La funzione di governo delle imprese è suddivisa tra una serie di organi rappresentativi dei diversi portatori di interesse: • ASSEMBLEA DEGLI AZIONISTI (nomina degli amministratori, approvazione bilancio, attribuzione deleghe al CdA); • COLLEGIO SINDACALE (funzione di controllo sul CdA per la tutela degli azionisti) • CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE (gestione dell’impresa e attuazione dell’oggetto sociale)

  36. Consiglio d’Amministrazione E’ l’organo esecutivo della società a cui è affidato il compito di realizzare le decisioni prese dall’assemblea nel corso delle sue deliberazioni e lo svolgimento dell’attività di impresa.  Gioca un ruolo fondamentale nella corporate governance, ha infatti la responsabilità primaria determinare e perseguire gli obiettivi strategici della società o del gruppo a cui fa capo, nonché di sviluppare una politica direzionale, di assumere, supervisionare e remunerare i manager e assicurare la responsabilità giuridica dell'organizzazione di fronte alle autorità.

  37. Composizione del CdA • AMMINISTRATORI ESECUTIVI • AMMINISTRATORI NON ESECUTIVI • PRESIDENTE • AMMINISTRATORE INDIPENDENTE • AMMINISTRATORE DELEGATO

  38. Compiti del CdA • esamina e approva i piani strategici, industriali e finanziari della società, il sistema di governo societario della società stessa e la struttura del gruppo medesimo; • valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile generale dell’emittente e delle controllate aventi rilevanza strategica, con particolare riferimento al sistema di controllo interno e alla gestione dei conflitti di interesse; • attribuisce e revoca le deleghe agli amministratori delegati ed al comitato esecutivo definendone i limiti e le modalità di esercizio; stabilisce altresì la periodicità, con la quale gli organi delegati devono riferire al consiglio circa l’attività svolta nell’esercizio delle deleghe loro conferite; • determina, esaminate le proposte dell’apposito comitato e sentito il collegio sindacale, la remunerazione degli amministratori delegati e degli altri amministratori che ricoprono particolari cariche, nonché, qualora non vi abbia già provveduto l’assemblea, la suddivisione del compenso globale spettante ai membri del consiglio; • valuta il generale andamento della gestione, confrontando periodicamente i risultati conseguiti con quelli programmati; • esamina e approva preventivamente le operazioni della società e delle sue controllate, prestando particolare attenzione alle situazioni in cui uno o più amministratori siano portatori di un interesse per conto proprio o di terzi e, più in generale, alle operazioni con parti correlate; • effettua, almeno una volta all’anno, una valutazione sulla dimensione, sulla composizione e sul funzionamento del consiglio stesso e dei suoi comitati, eventualmente esprimendo orientamenti sulle figure professionali la cui presenza in consiglio sia ritenuta opportuna; • fornisce informativa, nella relazione sul governo societario, sulle modalità di applicazione dell’art. 1 del D.Lgs. n. 262 e, in particolare, sul numero di riunioni del consiglio e del comitato esecutivo, ove presente, tenutesi nel corso dell’esercizio e sulla relativa percentuale di partecipazione di ciascun amministratore.

  39. C.G. e sistema di controllo • Perché la necessità di controllo? • Seguendo un approccio di tipo utilitaristico che condiziona il comportamento di azionisti e managers, questi ultimi sarebbero in una posizione tale da poter ottenere benefici privati attraverso la gestione, che non sono necessariamente in linea con l’ipotesi di massimizzazione del valore dell’impresa. • L’asimmetria informativa che si genera tra principali e agenti (manager e azionisti) è a scapito dei primi, i quali, a causa di lacune informative, non possono giudicare agevolmente il comportamento degli amministratori. Questo meccanismo di “estorsione della ricchezza” da parte dei managers ai danni degli azionisti, se non arginata, può comportare il fallimento del mercato finanziario: chi investirebbe risorse proprie senza un’ampia garanzia di poter monitorare in che modo e verso quali obiettivi esse verranno utilizzate?

  40. In effetti le principali critiche ai manager di imprese a proprietà non organizzata sono: • massimizzazione della crescita a scapito del profitto • eccessiva diversificazione per diversificare i rischi • espansione in base a proprie aree di interesse • uso del reddito per proprie spese • pratiche di take-over (acquisizione della quota di maggioranza) e di leverage buy out (acquisizione di quote con indebitamento)

  41. Sistema di controllo: aree di intervento [1] • Legare i compensi del top management ai risultati aziendali in modo che questi risultino più motivati al raggiungimento degli obiettivi • Interventi di carattere giuridico-legale: possibilità per gli azionisti di esercitare class-action e di ottenere il controllo della società attraverso takeover • Controllo del CdA: problema dell’indipendenza del CdA (qual è la percentuale di amministratori indipendenti che deve essere presente el suo interno per garantirne un indipendenza di giudizio?)

  42. Sistema di controllo: aree di intervento [2] In tutti i comitati è auspicata la presenza maggioritaria di amministratori indipendenti, che possano garantire un funzionamento efficiente dell’organo. Esistono anche altri meccanismi di controllo interno nati seguendo una prospettiva esterna alla governance. • REVISORE ESTERNO: ha il compito di verificare la corretta applicazione delle norme contabili, la veridicità e la significatività nella comunicazione economico-finanziaria d’impresa; • COMITATO PER LE NOMINE: è il comitato preposto all’individuazione e alla nomina dei nuovi consiglieri di amministrazione. Nella maggior parte dei casi deve essere composto da amministratori esterni o indipendenti per garantire che il processo di selezione e nomina sia gestito in maniera indipendente dal top management; • COMITATO PER I COMPENSI:ha il compito di stabilire il compenso per l’alta direzione; anche in questo caso si vuole evitare che i compensi siano definiti dai diretti interessati; • COMITATO PER L’AUDIT: nasce con una funzione di interfaccia verso il revisore esterno; se a quest’ultimo viene attribuito il compito di verifica sull’informativa contabile, l’audit committee esercita un controllo di legittimità e di sostanza rispetto alle scelte del management.

  43. Modelli di governance europei Modello tradizionale (latino): ruolo centrale assemblea soci, che nomina e revoca organi di governo (cda) e di controllo (collegio sindacale e revisori) Modello anglosassone (monistico): rispetto al modello tradizionale manca il collegio sindacale e il controllo è affidato tutto al comitato di controllo nominato in seno al cda. Il controllo dei conti è assegnato a revisori esterni. Modello tedesco (dualistico): vi è un consiglio di sorveglianza, nominato dall’assemblea, un consiglio di gestione, nominato dallo stesso consiglio di sorveglianza ed il collegio dei revisori.

  44. Il controllo dei comportamenti manageriali • modello anglosassone: a fronte di cattiva gestione si vendono le azioni e l’impresa perde valore • modello padronale: la proprietà gestisce direttamente l’azienda o la supervisiona a mezzo della presenza in cda e holding • modello consociativo: partecipazione dei lavoratori e manager negli organi di controllo; retribuzione dei manager in base a performance; controllo di blocchi azionari da parte di famiglia o banca

  45. Corporate governance e CSR L’evoluzione dei modelli di governance sottolinea la crescentre attenzione dell’impresa agli atotri sociali Il governo dell’impresa tende ad accrescere l’attenzione a decisioni socialmente responsabili, che oltre a rispettare le leggi ed i vincoli istituzionali, opera per creare valore per la società nel suo complesso….innovazione strategica o moda manageriale?....

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