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MIELOLESIONI DA TRAUMA

MIELOLESIONI DA TRAUMA. VERTEBRO-MIDOLLARE. EPIDEMIOLOGIA. Attualmente le maggiori cause di TVM sono dovute ad incidenti stradali, mentre 30-40 fa erano dovute ad incidenti sul lavoro. L’età media è di anni 29,7, la mediana è di 25 e la moda è di 19 anni. .

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MIELOLESIONI DA TRAUMA

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Presentation Transcript


  1. MIELOLESIONI DA TRAUMA VERTEBRO-MIDOLLARE

  2. EPIDEMIOLOGIA Attualmente le maggiori cause di TVM sono dovute ad incidenti stradali, mentre 30-40 fa erano dovute ad incidenti sul lavoro. L’età media è di anni 29,7, la mediana è di 25 e la moda è di 19 anni.

  3. I dati demografici indicano una netta preponderanza maschile dell’incidenza dei TVM. La ripartizione percentuale del livello lesionale è variabile anche se si è notata una crescita delle lesioni cervicali, in particolare da incidenti secondari ad attività sportiva (tuffi, football,nuoto, ecc.)

  4. EZIOLOGIA Le mielolesioni possono essere suddivise in due grandi gruppi: mielolesioni traumatiche e non traumatiche. Le lesioni traumatiche sono secondarie alla deformazione o al danno del canale vertebrale provocato da una forza estrinseca, per lo più accidentale e improvvisa.

  5. Le lesioni di origine non traumatica sono secondarie a disturbi vascolari, tumorali, displasici (mielimengocele), flogistici e iatrogeni.

  6. ANATOMIA FUNZIONALE DEL MIDOLLO La colonna vertebrale provvede alla mobilità ed al supporto del tronco ed alla protezione del midollo spinale. Esso, nell’adulto si estende dal foramen magnum alla I- II vert. Lombare. Il diametro varia, è più largo tra C3 e T2 e tra T10 e T12, al di sotto di T12 si restringe nel cono midollare e nel filium terminale.

  7. Il diametro sagittale del canale vertebrale varia tra i 12 e i 20 mm, un diametro inferiore ai 10 mm è indice di una stenosi spinale. L’irrorazione midollare è importante nella valutazione delle lesioni mieliche, in particolare di quelle incomplete. Le arterie vertebro-midollari, a disposizione segmentale, attraversano i forami di coniugazione e si dividono in modo che un ramo irrora il periostio ed un ramo si porta al midollo.

  8. Quest’ultimo, in prossimità della dura madre, si divide in due rami: l’arteria radicolare anteriore e la radicolare posteriore. Queste due arterie radicolari terminano con un ramo ascendente ed uno discendente, formando due distretti vascolari, che irrorano le rispettive porzioni midollari.

  9. La topografia arteriosa midollare presenta tre territori distinti: Territorio C1 Arteria vertebrale Superiore T3 Territorio T4 Arteria satellite Intermedio T8 VI-VII radice dors. Territorio T9 Arteria di Inferiore L1 Adamkevic

  10. PATOGENESI DEL DANNO MIDOLLARE Il danno al midollo spinale è spesso causato da traumi chiusi che sono usualmente associati con lussazioni o fratture delle vertebre. Raramente un trauma esita in una interruzione anatomica del midollo spinale, anche se il danno neurofisiologico può essere completo con paralisi totale e anestesia al di sotto della lesione.

  11. Il grado di modificazioni patologiche del midollo dipende dalla forza dell’insulto lesivo. I traumi penetranti rappresentano circa il 15% dei danni a carico del midollo, comunemente sono causati da ferite di arma da fuoco, più raramente da lame od altri oggetti.

  12. Una varietà di meccanismi di forza in grado di produrre differenti tipi di trauma scheletrico dipende dalla direzionalità della forza, che può essere in flessione, estensione, rotazione, compressione o da una combinazione delle diverse modalità.

  13. FASE ACUTA Dopo la sezione midollare si ha abolizione o grave disorganizzazione delle funzioni riflesse al di sotto della lesione: tale fenomeno è transitorio e va sotto il nome di shock spinale. Nella fase acuta non vi è solo paralisi motoria e sensitiva, ma anche completa scomparsa dei riflessi in tutte le parti del corpo innervate da segmenti caudali della sezione trasversa.

  14. FASI RIABILITATIVE Prima di introdurre il programma riabilitativo di un medulloleso è necessario avere chiare quali sono le fasi ed i tempi di un percorso funzionale compiuto da un traumatizzato vertebrale.

  15. FASE DI EMERGENZA E’ quella che va dal momento del trauma e del successivo ricovero ospedaliero fino a quando le funzioni vitali sono assicurate,la lesione ossea è stata stabilizzata ed è stato eseguito o programmato il trattamento delle eventuali lesioni associate.

  16. FASE ACUTA Inizia dal momento in cui il paziente ha superato i tempi critici dell’emergenza e viene ricoverato nell’unità riabilitativa e termina quando raggiunge la posizione seduta in carrozzina ed ha risolto in modo concreto il problema rieducativo della funzione vescico-sfinterica.

  17. FASE POST-ACUTA In questa fase il paziente si cimenta col proprio corpo recuperando l’autonomia nelle A.d.L. ed affronta i problemi derivanti dal recupero di un rapporto con le altre persone e con l’ambiente che lo circonda.

  18. REINSERIMENTO A questo punto il paziente è tornato al proprio domicilio riprende i rapporti col quartiere, con gli amici e col mondo del lavoro /scuola.

  19. VALUTAZIONE FUNZIONALE Nel paziente mieloleso la scelta del programma di riabilitativo più idoneo e degli obiettivi di recupero possibili si fonda sugli elementi clinici (ASIA),oltre che sull’analisi delle caratteristiche psicologiche, socioculturali e motivazionali del paziente.

  20. La valutazione iniziale consentirà di riconoscere il livello lesionale, l’estensione della eventuale sindrome lesionale ed il grado di completezza della lesione mielica.

  21. I POSIZIONAMENTI Nel programma riabilitativo di un mieloleso sono fondamentali i posizionamenti, in quanto essi ci permettono di mantenere le articolazioni libere e le lunghezze muscolari, in modo da permettere, successivamente, il buon utilizzo delle risorse ai fini della maggior autonomia raggiungibile

  22. AUTONOMIA Con questo termine non si vuole intendere la risoluzione di ogni piccolo o grande problema del mieloleso, ma piuttosto il conseguimento di uno stile di vita che per lui sia soddisfacente ed efficace.

  23. LA TERAPIA OCCUPAZIONALE Il terapista occupazionale traduce le informazioni cliniche proprie della lesione, promuovendo le risorse del paziente attraverso la proposta di attività. L’attività è definita come il processo che permette di interagire con l’ambiente, acquisendo competenza nel soddisfare i propri bisogni.

  24. L’attività viene scelta in relazione alle proprietà terapeutiche intrinseche ed al suo significato per il paziente, che viene in questo modo coinvolto nel proprio recupero come “terapista di se stesso”. Affinchè un’attività sia efficace è necessario che sia in relazione con gli obiettivi nati dal confronto con il team riabilitativo.

  25. La terapia occupazionale interviene attraverso un’attività finalizzata e non con un esercizio motorio puro. In questo modo, essa costituisce un’interfaccia tra l’approccio cinesiterapico e quello psicomotorio, quindi pone la massima importanza non al movimento segmentario, bensì alla prassia, cioè alla capacità di interagire con il mondo.

  26. La terapia occupazionale nell’approccio al paziente si divide in due momenti: • momento iniziale • trattamento

  27. MOMENTO INIZIALE In questa fase il paziente si trova in un ambiente nuovo a lui sconosciuto ed inizialmente ostile. La disabilità motoria è accompagnata da disagio psicologico che nasce da : • distacco dall’ambiente abituale; • stato di totale o parziale dipendenza.

  28. TRATTAMENTO E’ il momento in cui inizia la relazione paziente/operatore. Comincia quindi il percorso riabilitativo che va dal colloquio iniziale con il paziente ed i familiari, al suo ritorno a casa.

  29. OBIETTIVI Gli obiettivi sono indirizzati al recupero ed al compenso delle funzioni lese ed all’accettazione del sé nella nuova condizione. Obiettivo primario è la ricerca della massima autonomia possibile in relazione al livello di lesione.

  30. In funzione di questo si possono elencare i seguenti obiettivi: • mantenimento della mobilità articolare; • approccio e training all’utilizzo di ausili; • training di lavoro sui distretti indenni; • insegnamento di strategie sfruttando forze di leva e gravità; • incrementare il senso di competenza e la valorizzazione di sé; • contatti con i servizi territoriali per il reinserimento a domicilio, lavoro, scuola.

  31. MODALITA’ DI INTERVENTO Il trattamento in terapia occupazionale, inizia sin dalla fase di allettamento, fornendo al paziente le strategie o gli ausili che gli consentono di controllare, in parte, l’ambiente che lo circonda (suonare il campanello, acc./sp. la luce, ecc.).

  32. E’ importante ricordare che il confronto con gli ausili può suscitare nel paziente reazioni di rifiuto, poiché il loro utilizzo, in questa fase, rende più evidente il deficit rispetto alla possibilità di autonomia. Nel periodo di allettamento, come già citato, è molto importante mantenere la mobilità articolare o eventuali posture in funzione di un miglior utilizzo dei distretti paretici.

  33. Per es. in caso di lesione cervicale fino a C7 è fondamentale lo sviluppo della “mano funzionale”, che consiste nel creare una funzione di presa in assenza dell’attività dei muscoli delle dita, sfruttando una tenodesi artificiale dei tendini flessori. Essa viene ottenuta mediante una postura della mano che favorisce l’accorciamento dei suddetti tendini senza provocare retrazione capsulare delle art. MCF ed IF.

  34. La posizione corretta prevede: • la fless.di 90° a livello delle MCF ed IF distali; • l’opposizione e l’adduzione del pollice a stretto contatto con le ultime falangi del dito indice; • la fless. dorsale di 30° a livello del polso. Essa viene ottenuta utilizzando un apposito guanto in pelle e vello, con chiusure a velcro ed un eventuale sostegno rigido per la fless. del polso.

  35. In questo modo è consentita, nelle lesioni cervicali basse, con la contrazione del ms ECR la chiusura meccanica delle dita, tale da consentire la manipolazione di oggetti anche di piccole dimensioni.

  36. Lo sviluppo della “mano funzionale” viene accompagnato da attività che il paziente può svolgere a letto ( mat.modellabili), in modo che cominci a sperimentarsi sia con i materiali sia con le possibilità di presa. Inizia anche l’approccio alle prime AdL, come l’igiene e l’alimentazione (uso del cinturino palmare). Per facilitare queste attività si usa il decubito prono o sul fianco.

  37. Quando il paziente è in grado di stare seduto si rende indispensabile la valutazione della carrozzina più idonea a seconda della lesione. La posizione seduta consente di sperimentare nuove Adl e di cambiare il setting terapeutico, poiché il paziente può spostarsi.

  38. Il paziente nella stanza di terapia occupazionale ha la possibilità di confrontarsi con attività di vario genere. Esse gli permettono di mettere in pratica le risorse emerse e di valutare nuove strategie per affrontare il rientro a casa e l’inserimento al lavoro/scuola.

  39. Uno strumento che agisce molto sulla motivazione e sul senso di competenza è il P.C. L’accesso al P.C., può essere facilitato, a seconda dei bisogni del paziente, utilizzando tastiere modificate,emulatori di mouse, programmi che consentono l’uso con controllo vocale o oculare, ecc.

  40. Nella fase terminale del trattamento si cominciano a valutare le eventuali modificazioni ambientali del domicilio, in collaborazione con il paziente e la sua famiglia, viene affrontato il reinserimento al lavoro/scuola con le possibili variazioni da apportare.

  41. CONCLUSIONI I TVM hanno un quadro molto complesso sia dal punto di vista clinico che da quello riabilitativo, per questo è fondamentale il confronto e la collaborazione di intenti tra il team interprofessionale, paziente e familiari al fine di fornire loro gli strumenti, la conoscenza ed il riconoscimento di chi subisce il trauma come individuo capace e competente.

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