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Università della Calabria Sociologia delle comucazioni di massa 2011-12 Comunicazione & Media

Università della Calabria Sociologia delle comucazioni di massa 2011-12 Comunicazione & Media Prof.ssa Giovannella Greco giovannella.greco@unical.it. Premessa

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Università della Calabria Sociologia delle comucazioni di massa 2011-12 Comunicazione & Media

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Presentation Transcript


  1. Università della Calabria Sociologia delle comucazioni di massa 2011-12 Comunicazione & Media Prof.ssa Giovannella Greco giovannella.greco@unical.it

  2. Premessa L’espressione “comunicazioni di massa” allude a un processo di produzione, trasmissione e diffusione di informazione (testi, immagini, suoni) atto a raggiungere in tempo reale un grande numero di persone dislocate su vasto spazio e, per lo più, non in relazione tra loro. Gli strumenti utilizzati per attuare questo processo (tradizionalmente: stampa, cinema, radio, televisione) sono detti “mezzi di comunicazione di massa” o, con un ibrido anglo-latino, “mass media”. I materiali da questi diffusi, ovvero i contenuti delle comunicazioni di massa, sono designati in blocco con l’espressione “cultura di massa”.

  3. Il campo di studi sulle comunicazioni di massa prende avvio nel corso degli anni Trenta del secolo scorso, sotto l’impulso dell’impiego massiccio da parte dei regimi nazista e fascista di giornali e radio a fini di propaganda. Una ulteriore spinta in questa direzione si ebbe durante la II guerra mondiale, a causa dell’importanza che la radio veniva assumendo come strumento di attacco psicologico contro le popolazioni nemiche e di informazione e propaganda tra quelle amiche, in un momento in cui le operazioni belliche avevano compromesso il regolare funzionamento degli altri mezzi. È, proprio, in questo periodo che negli Stati Uniti entra in voga l’espressione comunicazione di massa che si diffonde, ben presto, anche in altre parti del mondo.

  4. Fasi Prima fase (MANIPOLAZIONE): media onnipotenti Seconda fase (PROPAGANDA): verifica teorie sui media onnipotenti Terza fase (PERSUASIONE): riscoperta del potere dei media Quarta fase (INFLUENZA): influenza negoziata dei media  Quale influenza?

  5. I FASE (1900-1930) Media onnipotenti

  6. La fase di avvio degli studi sulle comunicazioni di massa è caratterizzata da una contrapposizione tra due diverse posizioni teoriche: una a favore e l’altra contro i mass media. Entrambe queste posizioni, pur nella loro diversità, tendono riduttivamente ad attribuire ai media una funzione unica o nettamente prevalente rispetto alle altre possibili. I media sono ritenuti: dagli integrati,agenti della modernizzazione e della democrazia; dagli apocalittici,agenti del dominio e del controllo autoritario delle coscienze (1). I termini apocalittici e integrati sono stati utilizzati per la prima volta da Umberto Eco. Cfr. U. Eco, Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano 1964.

  7. Integrati La prima posizione, sostanzialmente ottimista, sulla scia della tradizione illuminista e positivista, considera la moderna società industriale come figlia del progresso. La nuova società è di massa perché, diversamente dal passato, la grande massa della popolazione ha la possibilità di accedervi, abbandonando le posizioni di marginalità nelle quali si trovava precedentemente relegata. In questa prospettiva, la società di massa è caratterizzata da un processo di democratizzazione politica, sociale, culturale e da una enfasi sulla dignità della persona e sui diritti individuali.

  8. Secondo questo approccio, i media contribuiscono a: attenuare le barriere tra le diverse classi sociali, proponendo a tutti le stesse informazioni, le stesse opportunità d’intrattenimento e di evasione, le stesse sollecitazioni culturali; estendere e rafforzare la partecipazione sociale e politica, e quindi la democrazia, creando una opinione pubblica più informata e consapevole, favorendo l’integrazione sociale e, nel contempo, sollecitando il cambiamento.

  9. Apocalittici La seconda posizione, sostanzialmente pessimista, considera la società e la cultura di massa come esito di un processo degenerativo, imputato (da destra) all’avvento delle masse popolari sulla scena politica e sociale e (da sinistra) alla logica spietata dello sviluppo capitalistico. La società industriale è rappresentata come una società dei consumi di massa, ovvero come una società organizzata in funzione del soddisfacimento delle esigenze della produzione di massa. Elemento centrale della critica è la convinzione che i media siano utilizzati come strumenti di propaganda, dandone per scontata l’efficacia.

  10. Entrambe queste posizioni, nonostante la diversa valutazione degli effetti delle comunicazioni di massa (di segno positivo o negativo), finiscono per condividere una stessa concezione dei media, cui fa da corollario uno stesso modo di rappresentare il pubblico. Emergono, così, una concezione dei media come agenti di effetti forti e una corrispondente concezione del pubblico come entità indifferenziata, e di fatto passiva, sulla quale i media esercitano una influenza diretta, senza che intervenga alcuna mediazione di ordine psicologico, sociale o culturale nel rapporto tra media e pubblico.

  11. In altre parole: se il potere dei media è illimitato, il pubblico è una massa, ovvero un aggregato di individui ciascuno dei quali, solitario fruitore (influenzabile e persuadibile) dei messaggi da essi veicolati, ne viene inevitabilmente influenzato e persuaso.

  12. La teoria ipodermica Il concetto di società di massa è fondamentale per comprendere la teoria ipodermica, nella cui prospettiva la massa può essere considerata come un aggregato omogeneo di individui (anche se provenienti da ambienti eterogenei) passivi, isolati gli uni dagli altri, con scarse possibilità di interagire tra loro. La massa inoltre, per definizione, è priva di proprie tradizioni e regole di comportamento.

  13. Nell’enfasi di questa presunta onnipotenza dei media (benevola o malevola che sia), prende forma la teoria dell’ago ipodermico (Hypodermic Needle Theory) o del proiettile magico (Magic Bullet Theory), il cui assunto di base è già espresso nelle metafore con cui la si denomina. Secondo questa teoria, come un ago ipodermico è capace d’inoculare qualsiasi sostanza nell’organismo, e come un proiettile magico riesce sempre a colpire il suo bersaglio, così i messaggi veicolati dai media influenzano in maniera diretta il destinatario esercitando su di lui l’effetto voluto dalla fonte.

  14. Postulati della teoria ipodermica  Il pubblico dei media è costituito da una massa indifferenziata e atomizzata di individui. I messaggi costituiscono potenti, diretti e immediati fattori di persuasione.  Gli individui sono essenzialmente indifesi nei confronti dei messaggi loro rivolti.

  15. Modello comunicativo della teoria ipodermica  Comportamentismo = S  R La teoria ipodermica trova fondamento nella psicologia comportamentista che si viene affermando, in quegli stessi anni, a opera di J.B. Watson (1). Secondo l’approccio comportamentista, l’individuo è libero solo apparentemente, dal momento che ogni suo comportamento è direttamente imputabile a cause indipendenti dalla sua volontà che possono essere variamente manipolate. (1) J.B. Watson, Psychology from the Standpoint of a Behaviorist, J.B. Lippincot, Philadelfhia 1919; Id., Behaviourism, University of Chicago Press, Chicago 1924.

  16. In altre parole: ogni atto individuale è inteso come un comportamento assimilabile a una relazione causale di tipo lineare, secondo lo schema (S)timolo(R)isposta, da cui deriva l’idea che è possibile orientare (se non, addirittura, condizionare) il comportamento umano, predisponendo stimoli adeguati.

  17. In questa prospettiva, la ricezione e l’accettazione da parte dei destinatari dei messaggi veicolati dai media sono processi che la fonte può condizionare intervenendo, con opportune strategie di persuasione, sui contenuti e sull’articolazione dei messaggi stessi. Se si considerano i processi di influenza e persuasione in tale prospettiva, i messaggi proposti dai media sono assimilati a stimoli che, se opportunamente predisposti e veicolati, possono indurre nei destinatari reazioni nella direzione voluta dalla fonte: ad esempio, un determinato comportamento elettorale o di acquisto.

  18. Unanimemente collocata nella fase iniziale delle riflessioni e degli studi sulle comunicazioni di massa, la teoria ipodermica si configura come il primo tentativo di individuazione e sistematizzazione del rapporto tra individui e media. Questa teoria ha goduto di uno strano destino: è stata più volte ripudiata e, allo stesso modo, più volte recuperata, specialmente laddove si voleva evidenziare il carattere massificante e manipolatorio dei media.

  19. Ulteriori elementi a sostegno di questa prospettiva sono proposti dalla psicoanalisi e dalle opportunità di accesso all’inconscio che essa sembra offrire: se l’inconscio svolge un ruolo determinante nell’orientare l’agire individuale senza che l’individuo possa averne consapevolezza, allora è possibile influenzare atteggiamenti e comportamenti individuali attivando le motivazioni inconsce con adeguate strategie di persuasione. L’attenzione si rivolge alla suggestione e, portando alle estreme conseguenze le originarie indicazioni di S. Freud (1), si percorrono nuove strade nel tentativo di mettere a punto modalità di persuasione sempre più efficaci. (1) S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), in Opere, Boringhieri, Torino 1971.

  20. Desideri inconsci, bisogni latenti, motivazioni diventano le parole chiave di un approccio che riconsidera i processi d’influenza e di persuasione alla luce della psicologia del profondo, con una rinnovata fiducia nelle potenzialità dei media, in particolare di quelli che consentono l’uso delle immagini (cinema). Numerosi studi avviati negli anni Trenta cominciano a porre l’accento sulle dinamiche inconsce del comportamento di consumo e sulla conseguente necessità di riferire a queste le strategie di marketing e la comunicazione pubblicitaria.

  21. II FASE (1930-1960)Verifica delle teorie sui media onnipotenti

  22. Gli studi di questo periodo riguardano un particolare tipo di effetti a breve termine (persuasori e comportamentali), imputabili non alle comunicazioni di massa nel loro complesso ma a singoli messaggi o insieme di messaggi, al fine di valutare la specifica influenza che essi possono esercitare sui processi di formazione, consolidamento e mutamento di singole opinioni, atteggiamenti e comportamenti individuali. Non a caso, la maggior parte delle teorie elaborate fino agli anni Sessanta riguardano gli effetti dei media nei processi di influenza e persuasione, ovvero le conseguenze immediate e dirette che essi inducono su opinioni, atteggiamenti e comportamenti del pubblico.

  23. La ricerca motivazionale Sulla base degli studi avviati negli anni Trenta e dei loro successivi sviluppi, negli anni Cinquanta prende avvio la ricerca motivazionale, esplicitamente finalizzata a scoprire l’incidenza dell’inconscio sulla scelta, l’acquisto e l’uso (non soltanto funzionale ma, soprattutto, simbolico) dei prodotti per definire, in riferimento a questa, nuove strategie di persuasione. Gli operatori del settore cominciano a comprendere che, per essere veramente efficace, la pubblicità deve attivare le motivazioni inconsce che sottendono l’acquisto e il consumo dei prodotti e interagire con queste, oppure aggirare le resistenze profonde e i blocchi emozionali che un prodotto può suscitare.

  24. In questo stesso periodo, alle ottimistiche valutazioni dei motivazionistisull’efficacia della pubblicità fanno eco le pessimistiche valutazioni sulla libertà del consumatore, espresse da quanti, all’epoca, insorsero contro la ricerca motivazionale la quale, mediante la pubblicità, rendeva il consumatore vittima indifesa delle nuove tecniche di manipolazione. Il manifesto di questa reazione contro la “pubblicità del profondo” è rappresentato da I persuasori occulti di V. Packard (1), un libro sul cui sfondo troviamo l’America dell’abbondanza e della folla solitaria, descritta da D. Riesman (2), ovvero la società in cui ha inizio la carriera del consumatore, caratterizzata dalla continua tensione a incrementare la propria capacità di consumo, che diventerà ben presto l’indicatore più immediato del raggiunto benessere e del successo individuale. V. Packard, I persuasori occulti (1957), Il Saggiatore, Milano 1968. D. Riesman, La folla solitaria (1950), Il Mulino, Bologna 1956.

  25. Il modello di Lasswell Una sorta di filiazione della teoria ipodermica è rappresentata dal modello di Lasswell, che ne costituisce una eredità ma, anche, una evoluzione. Secondo Lasswell (1), il processo di comunicazione di massa è asimmetrico, con un emittente attivo che fornisce lo stimolo e un ricevente passivoche, colpito dallo stimolo, reagisce. (1) H.D. Lasswell, “The Structure and Function of Communication in Society”, in L. Bryson (ed), The Communication of Ideas, Institute of Religious and Social Studies, New York 1948.

  26. Il modello mette a fuoco gli elementi principali del processo di comunicazione: who (chi = fonte) says what (dice cosa = messaggio) to whom (a chi = destinatario) in which channel (attraverso quale canale = mezzo) with what effects (con quali effetti) Gli studi successivi hanno considerato gli elementi del modello di Lasswell come contenitori o categorie al cui interno isolare le variabili da analizzare nell’ambito del disegno di ricerca. Si è tentato, così, di individuare per ogni singolo elemento le componenti operazionabili.

  27. La Communication Research Nel clima culturale, scientifico e di opinione, che andava determinandosi tra gli anni Quaranta e Cinquanta, prende avvio (negli Stati Uniti prima e più rapidamente che altrove) la Communication Research,il cui sviluppo è segnato da una prevalente impronta empirista e dall’orientamento pragmatico che caratterizzano, fin dall’inizio, la sociologia statunitense. Caratterizzata inizialmente dal proliferare d’indagini empiriche su problemi circoscritti e, prevalentemente, da ricerche sugli effetti dei media e sui contenuti da essi veicolati (analizzati sempre in funzione degli effetti), la ricerca sociale sulle comunicazioni di massa (1)nasce come studio integrato (dal punto di vista sociale, culturale, psicologico) del processo comunicativo e dei suoi effetti. (1) Coloro che per primi si dedicarono alla ricerca sociale sulla comunicazione non furono tanto sociologi o psicologi, bensì scienziati politici (come Lasswell) o studiosi di retorica.

  28. Il sovrapporsi di condizioni dettate dalla committenza a esigenze conoscitive di carattere scientifico possono spiegare perché, in questa fase, proliferino indagini su problemi circoscritti, relativi non tanto al processo di comunicazione nel suo complesso quanto, piuttosto, ad una o all’altra delle componenti di tale processo, considerata separatamente da tutte le altre. Vengono condotte, così, ricerche empiriche settoriali sulle aziende e sugli operatori dei media (fonte), sui contenuti da essi veicolati (messaggio), sulla esposizione e sulle modalità di fruizione da parte dei destinatari (pubblico), sulla influenza dei media sul pubblico (effetti), in termini di formazione, consolidamento e mutamento di opinioni, atteggiamenti, comportamenti individuali (effetti a breve termine).

  29. In particolare, il prevalere d’indagini sugli effetti dei media e sui contenuti da essi veicolati (analizzati sempre in funzione degli effetti) può essere attribuito alla necessità di disporre di dati empirici per la messa a punto, da un lato, di modalità di realizzazione di prodotti mediali tali da raggiungere una vasta audience e, dall’altro, di adeguate strategie di propaganda (commerciale e politica). Per queste sue caratteristiche, e per la conseguente tendenza a privilegiare le esigenze metodologiche e tecniche della ricerca rispetto a quelle teoriche, la Communication Research (come, del resto, la ricerca sociale in genere) è, fin dall’inizio, oggetto di accese discussioni nell’ambito della riflessione più generale tra teoria ed empiria nelle scienze sociali.

  30. Risale, infatti, ai primi anni Quaranta la polemica tra Lazarsfeld e Adorno, che ha segnato una frattura apparentemente insanabile tra ricerca amministrativa (quella che persegue, appunto, obiettivi di conoscenza utili per le aziende dei media) e teoria critica (che persegue, invece, mete di tipo teorico volte a svelare il presunto progetto manipolatorio messo in atto dai media). Alla contrapposizione tra queste due posizioni corrisponde un approccio sostanzialmente differente allo studio dei media, fondato su una altrettanto differente concezione dei media stessi.

  31. La teoria critica La teoria critica si fonda su un approccio che studia, secondo una prospettiva totalizzante, fenomeni complessi a livello macrosociologico e persegue l’obiettivo di svelare presupposti, strategie e finalità di un siffatto progetto manipolatorio e repressivo, cui fa da sfondo una concezione dei media come strumenti di legittimazione del consenso, funzionali alla riproduzione di visioni del mondo dominanti. Questa teoria si può identificare con il gruppo di studiosi che fa capo all’Istituto per la Ricerca Sociale fondato nel 1923 a Francoforte.

  32. La Scuola di Francoforte si propone di svelare i meccanismi disumani e alienanti della società capitalistica, assimilando questo tipo di società a un grande sistema che predetermina tutto ciò che l’individuo è o fa, mediante l’imposizione a priori di bisogni indotti e modi di pensare precostituiti. Nell’ottica dei francofortesi, questo grande sistema ha il suo braccio di azione proprio nella industriaculturale (1). La manipolazione del pubblico passa attraverso i mezzi di comunicazione di massa, mediante effetti che si realizzano sui livelli latenti dei messaggi. Il messaggio latente è ritenuto più efficace di quello palese, poiché sfugge ai controlli della coscienza e penetra direttamente nella mente dell’individuo, contribuendo a formare la sua visione del mondo. (1) M. Horkheimer e T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo (1947), Einaudi, Torino 1966.

  33. La ricerca amministrativa La ricerca amministrativa si fonda, invece, su un approccio empirico che studia fenomeni circoscritti con procedimenti quantitativi e tecniche standardizzate di raccolta, misurazione e analisi dei dati (Content Analysis), al fine di fornire indicazioni utili per il conseguimento di obiettivi dettati da esigenze di mercato, cui fa da sfondo una più o meno esplicita concezione dei media come mezzi neutrali che, in un contesto pluralistico, operano in vista del conseguimento di più obiettivi concreti, definiti dai responsabili dei media stessi secondo logiche aziendali.

  34. La teoria degli effetti limitati A partire dai risultati delle ricerche empiriche condotte da P.F. Lazarsfelde suoi collaboratori (1), si viene affermando la teoria degli effetti limitati, il cui postulato fondamentale è che gli effetti dei media nei processi d’influenza e di persuasione non sono diretti, bensì mediati dalla realtà relazionale vissuta dall’individuo, dunque da condizioni e fattori di ordine psicologico, sociale e culturale che agiscono da filtro nel rapporto tra media e pubblico. (1) P.F. Lazarsfeld, B. Berelson, H. Gaudet, The People’s Choise, Columbia Universiity Press, New York 1948; E. Katz, P.F. Lazarsfeld, L’influenza personale nelle comunicazioni di massa (1955), ERI, Torino 1968.

  35. Questo paradigma, per lungo tempo dominante negli studi sulle comunicazioni di massa, è stato spesso male inteso o sottoposto a forzature nel tentativo di generalizzarne le implicazioni: molti hanno creduto, e alcuni credono tuttora, che parlare di effetti limitati dei media significasse, e significhi, disconoscerne o ridimensionarne drasticamente il potere di influenza.

  36. Quasi a ribaltare l’antica ipotesi dell’onnipotenza dei media, la teoria degli effetti limitati è stata interpretata – e, in casi estremi, banalizzata – come un approccio teso a postulare una sorta di impotenza dei media, ovvero come un paradigma secondo il quale i media sortirebbero sul pubblico effetti di scarsa efficacia, estensione e intensità.

  37. In realtà gli assunti di base di questa teoria sono ben altri: con essa non si postula che i media producono effetti quasi nulli sul pubblico, ma, piuttosto, che la loro eventuale influenza sull’individuo non è diretta, bensì mediata da condizioni e fattori di natura psicologica, culturale e sociale; inoltre non si fa riferimento a una generica influenza dei media, ma all’influenza specifica che essi possono esercitare sui processi di formazione, consolidamento e mutamento di singole opinioni, atteggiamenti e comportamenti individuali.

  38. È per queste ragioni che Gianni Losito ha proposto di denominare questo approccio teoria dell’influenza mediata. In ogni caso, a prescindere dalla sua denominazione, sarebbe opportuno considerare questa teoria per come essa in realtà si propone: non una teoria generale degli effetti, qualunque essi siano, e dunque una teoria dell’impatto sociale dei media, bensì una teoria relativa a un particolare tipo di effetti a breve termine (persuasori e comportamentali), imputabili non alle comunicazioni di massa nel loro complesso, ma a singoli e specifici messaggi o insieme di messaggi (commerciali e politici) veicolati dai media. (1) G. Losito, Il potere dei media, NIS, Roma 1994.

  39. Le conclusioni di Klapper Verso la fine degli anni Cinquanta, le ricerche empiriche sugli effetti a breve termine dei media raggiungono una serie di conclusioni sintetizzate da J.T. Klapper (1). (1) J.T. Klapper, Gli effetti delle comunicazioni di massa (1960), Etas Kompas, Milano 1964.

  40. a) Le comunicazioni di massa non sono cause necessarie e sufficienti di effetti specifici sul pubblico; esse, semmai, interagiscono con altri fattori e fonti d’influenza che intervengono a mediare il rapporto tra media e pubblico. b) L’esito di tale interazione si configura, prevalentemente, come un effetto di rafforzamento, piuttosto che di consistente e duratura modificazione di condizioni (opinioni, atteggiamenti, comportamenti) preesistenti.

  41. c) Laddove si verificasse un effetto di modificazione, esso sarebbe imputabile o al venir meno dei fattori di mediazione sopra menzionati o a questi stessi fattori che eccezionalmente, invece di favorire il rafforzamento, si fanno essi stessi promotori della modificazione. d) Nel caso di messaggi esplicitamente finalizzati a incidere su opinioni, atteggiamenti e comportamenti dei destinatari (messaggi persuasori), l’efficacia delle comunicazioni di massa dipende non soltanto dai media o dalla comunicazione persuasoria in quanto tale, ma anche e soprattutto dalla situazione specifica (contesto) in cui la comunicazione avviene.

  42. Tali conclusioni evidenziano alcune rilevanti implicazioni sul piano teorico: 1) L’abbandono del tradizionale modello comportamentista nello studio dei processi di comunicazione e persuasione, precedentemente assimilati a un meccanismo del tipo stimolo-risposta. 2) L’abbandono della tradizionale concezione del pubblico come massa, ovvero come aggregato amorfo d’individui passivi, socialmente isolati e incapaci d’interagire in modo significativo tra loro. 3) L’enfasi posta sull’intervento di fattori sociali nei processi di comunicazione e persuasione, con particolare riferimento alla mediazione esercitata dai gruppi primari (famiglia, scuola, gruppo dei pari) e, in seno ad essi, dai leaders d’opinione.

  43. L’ipotesi del two step-flow Su quest’ultima implicazione, si può fare riferimento all’ipotesi deltwo step-flow (flusso di comunicazione a due fasi), avanzata da E. Katz e P.F. Lazarsfeld (1), secondo cui il flusso di comunicazione, e quindi l’eventuale influenza dei media sul pubblico, va generalmente da questi ai leaders d’opinione, e da quest’ultimi agli altri individui all’interno dei gruppi sociali. (1) E. Katz, P.F. Lazarsfeld, L’influenza personale nelle comunicazioni di massa, op. cit.

  44. Per leadership d’opinione s’intende un’autorevolezza esercitata casualmente, talvolta involontariamente e inconsapevolmente, da alcuni individui all’interno dei gruppi caratterizzati dalla presenza di relazioni faccia-a-faccia (familiari, vicini, amici, colleghi, ecc.). Il leader d’opinione è colui che occupa una posizione strategica nella rete di comunicazione all’interno del gruppo stesso e, conseguentemente, colui che più frequentemente ha contatti con gli altri membri del gruppo e con la realtà esterna al gruppo; dunque, anche chi più frequentemente si espone alle comunicazioni di massa.

  45. L’approccio usi e gratificazioni Gli studi sul consumo multimediale sviluppatisi verso la fine degli anni Cinquanta negli Stati Uniti, e successivamente in Gran Bretagna, utilizzano un approccio denominato usi e gratificazioni (1) il quale, ponendo l’accento sui nessi esistenti tra situazione sociale, motivazioni individuali e schemi tipici d’uso dei media, si basa su un modello teorico che può essere sintetizzato nel seguente modo: (1) E. Katz, “Mass Communication Research and the Study of Popular Culture”, Studies in Public Communication, 2, 1959, pp. 1-6; A.M. Rubin, “Uses, Gratifications, and media Effects Research”, in J. Bryant, D. Zilmann (eds), Perspectives on Media Effects, Erlbaum, Hillsdale 1986, pp. 281-301.

  46. a) la situazione sociale genera determinati bisogni negli individui; b) i media sono considerati, da ciascun componente del pubblico, capaci di soddisfare alcuni di questi bisogni e, per questo, vengono usati; c) dall’uso dei media, in vista della soddisfazione di bisogni, il pubblico ricava delle gratificazioni che aiutano ad affrontare la situazione sociale e ad alleviare eventuali condizioni di disagio da essa prodotte.

  47. Questo modello presenta una sostanziale continuità con alcune premesse che stanno alla base del paradigma degli effetti limitati, o dell’influenza mediata, ravvisabile nel riconoscimento del ruolo attivo del pubblico nel rapporto con i media. Addirittura, l’accento posto sull’autonomia di ciascun fruitore nell’operare una selezione tra le molteplici proposte mediali risulta ancora più evidente in questo approccio, laddove si assimila la fruizione a un uso strumentale in vista della soddisfazione di bisogni individuali.

  48. III FASE (1960-1980) Riscoperta del potere dei media

  49. A partire dalle seconda metà degli anni Settanta, a seguito dei mutamenti intervenuti nel sistema e nell’offerta mediale, nella vita collettiva e nella domanda di conoscenza sui media, si assiste a uno spostamento d’interesse nello studio dei media e, nello stesso tempo, a una rinnovata enfasi sul loro potere d’influenza. L’attenzione degli scienziati sociali comincia a rivolgersi, così, agli effetti a lungo termine che i media possono indurre sui processi di socializzazione e di costruzione sociale della realtà. Il che porta a considerare come centrale un’area del fenomeno precedentemente ritenuta secondaria e accidentale, ovvero le conseguenze graduali e indirette che una prolungata esposizione ai media può produrre sull’attività cognitiva e percettivo-rappresentazionale dell’individuo. In questa prospettiva, sono elaborate nuove teorie e strategie d’indagine più complesse.

  50. Quanto al riproporsi dell’idea dei media come agenti di effetti forti, questa – come osserva J. Carey – pur non presentando un andamento ciclico sembra accentuarsi in periodi e in contesti in cui la società è debole, cioé in crisi o in una fase di transizione: non a caso, negli anni Trenta, si attribuirono effetti forti ai media perché la depressione economica e la situazione politica dell’epoca crearono un terreno fertile per certi tipi di effetti; la normalità degli anni Cinquanta e Sessanta ha consentito, invece, la formulazione del modello degli effetti limitati, mentre la guerra, la conflittualità politica e la crisi economica degli ultimi anni Sessanta hanno contribuito a rendere il tessuto sociale più permeabile all’influenza dei media e, così, si è ritornato a parlare di media onnipotenti. (1) J. Carey, “The ambiguity of Policy Research”, Journal of Communication, 2, 1978.

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