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di Franco Occhiogrosso

La Giustizia Minorile nel libro «Il Secolo dell’Infanzia» con particolare riferimento alla sperimentazione dell’adozione mite. di Franco Occhiogrosso. I Premessa. 1. La giustizia minorile in Italia.

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  1. La Giustizia Minorile nel libro «Il Secolo dell’Infanzia»con particolare riferimento alla sperimentazione dell’adozione mite di Franco Occhiogrosso Arezzo – 3 ottobre 2013

  2. I Premessa 1. La giustizia minorile in Italia. La giustizia minorile in Italia è stata oggetto di attenti studi e di approfondite analisi sin dai suoi primordi e poi anche in tempi successivi. Autorevoli studiosi, giuristi e magistrati ne hanno esaminato sia la globalità dell’azione sia singoli istituti. Bisogna peraltro dire che si è trattato sempre di opere di carattere saggistico, di ricerche per addetti ai lavori, che raramente hanno raggiunto l’opinione pubblica.

  3. 2. Il Secolo dell’Infanzia. L’originalità del mio libro dal titolo «Il Secolo dell’Infanzia» è che esso esamina la condizione minorile dei bambini italiani e le leggi che li riguardano partendo dal basso: non dalla normativa ma dai fatti, dalle storie narrate traendo spunto dalla mia esperienza di giudice minorile presso il Tribunale per i minorenni di Bari protrattasi per molti anni. Ed è quello che viene posto in tutta evidenza sul frontespizio del volume, che leggo.

  4. 3. Il mio intervento. Il mio intervento si articola in due sezioni: una prima che svolge alcune osservazioni sul mio libro «Il Secolo dell’Infanzia», che viene presentato in questo incontro. La seconda trae spunto dall’ultimo argomento trattato dal libro per affrontare il tema dell’adozione mite ed esporre sia i profili più significativi dell’esperienza relativa all’adozione mite svoltasi presso il Tribunale per i Minorenni di Bari negli anni scorsi, sia i risultati di una ricerca sui suoi esiti.

  5. II Prima sezione La giustizia minorile narrata nell’opera «Il Secolo dell’Infanzia».

  6. 1. Il titolo «Il Secolo dell’Infanzia». 1.1. I grandi cambiamenti del ‘900. Il titolo riassume sinteticamente la panoramica dei fatti raccontati e quindi dell’evoluzione vissuta dalla giustizia minorile. Il secolo a cui si fa riferimento è il Novecento, caratterizzato dai più grandi cambiamenti sociali, scientifici e culturali della storia del nostro pianeta. Gli abitanti sono passati dal miliardo e 600.000 dell’inizio secolo ai sei miliardi del 2000. Vi sono state grandi contraddizioni: dai genocidi all’olocausto, dalle bombe atomiche al razzismo fino alla conquista della luna.

  7. 1.2. Il saggio di HellenKey. Ma forse la novità più significativa di tutte è che questo è stato il secolo dell’infanzia. Una grande studiosa di inizio secolo, HellenKey, ha scritto nel 1902 un saggio con questo titolo. E tutta l’evoluzione culturale del ‘900 ha confermato questa crescita. Gli studi della psicologia dell’età evolutiva relativi al linguaggio, al gioco, all’emotività dei bambini, alle relazioni genitoriali hanno consentito infatti di creare quell’humus su si sono inserite le leggi, di considerare il bambino come persona, soggetto e non più oggetto; di avere in tutto il mondo un unico concetto di bambino.

  8. 2. Le due parti del mio libro. Il libro fotografa questa evoluzione articolandosi in due parti. La cultura minorile del passato e la cultura minorile del presente. Esse sono separate tra loro da quella legge sull’adozione speciale del 1967, che comportò la cd. «rivoluzione copernicana», ponendo al centro delle relazioni interpersonali non più l’adulto, ma il bambino, divenuto – come già detto – soggetto di diritti non solo nelle relazioni familiari, ma anche nella scuola, nel lavoro, nella giustizia. La definitiva affermazione di ciò avviene con la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, approvata a New York il 20/11/1989.

  9. 3. La copertina. La cultura minorile del passato trova un esplicito riferimento nella copertina che riporta una foto rituale della metà degli anni ‘40, scattata per la fine dell’anno scolastico degli alunni di una scuola elementare religiosa: si caratterizza per i grembiuli bianchi di tutti i bambini e per le tonache nere con velette delle suore-maestre, emblematici del modo di intendere le relazioni scolastiche in quell’epoca.

  10. 4. I momenti che raccontano la cultura del passato. La condizione minorile del passato era caratterizzata dallo sfruttamento minorile e dalla presenza di strutture di carattere custodialistico: lo sfruttamento era nell’accompagnamento dei funerali da parte dei bambini degli istituti; nel lavoro dei pastorelli ed in genere in ogni lavoro «nero»; le strutture di assistenza e beneficienza erano all’epoca gli istituti assistenziali, le case di rieducazione, gli istituti ortofrenici dei manicomi, le strutture di accoglienza per disabili, il carcere minorile. Tutte queste strutture tranne l’ultima non esistono più.

  11. 5. Le storie che esprimono tale cultura. Le tante storie narrate sembrano tratte dal libro di Gilbert Cesbron «Cani perduti senza collare» nel quale un giudice per i minorenni opera seguendo il principio che non può esserci giustizia senza amore. Ricordo quelle dei baby-killer, del cantore del quartiere Japigia di Bari, di Ciccio e Tore scomparsi a Gravina qualche anno fa. Ma probabilmente quella più indicativa della cultura arretrata dell’epoca è quella di Giovanna.

  12. 6. Nella seconda parte del libro la cultura minorile del presente. Aboliti infine l’ergastolo ed il riformatorio giudiziario, si pongono le premesse per un nuovo diritto minorile fondato sulla comunicazione, sull’ascolto e la partecipazione, sulla prossimità al destinatario. I nuovi percorsi sono fondati sulla mediazione e sulla messa alla prova. Si ricordano le vicende di Giuseppe e di Giuliano. Scomparsi poi gli istituti assistenziali nel 2006, le nuove strade per la tutela ed il sostegno sono l’affidamento familiare (la vicenda di Cavniki), l’inserimento in comunità e l’adozione.

  13. 7. L’adozione mite. Accanto alle formule normative dell’adozione che distinguono l’adozione legittimante da quella non legittimante e alle norme sull’affidamento familiare, trova spazio l’adozione mite, che è stata oggetto di sperimentazione presso il T.M. di Bari.

  14. 8. Adozione mite e diritto mite. L’adozione mite rientra peraltro nell’ambito della categoria complessiva del diritto mite. La novità di abbinare l’aggettivo «mite» al sostantivo «diritto» (diritto mite) e ad alcuni istituti giuridici (diritto penale mite, adozione mite) nasce quando Gustavo Zagrebelsky nel suo lavoro omonimo del 1992 trasferisce l’idea della mitezza dal significato soggettivo di virtù della persona al piano oggettivo delle leggi e delle pratiche giudiziarie e sociali. Egli priva cioè il diritto della sua caratteristica di coercizione, che non gli consente di essere mite e lo proietta verso soluzioni miti.

  15. 8. Adozione mite e diritto mite: continua. Risale allo stesso anno anche lo studio di Jean Pierre Bonafé – Schmitt dal titolo «La mediation: une justicedouce». L’aggettivo «mite» usato da Zagrebelsky diventa l’aggettivo «dolce» in Bonafé – Schmitt. Nell’ambito dell’adozione, accanto alla normativa dell’adozione legittimante che è certo garantista, ma non mite, si crea la proposta di un’adozione mite, che ha per lo più la forma giuridica dell’adozione in casi particolari disciplinata dall’art. 44 della L.184/1983. Della sperimentazione barese dell’adozione mite ci occuperemo nella seconda sezione.

  16. III Seconda sezione L’adozione mite nell’esperienza di Bari ed i risultati di una ricerca sui suoi esiti

  17. Prima Parte 1. La sperimentazione dell’adozione mite L’adozione mite avviata nel giugno 2003 come prassi giudiziaria dal Tribunale per i minorenni di Bari ha costituito un’applicazione estensiva della disciplina normativa dell’adozione (L. 4/5/1983 n. 184). Essa fa riferimento all’adozione in casi particolari di cui all’art. 44 lett. d) di tale legge e non ha effetti legittimanti. La sperimentazione è durata per cinque anni fino al 31 luglio 2008.

  18. 2. I dati I dati che l’hanno caratterizzata sono i seguenti: Sono rientrati definitivamente in famiglia da istituti o comunità 92 minori; ne sono stati collocati in affidamento familiare giudiziario 165; sono stati adottati con adozione in casi particolari (e cioè con adozione mite) 126, di cui 72 con il consenso dei genitori e gli altri con il consenso del tutore; sono stati infine adottati con adozione legittimante 100 minori. Nei cinque anni della sperimentazione sono state presentate 402 domande di adozione mite.

  19. 3. Le caratteristiche Sono cinque: • A differenza dell’adozione legittimante può essere effettuata sia da coniugi che da una persona singola e non prevede alcun limite di età; • Si realizza con il consenso del minore, se ultraquattordicenne e dei genitori esercenti la potestà oppure del tutore in caso di decadenza dalla potestà; • Non interrompe il rapporto di filiazione con i genitori di origine, ma ne aggiunge un secondo con l’adozione; • Il termine «mite» la contrappone all’adozione legittimante (detta anche «forte»), che interrompe definitivamente il rapporto giuridico di filiazione; • Non produce strappi per l’allontanamento del bambino; assicura il passaggio graduale all’altro nucleo familiare; non stigmatizza la famiglia di origine, limitandosi a riconoscere l’esistenza di una situazione di semiabbandono permanente.

  20. 4. I presupposti Sono tre: A) la categoria dei «bambini del limbo»; B) la disponibilità all’adozione mite; C) la disposizione normativa dell’art. 44 d L. 184/1983. 4.1. I bambini del limbo Da un’indagine del Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza è risultato che alla data del 30 giugno 1999 dei 10.200 bambini in affidamento familiare solo il 42% era rientrato in famiglia, mentre il 58% non vi era tornato. Altre ricerche successive hanno confermato questa realtà. Si è scoperto così che l’affidamento familiare che per legge è temporaneo, in realtà non è tale nella maggior parte dei casi, nei quali si trasforma in affidamento sine die. Si parla di <semiabbandono permanente> e di <bambini del limbo> per l’incerta prospettiva del loro futuro dovuta alla parziale inidoneità della loro famiglia ed al precario rapporto con gli affidatari che possono in ogni momento rifiutarli.

  21. 4. I presupposti: continua 4.2. La disponibilità all’adozione mite Secondo presupposto della sperimentazione è stato il reperimento di famiglie disponibili all’affidamento familiare (con il rientro del bambino nella sua famiglia alla scadenza prevista) e poi – nel caso di mancato rientro in modo protratto – eventualmente alla sua adozione mite con assunzione di un doppio cognome e mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine. Questo presupposto è stato realizzato chiedendo alle famiglie dell’adozione nazionale di offrire la loro disponibilità all’adozione mite con una distinta ulteriore domanda.

  22. 4. I presupposti: continua 4.3. L’adozione particolare ex art. 44 d) Terzo presupposto è stata l’esistenza normativa dell’adozione particolare ex art. 44 d), che consente l’adozione «quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo». Questa espressione è riferita sia ai bambini portatori di difficoltà personali sia a quelli di bambini in semiabbandono che si trovino presso un’altra famiglia, a cui sono legati da un solido rapporto affettivo tanto che un allontanamento determinerebbe per lui un serio pregiudizio.

  23. 5. Il percorso Il procedimento di questa adozione può essere paragonato ad una scala con cinque gradini: 5.1. Il primo gradino riguarda l’accertamento se il minore sia in «semiabbandono permanente»; 5.2. Il secondo gradino tende alla conoscenza delle coppie (o singoli) disponibili all’adozione mite; 5.3. Il terzo gradino comporta la realizzazione dell’affidamento ad una coppia (o singoli) previa comparazione tra tutti gli aspiranti; 5.4. Il quarto gradino riguarda il coordinamento con i servizi locali per l’accompagnamento nell’affidamento e per evitare divergenze con quelli di loro che gestiscono l’affidamento familiare senza tener conto dei casi di semiabbandono permanente; 5.5. Il quinto gradino si riferisce alla scadenza dell’affidamento familiare e al rientro nella famiglia di origine oppure, al contrario, alla proroga dell’affidamento in caso di mancato rientro e alla trasformazione di esso da temporaneo in definitivo. Con la successiva pronunzia dell’adozione mite.

  24. 6. Gli effetti della sperimentazione 6.1. Dall’analisi svolta è emerso che il sistema normativo dei rapporti tra affidamento familiare ed adozione non è adeguato alla realtà. Infatti esso ha ignorato la categoria dei minori in <semiabbandono permanente>, offrendo loro come risposta solo quella precaria dell’affidamento familiare; 6.2. Inoltre risulta che l’adozione mite non recide né i legami giuridici né quelli affettivi del minore con la sua famiglia; 6.3. Agevola l’uscita dei minori dalle comunità e realizza il loro diritto alla famiglia: la propria, se si realizza il rientro; una adottiva, se si giunge all’adozione mite; 6.4. Rispetto all’affidamento sine die garantisce una maggiore tutela giuridica e psicologica; 6.5. Offre al minore la possibilità di conoscere la propria storia senza ritardi.

  25. 7. La cultura di fondo Tirando ora le fila del discorso va detto che l’adozione mite è andata oltre la semplice sperimentazione di cui si è parlato ed è stata soprattutto un percorso culturale; uno spicchio di quel movimento di pensiero, che parte dall’idea del diritto mite di Gustavo Zagrebelsky, per compiere un cammino diretto all’attuazione della giurisdizione mite. Inoltre, la nuova cultura considera l’adozione uno strumento di tutela divenuto tanto robusto e tanto adattabile alla situazione effettiva di vita del bambino, da non esigere più un solo monolitico modello, ma da prevederne molteplici.

  26. 8. I profili significativi di questa cultura I profili più significativi di questa cultura sono costituiti da: 1) due proposte di legge sul tema; 2) l’ordinanza 347/2005 della Corte Costituzionale; 3) un documento dell’Associazione dei magistrati minorili del 2006; 4) un saggio del 2009 sulla giurisdizione minorile mite. 8.1. Due proposte di legge Sono state quella n. 5701/2005 dell’on Burani Procaccini ed altri sull’adozione aperta e quella n. 5724/2005 dell’on. Bolognini ed altri in tema di adozione aperta ed adozione mite. Esse partono entrambe dal presupposto di dover colmare il vuoto normativo per la mancata previsione della categoria del semiabbandono permanente. La proposta di adozione aperta segue un percorso simile all’adozione legittimante (dichiarazione di semiabbandono permanente; affidamento a famiglia disponibile e poi sentenza di adozione: sono esclusi i singoli ed i conviventi); la proposta di adozione mite segue il percorso delineato dalla sperimentazione barese (affidamento familiare giudiziale, proroga in caso di mancato rientro presso i genitori, adozione mite). Si estende anche ai singoli ed ai conviventi. Le due proposte non si sono trasformate in legge.

  27. 8. I profili significativi di questa cultura: continua 8.2. L’ordinanza 347/2005 della Corte Costituzionale Il salto di qualità decisivo si ha con l’ordinanza suddetta che è una decisione interpretativa. Replicando alla questione di costituzionalità proposta dal Tribunale minorile di Cagliari in relazione all’art. 29 bis della L. 184/1983, la Corte esclude l’illegittimità di tale disposizione e A) considera invece erronea l’interpretazione giurisprudenziale seguita, chiarendo che non esiste nella legge alcun divieto di rilascio del provvedimento d’idoneità anche per l’adozione in casi particolari di bambini stranieri residenti all’estero; B) ritiene che anche in tal caso deve seguire all’adozione pronunziata all’estero una dichiarazione di efficacia in Italia che accerti l’esistenza dei presupposti dell’adozione particolare; C) che è quindi ammissibile oltre all’adozione internazionale legittimante, già prevista, anche l’adozione internazionale particolare conseguente all’interpretazione della Corte.

  28. 8.3. Il documento dell’A.I.M.M.F Il 24 giugno 2006 l’Associazione dei giudici minorili approva un documento su questo tema. Dando atto del dibattito sull’adozione e sull’affidamento familiare che aveva comportato da un lato la ricerca di nuove prassi, come a Bari con l’esperienza sull’adozione mite e dall’altro la formulazione di numerose proposte di legge, il documento auspica l’adeguamento della legislazione, per disciplinare meglio la questione della verifica delle cosiddette situazioni grigie; ampliare l’adozione non legittimante di cui all’ art. 44 lett. d della legge n. 184/1983; ridiscutere le modalità di realizzazione dell’affidamento familiare; modificare la disciplina sul cognome; prevedere la possibilità, in sede di adozione legittimante, di mantenere relazioni tra l’adottato ed alcuni familiari di origine; prevedere la convertibilità dell’adozione ex art. 44 legge n. 184/1983 in adozione legittimante, secondo lo schema dell’art. 79 della stessa legge.

  29. 8.4. Il «Manifesto per una giustizia minorile mite» Nel 2009 la collana Puer dell’AIMMF pubblica un mio saggio dal titolo sopraindicato. Nella prefazione Leonardo Lenti spiega che questo libro propone una metodologia organizzativa creativa per tutto il diritto minorile e familiare. Non più quindi un diritto minorile che si occupi solo di allontanamenti, decadenze di potestà, stato di abbandono, immaturità; ma uno diverso con altri elementi qualificanti: giustizia di prossimità, ricerca del consenso, mediazione, attenzione ai bisogni, integrazione dei servizi, tutore volontario, continuità degli affetti e soprattutto adozione mite, che evita angoscianti tagli con il passato, tutelando l’identità del minore.

  30. Seconda Parte I risultati di una ricerca sull’adozione mite • 9. La ricerca Negli anni 2009-2011 alcuni studiosi del Dipartimento di psicologia dell’Università di Bari facenti capo alla prof. Cassibba hanno svolto una ricerca per valutare l’efficacia dell’adozione mite analizzandone gli esiti sui ragazzi adottati con questa formula. Ne riassumo i contenuti. 9.1. Il campione. Il campione totale dello studio è stato composto da 70 minori e adulti residenti nelle province di Bari, Bat(Barletta-Andria-Trani) e Foggia, che hanno vissuto l’esperienza dell’adozione mite. Nello specifico, i ragazzi valutati (32 femmine e 38 maschi) sono distribuiti secondo tre fasce di età: 5 bambini (<11 anni), 39 preadolescenti e adolescenti (11-18 anni) e 26 giovani adulti (18-24 anni).

  31. 9.2. Gli obiettivi Quattro gli obiettivi individuati: • Verificare se la peculiarità di questa formula adottiva, consistente nel mantenimento dei contatti con la famiglia di origine, si è preservata nel tempo. • Valutare i criteri di successo ed insuccesso dell’adozione mite: a. il rifiuto della famiglia adottiva da parte del ragazzo; b. la presenza di rapporti positivi tra le famiglie; • il grado di disagio vs. benessere raggiunto da questi ragazzi. • Confrontare i dati ottenuti su questo campione – rispetto all’attaccamento, alla qualità delle relazioni familiari, al disagio e al benessere psicologico – con quelli ricavati da altri campioni di coetanei adottati, appartenenti a popolazioni cliniche e normali. • Indagare il ruolo che i fattori di rischio e protezione della storia pre-adottiva e post-adottiva hanno sul livello di disagio vs. benessere raggiunto dai ragazzi in adozione mite.

  32. 10. I risultati in sintesi Analizzando i risultati della ricerca svolta si possono riferire alcune conclusioni significative: 1) La presenza di un legame rilevante tra minore e nucleo di origine, che caratterizza il semiabbandono permanente non è costante nelle storie esaminate, specialmente dopo la fase iniziale e come effetto di una scelta personale dei ragazzi. 2) Il criterio della consensualità sul progetto da parte della famiglia di origine è sempre rispettato almeno indirettamente per l’assenza completa di ricorsi contro il provvedimento di adozione, che assume il tono di un consenso implicito. 3) È assente un sistema di servizi specialistici ed integrati che assicuri sostegno ed accompagnamento a tutti gli attori coinvolti nel percorso di affido, adozione e post-adozione.

  33. 10. I risultati in sintesi: continua 4) Sul totale delle famiglie esaminate solo nel 2% dei casi i ragazzi hanno scelto di interrompere la convivenza con il nucleo adottivo per tornare a vivere in quello di origine. Peraltro l’esame dei casi conferma che il recupero dei ragazzi adottati non è completo e suggerisce una riflessione sull’importanza di promuovere interventi psicoterapici basati sull’attaccamento, che coinvolgano i genitori adottivi. 5) Né la presenza di contatti con i genitori biologici, né i fattori di rischio della storia preadottiva, né l’età del minore al momento del collocamento in famiglia sono associati a misure di disagio psicologico. Solo la qualità delle relazioni nella famiglia adottiva è un predittore valido del disagio e del benessere psicologico raggiunto dai ragazzi in adozione mite.

  34. 11. Le indicazioni operative Vengono ora proposte alcune indicazioni operative, che meritano un’attenta riflessione. 11.1. Migliorare la valutazione ex ante • È da migliorare la valutazione delle famiglie accoglienti per verificare la presenza di risorse e competenze per affrontare un percorso così complesso. Esse vanno inoltre informate più incisivamente delle caratteristiche del percorso dell’adozione mite. b) Sia i ragazzi che i genitori adottivi hanno ribadito la necessità di ridurre i tempi dell’affido, vissuto dai ragazzi come un periodo di grande confusione ed incertezza sul futuro.

  35. 11.2. Migliorare la valutazione ex-post: la necessità di supporto nella fase post-adottiva Il successo delle adozioni non dipende solo dalle risorse familiari, ma anche dalla capacità dei servizi di rispondere adeguatamente ai loro bisogni durante le fasi di crescita del minore, minimizzando così il rischio di fallimento adottivo. Ciò vale a maggior ragione per i casi in cui sono presenti specifici fattori di rischio (casi di negligenza e/o di abusi).

  36. 12. Osservazioni finali 12.1. I profili positivi L’indagine svolta ha consentito di confermare alcuni significativi profili segnalati nella prima parte di questo intervento: • L’adozione mite presenta il vantaggio di non recidere i legami affettivi significativi per il minore in relazione alla sua famiglia di origine; • rispetto all’affidamento sine die garantisce una maggiore tutela sia giuridica che psicologica ai “minori nel limbo”; • dà al minore la possibilità di conoscere la propria storia senza necessità di una successiva rivelazione; • realizza il diritto del minore ad avere una famiglia.

  37. 12.2. I profili positivi: continua • Favorisce l’incremento della grande eterogeneità delle forme familiari contemporanee;ènecessario continuare a studiarla per contribuire al maturare di un approccio pluralista della diversità familiare. • Fornisce indicazioni utili per influenzare il welfare per i minori, ribadendo l’esigenza di garantire programmi e servizi di supporto alle famiglie in tutte le fasi del processo adottivo. Sottolinea in conclusione la responsabilità del sociale nel sostenere le famiglie, assicurando la presenza di una adeguata rete di sostegno in tutte le fasi del percorso.

  38. 13. Conclusione: la mitezza nella professionalità dei giudici, degli avvocati e degli operatori Di mitezza occorre infine parlare anche in modo diverso, con riferimento ad una qualità professionale necessaria alle persone che svolgono un lavoro giudiziario o sociale che li porta a concorrere nell’assunzione di decisioni importanti per altre persone e per i minori in particolare. La professionalità mite va oltre il rispetto delle regole di deontologia e riguarda alcune particolari capacità nell’ambito della operatività.

  39. 13. Conclusione: la mitezza nella professionalità dei giudici, degli avvocati e degli operatori - continua Una prima caratteristica deve essere quella di avere un atteggiamento di prossimità, di accoglienza e di ascolto delle persone senza atteggiamenti in partenza giudicanti; un’ulteriore peculiarità deve essere quella che ogni attività va diretta a produrre cambiamenti nella gestione delle relazioni familiari, al superamento del conflitto. A tale scopo l’obiettivo principale deve essere la ricerca del consenso. La decisione imposta, che pure è talora necessaria, deve essere l’ultimo percorso da attuare non prima che siano state offerte alle persone coinvolte tutte le possibilità di crescita e di cambiamento.

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