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Il quadro sociale ed economico della regio III nell’età del Principato: sondaggi nella documentazione

Il quadro sociale ed economico della regio III nell’età del Principato: sondaggi nella documentazione. Lezione XII. L’agricoltura nell’età del Principato: le tendenze generali. Un progressivo ampliarsi delle proprietà agricole, che spesso formano veri e propri latifondi.

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Il quadro sociale ed economico della regio III nell’età del Principato: sondaggi nella documentazione

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  1. Il quadro sociale ed economico della regio III nell’età del Principato: sondaggi nella documentazione Lezione XII

  2. L’agricoltura nell’età del Principato: le tendenze generali • Un progressivo ampliarsi delle proprietà agricole, che spesso formano veri e propri latifondi. • Questi ultimi nel mondo romano non sempre si presentano nella forma di grandi proprietà “continue”, ma possono anche essere formati dalla somma di molti lotti, distanti tra di loro. • In corrispondenza, prosegue un processo di evoluzione nelle forme di occupazione del territorio già iniziato alla fine dell’età repubblicana: diminuzione delle fattorie sparse e concentrazione della popolazione in borgate, annesse a importanti villae. • Un mutamento anche del quadro poleografico, con la crisi di alcuni centri (Eraclea, Metaponto, Locri) e il consolidarsi di altri (Potentia, Grumentum, Scolacium, Vibo Valentia, Reggio). 2 2

  3. Le forme di sfruttamento del territorio: la villa schiavile • Nella prima parte del periodo la tradizionale villa, in cui la forza lavoro è costituita soprattutto da schiavi, pare godere di buona salute, nelle aree che ne avevano visto lo sviluppo già nella tarda età repubblicana. • Nelle strutture edilizie una tendenza ad un maggior sviluppo della pars urbana. • Figure chiave in questa forma di sfruttamento del territorio agricolo rimangono il vilicus e la vilica, di cui ora conosciamo anche qualche nome. • Spesso distinta dalla figura del vilicus quella dell’actor, un agente di condizione servile, cui il vilicus è sottoposto e che si occupa soprattutto della contabilità dell’azienda agricola, per conto di un dominus spesso lontano. • Al lavoro dei diversi actores che agiscono in una regione sovrintende talvolta un procurator, in genere un liberto. 3 3

  4. Vilici • AE 1985, 314 da Petelia: Euctus, publicus / Petelinorum, / vilicus, vixit / an(nos) XXIIII. • L’interessante caso di uno schiavo della comunità di Petelia, forse fattore di una proprietà cittadina. • CIL X, 25 da Locri: Quintioni, / Flacci vilico. / Philematium / sibi et conser(vo) / de suo fecit. • Il consueto riserbo femminile sul proprio mestiere consente di ipotizzare un ruolo di vilica per Philematium, probabile compagna del vilicusQuintio, che lavorava sulla proprietà di un non meglio noto Flaccus. • Inscr. It. III, 1, 229 da Cosilinum: T(ito) Helvio Quarto, filio, / T(ito) Helvio Hespero, priv[igno], / Helviae Secundae, coniugi, / Secundio. Helviae Procu[l(ae)] / vilicus sibi et suis fecit / quod facer(e) filius / patri debuit, [id]/circo filio fecit pat[er]. • La discreta posizione sociale di un vilicus, che, pur schiavo, ha sposato una donna di libera condizione, ed ha un figlio anch’egli libero; il suo discreto livello culturale, che lo induce a riportare un motto tipico dell’epigrafia sepolcrale. 4 4

  5. Actores • CIL X, 284 = Inscr. It. III, 1, 223= AE 1965, 114 da Tegianum:Aesculapio / sacrum. / Herculanius, / act(or), / ex voto. • La dedica votiva di un actor, apparentemente di condizione schiavile, testimonia le possibilità economiche di questi agenti e una vita spirituale piuttosto vivace. • AE 1998, 387 da Grumentum: D(is) M(anibus). / Sabidius, act(or?), / hic insitus est, / qui vixit an(nos) XXXVIII, / m(enses) VIII, d(ies) X. • L’iscrizione sepolcrale di un actor (o di un actuarius?), il cui nome unico formalmente è un gentilizio: ma si trattava con ogni probabilità di uno schiavo; da notare la forma di registrazione della durata della vita. • CIL X, 419 = Inscr. It., III, 1, 31 = ILS 6663 da Volcei: C(aio) Bruttio D[i]/onysio, f(ilio) dul/cissimo, vi/xit ann(os) VIIII, / mens(es) XI, d(ies) XVI, / Dionysius pat(er) / act(or). • CIL X, 420 = Inscr. It. III, 1, 32 da Volcei: D(is) M(anibus) / [B]ruttiae / Heliceni, / [c]oniugi in/[co]mpara/[bi]li, Dionysius / act(or). • Gli epitafi dei familiari di un actor alle dipendenze della grande famiglia senatoria dei Bruttii Praesentes di Volcei. 5

  6. Procuratores • CIL X, 106 = ILS 4039 da Crotone (età traianea): Herae Laci/niae sacrum / pro salute Mar/cianae, sororis / Aug(usti), Oecius / lib(ertus), proc(urator). • La dedica a Marciana, sorella di Traiano, lascia ipotizzare che Oecius fosse un liberto del principe, sovrintendente delle proprietà imperiali nella regione. • A destra, ritratto di Marciana, oggi al Metropolitan Museum of Art di New York. 6 6

  7. Procuratores • CIL XIV, 161 = ILS 1427 da Ostia (seconda metà del II sec. d.C.): Q(uinto) Calpurnio C(ai) f(ilio) / Quir(ina tribu) Modesto, proc(uratori) Alpium, proc(uratori) Ostiae / ad annonam, proc(uratori) Lucaniae, / corpus mercatorum / frumentariorum per M(arcum) Aemilium Saturum / et P(ublium) Aufidium Faustian(um), / q(uin)q(uennales), / q(uaestoribus) M(arco) Licinio Victore et P(ublio) Aufidio Epicteto. / L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum). • Un procurator di rango maggiore rispetto al precedente, come dimostra la sua condizione di ingenuo e la sua brillante carriera amministrativa. • Un’iscrizione proveniente dal famoso Piazzale delle Corporazioni di Ostia, fu infatti posta dall’associazione dei commercianti di grano ad un personaggio che aveva rivisto un ruolo importantissimo nell’annona. 7

  8. Nella seconda metà del II sec. d.C. anche nella regio III si assiste a mutamenti nelle forme della proprietà e dello sfruttamento agricolo, anche nelle aree più fertili, dove fino ad allora aveva dominato il modello di conduzione diretta delle proprietà, nella forma della villa schiavile. Il progressivo abbandono di molte villae (il 40% di quelle presenti nel Bruzio, nella stima di S. Accardo) e l’ingrandirsi di quelle superstiti; sembrano resistere meglio le ville della parte meridionale del Bruzio. Nelle coltivazioni sembra che vi sia un ritorno ai cereali. Una trasformazione che non necessariamente significa declino: nel Metapontino, dopo la crisi dell’età augustea (diminuzione nel numero delle fattorie e delle ville e loro impoverimento) il II sec. d.C. segna una ripresa. Tali mutamenti appaiono legati anche nella nostra regione allo sviluppo del colonato. Dal lavoro degli schiavi a quello degli affittuari 8 8

  9. Il colonato • Il colonus: un fittavolo che affitta una porzione di una grande proprietà, che coltiva con l’aiuto dei famigliari, dietro pagamento di una quota del prodotto. • Un sistema di conduzione della proprietà molto diffuso nelle province (per esempio in Africa o in Egitto), ma che nel II sec. d.C. guadagna terreno anche in Italia. • Il profilo sociale dei coloni: nella maggior parte dei casi contadini di libera condizione, ma anche qualche liberto e addirittura schiavi. • I crescenti vincoli di ordine sociale dei coloni nei confronti del proprietario terriero (che tuttavia non consentono di assimilare completamente queste figure ai servi della gleba del mondo medievale). • Tali vincoli, comuni ad ogni colono, finiscono comunque per attutire le differenze di status giuridico tra ingenui, liberti e servi. 9

  10. Le ragioni del successo del colonato • Il sistema di conduzione diretta attraverso il lavoro schiavile poteva essere molto impegnativo: • Comportava una stretta sorveglianza degli schiavi, per impedire loro la fuga e obbligarli a lavorare duramente. • Richiedeva sovrintendenti capaci e fidati (vilici ed actores). • Tale sistema inoltre poteva risultare piuttosto costoso: • In particolare il costo degli schiavi era molto maggiore che nel periodo precedente, terminate le grandi guerre di espansione. • In ultima analisi, tale sistema richiedeva un forte investimento di tempo e di denaro da parte dei proprietari. • La sfruttamento della proprietà tramite affittuari poteva assicurare comunque buoni guadagni a fronte di un dispendio assai minore. 10

  11. Una trasformazione del paesaggio agrario? • Un’interessante ipotesi di G.B. Sangineto, da verificare meglio sul terreno: • Le ville superstiti si ingrandiscono e si abbelliscono nella loro pars urbana, forse sfruttando le spoglie delle ville abbandonate, per gli agi di un proprietario che non si occupa più di agricoltura. • Le ville abbandonate sono riconvertite a magazzini e impianti produttivi: nel territorio di Scalea un impianto di spremitura è creato in un ambiente pavimentato a mosaico. • Attorno a queste ultime nascono piccoli villaggi di coloni. • Un’ipotesi non sempre condivisa, nella tempestica: A. Colicelli nega l’esistenza di una cesura alla fine del II sec. d.C. 11

  12. AE 1913, 210 da Crotone: un colono piuttosto speciale • Amethusi(!), / Caes(aris) n(ostri) ser(vus) / item colonus, / vixit ann(os) [L]II, m(enses) II. / Olimpias cum filio / coniugi b(ene) m(erenti) f(ecit). / H(ic) s(itus) e(st). • Con ogni probabilità uno di quei servi quasi coloni che poteva affittare un terreno, versando un affitto in natura o in denaro, dal suo peculium. • Uno schiavo che può trattenere i frutti del suo lavoro e che gode di una certa autonomia gestionale e finanziaria. • Lo stesso fatto che la piccola famiglia schiavile possa e voglia permettersi un’iscrizione sepolcrale testimonia una certa agiatezza economica e un qualche rilievo sociale. • Ma anche un’interessante conferma dell’esistenza di proprietà imperiali nel Crotoniate. 12 12

  13. CIL X, 422 = Inscr. It. III, 1, 80 da Volcei: un altro fittavolo di condizione servile? • Ianuario, con[duct]ori(s?) / C(ai) Titi Rufi [R]ecciani / servo, / vixit annos XXXVI; / fecit Casinia Tallusa / pro meritis illius / carissimo contuber/nali. • Nell’interpretazione qui proposta il conductor sarebbe piuttosto C. Titius Rufus Reccianus, apparentemente uomo di libera condizione. • Ma lo scioglimento conductori(s) non appare strettamente necessario: in questa lettura alternativa è Ianuarius, schiavo di Rufo Recciano, ad essere conductor. 13

  14. Le coltivazioni: i vigneti • I riferimenti delle fonti letterarie: • Strabone, Geografia, VI, 1, 14: le qualità dei vini di Lagaria e di Thurii. • Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XIV, 69: le migliori zone vinicole della Lucania e del Bruzio. • Ibid., XIV, 39: vigneti tardivi dei colli di Thurii. • Ateneo, Deipnosofisti, I, 48: nell’excursus sui vini italici attribuito al medico Galeno si ricorda il vino Reggino, da consumare dopo 15 anni di invecchiamento, e il Busentino, asprigno e salutare per lo stomaco. • L’estratto del testamento del nobile petelino M’. Megonio Leone (CIL X, 114 = ILS 6469) ricorda una vinea Aminea, da identificare con il vitigno Aminaios dei Greci e l’Aminnium di Catone. 14 14

  15. Meta; de; Qourivou~ La-gariva frouvrion, jEpeiou' kai; Fwkevwn ktivsma, o{qen kai; oJ Lagaritano;" oi\no", gluku;" kai; aJpa-lo;" kai; para; toi'" ijatroi'" sfovdra eujdoki-mw'n: kai; oJ Qouri'no" de; tw'n ejn ojnovmati oi[nwn ejstivn. Dopo Turii viene la fortezza di Lagaria, colonia di Epeo e dei Focesi, dove si produ-ce il vino Lagaritano, dolce e delicato e mol-to apprezzato dai me-dici; anche quello di Turii è tra i vini rino-mati. Strabone, Geografia, VI, 1, 14: le qualità dei vini di Lagaria e di Thurii 15

  16. Verum et longinquiora Italiae ad Ausonio mari non carent gloria, Tarentina et Servitia et Consentiae genita et Tempsae, Calabriae Lucanaque antecedentibus Thurinis. Omnium vero eorum maxime inlustrata Messalle Potiti salute Lagarina, non procul Grumento nascentia. Invero però anche i vini delle regioni d’Italia dalla parte del mare Ausonio non mancano di fama: così i vini di Taranto, di Servizia ed ancora quelli prodotti a Cosenza, a Tempsa, quelli della Calabria, nonché i vini lucani. Ma i più famosi di tutti questi, per aver guarito Messalla Potito, sono quelli di Lagaria, non lontano da Grumento. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XIV, 69: le più famose zone vinicole della regio III 16

  17. Capnios et buconiates et tharrupia in Thurinis collibus non ante demetuntur quam gelaverit. La capnea, la buconiate e la tarrupia, sui colli di Turii, non si vendemmiano prima che abbiano sentito il gelo. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XIV, 39: vigneti tardivi dei colli di Thurii 17

  18. Le coltivazioni: la frutticoltura • Anche in età imperiale continuano a godere di buona fama i meli cosentini: Plinio, Naturalis Historia, XVI, 115 riprende la notizia varroniana, attribuendo al malum Consentinum un raccolto addirittura triplo. • M. Varro auctor est vitem fuisse Zmyrnae apud Matroon triferam et malum in agro Consentino (“M. Varrone sostiene che vi fosse una vite che dava un un triplice raccolto a Smirne, presso il tempo della Magna Mater, e così un melo nel territorio cosentino”). • L’esistenza di una varietà di pera detta Bruttia (Plinio, Naturalis Historia, XV, 55) lascia pensare che anche questa frutta fosse coltivata nella regione. • La produzione nel territorio di Vibo Valentia delle anfore Dressel 21-22, contenitori caratteristici della frutta, conferma la rilevanza di questa coltivazione. 18

  19. Le coltivazioni: gli ortaggi • Una certa fama avevano i cavoli Bruttiani, a foglia grande, gambo sottile e sapore intenso, che bene sopportavano il freddo (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XIX, 140; Columella, X, 139). 19

  20. Sfruttamento intensivo o estensivo? • La difesa delle forme di sfruttamento intensivo del territorio che si trova nel manuale di agricoltura di Columella si scontra con le esigenze dei grandi proprietari assenteisti. • La richiesta di minori investimenti e di minor lavoro, a fronte di guadagni comunque buoni, spingeva in effetti verso forme di sfruttamento estensivo: allevamento, silvicoltura. • La domanda di legname da costruzione fu incentivata, in età augustea, dalle grande ristrutturazioni urbanistiche che interessarono anche i centri della regione, come pure dallo stanziamento di una base della flotta militare a Miseno. 20 20

  21. La silvicoltura in età imperiale • È questo il periodo di massima fama della pix bruttia, di cui si ricordano i molteplici usi: • Per impermeabilizzare i contenitori ceramici. • Per sigillare dolia e anfore che contenevano il vino. • Nell’invecchiamento dei vini. • Per numerosi usi medici. • Al I sec. d.C. risale anche una ben nota produzione di contenitori da pece. • Scarne le notizie sull’utilizzo del legname della regione: si ipotizza anche per questo periodo, probabilmente a torto, una forte deforestazione. 21

  22. th;n d j uJpe;r tw'n povlewn touvtwn mesovgaian Brevt-tioi katevcousi: kai; povli~ ejntau'qa Mamevrti-on kai; oJ drumo;" oJ fevrwn th;n ajrivsthn pivttan th;n Brettivan, o}n Sivlan ka-lou'sin, eu[dendrov" te kai; eu[udro", mh'ko~ eJp-takosivwn stadivwn. L’entroterra di queste città [Reggio e Locri] è occupato dai Brettii; vi si trovano la città e la foresta che produce pece brettia, la migliore che ci sia. La foresta si chiama Sila; fitta di alberi e ricca di acque, si estende per 700 stadi . Strabone, Geografia, VI, 1, 9: l’assoluta eccellenza della pece bruzia 22

  23. ALTERUM MEDICAMEN, QUO[D] MUSTUM CON-DIAS. Picis liquidae Nemeturicae me-tretam adde in labrum aut in alveum, et in eodem infundito cineri<s> lixivae congios duos, deinde permisceto spatha li-gnea; cum requieverit, eliquato lixivam. Deinde iterum tantun-dem lixivae addito, eodem pac-to permisceto et eliquato; tertio quoque idem facito. Cinis au-tem odorem picis aufert et eluit spurcitiam. ALTRA RICETTA PER CONDIRE IL MOSTO Versa in un catino o in un calderone un metrete di pece liquida nemeturica e aggiugivi due congi di lisciva di cenere e poi rimescola con una spatola di legno. Quando il liquido avrà riposato, versa e getta via la lisciva; poi aggiungivi la stessa quantità di lisciva nuova, mescola come prima e versale. Per una terza volta fa’ ancora la stessa cosa. La cenere serve per portare via il puzzo della pece e togliere ogni sporcizia. Columella, XII, 22: l’uso della pece bruzia in enologia 23

  24. Post eodem addito picis Bruttiae, si minus, alterius notae quam purissimae et quam optimae X pondo et resinae durae quam purissimae quinque libras; haec minute concidito et admisceto pici Nemeturicae. Tum aquae marinae quam vetustissimae, si erit, si minus, ad tertiam partem recentis aquae marinae decoctae congios duos inicito, apertum labrum sinito in sole[m] per Caniculae ortum et spatha lignea permisceto quam saepissime usque eo, dum ea, quae addideris, in pice conliquescant et unitas fiat; noctibus autem labrum operire conveniet, ne inroretur. Poi aggiungi nello stesso recipiente 5 libbre di pece bruzia, oppure di qualche altra qualità, purché sia purissima; pestala minutamente e aggiungila alla pece nemeturica; aggiugivi due congi di acqua marina vecchissima, se ne hai, e altrimenti di acqua marina recente, bollita fino a diminuire di un terzo. Lascia il calderone aperto al sole nei giorni in cui sorge la Canicola e rimescola più spesso che puoi con una spatola di legno, finché le sostanze che hai aggiunto non si liquefanno nella pece, formando un composto omogeneo. Durante la notte però converrà coprire il calderone, perché non vi cada la rugiada. Columella, XII, 22: l’uso della pece bruzia in enologia 24

  25. Deinde, cum aqua marina, quam addideris, sole con-sumpta videbitur, sub tectum vas totum ferre curabis; huius medicaminis quidam pondo quadrantem in sextarios qua-draginta octo miscere soliti sunt et hac conditura contenti esse, alii cyathos tres eius medicamenti adiciunt in totidem sextarios, quot supra diximus. Poi, quando l’acqua marina che vi ha aggiunto sarà stata fatta evaporare dal sole, ti occuperai di far portare il recipiente così come sta dentro casa. Vi sono alcuni che sono soliti mescolare tre once di peso (80 g. ca.) di questa ricetta in 48 sestari (27 l. ca.) di mosto e accontentarsi di questo condimento. Altri invece in tanti sestari di mosto quanti abbiamo detto sopra mettono tre ciati (15 cl. ca.) della ricetta indicata. Columella, XII, 22: l’uso della pece bruzia in enologia 25

  26. Pix quoque unde et quibus conficeretur modis indica-uimus et eius duo genera, spissum liquidumque. Spissarum utilissima me-dicinae Bruttia, quoniam pinguissima et resinosis-sima utrasque praebet uti-litates. Anche della pece abbiamo detto come si ricava e quali sono i suoi due tipi, densa e liquida. In ambito officinale la più utile delle peci dense è quella del Bruzio, perché essendo sia molto grassa, sia molto resinosa, offre i vantaggi sia della resina che della pece. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXIV, 37-39: i tanti usi medici della pece bruzia 26

  27. picis natura excalfacit, explet. aduersatur priuatim cerastae morsibus cum polenta, item anginae cum melle, destilla-tionibus et sternumentis a pitui-ta. auribus infunditur cum rosa-ceo, inlinitur cum cera. sanat lichenas, aluum soluit, excrea-tiones pectoris adiuuat ecligma-te aut inlitis tonsillis cum melle; sic et ulcera purgat, explet. cum uua passa et axungia carbun-culos purgat et putrescentia ulcera; quae uero serpunt, cum pineo cortice aut sulpure. Caratteristico della pece è riscaldare e ci-catrizzare. Impiastrata con farinata d’orzo è la cura specifica contro i morsi del ce-raste e ugualmente - abbinata con miele - combatte l’angina, i catarri e gli starnuti causati dalla pituita. Nelle orecchie viene instillata con olio di rosa ed impiastrata con cera. Guarisce la fungosi, rilassa il ventre e favorisce l’espettorazione, assun-ta in elettuario oppure applicata in impia-stro con miele sulle tonsille. Impiastrata allo stesso modo deterge e fa cicatrizzare le piaghe; abbinata a uva passita e sugna disinfetta le bolle nere e le ulcere inci-prignite di pus; per le ulcere serpiginose va usata però assieme a scorza di pino oppure zolfo. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXIV, 37-39: i tanti usi medici della pece bruzia 27

  28. phthisicis cyathi mensura quidam dederunt et contra ueterem tus-sim. rhagadas sedis et pedum pa-nosque et ungues scabros emen-dat, uuluae duritias et conuer-siones, item odore lethargicos. strumas cum farina hordacea et pueri inpubis urina decocta ad suppurationem perducit. et ad alopecias sicca pice utuntur, ad mulierum mammas Bruttia ex uino subferuefacta cum polline farraceo quam calidissimis linteis inpositis. Certuni l’hanno somministrata, nella dose di un ciato, ai tisici ed anche per curare la tosse cronica. Guarisce inoltre le ragadi dell’ano e dei piedi, gli asces-si e le unghie ronchiose, durezze e spo-stamenti dell’utero, nonché fatta odora-re, la letargia. Bollita con farina d’orzo e urina di bambino impubere, fa matu-rare la suppurazione delle scrofole. La pece secca viene usata anche per curare l’alopecia, mentre quella del Bruzio, bollita appena un poco nel vino insie-me a fior di farina di farro, cura le ma-lattie delle mammelle femminili, a cui si applica con pannicelli il più possibile caldi. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXIV, 37-39: i tanti usi medici della pece bruzia 28

  29. Il collegio dei dendrofori e la silvicoltura della regio III • L’etimologia del nome di questa associazione (“i portatori d’albero”) ha fatto sì che essa sia in genere vista in relazione al taglio, al trasporto e vendita o alla lavorazione del legname: una relazione che personalmente mi pare assai dubbia. • Sicuro il ruolo religioso, nell’ambito del culto della Magna Mater e di Attis. • A partire da Claudio i dendrofori portavano in processione il 22 marzo un pino sacro, l’albero sotto il quale Attis si era evirato ed era stato poi trasformato. • Nel 415 d.C., insieme ad altri collegi religiosi pagani, sono colpiti da confische da una costituzione di Onorio (Codice Teodosiano, XVI, 10, 20, 2). • Ipotizzato un ruolo come pompieri volontari e guardie civiche, accanto alle corporazioni dei fabri e dei centonarii. 29

  30. I documenti sul collegio dei dendrofori nella regio III • L’associazione è ricordata in alcune testimonianze regionali, soprattutto in contesto funerario, tra le quali: • CIL X, 445 = Inscr. It. III, 1, 8 da Laviano: Fadio Dextro / Fadia Felicula / co(n)iugi bene mer/enti fecit HS XV milibus / in quo opere de/dit collegius dendr/ophororum HS [---]. • CIL X, 8100 = Inscr. It. III, 1, 156 da Atina: [D(is)] M(anibus) / Helvio / Edono / col(legium) den/drof(ororum) / b(ene) m(erenti) f(ecit). • CIL X, 8107-8108 = Inscr. It. III, 1, 33-34 da Volcei: l’associazione cura la sepoltura di due suoi membri. • CIL X, 451 = Inscr. It. III, 1, 5 da Eburum: una dedica dell’associazione ad un notabile locale, di inizio IV sec. d.C. 30

  31. CIL X, 7: una testimonianza reggina sul collegio dei dendrofori • V Idus April(es), / [Im]p(eratore) Vespasiano Caesar(e) / Aug(usto) VIIII co(n)s(ule), Tito Ves[pasiano Caes]ar(e) / A[ug(usti) f(ilio) VII co(n)s(ule)]. // Ob munificentiam earum / quae dendrophoros / honoraverunt honos / decretus est eis q(uae) i(nfra) s(criptae) s(unt): / Claudia Iusta, / [---]iva sac(erdos), / S[---]ia Faustina sac(erdos), / Sicin[---]IVOCEPTA, / Amullia Primigenia, / Satria Pietas, Claudia Ptolemais, / Terentia Athenais. • Ritrovata a Pèllaro, quartiere meridionale di Reggio, oggi al Museo Archeologico Nazionale di Reggio. • Datata al 9 aprile del 79 d.C., questo documento è la più antica attestazione del collegio a noi nota. 31

  32. CIL X, 7: il monumento 32

  33. I caratteri di CIL X, 7 • Un’iscrizione di carattere onorario, posta ad un gruppo di donne che si erano rese benemerite per la loro munificentia nei confronti della locale associazione dei dendrofori. • Nel gruppo di donne primeggia Claudia Iusta, probabilmente di buon livello sociale, seguono due sac(erdotes) o sac(ratae) e infine un gruppo di donne la cui onomastica sembra denunciare uno status inferiore (Primigenia, Athenais, Ptolemais). • Probabilmente non casuale il giorno della dedica: dal 4 al 10 aprile si celebravano a Roma i Ludi Megalenses dedicati alla Magna Mater. • Sfugge tuttavia la relazione tra il collegio e il gruppo di donne (forse associate al collegio?) • Non è specificata la natura della munificentia e non si può quindi precisare il suo eventuale legame con le attività professionali dei dendrofori. 33

  34. L’allevamento • Singolarmente poco documentato dalle fonti letterarie nell’età del Principato (a parte qualche allusione di Virgilio), contrariamente alle notizie che abbiamo per l’età repubblicana e quella tardoantica. • Una testimonianza indiretta sull’allevamento suino ci viene però dalle fonti che trattano delle lucanicae. 34

  35. Le lucaniche • La ricetta di Apicio, De coquinaria, II, 4 prevede l’uso di un impasto di carne porcina, grasso, erbe aromatiche, pepe intero, pinoli, salsa di pesce, insaccato nel budello suino e affumicato. • La ricetta del grande degustatore è probabilmente più sofisticata di quella originaria. • Un prodotto ricordato tra gli altri, per il periodo di cui stiamo trattando, da Marziale e Stazio (ma prima di loro anche Cicerone). • Nell’Edictuum de pretiis, 4 la lucanica suina è registrata come il tipo di salsiccia più pregiata e costosa. • Una fama che divenne proverbiale: un Lucanicus è testimone nello scherzoso Testamentum Porcelli. • Oltre ai maiali, assai apprezzati anche i cinghiali della Lucania, la cui caccia è spesso ricordata nelle fonti letterarie. 35

  36. L’allevamento: il dato dei depositi faunistici • I depositi faunistici di età imperiale nel Metapontino: S. Angelo Nuovo e S. Biagio. • Una progressiva crescita dei caprovini a scapito dei bovini: un segno del progressivo passaggio dalle attività agricole a quelle pastorali. • Resta molto significativa la presenza di suini. 36 36

  37. La pesca e l’itticoltura • Ovvia la sua importanza date le caratteristiche geografiche della regione. • Ma un’attività che resta mal documentata, se non per i cenni di Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXI, 94 all’eccellenza della muria (salamoia di pesce) di Thurii e di Eliano, De natura animalium, XV, 3 ai tonni del golfo Bibonikós (Vibo?). • Alla pesca del tonno si è associato il ritrovamento di ancore in assenza di relitti: pesi destinati a tenere tese le grandi reti delle tonnare? • Alla pesca del polipo si connettono i ritrovamenti di vasetti sul fondo marino, nei quali questi animali tendevano a rifugiarsi. • Alla pesca propriamente detta si può accostare l’itticoltura, certamente praticata in almeno due siti della Lucania tirrenica, a Santo Janni e Castrocucco e, nel Bruzio, a S. Irene di Briatico. 37

  38. Gli impianti di itticoltura della regio III • A S. Irene di di Briatico: due gruppi di vasche, uno per l’allevamento del pesce, posto su uno scoglio a oltre 100 m dalla riva, l’altro per la salagione del pesce, posto sulla spiaggia. • Un impianto piuttosto antico, che sembra essere entrato in funzione già nel II sec. a.C. • A Santo Janni, un isolotto sulle coste di Maratea, vasche a cielo aperto per la salagione del pesce, forse attiva dal I sec. a.C. fino al VI sec. d.C. • La presenza di anfore nel sito lascia pensare che vi si producesse garum. • Sotto il monte Castrocucco, nella costa antistante Santo Janni, una villa romana con peschiera, i cui resti sono inglobati in un palazzo del ‘600. • La datazione proposta è analoga a quella dell’impianto di Santo Janni. • Il generale innalzamento del mar Tirreno potrebbe aver cancellato le tracce di altri impianti. 38

  39. Vasche per l’allevamento del pesce a S. Irene • L’impianto consta di 4 vasche comunicanti tra di loro e collegate da due canaletti al mare aperto, bloccati da grate. 39

  40. Le attività artigianali: la produzione laterizia delle figlinae imperiali • Ben attestata soprattutto la produzione di laterizi, nota in particolare attraverso i bolli. • Non poche figlinae appartenevano a personaggi della casata imperiale: • Caio e Lucio Cesari (CIL X, 8041, 1 da Nicotera e Vibo). • Lepida M. Silani (CIL X, 8041, 19-21 da Nicotera e Vibo): forse da identificare con Aemilia Lepida, una pronipote di Augusto e nipote di Agrippa, moglie del console del 19 d.C. M. Iunius Silanus Torquatus. • Agrippina (CIL X, 8041, 20 da Vibo): da identificare con Agrippina maggiore o con la figlia Agrippina minore? • Da notare il legame di tutti questi personaggi con M. Vipsanio Agrippa. 40

  41. Le figlinae dei privati • Note anche alcune fabbriche di privati, tra i quali possiamo ricordare: • Gli Arrii nella Lucania tirrenica. • I Laronii a Vibo Valentia • I Titii di Vibo? (cf. CIL X, 8056, 354 a: A(uli) Titi figul(inae). • I Vinuleii a Copia • I Vagellii a Locri (o forse a Vibo o ancora a Reggio). 41

  42. La produzione laterizia: i contenitori • Si indirizza soprattutto verso i contenitori dei prodotti agricoli regionali. • A Vibo Valentia e nel territorio di Copia (Trebisacce) si segnala una produzione di anfore Dressel 2-4, i caratteristici contenitori dei vini dell’Italia tirrenica dell’età augustea e del I sec. d.C. • Dalle stesse località viene anche una produzione di anfore Dressel 21-22, sembra destinate al trasporto di frutta. • Una produzione di anfore destinate al trasporto della pece, come inequivocabilmente attestano i bolli pix Bruttia. • Attestazioni di queste anfore nella Piana di Lamezia, a Trebisacce e a Pompei, nella casa di C. Giulio Polibio. • Il testo del bollo di Trebisacce: PIX BRVT VC C R S S: le ultime lettere fanno forse riferimento al nome di un produttore. • A Trebisacce sono stati rinvenuti altri esemplari di anfore da pece non bollati, caratterizzati dall’ampia bocca, che consentiva di attingere meglio il liquido. • Una diversa forma sembrano invece presentare i contenitori del Lametino e di Pompei. 42

  43. La produzione laterizia: i materiali edili • In questo ambito spicca la produzione della famiglia vibonese dei Laronii. • Una produzione già attestata per colui che fu l’iniziatore delle fortune della famiglia: Q. Laronio, legato di Agrippa nel 36 a.C. e console suffeto del 33 a.C. • Cf. i bolli con il testo Q. Laronius, co(n)s(ul), imp(erator) iter(um). • Anche se i rinvenimenti si concentrano nel Vibonese, attestazioni si hanno anche a Capo Lacinio (tegole impiegate nell’area del tempio di Era), dalla piana di Lamezia, dall’area di Rosarno. • Un impiego anche in costruzioni di carattere pubblico: il balneum del santuario di Era Lacinia, gli acquedotti di Vibo e dell’area di Rosarno. • Dubbio se queste attestazioni dimostrino l’estensione delle proprietà terriere dei Laronii e la presenza delle loro fabbriche di laterizi in più di una località del Bruzio o se siano la produzione di una sola fabbrica, da localizzare a Vibo. 43

  44. La lavorazione dei metalli • Un’attività scarsamente documentata per l’età imperiale romana • Attestate tuttavia alcune produzioni di fistulae plumbeae, condutture per l’acqua in piombo. • A Vibo le fistulae sono bollate da un altrimenti ignoto P. Ollius Cn. f. Felix. • A Grumentum ritroviamo il bollo Fabr(ica) Ap(pi?) R(ulli?). 44

  45. Le attività edilizie • Oltre alla documentazione diretta fornita dalla ricerche archeologiche, ha lasciato testimonianza anche nelle fonti epigrafiche: • AE 1975, 266 da Paestum: Q(uinto) Lautinio P(ubli) f(ilio), arcitecto (!). 45

  46. Le attività edilizie: l’anfiteatro di Grumentum 46

  47. Le attività edilizie: il tempio C di Grumentum 47

  48. Le attività edilizie: il teatro di Scolacium 48

  49. Il settore tessile • Le attività artigianali legate all’allevamento ovino trovano una recente e singolare testimonianza dalla villa di S. Pietro di Tolve (Potenza). • Una fuseruola, parte del fuso che era utilizzato per filare la lana, bollata con il nome L(uci) Domiti Cnidi. • Il personaggio è stato suggestivamente connesso con Domitia Lepida, zia di Nerone e madre di Messalina, grande possidente terriera nel Mezzogiorno. • Forse la villa era sede un’attività di filatura su scala “industriale”: dal sito provengono altre fuseruole non bollate. 49

  50. La fuseruola iscritta di S. Pietro di Tolve 50

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