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Le istituzioni politiche nell’era dell’ascrittività. La Grecia, Roma e l’Alto Medioevo .

Università “La Sapienza” di Roma Facoltà di Scienze della Comunicazione Corso di laurea in Scienze della Comunicazione Pubblica ed Organizzativa Anno Accademico 2008-09 Corso di Storia delle Istituzioni Politiche SPS/03. Le istituzioni politiche nell’era dell’ascrittività.

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Le istituzioni politiche nell’era dell’ascrittività. La Grecia, Roma e l’Alto Medioevo .

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  1. Università “La Sapienza” di RomaFacoltà di Scienze della ComunicazioneCorso di laurea in Scienze della Comunicazione Pubblica ed Organizzativa Anno Accademico 2008-09Corso di Storia delle Istituzioni Politiche SPS/03 Le istituzioni politiche nell’era dell’ascrittività. La Grecia, Roma e l’Alto Medioevo. Dott. Stefano Scarcella Prandstraller Lezione V – “Le istituzioni politiche nell’Alto Medioevo - II”

  2. Società e istituzioni nell’impero franco • L’impero si compone di molte regioni e popoli eterogenei. • La risposta di Carlo per cercare di creare unità è di: • proporre un’interpretazione della funzione prima monarchica e poi imperiale in chiave marcatamente religiosa; • fondare un’amministrazione solida, centralizzata ed uguale in tutte le regioni dell’impero. Tuttavia ci sono delle difficoltà: • A) la società carolingia, con “la separazione dalla vita commerciale della costa del Mediterraneo”, ha “ormai assunto un carattere essenzialmente agrario”; • B) non più alimentata dagli uomini di cultura delle civitates romano-galliche e da un adeguato gettito fiscale, gradualmente, ma inesorabilmente “la debole sovrastruttura romana era venuta meno”. • C) la concentrazione della ricchezza nella campagna, la grave crisi della ricchezza mobile con la caduta del commercio e la scarsa circolazione monetaria impediscono la realizzazione di quelle condizioni minimali, per la costituzione di una gerarchia non feudale di funzionari stipendiati.

  3. Società e istituzioni nell’impero franco(Barraclough, 1976) • Ciò rende impossibile a Carlo pensare di ripristinare in tutto, o anche solo in parte, il modello dello stato territoriale di derivazione romana, tenuto in piedi con sempre maggiore difficoltà nel V e VI secolo dai re merovingi. • La società era tenuta insieme non dalla generale fedeltà allo stato, ma soltanto dai vincoli tra i singoli, dalla devozione dovuta al proprio signore e dall’obbedienza imposta dai ricchi proprietari terrieri, che reclamavano ed esercitavano diritti di governo in nome di tale loro qualità. • La terra è ormai l’unica fonte della ricchezza e del potere politico e la classedirigente quindi coincide in tutto e per tutto con la ricca aristocrazia fondiaria. • Lo stesso re, “nonostante l’unzione e la credenza nelle misteriose virtù del sangue reale, era soltanto il più grande e il più ricco dei nobili” ed “il suo ruolo gli era assicurato dalle terre che possedeva.

  4. Società e istituzioni nell’impero franco(Barraclough, 1976) • La forza della monarchia dipende quanto mai dalle condizioni di floridezza del demanio reale, del fisco. • “La nuova società era fondamentalmente diversa, quanto a mentalità e carattere, da quella dell’epoca merovingia. Soprattutto si era perduto nei confronti del passato romano quel rapporto diretto, anche se in via di continuo indebolimento, caratteristico di tutti i primi stati germanici”. • Il capitale economico e culturale ereditato da Roma è ormai esaurito e la società carolingia deve “fare da sé”. • “La nuova nobiltà non imitava più quella gallo-romana, scomparsa da molto tempo; la lingua in cui si esprimeva era di ceppo germanico”; “gli appartenenti agli strati più alti della società [...] erano analfabeti ad eccezione di pochi,e consideravano il leggere e lo scrivere attività da subalterni.

  5. Il nuovo ruolo della religione(Barraclough, 1976) • Tra i laici le classi superiori colte sono scomparse ed ormai la cultura è patrimonio di monaci e sacerdoti; • di conseguenza, “la società carolingia” assume “rispetto alla merovingia una diversa, più forte impronta clericale”; • “con i Carolingi la religione divenne una forza operante nella società: fu una grande svolta, l’inizio di una tradizione durevole, sebbene tale forza potesse sottrarsi, come poi accadde, al controllo di una autorità politica indebolita, non più in grado di controbilanciare l’influenza di una gerarchia ecclesiastica militante”; • “con Carlo prende forza la concezione della religione non più come semplice mezzo di salvezza personale, ma come forza motrice e trasformatrice della società”. • Il ruolo che il sovrano franco assegna alla religione implica “il ritorno ad una società di tipo più primitivo”, tanto che la “monarchia cristiana” mutua “parecchie caratteristiche dalla monarchia sacerdotale degli antichi popoli germanici”.

  6. Il nuovo ruolo della religione(Barraclough, 1976) • Il rex Francorum è “fatto reggitore del popolo cristiano” per “il decreto del Nostro Signor Gesù Cristo”, per cui sulle sue spalle poggia “la salvezza di tutta la Chiesa di Cristo”. • Nel pensiero politico di Alcuino da York, che coincide con quello ufficiale del tempo, non c’è distinzione tra Chiesa e Stato e non vi sono due singoli corpi da tenere rigorosamente separati o da subordinare l’uno all’altro. • La religione è parte della vita dello stato, che è fondato sulla legge divina, e questa si identifica con il diritto canonico codificato, che è considerato anche la suprema norma civile. • Essa significa rispetto della legge, conservazione dell’ordine costituito e giusto adempimento dei comandi di Dio. • Ciò la rende da Carlo Magno in poi “la base della società”.

  7. Le istituzioni politiche centrali • Il governo centrale era costituito dal palatium, l’imperatore e il suo seguito, tra cui comites palatini e antrustiones; nulla aveva a che vedere con il palatium di Clodoveo e dei suoi immediati successori, che poteva contare su giuristi e burocrati gallo-romani colti e ragionevolmente preparati. • Il palatium di Carlo aveva cura del patrimonio del sovrano e dei suoi interessi, ma non governava lo stato; • Il concetto romano di stato come qualcosa di distinto dal patrimonio personale del re era scomparso a tutti gli effetti pratici. • Non esistevano i ministri, cui affidare interi settori dell’amministrazione, né una cancelleria. • Il re, quindi, doveva prendere tutte le decisioni da solo” e il fatto che “egli potesse affrontare soltanto pochi dei problemi che sorgevano costituiva di per sé un grave limite”.

  8. Il rapporto centro-periferia(Barraclough, 1976) • La maggior parte degli ordini era trasmessa a voce e quando era necessaria la stesura di un qualche documento, il lavoro burocratico, di cancelleria, era svolto dal clero, la categoria che per ragioni professionali era in grado di leggere e scrivere”. Nell’amministrazione centrale, come in quella periferica, tutto dipendeva dagli uomini. • “La caratteristica del governo carolingio non è il controllo esercitato dal centro verso la periferia, ma proprio l’assenza di tale controllo”. • I casi in cui il re aveva notizia dei fatti ed ancor più quelli in cui effettivamente interveniva erano del tutto eccezionali e spesso ciò si verificava solo quando “i reclami si facevano forti, quando in qualche provincia le estorsioni e le repressioni provocavano una reazione violenta”. • Non essendoci una burocrazia che potesse eseguire gli ordini del governo centrale, in caso di rifiuti o insubordinazioni “non si poteva fare altro che raccogliere delle truppe e imporre l’obbedienza con una spedizione militare”.

  9. La funzione legislativa • Il potere centrale emanava leggi: • dette capitulares (capitolari), perché costituite da una serie di brevi articoli, i capitula, emanati nel corso di placiti; • constitutiones (costituzioni) o edicta (editti), derivanti, alla maniera romana, da attività di decisione o decretazione da parte del sovrano. • Il placitum, in francone tag, e cioè “giorno” o “dieta”, è l’assemblea solenne dei grandi del regnum, che ha luogo due volte l’anno, in maggio e in autunno; • salvo giustificato motivo, comites, vescovi ed altri grandi laici ed ecclesiastici erano obbligati a prendervi parte, ed in tali occasioni “venivano istruiti o rimproverati, e, se necessario, destituiti”; • “un’assenza non adeguatamente giustificata equivaleva ad una ribellione”, in quanto “questi incontri una o due volte all’anno con il re rappresentavano l’unica occasione per un controllo veramente efficace” del loro operato.

  10. Il “doppio binario” legislativo-feudale(Barraclough, 1976) • La legislazione insisteva sugli aspetti dell’organizzazione sociale non coperti da rapporti di natura feudale, mentre questi ultimi erano governati e regolati, piuttosto che da norme generali, da singoli accordi tra individui, che in una società orale come quella carolingia solo eccezionalmente erano redatti per iscritto. • La documentazione legislativa carolingia offre una visione molto parziale della realtà se si tiene conto che “la legislazione non era sempre efficace,” e “dice più delle intenzioni del legislatore che di come andavano effettivamente le cose”. • “La realtà dei governo carolingio era molto diversa dal quadro offerto da editti e capitolari. Soprattutto l’elemento feudale era molto più importante e si faceva molto più assegnamento su di esso”.

  11. Il “doppio binario” legislativo-feudale(Barraclough, 1976) • L’anarchia del tardo periodo merovingio aveva favorito lo sviluppo del feudalesimo: sottomissione dei deboli ai potenti, ricerca di protezione e rinuncia alla libertà in cambio di essa”. In mancanza di una burocrazia, il feudalesimo diviene “l’autentica spina dorsale del governo carolingio” e “non v’era nulla che potesse prenderne il posto”. • I Carolingi organizzarono queste relazioni di tipo privatistico “in coerenti strutture feudali, conferendo loro stabilità e solidità, almeno abbastanza perché non fossero più un pericolo per l’ordine e, se possibile, divenissero un efficace strumento a disposizione del sovrano”. • Inoltre, il tentativo di Carlo in direzione di una unificazione legislativa dell’impero, diretta a restaurare i “principi romani di governo”, doveva fare i conti con innumerevoli istanze che premevano in direzione del particolarismo giuridico, prima fra tutte la tendenza dei popoli più numerosi e meno romanizzati a continuare a regolarsi secondo le proprie consuetudini orali.

  12. Il principio di “personalità delle leggi”(Barraclough, 1976) • Vige il principio di “personalità delle leggi”, vale a dire che ogni uomo ha diritto di essere giudicato secondo il diritto e le usanze del suo popolo. • Abbiamo quindi più fonti nella legislazione franca: • 1) le leggi personali di ciascun popolo: lex saxorum, lex baiovarorum, lex langobardorum, ecc.; • 2) i capitolari governativi, emanati dal sovrano attraverso la cancelleria palatina, che erano unificanti e vincolanti per tutto il regno ed integravano le prime; • 3) il diritto romano e quello canonico: utilizzati per lo più nei procedimenti ecclesiastici. • Gli Aquitani ed i Longobardi godono inoltre di un regime di “governo autonomo” delle rispettive regioni, che sono regni indipendenti, la cui corona è affidata ai figli di Carlo.

  13. L’amministrazione periferica(Barraclough, 1976) • L’amministrazione locale è retta dai comites, istituzione politica stabilita in epoca merovingia, che viene estesa a tutti i territori conquistati. • In ogni comitatus o contea, circoscrizione che spesso corrisponde all’antico pagus, il villaggio, il comes è il rappresentante diretto del rex, che amministra la cosa pubblica, presiede il tribunale della contea, dà esecuzione all’eribanno e comanda il contingente militare locale. • La figura del comes, il conte, è “il perno del governo carolingio” e “la prima misura per prendere il controllo di un paese conquistato consisteva nel sostituire dei conti franchi alla classe dominante indigena”. • “Il conte non era un funzionario, cioè non riceveva uno stipendio”, ma piuttosto “per il suo sostentamento gli venivano assegnate delle terre e riceveva anche una parte, generalmente un terzo, del reddito prodotto nella regione posta sotto il suo controllo”.

  14. L’amministrazione periferica(Barraclough, 1976) • Non vi era alle dipendenze del conte, “un personale amministrativo costituito da funzionari”, ma “egli disponeva solitamente di un proprio rappresentante” e “v’era un archivista addetto alla custodia degli atti delle assemblee della contea” e al più poteva contare in tutto su di una decina di persone al suo diretto servizio per disimpegnare compiti amministrativi. • Al di sotto del conte, vi erano “da tre a sei capi minori, responsabili verso il conte”, a ciascuno dei quali era affidata una ripartizione territoriale minore, detta centena. • Il nome centena deriva dal fatto di essere in origine popolata da circa un centinaio di nuclei familiari allargati. • Nelle centene si esplicava il “governo locale”; • le centene avevano propri tribunali, e ricevevano dal conte degli ordini, che includevano il quantum dei reclutamenti dell’eribanno e dell’esazione, ma l’esecuzione di queste ed altre disposizioni era lasciata alla loro autonomia.

  15. L’amministrazione periferica(Barraclough, 1976) • La contea non ha personalità giuridica e si tiene soltanto un’assemblea periodica, “che aveva luogo nell’unica forma del tribunale comitale”, detto appunto comitatus. • Nell’impero carolingio, dopo la conquista della Sassonia e della Frisia, ci sono circa duecentocinquanta contee. • Alle frontiere vengono costituiti due tipi di circoscrizioni diversi dalle contee: • A) i ducati, retti da un dux, corrispondenti in alcuni casi a precedenti entità omogenee a livello etnico-politico, come nel caso della Sassonia, ed in altri a raggruppamenti di comitati; • B) le marcae, rette da un marchio, circoscrizioni pubbliche più importanti delle contee, specie in ragione della loro posizione di confine, che richiede una maggiore disponibilità di risorse, anche per il reclutamento di adeguati contingenti militari.

  16. La scelta dei nobiles(Barraclough, 1976) • La regola generale nell’istituzione delle nuove contee “consisteva nel sostituire la classe dominante indigena o affermatasi nella regione, con un’aristocrazia franca, i cui interessi fossero legati a quelli della monarchia”. • In questo modo “l’aristocrazia doveva la propria posizione e le nuove terre e rendite acquisite in quei remoti paesi alle conquiste compiute dal sovrano; così re e nobiltà erano legati da una comunanza di interessi”. • Ogni conquista introduceva nuove tensioni, questa volta tensioni tra la società locale e l’amministrazione franca o carolingia che le veniva imposta”. • La regola generale subiva pertanto frequenti e rilevanti eccezioni, per cui le cariche ducali, marchionali e comitali erano attribuite talora ad antrustiones franchi legati personalmente al sovrano e talora invece a membri delle aristocrazie locali, nella ricerca di non facili equilibri.

  17. Gerarchia amministrativa e feudale(Barraclough, 1976) • I Carolingi “avevano conquistato il potere alla testa dei loro antrustiones” e si erano affermati grazie alla saldezza dei legami feudali, che li rendevano molto più forti, con la loro clientela di vassalli, di quanto non lo fossero mai stati i re merovingi; pertanto si “potrebbe quasi dire che essi conquistarono il potere come rappresentanti di un principio feudale dell’organizzazione della società”. • Nelle strutture politiche carolinge è difficile distinguere una gerarchia di “funzionari” da una gerarchia “feudale”. • I duces, i marchiones e i comites erano molto spesso scelti tra quegli stessi antrustiones e comandanti militari che erano già in precedenza vassi dominici e cioè “vassalli del demanio reale”. • In tal caso, il servitium vassallatico non era più costituito dal semplice servizio militare, ma dall’intero ambito di esercizio della carica in nome del rex.

  18. Gerarchia amministrativa e feudale(Barraclough, 1976) • Il servitium veniva remunerato con beneficia sulle terre del regno secondo il sistema della tenure e con proventi connessi all’esercizio della giurisdizione pubblica. Tale sistema si fonda sul rapporto tra il sovrano e il beneficiario, detto anche tennant, in quanto quest’ultimo “detiene” la terra in nome del suo signore, ed i proventi che derivano da tale godimento costituiscono il corrispettivo dei suoi servizi. • Il re “per governare non contava su un’organizzazione, sulla ripartizione dei compiti tra i membri di una burocrazia, ma essenzialmente sui servigi dei propri vassalli”. • I vassalli “non avevano alcun diritto alla propria carica che fosse basato sul possesso della terra, e il loro titolo non era ereditario”, ma strettamente intuitu personae, per cui “il re poteva destituirli e sostituirli a piacimento”, ovvero, alla loro morte, nominare un nuovo comes con nessun rapporto di parentela con il predecessore. • “In questo senso il sistema di governo carolingio differisce dal feudalesimo tardo: che il sovrano non aveva le mani legate.

  19. Il capitolare “de villis” • Il vassaticum rappresenta dunque, con il giuramento di fedeltà personale al sovrano e la conseguente subordinazione del funzionario al rex, un elemento di coesione del regnum e insieme una remora alla tendenza verso la disgregazione del potere politico, come si era verificata nell’ultima età merovingia. • I membri della nobilitas di solito possedevano beni fondiari in piena proprietà, al di fuori del regime della tenure, detti allodi, e questi andavano tenuti distinti dai beneficia, posseduti a titolo precario come remunerazione dei servitia. • La gestione del fisco regio, da cui provenivano gran parte delle terre cedute in beneficium, è oggetto di un’apposita normativa, il capitulare de villis, finalizzata a prevenire e sanzionare i frequenti fenomeni di abuso. • Si sancisce sia il divieto di frodare il governo confondendo terre allodiali e beneficiarie, che quello di approfittare delle cariche pubbliche rivestite per imporre ai contadini “come se si trattasse di tributi pubblici” corvées sulle terre allodiali.

  20. L’immunitas e il banno • Sono importanti strumenti di governo complementari rispetto al vassaticum. • La immunitas è la immunità attribuita ad un patrimonio fondiario privato dall’ingresso degli ufficiali pubblici e dalle truppe del rex; • in genere veniva attribuito a chiese vescovili ed abbazie; • è condizionata a dei controlli da parte di agenti laici, gli advocati, nominati dal rex ed investiti del potere di banno. • Il banno sostituisce nel mondo franco il concetto di imperium, proprio di alcune istituzioni politiche romane; • comprende la facoltà di comandare, costringere e punire, divenendo così i duces, i marchiones, i comites, i missi dominici, gli advocati e le altre persone che ne sono investite dei delegati ed ausiliari del sovrano con poteri di natura pubblicistica.

  21. I “missi dominici” (Barraclough, 1976) • Sono una sorta di “sovrintendenti itineranti” incaricati di tenere i rapporti tra il governo centrale ed i funzionari locali, ovvero di “supervisori inviati dal re nelle province a controllare l’operato delle autorità e a reprimerne gli abusi”. • Per evidenziare la duplice natura spirituale e temporale del potere imperiale, sono spesso nominati a coppie: un laico, generalmente un comes palatinus, ed un ecclesiastico, un vescovo o un abate. • Il clero cattolico viene così a svolgere un importante ruolo di mediazione nell’amministrazione dell’impero. • “Mentre la figura tipica del governo merovingio era il laico, il suo posto sotto i Carolingi è preso dal grande prelato. • A partire dall’802 l’invio dei missi dominici nelle province è reso regolare per affrontare i crescenti disordini e la sempre più chiara tendenza dei comites a sottrarsi al controllo dell’autorità centrale.

  22. I “missi dominici” • I missi dominici hanno un ministerium, in funzione del quale ricevono istruzioni orali o scritte. • Possiedono tutte le competenze e possono persino tenere tribunali propri al posto di quelli delle contee. • Controllano la gestione dei comites e raccolgono i giuramenti di fedeltà in nome del re. • Si tratta di una misura che conserva il suo carattere originario di rimedio provvisorio, mentre la regola era quella dell’assenza di un qualunque meccanismo istituzionale per assicurare la coesione tra il centro e le province. Inoltre, nella misura in cui il controllo veniva esercitato, non accadeva attraverso i mezzi istituzionali, ma piuttosto grazie all’influenza e alle pressioni personali . (Fichtenau, 1949) • La scomparsa dei missi dopo il 907 segna il fallimento dello stato nel suo tentativo di centralizzazione. (Rouche, 2005)

  23. Potere monarchico e sistema feudale (Barraclough, 1976) • Il re tenta di controbilanciare il potere dei nobili proteggendo la posizione ed aumentando il numero della classe dei franci o liberi, costituita dai piccoli proprietari e dai contadini indipendenti, immuni da obblighi di natura personale verso i nobiles, che “consideravano il sovrano loro padrone e difensore, a differenza dei censuari di condizione servile, sottoposti ai loro diretti signori”. • Nel regno di Carlo c’è ancora subordinazione delle strutture feudali agli intenti del sovrano e l’inserimento di tali strutture nel disegno del governo, accanto ad elementi non feudali • Carlo svolge una politica feudale e una non feudale, che si integrano reciprocamente. Il re si serve per governare in modo più efficiente, dei vincoli feudali, sviluppatisi spontaneamente, al di fuori della legge, in risposta alle condizioni economiche e sociali”.

  24. Potere monarchico e sistema feudale • Ad ogni grado della gerarchia, il senior era tenuto a rispondere dei suoi vassi; per esempio, quando gli era ordinato, doveva farli comparire presso il tribunale della contea, di fronte al rappresentante del rex, il comes. • Con un capitolare dell’810 valido per tutto il regno, si ordinò che ogni senior, cioè ogni persona titolare di rapporti di vassaticum, comunque instaurati, costringesse i propri juniores, e cioè gli uomini a lui legati dai predetti vincoli di natura feudale, a una maggiore obbedienza ai mandati e ai precetti del sovrano. • Il potere giurisdizionale è esercitato secondo un duplice ordine: da una parte i tribunali pubblici delle centene e delle contee hanno una competenza iure personarum limitata ai soli franci o liberi, mentre, al di fuori di tale competenza, i seniores, attraverso propri tribunali feudali, esercitavano la giurisdizione esclusiva sui propri vassi e dipendenti. Le due giurisdizioni non solo coesistono, ma si rafforzano reciprocamente.

  25. Alcuino da York e la schola palatina • Aquisgrana (Aachen), la “nuova Roma”, capitale dell’impero franco, diviene sede della prima accademia imperiale, la Schola palatina, una scuola diretta a formare sia i funzionari e gli amministratori del regno, che gli ecclesiastici. • Carlo chiama a presiederla come magister il monaco anglo Alcuino da York (735- 804), uno dei più grandi uomini di cultura del tempo, dal 796 abate di San Martino di Tours. • Sotto la guida di Alcuino, allo scopo di diffondere il sapere, soprattutto nel clero, è creata una nuova organizzazione scolastica, con l’istituzione di numerose scuole presso le chiese episcopali ed i monasteri. • La c.d. rinascita carolingia vede la trascrizione dei manoscritti antichi e la rinascita delle lettere. • I codici di epoca carolingia permettono al medioevo e all’età moderna il recupero e la conservazione delle maggiori opere della civiltà romano-cristiana. • In particolare, le opere dei grandi spiriti della Chiesa antica, Gerolamo, Crisostomo e Agostino riprendono ad esercitare la loro funzione di orientamento culturale.

  26. Rabano Mauro e l’abazia di Fulda • L’opera di Alcuino è continuata dal suo confratello ed allievo Rabano Mauro (780-856), detto praeceptor Germaniae, nato a Magonza in una famiglia dell’aristocrazia franca; • a lui si deve una vastissima produzione letteraria come teologo, filosofo, commentatore delle Scritture, poeta e cultore di astronomia e scienze naturali; è autore del De Universo e del De praescientia et de praedestinatione ; Mauro Rabano, Alcuino da York, e Othgar, Vescovo di Magonza

  27. Rabano Mauro e l’abazia di Fulda • alle proposte di riforma delle istituzioni ecclesiastiche e alla formazione dei chierici dedica il De disciplina ecclesiastica. • è abate di Fulda dall’822 e trasforma l’abbazia in uno dei più grandi centri di cultura della cristianità, con una scuola monastica, uno scriptorium ed una biblioteca senza pari; • Rabano è attivo sulla scena politica, ove sostiene le ragioni dell’imperium Christianum e di Ludovico I nelle controversie con i figli per la successione nell’impero carolingio. • In seguito, si schiera con Lotario I, figlio maggiore di Ludovico contro i suoi fratelli Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico; con quest’ultimo successivamente si riconcilia e viene eletto vescovo di Magonza nell’847.

  28. I limiti della “rinascita carolingia” • Il lavoro dei protagonisti di questa rinascita intellettuale è di tramandare quello che si era potuto conservare delle vestigia del mondo classico e della patristica cristiana, e certo non quello di innovare o dare luogo a una “cultura originale” • Sembra anzi venire meno proprio l’ideale della cultura come produzione originale”. (Comba, 1980) • “Ci si limitò quasi esclusivamente ad un’opera di recupero della letteratura antica. Le scuole che Carlo fece aprire presso ogni cattedrale e ogni monastero non diedero alcun importante contributo originale” (Barraclough, 1976) • “Lo stesso Alcuino non aveva alcuna intenzione di dare un contributo originale alla cultura. Per lui, la saggezza e il sapere erano a portata di mano nelle opere dei Padri della Chiesa e la sua generazione non poteva aggiungervi nulla”. • Alcuino, insomma, non era tanto lo studioso alla ricerca di nuove conoscenze, quanto il divulgatore che raccoglie e coordina gli elementi del sapere”(Barraclough, 1976)

  29. La formazione del clero(Rouche, 2005) • L’interesse verso l’istruzione segue il progetto politico di Carlo; • le riforme scaturite dalla Epistola de litteris colendis (794-797) definiscono un programma di base di catechesi, alfabetizzazione, e anche di indottrinamento per le scuole cattedrali e monastiche, puntando sulla formazione del clero e in particolare dei curati. • Questi sacerdoti, responsabili delle parrocchie disseminate nel territorio, costituiscono l’unica rete sociale in grado di raggiungere tutti i sudditi e tutti i fedeli, con un contatto capillare impensabile ai conti. • “I curati sono in contatto con i gruppi rurali. Incaricati di insinuare la dottrina nei cuori e la disciplina nei corpi, essi costituiscono l’ingranaggio essenziale della società”.

  30. Il giudizio sulle istituzioni politiche carolinge – 1 (Comba, 1980) • “La classe dirigente che Carlo con la sua forte personalità riusciva in quegli anni a controllare, portava dunque in sé i germi della dissoluzione. Sul lungo periodo il problema principale della politica carolingia si risolse in un fallimento”. • “bisogna tuttavia evitare di evidenziare più i guasti di quella società che gli aspetti positivi dell’opera di Carlo e dei suoi immediati successori. • La positività delle loro realizzazioni emerge se queste si paragonano con le ben peggiori condizioni politiche dell’età precedente: se l’amministrazione non era esemplare, era almeno in grado di funzionare. • Il che, aggiunto alla pace alle frontiere e, probabilmente, ad una certa ripresa dell’economia, non era certamente poco, tant’è vero che alle generazioni che seguirono, e che conobbero il peggio, l’età di Carlo parve l’età dell’oro e della pace” .

  31. Il giudizio sulle istituzioni politiche carolinge - 2 (Barraclough, 1976) • Gli storici hanno scritto del governo carolingio, come se esso fosse stato valido ed efficiente in sé, mentre, in realtà, Il governo carolingio “non era molto efficiente: funzionò soltanto finché durò l’espansione, cioè soltanto finché poté contare su nuove risorse”. “Il suo potere non si reggeva su alcuna qualità intrinseca, ma soltanto sulle conquiste militari e sull’espansione, che terminarono subito dopo l’anno 800”. • Una volta, però, che il governo dovette operare entro confini stabili, e ancor più quando dovette fronteggiare una riduzione dei domini dell’impero, si rivelò inefficiente e tutte le contraddizioni, che non erano state risolte, ma soltanto brillantemente superate, vennero alla luce”. • Non è quindi vero che “funzionò alla perfezione, o quasi, fino all’814, per sfasciarsi a causa dei difetti del figlio di Carlo, Ludovico il Pio”, ma piuttosto si deve riconoscere che “le deficienze erano inerenti alla struttura del potere”, la quale si fondava su di “un amalgama di forze divergenti, tenute insieme soltanto dai successi esterni”.

  32. Il giudizio sulle istituzioni politiche carolinge - 3 (Werner, 1998) • “Questa administratio, di origine romana, con qualche modifica e dimostrando un’efficacia sorprendente, precedette di un millennio l’amministrazione moderna”. • “Lo stato franco, dai Merovingi agli Ottoni, cristianizzò l’Occidente, ma poté farlo solo perché aveva imparato dal mondo romano come governare uno stato abitato da una moltitudine di popoli che parlavano lingue diverse, cioè adottando il latino, che ancora nel 1200 era la lingua unica di questa administratio in Occidente, eccettuata l’Inghilterra. • Questa impresa, che richiese migliaia di traduzioni locali nella lingua madre degli amministrati, costituì la realizzazione comune dei re e dei nobili, laici ed ecclesiastici”. • La storiografia moderna, a partire da quella del XIX secolo, partì orientata dal pregiudizio nei confronti del modello carolingio, né dimostrò di “comprendere queste forme statali, perché era incapace di concepire un modello di stato che non fosse il proprio”.

  33. Benedetto di Aniane e la riforma monastica • Benedetto di Aniane (750-821), visigoto, nasce come Witiza o Vitiza, figlio di Agilulfo, comes di Maguelonnein Settimania; • nel 774 è antrustio nell’esercito di Carlo Magno in Italia; • in seguito si fa monaco e diviene abate di Maursmünster; • è l’ispiratore della “dieta di Aquisgrana” dell’816, convocata per ristabilire nel clero secolare e regolare l'osservanza di norme uniformi e rigorose. • Nell’817 gli abati, convocati per appoggiare la “dieta imperiale”, promulgano il capitulare monasticum, relativo all'organizzazione dei monasteri. • Il capitulare impone a tutti i monaci la regola benedettina, con pochi adattamenti alle diverse condizioni dei vari monasteri; • un secondo capitulare dell’818 rende l'abate elettivo; • Dopo le due “diete”, Benedetto di Aniane pubblica una collectio capitularis allo scopo di precisare, completare o adattare alla situazione numerosi dettagli della regola. • A quattro secoli dalla fondazione di Montecassino, il sistema benedettino, con qualche ritocco marginale, diviene l'unico regime del monachesimo occidentale (Pacaut, 1989).

  34. Ludovico I e l’“Imperium Christianum” • Ludovico I (814-840), è denominato “il Pio” perché accoglie il pensiero politico dei più illustri ecclesiastici del tempo e in particolare di Rabano Mauro e Benedetto di Aniane ed il loro ideale universalistico di “Imperium Christianum”; • Ludovico è consapevole dei difetti dell’organizzazione di governo carolingia e cerca di intervenire in due modi: • 1) fare dell’impero una realtà, cosa che non era mai stato ai tempi di Carlo Magno; • 2) usare l’idea di un unico impero come strumento per unificare le terre franche e farne il legame che le tiene unite, “compensando le differenze nelle loro origini e nella loro storia”. • Per questo sostituisce i tre titoli che Carlo aveva portato, rex Francorum, rex Langobardorum e imperator con il titolo esclusivo di imperator, con ciò ponendo in netta evidenza il carattere unitario dell’impero, alla cui unità politica veniva peraltro attribuito un significato religioso. • Il sigillo di Ludovico reca la dicitura “Renovatio regni Francorum”, riflettendo il proposito di dare nuova vita al regno franco attraverso l’attuazione dell’idea imperiale.

  35. La Ordinatio imperii (817) • È una constitutio con cui Ludovico I proclama solennemente l’unità dell’impero, e contestualmente afferma i principi di primogenitura e indivisibilità dei domini. • Il figlio primogenito Lotario I (Lothar) è proclamato imperatore ed unico erede della dignità del padre, con diritti su tutti i domini franchi. • A ciascuno degli altri figli spetta il titolo di rex, a Pipino di Aquitania e a Ludovico di Baviera, ma queste monarchie sono subordinate allo scettro del fratello maggiore. • L’unità dell’impero diviene cornice di una pluralità di dominazioni politiche di membri diversi della famiglia imperiale, ma, a differenza di quanto avveniva in passato, uno solo è l’imperatore, mentre i reges esercitano una sovranità limitata ad un dato territorio, che resta comunque parte integrante dell’impero e gli sono pertanto subordinati.

  36. L’istituzione delle “monarchie subordinate”(Barraclough, 1976) • “l’istituzione delle monarchie subordinate rappresentava poco più che una misura di decentramento amministrativo all’interno di un unico impero; veniva conservata l’unità dell’insieme e le singole monarchie avrebbero dovuto, se necessario, prestarsi un reciproco aiuto militare”. • Inoltre era loro “inibito seguire politiche estere indipendenti”, per cui “non avrebbero potuto concludere dei trattati separati, né inviare o ricevere ambascerie”. • Lotario I è associato da subito al potere ed emana capitolari diretti a introdurre elementi di unità e di razionalizzazione delle istituzioni politiche in tutto il territorio imperiale. • E’ inviato in Italia, per controllare il dominio temporale pontificio intorno a Roma, che diviene una sorta di “protettorato imperiale”. Il papa, pur continuando ad essere il vescovo di Roma e quindi come tale eletto dai Romani, laici e chierici, deve, prima di essere consacrato, prestare giuramento di fedeltà all’imperatore.

  37. La duplice opposizione(Barraclough, 1976) • Questa politica, che implica “una nuova concezione dello stato”, provoca una duplice opposizione: • 1) quella del papa, motivata, più che dalla imposizione di una “tutela imperiale”, dal fatto che “l’impero, prima in seguito all’accordo dell’812, poi con l’incoronazione di Ludovico nell’813 [...]” è divenuto estraneo a Roma”, in quanto è lo stesso imperatore a incoronare e legittimare il suo successore, e per il papato un impero franco che costituisca un’istanza universalistica indipendente dalla Chiesa, con sede ad Aachen anziché a Roma è un pericolo; • 2) quella di parte della nobilitas franca, che sostiene la tradizione dello stato patrimoniale” e le ragioni di un “dominio etnico” dei Franchi sugli altri popoli, e quindi “che vede la salvezza non nei cambiamenti, nelle riforme e nella rinascita religiosa, ma nella conservazione dell’egemonia franca sulle terre conquistate, sulla Chiesa e sul papato”, che permette arbitri e spoliazioni.

  38. La composizione del dissidio con il papa • La composizione del dissidio è possibile grazie al pensiero di Benedetto di Aniane, che porta ad accentuare la nuova concezione dello stato nei termini di imperium Christianum, e quindi di “monarchia universale”, la cui unità avrebbe dovuto essere innanzi tutto “garanzia della libertà delle chiese, della sicurezza delle loro proprietà e dell’equa distribuzione delle loro ricchezze”, tanto che dividere l’impero avrebbe significato “provocare uno scandalo nella santa Chiesa”. • Il papa Stefano IV persuade Ludovico a farsi incoronare di nuovo, questa volta da lui, nell’816; • suo figlio Lotario, incoronato ad Aquisgrana di fronte al placitum dei grandi del regno alla maniera franca nell’817, si lascia incoronare di nuovo a Roma dal papa nell’823 ; • Ludovico II, figlio di Lotario I, è incoronato imperatore tre volte dal papa, nell’844, nell’850 e nell’872. • La ripetizione crea il precedente e da allora la pratica secondo la quale il sovrano elevava alla dignità imperiale suo figlio scompare e dopo l’850, nessun imperatore riceve la propria carica se non a Roma e dalle mani del papa”

  39. I dissidi con la nobilitas franca • I dissidi con il partito dell’aristocrazia favorevole alla restaurazione dello stato patrimoniale si acuiscono quando l’imperatore rimette nell’829 in discussione i termini della Ordinatio imperii, attribuendo il titolo di rex anche a Carlo, il figlio più giovane nato dalla seconda moglie Giuditta di Baviera; • Ludovico moltiplica le concessioni di terre in vassaticum per aumentare i funzionari fedeli alla causa unitaria, ma con ciò finisce per esaurire il fisco, base economica della monarchia. • Alla morte di Ludovico nell’840, tra i tre figli superstiti, Lotario, Ludovico e Carlo scoppia la guerra civile. • Ludovico e Carlo si alleano con la nobilitas favorevole allo stato patrimoniale contro Lotario, sostenuto dai vassalli e chierici sostenitori dell’idea unitaria, tra cui l’abate Rabano Mauro. • La battaglia decisiva ha luogo a Fontenoy nell’841 e si conclude senza vincitori, né vinti. Lotario è costretto a ritirarsi ad Aquisgrana e più tardi ad accettare la divisione dell’impero.

  40. Il trattato di Verdun (843) • Lotario conserva il titolo imperiale e la Frisia, Austrasia, Svevia, parte della Borgogna, la Provenza e l’Italia centrosettentrionale; • cede a Ludovico il Germanico, la parte orientale: la Sassonia, l’Alamannia, la Turingia, la Baviera e la Carinzia; • cede a Carlo il Calvo, la parte occidentale: la Neustria, parte della Borgogna, l’Aquitania e la Settimania. • Di fatto, il trattato di Verdun “mette al posto di un impero tre regni indipendenti” e segna l’affossamento dell’ideale di unità propugnato nell’817 nella Ordinatio Imperii. • Il concetto dell’unità sopravvive come ideale, del quale è custode la Chiesa piuttosto che la monarchia. Resta il titolo imperiale, ma “il tentativo di dargli una sostanza ed un significato era fallito”: “l’auctoritas imperiale, intesa come “magistratura universale” in senso romano non era dunque riuscita a imporsi, se non a livello teorico: se infatti rimaneva un solo imperatore, egli non aveva potere reale al di fuori dei territori da lui direttamente controllati”. (Barraclough, 1976)

  41. Il trattato di Verdun (843)

  42. Le vicende del “regno di mezzo”(Barraclough, 1976) • “Presentava una serie di caratteristiche vantaggiose”: • 1) “comprendeva le due capitali, Roma ed Aquisgrana, per cui era stato destinato all’imperatore; • 2) era di gran lunga il più ricco dei tre regni”. • 3) “il suo territorio includeva l’antico paese d’origine della dinastia carolingia”, l’Austrasia, per cui comprendeva la maggior parte delle proprietà regie, dalle quali la monarchia traeva le proprie risorse materiali”; • grazie a tali ricchezze, era in grado “non solo di difendersi bene, ma di fare anche qualcosa di più”. • Alla morte di Lotario nell’855 si procede ad una spartizione del “regno di mezzo” tra i suoi tre figli: l’Italia tocca al primogenito, che è incoronato imperatore dal papa come Ludovico II; la Provenza va a Carlo e Lotario II, “riceve le terre a nord, che da lui e non da suo padre hanno preso il nome di Lotaringia, o Lorena”.

  43. Le vicende del “regno di mezzo”(Barraclough, 1976) • La divisione dell855, più di quella dell’843 ha effetti decisivi, in quanto “l’impero, che sotto Lotario conservava qualche importanza esercitando una certa egemonia sulle altre due monarchie, era ora ridotto al solo territorio italiano e, di conseguenza, cadde sempre più sotto il controllo del papato”. • Il regno di mezzo, diviso in tre parti, non può più fare da contrappeso tra gli altri due, né mantenere le proprie posizioni. • La Lorena, provincia più ricca e con la percentuale maggiore di proprietà del demanio regio, diviene oggetto di contesa tra il sovrano dei Franchi occidentali e quello dei Franchi orientali. • Nell’869, alla morte di Lotario II, i due reges di occidente e di oriente si dividono il suo regno con il trattato di Meersen. • Alla morte di Ludovico II nell’875, il papa offre la corona imperiale a Carlo il Calvo, re dei Franchi occidentali, nella speranza che possa aiutarlo contro le incursioni dei Saraceni. • E’ la fine di quel che rimane del “regno di mezzo”.

  44. La frammentazione dell’impero • Gli effetti delle ripetute divisioni dell’impero fanno affermare a Floro di Lione che “non vi è più un imperatore, e neanche un rex, ma solo dei reguli”; che anzi “non v’è più un regno, ma dei fragmina regni. • Le frequenti incursioni e talora invasioni di Normanni, Magiari, Slavi e Saraceni provocano devastazioni e insicurezza. • Le crescenti difficoltà degli eserciti franchi, privi dell’appoggio di una flotta, lenti a riunirsi attraverso il meccanismo dell’eribanno e inadatti a una difesa mobile, inducono ad una “evoluzione politica e sociale che tendeva a disgregare ovunque i regni e a sostituirli con piccoli organismi territoriali”. • Il segno visibile di questa trasformazione è il moltiplicarsi dei castelli e delle fortezze, unico efficace strumento di difesa contro le incursioni di bande di pirati e di veloci cavalieri, pronte a predare città e villaggi, ma incapaci di svolgere assedi. • Di solito le costruzioni avvengono su spontanea iniziativa di membri della nobilitas o addirittura di privati.

  45. Il capitolare di Carlo il Calvodell’864 • Carlo il Calvo, figlio minore di Ludovico I, è rex dei Franchi occidentali e diventa imperatore nell’875. • Con il capitolare ordina l’abbattimento dei “castelli, fortificazioni o palizzate” costruiti senza l’autorizzazione regia da parte dei potenti locali, che servivano non solo per difesa da incursioni, ma anche contro i vicini et commanentes, i piccoli possessori che abitavano nello stesso vicus in cui si trovavano i beni signorili protetti dalla fortificazione. • Castelli e fortezze divengono “strumenti di predominio locale”, con lo sviluppo di strutture politico-militari autonome, in cui il signore laico o ecclesiastico detiene guarnigioni di vassi, con cui non solo difende la regione circostante, ma compiere soprusi e spoliazioni a danno di altri uomini liberi. • Molti castelli perdono dunque il carattere di fortezza pubblica controllata dal sovrano per divenire oggetti di piena proprietà di signori, laici o ecclesiastici, che finiscono per esercitare sul territorio protetto dal castello un “potere tendenzialmente sostitutivo di quello degli ufficiali pubblici”.

  46. Gli effetti a lungo termine divassaticum e immunitas • Il vassaticum, inizialmente elemento di integrazione, diventa con il tempo motivo di disgregazione, poichè, a fianco delle clientele vassallatiche regie, si sviluppano le clientele di duchi, marchesi, conti, vescovi e abati, che attraggono nella loro sfera un numero sempre maggiore di vassalli regi. • Altre “isole di giurisdizione signorile”, analoghe ai castelli, nascono laddove il rex aveva concesso alle chiese privilegi di immunitas dal potere delle autorità pubbliche. • I controlli stabiliti da Carlo Magno nell’VIII secolo attraverso gli advocati, già agli inizi del X secolo scompaiono del tutto. • I beneficiari cessano di essere ausiliari del potere regio “per esercitare a loro esclusivo vantaggio proprio quei diritti regali che la concessione di immunità aveva un tempo sottratti agli ufficiali del re”. (Comba, 1980)

  47. Il capitolare di Quierzy-sur-Oise dell’877 • Se ai tempi di Carlo Magno la nomina di duces, marchiones e comites era ancora intuitu personae, con il tempo si afferma di fatto il principio della trasmissione ereditaria dei titoli. • Carlo il Calvo, in partenza per la guerra, interviene a dettare alcune regole sul governo del regno in sua assenza, tra cui quelle sul da farsi per la trasmissione dei beneficia. • Nel caso della morte di un comes, la gestione del comitatus è affidata ad un consiglio composto dal vescovo del luogo e dai ministeriales, gliamministratori del patrimonio fondiario, mentre l’imperatore si riserva la decisione finale. • Salvo motivi particolari, si dà per scontato che la successione tocchi all’erede del defunto, il quale sarebbe stato a suo tempo “investito delle cariche di suo padre” dal sovrano. • L’imperatore ordina nello stesso capitolare a tutti i nobiles “di seguire le stesse norme verso i loro vassalli”. • Il capitolare, pur non stabilendo istituzionalmente l’ereditarietà dei beneficia, pone le premesse giuridiche perché questa venga considerata una prassi generalizzata in tutto l’impero, salvo motivate eccezioni.

  48. Le conseguenze • La legittimazione della prassi dell’ereditarietà delle cariche e dei benefici infligge un altro duro colpo all’autorità regia e consente agli ufficiali pubblici di conseguire margini sempre maggiori di autonomia dal potere centrale. • Il risultato complessivo di queste trasformazioni è il graduale “dissolversi dell’autorità statale” attraverso lo “sfaldamento delle grandi divisioni territoriali pubbliche a vantaggio dei poteri locali che emergevano caoticamente dal possesso di castelli o di grandi complessi fondiari”. (Comba, 1980) • Marchesati e contee, più che delegazioni regie e distretti pubblici affidati amministrativamente a membri della nobilitas, tendono ormai a divenire parte integrante del patrimonio familiare dei nobili, che vanno ampliandosi o riducendosi territorialmente con le acquisizioni o le perdite patrimoniali e le fortune politico-militari della dinastia comitale o marchionale.

  49. Il declino dell’istituzione monarchica • Il potere regio è sempre meno in grado di funzionare come il fulcro di un ordinamento pubblico distribuito nel regno. • I reges conservano le corti, un certo potere di imposizione fiscale, sia pure in gran parte esercitato attraverso i nobili e gli ecclesiastici, e le proprie clientele vassallatiche. • Intervengono “nella concorrenza fra i poteri politici che emergevano caoticamente dal basso, ma la loro forza non era tale da potersi esercitare a distanza attraverso un’organizzazione capillare del potere pubblico”. • Il rex è ormai un “potente tra i potenti”, che si muove “in una innumerevole ed eterogenea pluralità di poteri” ed assume con questi ultimi un rapporto competitivo, spesso operando il proprio rafforzamento approfittando delle loro divisioni. • Pochi anni dopo la morte di Carlo il Calvo nell’877, non sono più emanati capitolari”. • Nessun rex dei Franchi occidentali è più in grado di legiferare uniformemente per tutto il regno.

  50. L’effimera riunificazione dell’884 • Carlo il Grosso (839-888), uno dei figli di Ludovico il Germanico, ricevuta la corona imperiale da papa Giovanni VIII nell’881, succede prima al fratello Ludovico III come rex dei Franchi orientali nell’882 e poi a Carlomanno II come rex dei Franchi occidentali nell’884. • “Essendosi quasi estinta la famiglia dei carolingi, tutto l’impero, ad eccezione della Borgogna, accettò Carlo il Grosso come sovrano”, e questo fatto “dimostra fino a che punto le questioni nazionali fossero assenti in tutti questi avvenimenti”. “Carlo è l’ultimo figlio di Ludovico il Germanico e tutta la Francia lo riconosce”. (Pirenne, 1936) • Se non che, “la sua incapacità e i vergognosi trattati che fece con i Normanni”, che nell’886 assediavano Parigi, “esaurirono la pazienza dell’aristocrazia” e finiscono col rendere definitiva la divisione tra le due parti dell’Impero. • Dal momento della deposizione di Carlo il Grosso nell’887, il titolo di rex di Italia, e con esso il diritto di aspirare alla dignità imperiale, è oggetto di contesa tra sovrani franchi e membri della nobilitas locale e, a partire dall’891, vi è una serie di imperatori non carolingi.

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