1 / 125

DANIEL N. STERN

Il lavoro di Stern si colloca fra l'indagine sullo sviluppo infantile e la psicoanalisiin un ambito di ricerca che, nel decennio scorso, ha assunto un peso crescente nella delimitazione di una disciplina che ha preso il nome di Infant Research.. L'Infant Research costituisce un nuovo paradigma scientifico che si pone al confine tra la psicoanalisi e la psicologia evolutiva. Essa d

Download Presentation

DANIEL N. STERN

An Image/Link below is provided (as is) to download presentation Download Policy: Content on the Website is provided to you AS IS for your information and personal use and may not be sold / licensed / shared on other websites without getting consent from its author. Content is provided to you AS IS for your information and personal use only. Download presentation by click this link. While downloading, if for some reason you are not able to download a presentation, the publisher may have deleted the file from their server. During download, if you can't get a presentation, the file might be deleted by the publisher.

E N D

Presentation Transcript


    1. DANIEL N. STERN

    2. Il lavoro di Stern si colloca fra l’indagine sullo sviluppo infantile e la psicoanalisi in un ambito di ricerca che, nel decennio scorso, ha assunto un peso crescente nella delimitazione di una disciplina che ha preso il nome di Infant Research.

    3. L’Infant Research costituisce un nuovo paradigma scientifico che si pone al confine tra la psicoanalisi e la psicologia evolutiva. Essa dà particolare attenzione, per la comprensione dello sviluppo mentale del bambino, alle prime forme di interazioni comunicative che definiscono il rapporto madre-bambino. (Riva Crugnola C., 1993).

    4. La ricerca sperimentale sullo sviluppo infantile ha ricevuto negli ultimi vent’anni un impulso straordinario dall’utilizzazione sistematica di sofisticate tecniche sperimentali.

    5. Questo nuovo modo di osservare ha consentito di elaborare una visione più complessa dei primi mesi di vita del bambino, mettendo in luce notevoli competenze percettive e sensomotorie che il neonato possiede fin dalla nascita.

    6. I dati elaborati dalla ricerca osservativa propongono un modello dello sviluppo infantile radicalmente diverso da quello ipotizzato dalle teorie psicoanalitiche classiche.

    7. Da tale modello emerge che non solo il neonato possiede molte competenze precoci che lo rendono in grado di interagire attivamente con il mondo reale ma che tali competenze fanno parte di un patrimonio biologico che favorisce fin dall’inizio, l’instaurarsi di relazioni complesse con gli altri esseri umani (Bowlby, 1969,1973; Mitchell S.A., 1993 )

    8. La ricerca sulla prima infanzia ha consentito inoltre di ampliare notevolmente le prospettive teoriche sui sistemi motivazionali di base.

    9. La coesistenza di diversi sistemi motivazionali, in cui sono compresi i bisogni esplorativi e assertivi - ad es. la ricerca attiva di stimolazioni sociali, il piacere della padronanza e il bisogno di sperimentare competenza e efficacia - sembrano descrivere un bambino il cui comportamento non è più sospinto dalle sole pulsioni e la cui esperienza non è racchiusa in un’orbita narcisistica.

    10. Al contrario, il bambino è, fin dalla nascita predisposto biologicamente a interagire attivamente col mondo, a mostrare preferenze per alcuni stimoli, - come la configurazione del volto umano, il suono e le modificazioni del tono di voce - a distinguere fin dalle prime settimane di vita la madre da un estraneo e soprattutto a ricercare lo specifico livello di stimolazione che si adatta al suo stato interno.

    11. Il contributo di Stern a questo nuovo paradigma è di grande importanza, perché integra i dati degli studi osservativi e sperimentali della psicologia evolutiva e quelli provenienti dall’ambito terapeutico della ricerca psicoanalitica.

    12. Stern propone un modello di costruzione continua dello sviluppo e della psicopatologia (Zeanah e al., 1989) in cui gli aspetti più importanti sono: - l’importanza attribuita al contesto evolutivo - e le continue reciproche transazioni tra l’individuo e l’ambiente. Il bambino viene considerato parte di un sistema interazionale e questo sistema è osservato nel suo sviluppo nel tempo, come un processo che si dispiega.

    13. LA RAPPRESENTAZIONE DEI MODELLI DI RELAZIONE Stern D.N. 1989 Le relazioni si sviluppano secondo modelli prevedibili. Tale prevedibilità costituisce un’importante caratteristica della relazione.

    14. Dove si colloca un modello relazionale? I modelli di relazione, normali o disturbati, hanno origine soltanto nel corso delle interazioni tra due o più persone. Essi si collocano nella diade o nella famiglia, e non nell’individuo. (Stern, 1989)

    15. Anche nel caso estremo in cui una sola persona rappresenti un modello di relazione, nella solitudine fisica esiste nella mente di quella persona, un compagno d’interazione che fornisce il suo contributo al modello, attraverso il ricordo dei modelli che in passato sono stati messi in atto esplicitamente dai due partners. (Stern, 1998)

    16. Nella fase iniziale di ogni modello di relazione vi é una sequenza prevedibile di interazioni osservabili, che potrebbe essere confermata da un osservatore esterno all’interazione.

    17. Collochiamo le origini dei modelli di interazione nella realtà oggettiva, cioè in qualcosa che é di fatto avvenuto fra due persone e che potrebbe essere convalidato in modo indipendente.

    18. La natura delle relazioni oggettuali o dei modelli di relazione è in gran parte il risultato della storia delle interazioni reali con la figura materna.

    19. Naturalmente l’esperienza soggettiva dell’interazione viene interpretata o costruita dall’infante, ma senza distorsioni significative dovute all’ontogenesi intrinseca della fantasia

    20. I modelli di relazione al loro inizio risiedono al di fuori di ogni individuo isolato e si costituiscono soltanto nel corso dell’interazione fra due o più persone. Essi derivano dalla reciprocità, anche se sono costruiti soggettivamente. Sono contemporaneamente eventi oggettivi ed esperienze soggettive. (Stern, 1998)

    21. Il modo in cui un’interazione viene percepita e interpretata, attraverso le molte lenti personali dei partecipanti all’interazione lenti delle fantasie, delle speranze, delle paure, delle tradizioni e dei miti familiari, delle esperienze personali importanti, delle esigenze della vita attuale e molte altre – produce un amalgama di storia ricordata e interpretazione personale che Stern chiama rappresentazione.

    22. Che cosa garantisce continuità ai modelli relazionali? La risposta è …la storia dell’individuo e la sua memoria. Il ricordo delle interazioni passate serve come guida per le interazioni attuali, e la conduzione delle interazioni attuali, (insieme a quelle passate) serve come guida per le interazioni future.

    23. Sono le rappresentazioni mentali degli eventi interattivi che si ripetono, ad assicurare lo strutturarsi e la continuità dei modelli di relazione.

    24. La memoria, sotto forma di rappresentazione mentale degli eventi interattivi, costituisce il deposito della continuità. …la memoria di due persone.

    25. la memoria di due persone le cui due memorie separate devono essere sufficientemente legate l’una all’altra da servire ciascuna come guida affidabile per il comportamento dell’altro, in una determinata situazione di interazione.

    26. Come possiamo concepire la rappresentazione della storia delle interazioni e delle relazioni? Quali ne sono le unità? In che modo si collocano queste unità e in quale gerarchia?

    27. Che cos’è una rappresentazione della storia delle interazioni? Va innanzi tutto chiarita la natura delle relazioni. Le relazioni sono costituite dalle interazioni. Le relazioni sono il prodotto cumulativo della storia delle interazioni.

    28. Ma la relazione non é semplicemente un’unità più ampia dell’interazione, appartiene ad un ordine concettuale diverso.

    29. L’interazione, come unità, é in genere definita mediante eventi comportamentali osservabili e oggettivi la relazione è concepita come un’unità di rappresentazione più astratta. Essa é costituita dal modo in cui vengono interpretate le interazioni osservate.

    30. Se vogliamo concettualizzare la rappresentazione delle relazioni, é necessario: - individuare quali unità dell’esperienza interpersonale vengono organizzate nella formazione delle rappresentazioni - in che modo tale organizzazione si realizza.

    31. Le unità di rappresentazione e la loro organizzazione

    32. L’organizzazione formale Le unità d’interazione possono essere concepite come ordinate in una gerarchia Nella progressione dello sviluppo ogni unità successiva ingloba le precedenti

    33. Queste unità iniziano con uno specifico momento interattivo vissuto detto momento V.

    34. Questo momento V viene poi codificato in memoria, per formare il ricordo di un episodio specifico, un momento M.

    35. Molti ricordi di episodi specifici formano un prototipo ossia una rappresentazione di una serie di momenti M che possono essere ordinati in modo da formare un momento generalizzato, cioè una rappresentazione della serie di momenti M: il momento R che costituisce l’unità gerarchica successiva

    36. Il momento R è dunque un prototipo un momento generalizzato, una rappresentazione della serie di momenti M.

    37. Sequenze di momenti vissuti sono gli scenari V. Questi divengono, a loro volta, ricordi di episodi specifici, gli scenari M. Molti scenari M simili, vengono organizzati e generalizzati sino a formare una rappresentazione: lo scenario R.

    38. Momenti R e scenari R possono essere indicati con il termine RIG (rappresentazioni di esperienze interattive generalizzate) Il termine RIG può essere utilizzato come forma abbreviata per l’una o l’altra unità rappresentazionale o per entrambe.

    39. Il momento V L’unità più piccola presa in considerazione é il momento interattivo specifico vissuto (il bambino alza le braccia per essere preso in braccio e la madre lo prende o meno) L’unità del momento V non é una rappresentazione: é un’esperienza vissuta nel presente, che viene poi codificata in memoria come esempio specifico di un momento vissuto.

    40. E’ una traccia mnestica isolata di uno specifico momento vissuto. Il grado di corrispondenza tra il momento V e il suo momento M è una questione aperta.

    41. Il ricordo dell’esperienza autobiografica, in questo campo di eventi interpersonali costituisce la memoria episodica. La memoria episodica (Tulvig, 1972) é il ricordo di questi momenti della vita reale o di esperienze che si sono verificate in un tempo reale, l’esperienza soggettiva di momenti vissuti. (banali o più significativi -> Ciò che ho provato quando ho mangiato il mio toast - quando ho saputo della morte di mia madre).

    42. Per la categorizzazione e la rappresentazione finale dell’esperienza interpersonale vissuta, la memoria episodica offre notevoli vantaggi. Essa include, come attributi di un episodio, quei caratteri essenziali che sono del massimo interesse: i cambiamenti affettivi, di attivazione, motivazionali, cognitivi, percettivi e motori.

    43. Nessuno di essi costituisce di per sé un’unità fondamentale. L’unità di base é l’episodio in quanto vissuto e soggettivamente sperimentato. Sembra che un episodio entri in memoria come unità indivisibile e venga richiamato in memoria come unità indivisibile, anche se si può accedere al ricordo attraverso soltanto uno dei suoi attributi

    44. Il momento R I Momenti V entrano in memoria come Momenti M che vengono poi organizzati in categorie funzionali a livello delle rappresentazioni : i Momenti R.

    45. Come si costruiscono i momenti R? Vi sono due ragioni per cui ipotizziamo che la costruzione di tali rappresentazioni sia necessaria:

    46. 1) In primo luogo nel corso di una breve interazione il bambino mette a punto un programma del modo in cui l’evento interattivo dovrebbe verificarsi

    47. L’esperimento della faccia immobile e la presentazione di altri stimoli sperimentali, nonché altri elementi più aneddotici , mostrano che il bambino si agita quando un consueto momento interattivo - un evento atteso - non segue la procedura consueta.

    48. Questo induce a ritenere che il bambino si formi un qualche tipo di rappresentazione dei modelli interattivi sociali ripetuti durante i primi sei mesi di vita e certamente nella seconda metà del primo anno. La presenza di un’aspettativa si inferisce dalla risposta del bambino alla violazione della normale routine (Tronik et al. 1978)

    49. 2) La seconda ragione per cui il bambino ha bisogno di formarsi delle rappresentazioni organizzanti separate di molti di questi momenti d’interazione sociale attesi è costituita dall’economia mentale.

    50. il bambino deve essere dotato di un sistema di memoria che registra ogni interazione come caso specifico e poi opera su questo vasto insieme per creare delle aspettative Oppure il bambino deve essere in grado di formarsi delle categorie generali d’interazione e poi creare delle aspettative sulla base delle generalizzazioni, piuttosto che di molti casi specifici.

    51. Alcune ricerche mostrano che il bambino inizia abbastanza presto a formare delle categorie di momenti vissuti che siano relativamente invariabili (Bornstein, 1981; Hayne, Roove-Collier, Perris, 1987; Resnick, Kagan, 1983).

    52. Ogni nuovo caso di momento interattivo non farà che confermare o modificare leggermente la generalizzazione, e quindi non sarà più necessario conservarlo nel magazzino della memoria. Sarà sufficiente il rimodellamento costante della generalizzazione.

    53. Le ricerche sulla memoria, tuttavia, non impongono più la scelta esclusivamente tra un sistema di rappresentazioni che conserva tutte le tracce mestiche e lavora con esse in modo computazionale e un sistema costantemente impegnato nella creazione e nel rimodellamento dei prototipi dinamici e nell’eliminazione delle tracce mestiche separate

    54. Il modello distributivo della memoria propone che ogni traccia mnestica influenzi i modelli di attivazione del cervello e venga così conservata (McClelland e Rumelhart, 1985)

    55. Non esistono prototipi o generalizzazioni che vengano formati e immagazzinati separatamente in qualche luogo come “strutture” di rappresentazione. Piuttosto: il modello cumulativo di attivazione, che pervade ogni parte del cervello, attraverso il contributo di ogni singola traccia mnestica opera al servizio del funzionamento generale (Palmer, 1987)

    56. Si è anche osservato che alcuni prototipi appaiono molto presto nella vita e si ritiene che siano innati o predeterminati. Ad es. i lattanti, fin dal primo mese, sono in grado di discriminare tra colori diversi e di categorizzarli come fanno gli adulti. Questa abilità precoce sembra dipendere dalla capacità del bambino di riconoscere gli esempi prototipici di determinati colori (Bornstein, 1981)

    57. Forse tali esempi di predeterminazione esistono anche nel mondo infantile della stimolazione e della percezione. I bambini danno ampie prove della precoce formazione delle categorie funzionali e della loro abilità nel servirsene in gran parte dei loro campi d’esperienza.

    58. Non sappiamo se categorie, prototipi e rappresentazioni esistono come strutture cerebrali distinte o come strutture mentali, ma sappiamo con certezza che le funzioni a cui si riferiscono esistono fin dall’infanzia e conosciamo, in termini descrittivi generali, il modo in cui gli individui costruiscono modelli di momenti o di eventi, esempi specifici che vanno a formare eventi prototipici o generalizzati.

    59. Supponiamo che il bambino sia impegnato per la prima volta in un’interazione specifica e non siano ancora disponibili rappresentazioni. Dopo la seconda o la terza volta, il bambino comincerà ad identificare gli aspetti invarianti dell’evento o del momento d’interazione.

    60. Sappiamo con certezza che l’identificazione dei caratteri invarianti dell’esperienza é una delle tendenze mentali fondamentali e conduce ad una categorizzazione progressiva dell’esperienza.

    61. Tale categorizzazione conduce alla formazione dei prototipi, che si possono definire come momenti R di esperienza mentalmente costruiti, che rappresentano, nel modo migliore la costellazione di caratteri invarianti che costituisce molti momenti ricordati e vissuti.

    62. Questi momenti R sono piccoli ma coerenti segmenti di esperienza interattiva generalizzata che immagazzinano sensazioni, obiettivi, affetti, azioni e percezioni di sé e degli altri in una breve sequenza temporale-causale.

    63. ES. Il Prototipo del volto umano disegno “rappresentativo”: media matematica di tutte le dimensioni e le posizioni dei tratti del volto umano mostrate in precedenza (Strauss)

    64. E’ in questo modo – o in modo simile – che immaginiamo che il bambino costruisca i momenti R. Per i momenti R, tuttavia, non occorre che gli elementi siano nei tratti visivi (occhi, naso…),

    65. probabilmente gli elementi sono un insieme eterogeneo di caratteri ricorrenti, nei campi dell’azione motoria, della percezione, dell’attività cognitiva, dell’affettività, della sensazione e della motivazione. Questo insieme forma una costellazione invariante.

    66. il b. che inizia a sorridere alla madre, mentre è in contatto oculare con lei, farà esperienza dei propri atti motori legati al sorriso, ai movimenti di braccia e gambe che lo accompagnano, del feedback propriocettivo di questi movimenti e della sensazione di gioia. Sperimenterà un aumento di attivazione e un’intenzione o un obiettivo.

    67. Nel contempo, come parte dello stesso momento, vedrà il viso della madre e il suo sguardo di rimando, segno di potenziale coinvolgimento e si aspetterà …un sorriso se questa è la conseguenza consueta. Alcuni ulteriori attributi del comportamento materno possono divenire tratti invarianti del momento.

    68. Questo momento interattivo spesso ripetuto, consiste dunque di molti elementi invarianti derivanti da campi diversi e, cosa molto importante, provenienti da due persone diverse.

    69. Riteniamo che dopo alcuni esempi di ripetizione, il b. abbia identificato i caratteri invarianti degli attributi e creato una costellazione prototipica che rappresenta questo particolare momento R interattivo

    70. Il concetto di momento R deve molto ai lavori che descrivono la categorizzazione, da parte dell’infante, di eventi ripetuti, (Bornstein, 1981) ma la natura delle categorie che si formano è differente. Questi studi riguardano categorie di eventi non sociali.

    71. Gli studi di Nelson e Gruendel, (1981), riguardano eventi sequenziali (Es. ciò che succede alle feste di compleanno, l’ora di andare a letto). che si avvicinano ai “copioni di vita” (Schank, Abelson, 1977) Descrivono il modo in cui i bambini piccoli si formano rappresentazioni generalizzate (REG), di questi eventi sequenziali.

    72. Una REG si forma mediante la generalizzazione dei caratteri invarianti di un flusso ordinato di eventi collocati nella giusta sequenza, come il modello o la rappresentazione emergente da una situazione caratteristica o prototipica come “la festa di compleanno” o “il momento di andare a letto”.

    73. Le piccole unità che compongono queste REG sono soprattutto eventi che accadono fra il soggetto e gli oggetti, o nel mondo in generale (spegnere le candeline, sentire leggere una storia...), oppure tra il soggetto e una persona che svolge un ruolo sociale conosciuto o prevedibile (l’ospite a una festa...).

    74. Il momento R e la REG sono entrambi prodotti dei principi generali relativi alla formulazione delle categorie funzionali, evidenziati in campo cognitivo sulla formazione, generalizzazione e rappresentazione delle categorie.

    75. Il momento R si distingue dalle altre categorie costruite, non per i principi generali che vi sono coinvolti, ma per le sue dimensioni, per la natura degli eventi che devono essere categorizzati e rappresentati e per le situazioni generali in cui questi eventi si verificano.

    76. Il momento R riguarda quelle sequenze microinterattive del comportamento sociale tra il bambino e la figura di accudimento, che regolano l’affetto, il grado di attivazione, la motivazione, l’attenzione, l’intimità e l’attaccamento (Stern, 1985)

    77. Il momento R ha molti aspetti distinti: gli elementi dell’esperienza da categorizzare provengono da due persone gli elementi o gli attributi (le invarianti potenziali) dell’evento consistono in variazioni dell’affettività, del grado di attivazione, della motivazione e degli stati di coscienza specifici, nonché degli atti motori, cognizioni e percezioni di sé e degli altri.

    78. Questo universo di attributi comprende l’intera serie di elementi che formano l’esperienza autobiografica soggettiva.

    79. Il momento R riguarda i tentativi reciproci di regolare un sistema diadico che si origina soltanto nelle relazioni tra intimi.

    80. Infine si tratta di un evento di breve durata - una manciata di secondi – che contiene un singolo, ma coerente segmento di esperienza.

    81. E’ altamente plausibile che le leggi che regolano la formazione delle categorie funzionali in quest’ambito abbiano alcuni caratteri distintivi. (Nelle REG descritte da Nelson e Gruendel non sono necessariamente presenti come attributi le modificazioni nell’affettività, nel grado di attivazione, nella motivazione e negli stati di coscienza specifici).

    82. Sembra ragionevole, pertanto, mantenere un termine distinto (momenti R) per le categorie formate nel dominio interattivo interpersonale

    83. Il momento R, inteso come categoria di certi episodi ricordati (momenti M), solleva alcuni problemi. I vari attributi che costituiscono il ricordo di un episodio (momento M) (affetto, motivazione, azione...) sono essenzialmente uguali, in quanto l’intera esperienza vissuta viene codificata come unità.

    84. In ogni occasione un attributo può essere soggettivamente più saliente, ma tutti sono sempre presenti. In momenti interattivi diversi, attributi diversi sembrano avere, e di fatto hanno, maggiore salienza, ma nel complesso nessuno viene privilegiato e tutti sono sempre presenti nel momento vissuto V e nella formazione dei momenti R.

    85. In questo modo il mondo rappresentazionale delle interazioni consiste di eventi ordinari quotidiani, sia quelli che le nostre teorie segnalano come particolarmente rilevanti, che tutti gli altri.

    86. Entrambi questi tipi di eventi tendono a ripetersi con notevole frequenza (spesso dozzine di volte ogni giorno per mesi) cosicché il bambino ha un’enorme opportunità di riconoscere e rappresentare i momenti interattivi prevedibili che compongono la nutrizione, il cambio dei pannolini, il gioco, l’insegnamento e l’andare a dormire.

    87. La distorsione In che modo la distorsione entra nel mondo delle rappresentazioni, se vi entra?

    88. Cosa intendiamo per distorsione? la discrepanza tra gli eventi interattivi osservati da un estraneo e i momenti vissuti come soggettivamente sperimentati? Oppure la discrepanza fra i momenti V e i Momenti M, o fra uno dei due tipi e i momenti R? Perché alcuni momenti V permangono come ricordi vividi e specifici (traumatici), invece di essere assimilati nei momenti R?

    89. Possibili risposte: Poiché un prototipo è un’astrazione della realtà, può rappresentare qualcosa che in realtà non si è mai verificato. Se un ricordo specifico ha resistito all’assimilazione in un prototipo (…forse per la sua natura traumatica), questo ricordo costituirà una guida per le azioni future, una guida non basata sulla maggioranza dell’esperienza categorizzabile e, pertanto, più esposta ad errori pericolosi.

    90. Scenari V, scenari M, scenari R

    91. Oltre al momento V e alla sua rappresentazione, l’unità gerarchica successiva nella rappresentazione delle relazioni è costituita dalle sequenze di momenti V interattivi. Il modello per questo tipo di unità composta di diversi eventi interattivi in sequenza invariante è lo script (copione) (Shanck, Abelson, 1977).

    92. Un esempio: il bambino si avvicina alla madre la madre orienta e prepara il proprio corpo a riceverlo il bambino solleva le braccia per essere preso la madre lo prende in braccio il bambino si stringe al collo della madre la madre regola la sua posizione in modo adeguato. Una sequenza interattiva di questo tipo potrebbe verificarsi in un numero limitato di circostanze diverse (riunificazione dopo un’assenza, conseguenza di stanchezza, dolore, paura...).

    93. Possiamo denominare questa unità scenario V. Il ricordo di questo episodio può essere chiamato scenario M. La sua rappresentazione scenario R.

    94. Lo scenario R si formerà quando molti scenari M analoghi saranno disponibili in memoria per essere organizzati. Esso si forma cioè in base ai medesimi principi che presiedono alla formazione del momento R a partire da molti momenti M, con l’unica differenza che ora è coinvolta una unità più ampia.

    95. Usiamo il termine scenario R, per distinguerlo, come forma di autobiografia interattiva personale dallo script come forma di rappresentazione di un evento in generale

    96. I singoli momenti R possono avere luogo in molti scenari R diversi tra loro (alzare le braccia per essere sollevato, per giocare, per essere coccolato dopo una riunificazione). Tuttavia la combinazione e la sequenza dei momenti R che costituiscono uno scenario R sarebbe sempre unica

    97. La conoscenza della rappresentazione infantile dei momenti in sequenza è ancora limitata. Probabilmente i bambini possiedono degli scenari R ben sviluppati per molte sequenze di gioco, specialmente ritualizzato, per la nutrizione, il cambio dei pannolini, il momento in cui vengono messi a letto. Occorrono informazioni più dettagliate sulla conoscenza che i b. hanno di questi scenari e sull’età in cui li apprendono.

    98. L’organizzazione del contenuto Vediamo ora, l’organizzazione delle rappresentazioni in categorie di contenuto.

    99. I modelli operativi interni (MOI) Il modello operativo è la rappresentazione che permette al bambino di formarsi delle aspettative e di valutare le interazioni che regolano il suo sistema di attaccamento interno (Bowlby,1980).

    100. Il modello operativo interno opera a livello di inconsapevolezza ed è una guida presimbolica all’azione, all’interpretazione, al sentimento.

    101. Il MOI è un’unità di rappresentazione che organizza momenti R selezionati e scenari R, in termini di contenuti specifici.

    102. Il modello operativo interno è stato tradizionalmente riservato al contenuto motivazionale dell’attaccamento. Tuttavia è ugualmente applicabile a ciascuno dei principali sistemi motivazionali: il gioco, la regolazione fisiologica, l’autocontrollo o altre attività che richiedono una regolazione reciproca.

    103. I modelli operativi interni possono esistere anche come categorie di contenuto per gli affetti: per es. felicità o tristezza, o come categorie di contenuto per la valutazione edonica principale: piacevole/spiacevole, buono/cattivo .

    104. Concepiamo il MOI come un’organizzazione di momenti R e scenari R selezionati, che fanno parte della stessa categoria di contenuto. Sembra necessario postulare l’esistenza di più modelli operativi interni separati e verificare empiricamente la loro coerenza interrelazionale.

    105. Un unico momento R può contribuire a a due diversi scripts di scenari R. (alzare le braccia per essere preso in braccio: in uno script di riunificazione o per giocare). La condivisione faciliterà il bambino nell’associare unità diverse di rappresentazione.

    106. Un MOI può anche consistere in un gruppo di scenari R, due o più dei quali possono essere in contraddizione. Ciò genera un MOI ambivalente e può servire a spiegare un attaccamento insicuro.

    107. Non soltanto esistono MOI differenti per differenti sistemi motivazionali, ma persino all’interno dello stesso sistema motivazionale possono esistere modelli differenti a seconda delle diverse figure di accudimento (il padre, la madre, i fratelli...).

    108. “da parte mia riservo il termine modello operativo di regolazione per l’intero complesso di momenti R e scenari R che regolano un sistema motivazionale separato e importante come l’attaccamento, la curiosità, la fame o il gioco”.

    109. I modelli narrativi Il modello narrativo è la storia o la spiegazione dei MOI raccontati a se stessi o a un altro. E’, in parte, la traduzione verbale dei MOI di regolazione non verbale, ma non vi è una corrispondenza semplice: il modello narrativo pone i modelli operativi non verbali in un contesto più ampio.

    110. Il modello narrativo di regolazione non corrisponde mai al modello operativo di regolazione: il MOI è inconscio, non verbale, privato e costituito da eventi esperiti soggettivamente.

    111. Il modello narrativo è generalmente conscio, verbale, raccontabile, sociale e costruito da referenti esperiti attraverso le parole. Non vi è sovrapposizione, ma affiancamento fra un modello operativo e un modello narrativo dello stesso sistema di regolazione.

    112. E’ importante sottolineare che l’emergere di un modello narrativo intorno al terzo anno di vita, non rende in alcun modo obsoleto o inattivo il modello operativo di regolazione. I due coesistono in relativa armonia o disarmonia per tutta la vita. (modello narrativo positivo e idealizzato della madre – MOI molto meno positivo, ambivalente).

    113. Il modello narrativo inoltre, comprende non solo il modo in cui ciascun individuo si racconta la propria infanzia nelle relazioni d’attaccamento, ma anche elementi o aspetti che non ha direttamente sperimentato e che gli sono stati trasmessi e comunicati da altri, come le storie, i miti, le bugie e i segreti familiari.

    114. Numerose pratiche e tradizioni non scritte, familiari e di gruppo possono essere attivate quando un individuo entra a far parte di un gruppo. Queste pratiche servono all’individuo come fonte di ricordi e di continuità di comportamento, anche se gran parte o la totalità dell’esperienza storica originaria, sottesa alle tradizioni del gruppo non gli si è mai presentata come esperienza diretta (Reiss)

    115. La trasmissione avviene in base al contenuto e al modo in cui la storia viene raccontata, con particolare riguardo alle incongruenze, alla mancanza di coerenza, alle parti mancanti, alle interruzioni premature della storia…

    116. Queste particolarità devono costituire un mezzo primario di trasmissione e di attivazione di importanti informazioni riguardo a ciò che si può dire o non si può dire, si può o non si può pensare. Alcune tradizioni familiari possono innestarsi sui modelli narrativi dell’individuo determinando così la continuità del suo comportamento in situazioni di gruppo o familiari.

    117. Il modello narrativo differisce dal MOI in quanto garantisce un tipo diverso di regolazione. Quando gli eventi relazionali vengono verbalizzati, il fatto stesso di parlarne può agire in più modi per regolare e persino alterare le esperienze raccontate.

    118. Infine, il modello narrativo è, dal punto di vista gerarchico distinto e più ampio del MOI perché può includere più di un modello operativo: il modello narrativo di attaccamento può includere intere parti di un MOI per la curiosità, l’apprendimento, il gioco, la motivazione fisiologica.

    119. Questa mescolanza è probabilmente la regola e la sua esatta natura risulterà dalla storia individualizzata delle associazioni fra i distinti sistemi motivazionali

    120. conclusioni Sono state distinte una organizzazione formale e una organizzazione del contenuto delle unità rappresentazionali. I momenti R e gli scenari R costituiscono le unità formali I modelli operativi interni e i modelli narrativi sono le unità di contenuto formate dalla riorganizzazione delle unità formali

    121. Specificare le unità di rappresentazione e porle in ordine gerarchico può essere utile dal punto di vista teorico, clinico ed empirico.

    122. Dal punto di vista teorico è utile conoscere come vengono strutturate le rappresentazioni delle relazioni e come si formano le strutture. La schematizzazione delle unità di rappresentazione e del loro ordinamento, è un passo in questa direzione.

    123. Dal punto di vista clinico, la definizione operativa della rappresentazione delle relazioni, consente di analizzarle sistematicamente. La schematizzazione proposta è più specifica nella descrizione e nell’identificazione delle parti costitutive delle rappresentazioni e può pertanto essere più precisa nella considerazione, ad es. della coerenza o dell’adeguatezza di un modello (modelli di attaccamento di Main, Kaplan e Cassidy, 1985; Bretherton, 1985).

    124. Dal punto di vista empirico, la schematizzazione può dimostrarsi utile per definire gli argomenti della ricerca futura: In quali età è possibile identificare le diverse unità? Qual è il ruolo della variabilità individuale o della patologia in questa progressione temporale? La sequenza temporale della formazione dei MOI per i diversi sistemi motivazionali, sarà la stessa che per l’attaccamento?

    125. O relativamente al processo: Il processo di categorizzazione che forma i livelli successivi di organizzazione, è identico per ogni livello? Vi è un unico processo globale di categorizzazione, oppure ve ne sono molti? In che modo il conflitto viene costruito nelle rappresentazioni? Si verifica tra livelli diversi (se il MOI è in disaccordo con il modello narrativo) oppure all’interno di uno stesso modello (se scenari R reciprocamente escludentesi, vengono riuniti in un MOI interno che produce ambivalenza)?

    126. Queste domande si possono forse, ora, porre, con maggiore chiarezza.

More Related