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Wa-ethchannàn

Shabbàth Kòdesh. La parola del Rabbino Capo. Lavoro fatto di sabato.

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Wa-ethchannàn

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Presentation Transcript


  1. Shabbàth Kòdesh La parola del Rabbino Capo Lavoro fatto di sabato. A. Se un israelita ha fatto di sabato un lavoro, e lo ha fatto trasgredendo intenzionalmente al divieto, non può mai godere del risultato di tal lavoro, mentre qualsiasi altro israelita può goderne appena finito il sabato. Ossia: se un israelita ha cucinato intenzionalmente di sabato, al sabato sera è permesso agli altri di mangiare quel cucinato, ma chi lo ha cotto non può mangiarne mai. Se invece uno ha cucinato per errore, al sabato sera possono subito mangiarne sia lui che altri; lo stesso vale per altre situazioni analoghe. Di qua risulta che chi capiti di sabato in casa di gente che non è scrupolosa nell’osservanza del sabato, se gli viene offerto qualcosa che si possa dubitare che sia stata cotta di sabato, gli è assortamente proibito accettare. B.Così pure è proibito ad un ebreo, che passa per la strada e sente una trasmissione radio da una stazione i cui addetti sono ebrei, di porgere orecchio a tale trasmissione, perché ebrei fanno molti lavori proibiti per far funzionare la stazione. È pure proibito predisporre un orologio elettrico per sentire trasmissioni radio o televisive emesse da non ebrei per vari motivi che abbiamo spiegato. C. Godere di corrente elettrica fornita da una stazione azionata da ebrei a rigor di termini è permesso, perché il funzionamento della stazione è indispensabile in casi di salvezza di vite umane, come per gli ospedali, necessità di difesa e simili. Ma gente particolarmente pia e dedita a buone azioni si astiene dal servirsi di corrente elettrica prodotta da lavoratori ebrei se non per casi di salvezza di vite umane. (Liberamente tratto dal “Compendio dello Shulchan ‘Arukh ‘Meqor Chajim’” di Rav Chajim David ha-Levì, 5752 – 1992) • Wa-ethchannàn Prosegue il testamento spirituale di Moshè, quel testamento che egli comunica al suo popolo in alcuni discorsi pronunciati poco prima di morire. Moshè richiama alla memoria eventi significativi, ma soprattutto ribadisce e spiega nuovamente alcune mitzwòth. È da questi discorsi che si può arrivare a fare il conteggio ed affermare che le mitzwòth della Torà sono – come sappiamo – seicentotredici. Ma in aggiunta ad esse, Moshè aggiunge: “Farai il retto ed il buono agli occhi del Signore, cosicché avrai il bene e giungerai a prendere possesso della Terra buona che ha giurato il Signore ai tuoi Padri”. Non bastano allora le seicentotredici mitzwòth per compiere il nostro dovere? E può esistere qualcosa di retto e buono che non sia compreso nelle seicentotredici mitzwòth? Il Nachmanide risponde che le mitzwòth sono certamente irrinunciabili, ma esse non coprono ancora tutta la vita dell’uomo. Esistono situazioni nelle quali la mitzwà può non essere sufficiente. Potremmo prendere ad esempio le regole che riguardano il prestito. La Torà stabilisce che se ricevo in pegno un oggetto necessario alla vita quotidiana, lo devo restituire prima che la persona ne abbia bisogno, anche se non mi ha restituito il denaro prestato. Questa è la mitzwà, ed è evidentemente ispirata al rispetto che dobbiamo ad ogni persona, specie al bisognoso. Ma se io, oltre a restituirgli il pegno, gli regalo un altro oggetto altrettanto necessario, ho fatto qualcosa che non era previsto nella mitzwà, ma che è certamente giusto e buono. Moshè sta quindi affermando che il buon ebreo deve osservare tutte le mitzwòth, ma deve anche dimostrare giustizia e bontà anche oltre ciò che stabilisce la Torà; anzi, addirittura la Torà arriva qui ad affermare di se stessa di non essere sufficiente a garantire una vita serena in Eretz Israèl: questo tipo di vita è garantito se nella Terra ci si comporta ancora meglio di quanto la Torà stessa stabilisce. Rav Elia Richetti

  2. בס"ד תורת היום settimanale no. 180 15 Av 5768 16 Agosto 2008 I MAESTRI DELL'EBRAISMO ITALIANO • Yehudà ben Menachèm da Roma Visse agli inizi del dodicesimo secolo, e fu autore di piyutìm, mentre suo figlio Menachèm fu a capo della scuola talmudica di Roma. Le sue composizioni compaiono in molti manoscritti del rito romano. Attualmente sono note quindici sue composizioni, sei delle quali stampate nei machazorìm di rito italiano: gli Yotzeròth di Shabbàth Ha-Gadòl, Shabbàth Nachamù, Simchàth Torà e Shavu‘òth, un Ofàn di Shavu‘òth ed un poesia per Purìm. È ritenuto anche l’autore del Séder Chibbùr Berakhòth, il più antico testo halakhico sul rito italiano. Rav Abramo Lattes Nato a Venezia nel 1809 e morto, sempre a Venezia, nel 1875, ne divenne il Rabbino Capo nel 1839 come successore di suo nonno Aharòn Elia Lattes. Fu collaboratore di Daniele Manin e attivista del movimento rivoluzionario filoitaliano; ancora durante la Serenissima, fu eletto consigliere della medesima. Fu un pioniere degli studi sull’Ebraismo veneziano con saggi pubblicati in “Venezia e le sue lagune” (1847). Collaborò con i periodici di studi ebraici Kérem Chémed e Bikkurè Ha-‘Ittìm. In Italia è ricordato anche per essere l’autore della preghiera che in alcune Comunità ancora oggi il Bar-Mitzwà recita davanti all’Aròn aperto. La Torà del Giorno A cura dell’Ufficio Rabbinico di Venezia La Parashà della settimana: Wa-ethchannàn Acc. lumi ore: 20.00 Uscita ore: 21.05

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