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24.00. Santa Caterina da Siena. A maestro Raimondo da Capua. dell'ordine dei predicatori. Lettera 373. Ora è il tempo, carissimo padre, di perdere tutto sé, e di sé non pensare punto. Al nome . d i Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

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Presentation Transcript


  1. 24.00

  2. Santa Caterina da Siena

  3. A maestro Raimondo da Capua dell'ordine dei predicatori Lettera 373

  4. Ora è il tempo, carissimo padre, di perdere tutto sé, e di sé non pensare punto

  5. Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce

  6. Carissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù. Io Catarina serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi una colonna nuovamente fondata nel giardino della santa Chiesa, come sposo fedele della Verità, siccome dovete essere: e allora reputerò beata l'anima mia.

  7. E però io non voglio che voltiate il capo in dietro per veruna avversità o persecuzione; ma nell'avversità voglio che vi gloriate. Perché nel sostenere manifestiamo l'amore e la costanza nostra, e rendiamo gloria al nome di Dio: in altro modo, no.

  8. Ora è il tempo, carissimo padre, di perdere tutto sé, e di sé non pensare punto; siccome facevano i gloriosi lavoratori che con tanto amore e desiderio disponevano di dare la vita loro e innaffiavano questo giardino di sangue, con umili e continue orazioni, e col sostenere fino alla morte.

  9. Guardate che io non vi veda timido, né che l'ombra vostra vi faccia paura: ma siate virile combattitore; e già mai da cotesto giogo dell'obbedienza, che vi ha porto il sommo pontefice, non vi partite. E anco nell'Ordine adoperate quello che vedete che sia onore di Dio: perché questo ci richiede la grande bontà di Dio; e per altro non ci ha posti.

  10. Guardate quanta necessità vediamo nella santa Chiesa: che in tutto la vediamo rimasta sola. E così manifestava la Verità; siccome in un'altra vi scrivo. E come è rimasta sola la Sposa, così è lo Sposo suo. O padre dolcissimo, io non vi tacerò i misteri grandi di Dio; ma li narrerò il più breve che si potrà, secondo che la fragile lingua potrà narrando esprimere.

  11. E anco io vi dico quello che io voglio che voi facciate. Ma senza pena ricevete ciò ch'io vi dico; perché io non so quello che la divina bontà si farà di me, o del farmi rimanere, o del chiamarmi a sé. Padre, padre e figliuolo dolcissimo, ammirabili misteri ha Dio adoperati dal dì della Circoncisione in qua; tantoché la lingua non sarebbe sufficiente a poterli narrare.

  12. Ma lasciamo andare tutto quel tempo e veniamo alla domenica della Sessagesima, nella quale domenica furono, come in breve vi scrivo, quei misteri che udrete, che giammai un simile caso non mi parve portare. Perché tanto fu il dolore del cuore, che il vestimento della tonica si stracciò, quanto io ne potei pigliare; rivoltandomi per la cappella, come persona spasimata. Chi mi avesse tenuta propriamente m'avrebbe tolto la vita.

  13. Venendo poi il lunedì a sera io era costretta di scrivere a Cristo in terra, e a tre cardinali; onde io mi feci aiutare e me ne andai nello studio. E scritto che io ebbi a Cristo in terra, non ebbi modo di scrivere più.

  14. Tanto furono le pene che crebbero al corpo mio. E stando un poco, sì cominciò il terrore delle dimonia per siffatto modo, che tutta mi facevano stordire; quasi arrabbiando verso di me, come se io, verme, fossi stata cagione di togliergli di mano quello che lungo tempo hanno posseduto nella santa Chiesa. E tanto era il terrore, con la pena corporale, che io volevo fuggirmi dello studio, e andarmene in cappella; come se lo studio fosse stato cagione delle pene mie.

  15. Mi rizzai dunque su: e non potendo andare, m'appoggiai al mio figliuolo Barduccio. Ma subito fui io gittata giù: ed essendo gittata, parve a me, come se l'anima si fosse partita dal corpo; non per quel modo come quando se ne partì, perché allora l'anima mia gustò il bene degli Immortali, ricevendo quel sommo bene con loro insieme: ma ora pareva come una cosa riservata; perché nel corpo a me non pareva essere, ma vedevo il corpo mio come se fossi stata un altro .

  16. E vedendo l'anima mia la pena di colui che era con me, volle sapere se io avevo a fare cavelle col corpo, per dire a lui: «Figliuolo, non temere»: e io non vidi che lingua o altro membro gli potessi muovere; se non come corpo separato dalla vita. Lasciai dunque stare il corpo, come egli si stava; e l'intelletto stava fisso nell'abisso della Trinità.

  17. La memoria era piena del ricordo della necessità della santa Chiesa, e di tutto il popolo cristiano; e gridavo nel cospetto suo, e con sicurezza domandavo l'aiuto divino, offrendogli i desideri, e costringendolo per il sangue dell'Agnello, e per le pene che s'erano portate: e sì prontamente si domandava, che certa mi pareva essere che Egli non negherebbe quella petizione.

  18. Poi domandavo per tutti voi altri, pregandolo che compisse in voi la volontà sua e i desideri miei. Poi domandavo che mi campasse dall'eterna dannazione. E stando così per grandissimo spazio, tanto che la famiglia mi piangeva come morta; in questo, tutto il terrore delle dimonia era andato via.

  19. Poi venne la presenza dell'umile Agnello dinanzi all'anima mia, dicendo: «Non dubitare; che io compirò i desideri tuoi e degli altri servi miei. Io voglio che tu veda che io sono maestro buono, che fa il vasellaio, il quale disfà e rifà i vaselli, come è di suo piacere. Questi miei vaselli io li so disfare e rifare: e però io piglio il vasello del corpo tuo, e lo rifò nel giardino della santa Chiesa, con altro modo che per il tempo passato».

  20. E stringendomi quella Verità con modi e parole molto attrattive, le quali trapasso; il corpo cominciò un poco a respirare, e a mostrare che l'anima fosse tornata al vasello suo. Io era allora piena d'ammirazione. E rimase tanto il dolore nel cuore, che anco ine l'ho.

  21. Ogni diletto e ogni refrigerio e ogni cibo fu tolto allora da me. E essendo poi portata nel luogo di sopra, la camera pareva piena di dimonia: e cominciarono a dare un'altra battaglia, la più terribile che io avessi mai, volendomi fare credere e vedere, che io non fossi quella che era nel corpo, ma quasi uno spirito immondo.

  22. Io, chiamato allora l'aiuto divino con una dolce tenerezza, non rifiutando però fatica, ma bene dicevo: «Dio, intendi al mio aiuto. Signore affrettati d'aiutarmi. Tu hai permesso che io sia sola in questa battaglia, senza il refrigerio del padre dell'anima mia, del quale io sono privata per la mia ingratitudine».

  23. Due notti e due dì si passarono con queste tempeste. Vero è che la mente e il desiderio veruna lesione ricevevano, ma sempre stava fisso nell'obietto suo: ma il corpo pareva quasi venuto meno. Poi, il dì della Purificazione di Maria, volli udire la messa. Allora si rinfrescarono tutti i misteri: e mostrava Dio il grande bisogno che era, siccome apparve poi; perché Roma è stata tutta per rivoltarsi, sparlando miseramente e con molta irriverenza.

  24. Se non che Dio ha posto l'unguento sopra i cuori loro: e credo che avrà buona terminazione. Allora m'impose Dio questa obbedienza, che io dovessi tutto questo tempo della santa quaresima fare sacrificare i desideri di tutta la famiglia, e fare celebrare dinanzi a lui, solo con questo rispetto, cioè per la Chiesa santa; e che io ogni mattina all'aurora udissi una messa: che sapete che a me è una cosa impossibile; ma all'obbedienza sua ogni cosa è stata possibile.

  25. E tanto s'è incarnato questo desiderio, che la memoria non ritiene altro; l’intelletto altro non può vedere, e la volontà altro non può desiderare. E non tanto che rifiuti le cose di quaggiù per questo; ma, conversando coi veri cittadini, l'anima non si può né vuole dilettare nel loro diletto, ma nella fame loro, quale hanno, ed ebbero mentre che furono peregrini e viandanti in questa vita.

  26. Con questo e con molti altri modi, i quali non posso narrare, si consuma e distilla la vita mia in questa dolce Sposa, io per questa via, e i gloriosi martiri col sangue. Prego la divina Bontà, che tosto mi lasci vedere la redenzione del popolo suo. Quando egli è l'ora della terza, e io mi levo dalla messa, e voi vedreste andare una morta a San Pietro; ed entro di nuovo a lavorare nella navicella della santa Chiesa.

  27. Ine mi sto così fin presso all'ora del vespero; e di quel luogo non vorrei uscire né dì né notte, fino che io non vedo un poco fermato e stabilito questo popolo col padre loro. Questo corpo sta senza verun cibo, eziandio senza la gocciola dell'acqua; con tanti dolci tormenti corporali, quanto io portassi mai per verun tempo: in tanto che per un pelo ci stia la vita mia.

  28. Ora non so quello che la divina Bontà si vorrà fare di me: ma quanto a quello che io mi sento, non dico che io senta però la volontà sua in quello che egli vorrà fare di me; ma quanto al sentimento corporale, mi pare che questo tempo io lo debba confermare con un nuovo martirio nella dolcezza dell'anima mia, cioè, nella santa Chiesa: poi, forse che mi farà resuscitare con lui; porrà fine e termine sì alle mie miserie e sì ai crociati desideri.

  29. O egli terrà i suoi modi usati, di ricerchiare il corpo mio. Ho pregato e prego la sua misericordia, che compia la sua volontà in me; e che voi, né gli altri, lasci orfani. Ma sempre vi drizzi per la via della dottrina della verità, con vero e perfettissimo lume. Son certa che egli lo farà.

  30. Ora prego e costringo voi, padre e figliuolo dato da quella dolce madre Maria, che, se voi sentite che Dio volga l'occhio della sua misericordia verso di me, vuole rinovellare la vita vostra; e, come morto ad ogni sentimento sensitivo, voi vi gettiate in questa navicella della santa Chiesa. E siate sempre cauto nelle conversazioni.

  31. La cella attuale poco potrete avere; ma la cella del cuore voglio che sempre abbiate, e sempre la portiate con voi. Perché, come voi sapete, mentre che noi ci siamo serrati dentro, i nemici non ci possono offendere. Poi ogni esercizio che farete sarà drizzato e ordinato secondo Dio.

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