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CAP 1 – PROBLEMI, LIVELLI DI RAPPRESENTAZIONE, IMMAGINI DEL FRUITORE

CAP 1 – PROBLEMI, LIVELLI DI RAPPRESENTAZIONE, IMMAGINI DEL FRUITORE. HA ANCORA SENSO PARLARE DI MASSA?

niabi
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CAP 1 – PROBLEMI, LIVELLI DI RAPPRESENTAZIONE, IMMAGINI DEL FRUITORE

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Presentation Transcript


  1. CAP 1 – PROBLEMI, LIVELLI DI RAPPRESENTAZIONE, IMMAGINI DEL FRUITORE • HA ANCORA SENSO PARLARE DI MASSA? • Da: concetto europeo ottocentesco e pessimista di massa indifferenziata (anomia-Durkheim, regressione, mente di gruppo-Tarde, Le Bon, deindividuazione-Zimbardo) → modello allocutorio di fruizione del messaggio: offerta di informazione realizzata centralmente, concepita per un’attenzione immediata e con schema temporale determinato dalla fonte → adunate oceaniche • A: concetto nordamericano novecentesco e ottimista di audience: comunità, gruppi di individui localizzati che mantengono ciascuno la propria autonomia, può formarsi in risposta ad un messaggio ossia essere definita dai contenuti del messaggio stesso, o al contrario preesistere al messaggio e quindi definirne i contenuti → tipicamente: lettori di un quotidiano • A: concetto attuale di utenti periferici, delocalizzati, autonomi & interattivi, in grado di dialogare con gli altri utenti così come con i centri di produzione per “costruire il proprio palinsesto” → modello della rete → tipicamente: internet, pay tv • TEORIE SUGLI EFFETTI DELLE COMUNICAZIONI DI MASSA • primo dopoguerra, riflessione sugli effetti della propaganda bellica, comportamentimo (plasticità assoluta, paradigma s-r , condizionamento operante) → teoria ipodermica: i messaggi trasmessi attraverso i mezzi di comunicazione di massa provocano risposte immediate e dirette in tutte le persone esposte • 2a guerra mondiale: contrariamente a quanto previsto dalla teoria ipodermica, si dimostra che differenze individuali mediano l’effetto del messaggio; costrutto di atteggiamento come variabile interna antecedente il comportamento (Allport: stato mentale e neurale di preparazione, organizzato attraverso l’esperienza, capace di esercitare un’influenza diretta sulla risposta dell’individuo) su cui il messaggio esplica la sua influenza; Lazarsfeld sistematizza lo schema di analisi “chi dice-emittente o fonte / cosa-messaggio / a chi-ricevente o destinatario / con quale effetto” e propone il modello di flusso a due fasi: dai mezzi di comunicazione ai leader di opinione e da questi agli altri membri della comunità • secondo dopoguerra, scuola di Yale, Hovland: studia sperimentalmente gli effetti di emittente, messaggio e ricevente nel mediare gli effetti delle comunicazioni massmediali; dimostra l’effetto della credibilità della fonte nello spostare gli atteggiamenti, ma anche che si tratta di un effetto di breve durata, e spiega ciò ipotizzando che nel lungo termine il ricevente tenda a dissociare la fonte dal messaggio e che quindi sia solo questo a poter influenzare gli atteggiamenti in modo duraturo (Asch dimostra però che la fonte produce un effetto più profondo perché attiva precisi schemi di rappresentazioni concettuali che guidano l’interpretazione del messaggio stesso, ovvero lo “co-costruiscono”); studia l’effetto dei messaggi minacciosi trovando un andamento “a U” (messaggi mediamente minacciosi più efficaci sia di quelli non che di quelli molto minacciosi) • 1957, Festinger, teoria della dissonanza cognitiva: l’insorgenza di uno stato di dissonanza tra credenze diverse o tra credenze e comportamenti costituisce una spinta motivazionale a ridurla attraverso razionalizzazione, evitamento informazioni potenzialmente dissonanti, ricerca di sostegni argomentativi alla decisione presa → quindi l’efficacia di un messaggio è anche funzione della sua capacità di ridurre una situazione di dissonanza (o non crearne ex novo) nella mente di chi percepisce • anni ’60, McGuire: sposta il fuoco dell’analisi sui modi con cui le persone possono difendersi dalla persuasione (teoria della vaccinazione: insegnare alle persone a sviluppare controargomentazioni a deboli attacchi portati al loro sistema di credenze basiche, o truismi o verità culturali, affinché possano poi autonomamente difendersi da attacchi più forti); propone un modello processuale a 6 fasi del meccanismo di persuasione (1.esposizione, 2. ritenzione, 3. comprensione, 4. accettazione, 5. ritenzione del nuovo atteggiamento, 6. traduzione dell’atteggiamento in comportamento); dimostra che i riceventi con alta autostima e quelli con alto QI sono da un lato i più aperti all’attenzione e comprensione di un messaggio, ma dall’altro i meno disposti ad accettare le sue conclusioni purchessia, da cui deriva l’ipotesi che i più influenzabili siano i più sfigati • anni ’70: il fuoco si sposta sulla relazione tra atteggiamenti e comportamenti, quindi sull’influenza dei mezzi di comunicazione sulle condotte degli individui e sui processi che mediano tale influenza; Fishbein e Ajzen propongono il modello del comportamento pianificato (vedi Atteggiamenti); Bandura specifica la teoria dell’apprendimento sociale: nuovi comportamenti possono essere appresi anche per in modo vicario, ovvero per imitazione di comportamenti messi in atto da un modello, attraverso la mediazione di quattro tipi di processi: 1. processi di attenzione (l’individuo deve poter cogliere l’esistenza di un modello comportamentale; l’attenzione sarà tanto più favorita quanto più la persona-modello è considerata attraente, credibile); 2) processi di ritenzione in memoria (la condotta osservata nel modello deve essere immagazzinata in qualche forma simbolica, la ritenzione sarà tanto migliore quanto più la codifica sarà “forte”, es immagini concise e vivide): 3) processi di riproduzione motoria (l’apprendimento sarà tanto migliore quanto più da un lato l’individuo effettivamente possiede le capacità per mettere in atto il comportamento osservato, e dall’altro riceve segnali di feedback che gli permettono di affinarlo); 4) processi motivazionali, presenti lungo tutti gli stadi precedenti (l’individuo deve essere motivato ad osservare il comportamento messo in atto dal modello, a ritenerlo in memoria e a riprodurlo; lo sarà tanto più quanto più riceverà rinforzi ovvero potrà anticipare –attraverso l’osservazione di ciò che accade al modello piuttosto che in altro modo- che la messa in atto del comportamento produrrà per lui dei benefici) • CONCLUSIONI GENERALI (alcune logiche rispetto a quanto precede, altre che compaiono qui out of the blue!) • gli effetti della comunicazione sono più forti quando il messaggio è coerente con gli atteggiamenti /opinioni/credenze/valori che il ricevente già possiede • atteggiamenti ecc del ricevente operano una selezione nella fase di attenzione e codifica dei messaggi (schemi): ergo la maggior parte dei messaggi che vengono elaborati confermano piuttosto che disconfermare gli atteggiamenti medesimi • ergo gli effetti della comunicazione di massa tendono a rafforzare atteggiamenti già posseduti piuttosto che a determinare il cambiamento; il cambiamento è cmq il risultato di molteplici fattori, tra i quali il mezzo di comunicazione impiegato, il contesto sociale in cui avviene la comunicazione, l’interpretazione del messaggio che il gruppo di riferimento del soggetto propone, la presenza e influenza di opinion leader, la credibilità della fonte) • quanto più gli atteggiamenti hanno radici profonde, sono stabili, quanto meno hanno probabilità di subire cambiamenti • maggiore è il monopolio di chi detiene la fonte delle comunicazioni, maggiore è l’effetto nella direzione voluta dalla fonte (e la reattanza, ce la siamo scordata?)

  2. CAP 2 – QUESTIONI DI METODO • L’ANALISI DELL’AUDIENCE • rating: apparecchi (oppure audience) sintonizzati sul programma X / totale apparecchi (oppure totale popolazione) presenti nella zona di rilevazione • HUT (Households Using Television) = sommatoria dei rating = apparecchi (oppure audience) sintonizzati su qualsiasi programma/ totale apparecchi (oppure totale popolazione) presenti nella zona di rilevazione • share: apparecchi (oppure audience) sintonizzati sul programma x / apparecchi (oppure audience) sintonizzati su qualsiasi programma • reach o copertura: numero totale delle persone esposte allo spot ovvero % della popolazione bersaglio raggiunta almeno una volta • frequenzadi esposizione o OTS (opportunity to see) = numero medio di volte in cui ogni persona è stata raggiunta • GRP’s (gross rating points) = copertura x frequenza = % dell’audience raggiunta almeno una volta x numero medio di volte in cui ogni persona è stata raggiunta • segmentazione delle audience per variabili socio-demografiche, geografiche, comportamentali, psicografiche (atteggiamenti, stili di vita) • rilevazione delle audience per mezzo di metodi di analisi campionaria • rilevazione delle audience televisive per mezzo di audiometer, in Italia Auditel (in alternativa tecniche del diario • tempo giornaliero dedicato alla fruizione televisiva in Italia – bambini 6-10 anni: 3-4 ore per il 56%, 5-6 ore per il 19%; ragazzi 14-19: 3-4 ore per il 52%, 5-6 ore per il 14%; adulti: 3-4 ore per il 47%, 5-6 ore per l’11% • in generale i maggiore fruitori sono i bambini, le donne, gli anziani (pop non attiva), classi sociali e di reddito inferiori • tuttavia non tutto il tempo di “fruizione” si traduce in ascolto attento: televisione sottofondo, in particolare evidenza per i bambini, che usano l’audio (es presenza di voci adulte o infantili) con funzione predittiva circa l’interesse che i contenuti possono avere per loro • L’ANALISI DEL CONTENUTO E L’ANALISI DEL LINGUAGGIO • l’analisi del contenuto è una tecnica di ricerca basata sulla registrazione, misurazione e valutazione dell’ammontare di “unità di comunicazione” prodotte dalla fonte circa un dato argomento e viene effettuata su campioni rappresentativi della comunicazione che si intende esaminare (comunicazione sui media, oppure comunicazine interpersonale di vario tipo) • l’analisi del contenuto può avere tre obiettivi: 1) scoprire atteggiamenti e intenzioni della fonte attraverso la determinazione del contenuto manifesto della comunicazione (es analisi necrologi manager maschi e femmine); 2) ricostruire indirettamente percezioni e atteggiamenti di coloro che decidono di esporsi a quella comunicazione, anche tenuto conto del modo in cui effettivamente si espongono (es atteggiamenti di maschi e femmine verso messaggi di contenuto erotico); collegare il contenuto dei messaggi a fenomeni ad essi antecedenti o successivi (es analisi relazione storie di suicidio-casi di suicidio oppure tv violenta-comportamenti violenti oppure tenore discorsi Johnson su Vietnam-livello di aggressività azioni di guerra successive) • tipicamente l’analisi del contenuto è stata utilizzata per esaminare la rappresentazione dei ruoli sociali da parte dei mezzi di comunicazione di massa, in particolare per quanto riguarda la discriminazione delle minoranze etniche, che può manifestarsi in due modi: sottorapresentazione (rispetto all’effettiva consistenza numerica) e stereotipizzazione (prevalentemente in senso negativo o cmq ridicolo). Da notare che quando si verificano entrambi i fenomeni, per effetto di una distorsione cognitiva generale (percezione di una correlazione illusoria), si produce di fatto una sovrastima della co-occorenza dei due eventi (membro della minoranza che mette in atto comportamenti negativi o comunque stereotipici) che accentua l’effetto di discriminazione • l’analisi del contenuto pone problemi metodologici di non facile soluzione: definizione univoca e non ambigua delle categorie in cui vengono classificate le unità di comunicazione, degli indici utilizzati per la loro misurazione, delle unità di misurazione • l’analisi del contenuto diventa analisi del linguaggio quando studia le variazioni stilistiche dei messaggi scritti: tipo di parole usate, struttura sintattica della frase, quantità di tempo dell’eloquio, uso dei pronomi, livello di astrazione, ecc. • rispetto al metodo sperimentale, i vantaggi dell’analisi del contenuto e del linguaggio sono che si tratta di tecniche non reattive (non producono artefatti), che si concentrano su oggetti di ricerca di indubbia rilevanza sociale e che, lavorando su materiali d’archivio, permettono di condurre indagini longitudinali; d’altra parte, i rischi sono di un abbassamento degli standard scientifici, per quanto riguarda sia l’affidabilità delle misure sia, soprattutto, la loro validità per la comprensione dei processi psicologici sottostanti, che spesso rimane equivoca perché poco ancorata a solide basi teorico-concettuali • un buon esempio di analisi linguistiche che, al contrario, si fondano su una solida base teorica, sono quelle che indagano i modi in cui si esprime comunicazionalmente il bias verso l’ingroup (teoria dell’identità sociale di Tajfer e Turner: tendenza a favorire l’ingroup e sfavorire l’outgroup originata dalla motivazione a creare un dislivello valutativo da cui derivare un innalzamento dell’autostima individuale per il semplice fatto di appartenere al gruppo valorizzato); in particolare è stato evidenziato che nei resoconti giornalistici il bias si esprime attraverso: • i meccanismi dell’attribuzione causale: azioni positive dell’ingroup e negative dell’outgroup sono più facilmente attribuite a cause interne e stabili, mentre azioni negative dell’ingroup e positive dell’outgroup lo sono a cause esterne e instabil, e questo tanto più quanto il giornalista si identifica con l’ingroup (cronache partite di calcio su giornali locali) • l’utilizzo di diversi livelli di astrazione: azioni positive dell’ingroup e negative dell’outgroup sono più spesso descritte con categorie linguistiche più astratte (aggettivi e avverbi di stato) difficili da verificare empiricamente e che implicitamente suggeriscono la presenza nella persona di strutture disposizionali stabili, mentre azioni negative dell’ingroup e positive dell’outgroup sono preferibilmente descritte con categorie linguistiche più concrete (verbi descrittivi di azione, verbi di azione interpretativi) che suggeriscono trattarsi di fenomeni contingenti, passeggeri)

  3. CAP 3 – LE TEORIE SOCIOLOGICHE • LA TEORIA DELL’AGENDA SETTING • Secondo questa teoria l’agenda (grado e ordine di importanza di problemi e temi) dei media plasma l’agenda dell’audience, ovvero sono i media che indicano quali sono le informazioni a cui occorre prestare attenzione e qual è la loro importanza relativa in un dato momento; quindi anche se i media non suggeriscono alla gente come deve pensare, essi suggeriscono a cosa deve pensare, fissando in questo modo “l’ordine del giorno” che guida le aspettative delle persone • la teoria è sostenuta da numerose evidenze sperimentali, comprese alcune che escludono che la correlazione riscontrata fra le due agende sia spuria, ovvero dovuta ad un’altra causa di tipo sovraordinato ( “effettiva importanza dei problemi nella realtà”) • tra le molte modalità attraverso cui è possibile manipolare l’importanza di una notizia: innanzi tutto la frequenza di comparsa, poi lo spazio accordato, l’ordine rispetto ad altre notizie, l’importanza della testata e dei comunicatori che la riportano, nonché l’utilizzo di aspetti retorici della comunicazione (coinvolgimento emotivo dell’audience), di filmati, di commenti che generalizzano contenuti ed effetti della notizia, ecc • grazie all’integrazione della teoria con l’approccio cognitivista è possibile dare una spiegazione di come l’agenda setting funzioni: vi è una mediazione da parte di specifici meccanismi cognitivi, ovvero le euristiche di giudizio; in particolare l’euristica della disponibilità fa sì che determinate informazioni e dimensioni di giudizio diventino effettivamente più rilevanti per le persone proprio perché il loro recupero in memoria è stato favorito dall’esposizione ai media • la teoria ha cmq il suo limite nel considerare l’audience come un tutto indistinto, ovvero non prendere in considerazione differenze individuali (sia demografiche che psicologiche: atteggiamenti) quali variabili intervenienti che fanno sì che non per tutti l’agenda dei media si traduca automaticamente e nello stesso modo nella propria agenda personale • USI E GRATIFICAZIONI • Questa teoria si focalizza proprio sul polo opposto, ovvero guarda ai mezzi di comunicazione dal punto di vista del ricevente invece che dell’emittente: ipotizza infatti che gli individui si espongano ai media selettivamente e con diversi gradi di coinvolgimento, per gratificare specifici interessi, bisogni e necessità che li caratterizzano individualmente (e che rimandano, a monte, a determinate caratteristiche demografiche e psicologiche) • Tassonomia dei bisogni che la fruizione dei media (in particolate TV) può gratificare: 1. ottenere informazioni utili (per conoscenza, come guida per le proprie azioni, per aiutare a definire la propria identità); 2. ottenere argomenti da utilizzare nelle comunicazioni interpersonali; 3. realizzare interazioni parasociali (personaggi TV diventano “di casa”); 4. ottenere intrattenimento e svago (più attivo); 5. distrarsi (più passivo) • La maggior parte delle evidenze provano la validità della teoria (persone diverse e con atteggiamenti diversi provano gratificazione diverse dallo stesso spettacolo, es film dell’orrore per maschi e femmine) ma non compiono il passo successivo: ovvero non analizzano in che modo le diverse gratificazioni individuali ricercate nella TV e che si traducono in diverse modalità di esposizione si traducono poi in eventuali diversi effetti della medesima su atteggiamenti e comportamenti • LA TEORIA DELLA COLTIVAZIONE • E’ la teoria più apocalittica, sostiene che i media oltre a dirci quali sono le cose a cui pensare (agenda setting), ci dicono anche in che modo dobbiamo pensare ad esse • L’assunto teorico è che quasi tutti i programmi presentano delle immagini del mondo relativamente uniformi, a prescindere dai diversi generi, e che con il tempo tali immagini vengono progressivamente fatte proprie dagli spettatori, a prescindere dalle differenze individuali che giocano un ruolo solo marginale • Concetto di mainstreaming (corrente centrale/principale): la visione televisiva conduce ad una omogeneizzazione nelle concezioni dell’audience, e ciò è dimostrato verificando empiricamente: 1. che lo scarto tra visione di un certo tema proposta dalla TV e visione individuale è inferiore per gli heavy viewers rispetto ai light viewers: 2) che le similitudini nella visione di un certo tema tra individui appartenenti a differenti gruppi socio-demografici sono maggiori tra gli heavy viewers che tra i light viewers • Concetto di resonance: gli effetti di mainstreaming dei media vengono amplificati nel momento in cui l’individuo è esposto ad altri agenti di influenza (possono essere anche condizioni di vita: es quartiere nel quale abita) che propongono una visione del mondo analoga • Le critiche alla teoria della coltivazione sono di due tipi: da un lato che la relazione causa-effetto non viene effettivamente provata (i risultati ottenuti sono principalmenete correlazionali, e cmq le correlazioni riscontrate spiegano solo una parte ridotta della varianza complessiva); dall’altro che sono falsificabili gli assunti di base della teoria (sostanziale omogenenità dei programmi e non selettività della fruizione).

  4. CAP 4 – GLI EFFETTI DELL’ESPOSIZIONE • TEORIE DELL’APPRENDIMENTO SOCIALE: DALLE CONDOTTE IMITATIVE AL MODELLAMENTO • L’apprendimento sociale teorizzato da Bandura, che prevede anche che l’apprendimento possa avvenire senza che vi sia consapevolezza e volontà da parte del soggetto, viene ovviamente invocato per spiegare le modalità d influenza dei media • l’ambito in cui sono stati condotti i maggiori studi sono le relazioni fra esposizione a contenuti violenti e messa in atto di comportamenti aggressivi; i risultati di ricerca, oltre a dimostrare l’esistenza di correlazioni, sembrerebbero anche sostenere l’ipotesi di una relazione causale: l’esposizione a contenuti violenti porterebbe ad un aumento di comportamenti aggressivi sia nel breve termine (ricerca nelle carceri Parke e coll, 1977, dove però si evidenzia anche il ruolo delle caratteristiche disposizionali), sia ancor più inquietantemente nel lungo (ricerca longitudinale con gap 10 anni di Eron e coll, 1972, da cui si inferisce per l’appunto che la TV può influire sulle stesse caratteristiche disposizionali); va detto che gli effetti non si manifestano sempre, che quando si manifestano lo fanno in modo variabile e che ogni caso la proporzione di varianza spiegata dagli studi è bassa, non supera il 10% - occorre probabilmente ricorrere ad un modello multicausale, che preveda fra le sue componenti sia le componenti di personalità del soggetto, sia i fattori contestuali • sembrano comunque in vario modo confermate le teorie che ipotizzano un effetto dei mezzi di comunicazione nell’indurre/ facilitare la messa in atto di condotte aggressive (potrebbero, mi sembra, essere anch’esse integrate in un modello complessivo): teoria dell’apprendimento sociale; teoria della disinibizione (la prolungata esposizione a comportamenti violenti li fa percepire come “normali” e provoca l’abbassamento della soglia di inibizione); teoria dell’arousal (l’esposizione a contenuti violenti provoca arousal e quindi aumento delle tendenze di risposta; dipende però dalle caratteristiche disposizionali del soggetto se questa sarà un comportamento aggressivo); teoria delo stato d’animo o mood (gli spettacoli violenti provocano uno stato d’animo negativo nell’individuo, che a quel punto tende a percepire gli eventi e a comportarsi in accordo con quello stato - coerenza); modello cognitivo dell’associazione semantica (l’attivazione di un nodo della rete si diffonde ai nodi ad esso collegati, quindi la visione di contenuti violenti funziona da “prime” e attiva in memoria la relativa area semantica, facendo sì che le successive informazioni in entrata vengano più facilmente elaborate a partire da questi schemi e le risposte comportamentali vengano organizzate in accordo ad essi; non solo, ma nel tempo ripetute attivazioni della stessa area rendono sempre più facile l’accesso ad essa in memoria a lungo termine) • sembrano invece disconfermate le teorie di segno contrario: teoria della catarsi (visione di spettacoli violenti come “valvola di sfogo” dell’aggressività che così non sfocerebbe in effettivi comportamenti aggressivi); teoria della predilezione (ipotizza relazione causale in senso inverso: sono le persone disposizionalmente violente che cercano gli spettacoli violenti); teoria dell’ostracismo (variante terra-terra della precedente: le persone violente trascorrono più tempo da sole, ergo guardano più TV, ergo più spettacoli violenti); teoria del convenzionalismo (negazione terra-terra della precedente: sono proprio le persone più placide (potato-couch) quelle che passano più tempo davanti alla tv, ergo le più esposte a spettacoli violenti) • un altro importante ambito di indagine riguarda l’eventuale capacità dei mezzi di comunicazione di “istigare al suicidio” per imitazione; le evidenze di ricerca, anche se non univoche, sembrano a favore di una conferma dell’ipotesi: le cronache di suicidi possono generare un aumento dei casi di suicidio, nonché suggerire l’adozione di modalità di suicidio analoghe a quelle dei casi riportati; evidenza sperimentale (Boca, Colombi & Ceruti, 1995) che la variabile cruciale è il livello di identificazione tra il soggetto e il protagonista del caso di suicidio trattato (questo spiegherebbe anche il maggiore effetto dei suicidi di personaggi famosi), in quantofavorisce maggior coinvolgimento emotivo, maggiore attenzione, maggiore elaborazione cognitiva • COMPORTAMENTI PROSOCIALI INDOTTI DAI MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA • Come predice la teoria dell’apprendimento sociale, nei bambini l’osservazione in TV di comportamenti prosociali sembra favorire la messa in atto di comportamenti analoghi, anche se non sono ancora chiare generalizzabilità e capacità di perdurare • la TV può inoltre incidere indirettamente sull’adozione di comportamenti positivi favorendo l’acquisizione di atteggiamenti che ne sono il prerequisito. In particolare gli studi si sono focalizzati sulla riduzione di stereotipi, verificando che si può effettivamente ottenerla (anche se gli effetti misurati riguardano solo gli atteggiamenti espressi verbalmente, mentre non si sono indagati gli effetti sui comportamenti connessi) sia direttamente attraverso la proposta di controargomentazioni rispetto allo stereotipo, sia indirettamente attraverso la presentazione di personaggi non stereotipici appartenenti al gruppo stereotipizzato; in questa seconda modalità perché la comunicazione sia efficace occorre da un lato che il personaggio, oltre a non essere stereotipico, sia comunque giudicato positivamente dai destinatari della comunicazione, e dall’altro che non venga reso saliente il suo essere un esemplare periferico della categoria stereotipizzata; il tema connesso è la credibilità della fonte: le evidenze sono che questa ha un effetto nel ridurre gli atteggiamento stereotipici solo in condizioni di basso coinvolgimento dei soggetti (quando cioè, secondo il modello ELM, vengono attivate euristiche di giudizio) • riguardo al tema generale delle campagne sociali, studi su campagne di educazione alla salute hanno dimostrato che i mass media sono efficaci nell’aumentare le conoscenze delle persone circa un determinato tema e nel modificare i loro atteggiamenti, ma da soli non sono sufficienti ad attivare cambiamenti comportamentali, che necessitano dell’apporto di figure esperte o di dinamiche di gruppo (vedi psi di comunità, ma anche modello di flusso a due fasi di Lazersfeld) • I BAMBINI E I MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA • Le ricerche evidenziano come anche i bambini molto piccoli non siano fruitori passivi della TV, in quanto pur esposti ad essa per molte ore mantengono o distolgono l’attenzione in funzione della comprensabilità e dell’interesse del contenuto, utilizzando spesso il sonoro come indicatore predittivo (voci di bambini vs voci di adulti) • Altre ricerche hanno dimostrato che mentre il numero di elementi ricordati di una storia può essere persino più alto nei bambini più piccoli, solo a partire degli 8 anni il bambino ha un livello di elaborazione sematica, capacità di fare inferenze e disponibilità di conoscenza schematiche tali da permettergli di cogliere le informazioni centrali di una storia nonché quelle implicite che giocano un ruolo essenziale nel suo dispiegarsi; ancora, si è dimostrato che la distinzione tra programmi e pubblicità è problematica fino a 6 anni, e quella tra personaggi di realtà e di fantasia lo è fino ai 9-10 • Gli studi sulla relazione tra fruizione della televisione e sviluppo cognitivo, apprendimento scolastico e creatività hanno dato risultati controversi. Potrebbe trattarsi di correlazioni spurie, prodotte da variabili socio-demo e personali sovraordinate

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